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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
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Il disagio per estraneità

Se difficile è il processo di costruzione di personalità da parte del ragazzo e del giovane che appartiene alla nostra comunità, assai più forte appare la situazione di disagio del giovane venuto da lontano e che non sempre trova adeguata accoglienza ed effettiva integrazione. Perché il ragazzo straniero aggiunge alla tradizionale emarginazione della condizione infantile e adolescenziale la emarginazione propria della estraneità etnica e nazionale; perché egli diviene spesso anche fisicamente invisibile in quanto del tutto marginale in una società che tende sempre più a chiudersi nell'isolamento del piccolo gruppo di appartenenza; perché deve coniugare al sempre complesso e sfuggente processo di costruzione di una identità personale - proprio di ogni soggetto in formazione - anche il difficilissimo processo di assimilazione ad una realtà sociale e culturale molto diversa da quella di provenienza, riuscendo però a preservare la propria originale identità e le proprie radici.

Per questi ragazzi non sempre i diritti astrattamente riconosciuti a loro come ai ragazzi italiani sono pienamente attuati. In particolare:

Il diritto di vivere nella propria famiglia è a forte rischio per i bambini stranieri: 1771 bambini stranieri sono in strutture residenziali; 648 in affidamento familiare. I dati assoluti non appaiono enormi ma sono le percentuali che non possono non preoccupare: mentre infatti il rapporto tra popolazione minorile straniera e la popolazione minorile italiana è dello 0,4%, il numero di minori stranieri in strutture assistenziale è dell'11,9% e in affidamento familiare del 6,4% del totale. Appare pertanto evidente che spesso la famiglia immigrante non è in grado di assistere direttamente i propri figli; che essa manca totalmente di quelle strutture di riferimento parentale che assicurano a tanti bambini italiani un clima familiare, anche laddove i genitori non possono direttamente provvedere ad essi, che ancora più a rischio è il processo di acculturazione di questi bambini, che non hanno un sicuro e continuativo ancoraggio in un proprio e caratterizzato nucleo sociale di origine.

Il diritto alla risocializzazione e in caso di devianza, e cioè il diritto, nel caso di interruzione o di deviazione dell'itinerario formativo, ad essere aiutato a superare le proprie difficoltà di socializzazione, è per i minori stranieri non sviluppato per il minore italiano. Di fronte ad un fortissimo incremento nella commissione di reati da parte di minori stranieri (le denuncie che erano 7.928 nel 1991 sono aumentate a 10.926 nel 1998 con un passaggio conseguente delle percentuali dal 17,6% al 25,9%) la risposta dell'ordinamento è stata esclusivamente una risposta repressiva e segregante.
Non è senza significato che i minori stranieri entrati nei Centri di Prima accoglienza sono stati il 52% del totale dei minori inseriti in queste strutture (e le femmine straniere costituiscono ben il 95,1%) e che ingressi negli istituti penitenziari per minori vedono una preponderanza dei minori stranieri sui minori italiani: nel 1999 ben 1.005 stranieri contro 871 italiani (di cui 365 femmine straniere contro 22 italiane). Appare evidente che la mancanza di un ambiente familiare da sostenere in vista di un recupero del ragazzo e di un reinserimento protetto; l'insufficiente collaborazione delle autorità dei paesi di origine; la mancanza di strutture attrezzate per una azione pedagogica nei confronti di adolescenti appartenenti a culture totalmente diverse; tutto ciò rende difficile una seria azione di recupero e finisce quindi con il condannare irreversibilmente il minore straniero con gravi problemi di socializzazione alla ghettizzazione ed alla criminalità.

Il diritto alla protezione da ogni sfruttamento rischia di essere non sempre adeguatamente tutelato nei confronti dei minori stranieri. E questo non tanto sul piano delle leggi che vi sono e sono anche adeguate - basti pensare alla legge sullo sfruttamento sessuale - quanto perché di fronte a soggetti spesso invisibili e privi di naturali reti di protezione diviene estremamente difficile identificare esattamente le situazioni di sfruttamento e attuare interventi mirati ed efficaci, specie se manca la collaborazione delle vittime. Lo sfruttamento di minori - nell'accattonaggio, nella commissione di piccoli furti, nello spaccio delle droghe, nella prostituzione - è purtroppo una triste realtà: non sono solo le organizzazioni criminali ad operare in questo settore; anche molti adulti stranieri - i cosiddetti "zii" - utilizzano per realizzare facili guadagni i ragazzi affidati loro dai genitori, spesso non imputabili o comunque nei cui confronti l'attività di mera repressione non può essere mai particolarmente dura.

Il diritto a vedere garantito in modo adeguato il proprio itinerario di sviluppo può essere compromesso per alcuni bambini stranieri che vengono temporaneamente ma ripetutamente ospitati nel nostro paese. I problemi per questi bambini sarebbero sicuramente ridotti se l'ospitalità si realizzasse in gruppo, con educatori del proprio paese, continuando la normale attività scolastica, godendo solo di un ambiente climatico migliore e di un trattamento alimentare più adeguato. Ma nella maggioranza dei casi questi bambini e bambine vengono inseriti in nuclei familiari non adeguatamente preparati e senza una reale vigilanza sulle modalità di questa ospitalità Non si tratta di pochi casi, se è documentato che ogni anno vi sono più di 40.000 ingressi di questi bambini stranieri (con un giro di affari che annualmente si gira intorno ai 50 miliardi). Una simile esperienza, al di là delle buone intenzioni di chi la pratica, pone diversi inquietanti interrogativi: Innanzi tutto, l'inserimento del ragazzo in un ambiente familiare non adeguatamente selezionato e su cui assai scarse sono le forme di sostegno e vigilanza non evita affatto il pericolo che il ragazzo senza sia sottoposto ad abusi o sfruttamenti. Inoltre il ragazzo che viene da lontano e che ha avuto scarsa esperienza di vita familiare - o peggio ha sperimentato inaudite violenze intrafamiliari, anche di tipo sessuale - non potrà facilmente inserirsi in un ambiente di vita a forte intensità di rapporti interpersonali e in cui non sarà neppure facile la comunicazione data la diversità della lingua e delle abitudini. Drammatico diviene diviene poi il rientro nella griglia, carente e monotona vita degli istituti assistenziali del paese di origine, per che ha assaporato una vita diversa e assai più soddisfacente di quella in cui è abituato a vivere. E ancora, la continua mobilità di questi ragazzi che dividono ogni anno - ed anche in anni successivi - la loro esistenza tra il proprio paese di origine, i propri usi, la propria attività di istruzione, i propri compagni e una artificiale vita in un paese straniero, con altri costumi, altri modi di vita, altri incontri, alternando i veri periodi e perdendo le proprie radici, può avere effetti devastanti per un armonico sviluppo di personalità. Né è da escludere, ed anzi si è spesso verificato, che chi ritorna più volte nella stessa famiglia finisca con il veder sorgere inevitabilmente aspettative di un definitivo inserimento in essa, abbandonando la vita di privazioni materiali ed affettive a cui è costretto dalla sorte, con la conseguenza che, se le aspettative saranno frustrate, sorgeranno in questi ragazzi sensi di colpa e di caduta di autostima per non aver saputo catturare l'affetto definitivo dei provvisori affidatari. I vecchi errori che sono stati compiuti con i bambini italiani, quando si privilegiava la cosiddetta beneficenza sulla attuazione dei diritti, non possono essere ripetuti nei confronti dei ragazzi stranieri.


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