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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
Direttore responsabile: Dario Cillo


 

Quel ragazzo ritardato

         Una volta veniva chiamato imbecille o idiota.

            Oggi si usano termini diversi: disabilità mentale, oligofrenia, ritardo mentale, ma ricorda che non esiste una precisa definizione di disabilità intellettiva per tutti e, soprattutto, valida per ogni periodo storico e per ogni paese.

                                    Bambini di differenti epoche storiche hanno evidenziato, alla
                                   stessa età,  livelli intellettivi e abilità  del tutto diverse. Tanto
                                   che si può fondatamente  presumere che il  livello intellettivo
                                   di molti ritardati, oggi, sia spesso del tutto simile a quello dei
                                   coetanei  sani dei  secoli  scorsi e di molti adulti delle epoche
                                   passate […]
                                   Attualmente, in ogni diverso gruppo sociale, si ritiene che un
                                   bambino abbia raggiunto un <<normale>> livello di sviluppo
                                   cognitivo quando  possiede conoscenze, operazioni,  processi
                                   e  abilità  relazionali  presenti  nella  maggior  parte  dei  suoi
                                   coetanei, residenti nel medesimo luogo, e cresciuti nell’ambi-
                                   to dello stesso gruppo sociale.
1

            Prima del secolo appena trascorso non si parlava di ritardo, non ne esisteva neppure il concetto, come non esisteva la misurazione dell’intelligenza, il famoso quoziente intellettivo (QI) che avrebbe la pretesa (falsa e presuntuosa) di misurare la quantità di intelligenza che ciascuno di noi possiede.

            E, fino a non molti anni fa, gli studiosi ritenevano che gran parte delle forme patologiche caratterizzate da <<ritardo mentale>> fossero irrecuperabili dal punto di vista cognitivo.

            Se oggi i bambini con ritardo mentale traggono benefici non indifferenti dal frequentare scuole comuni, ciò si deve agli studiosi di psicologia sperimentale che non considerano il ritardo come una forma di comportamento limitato, a cui ha contribuito l’ambiente in cui ha vissuto il soggetto.

Fra gli eventi capaci di indurre un certo grado di ritardo mentale
-          oltre alla possibile azione costante del danno patologico - 
emergono  le non  adeguate forme di apprendimento in grado di
stimolare un appropriato sviluppo cognitivo e sociale. 2

            In altre parole il ritardo non è solo causato dal danno organico che avrebbe <<distrutto>> nella sua mente idee, conoscenze, processi, operazioni, funzioni, memoria, ma anche dal fatto che quel danno biologico non gli ha permesso di attuare esperienze specifiche che, nel tempo, lo avrebbero condotto a elaborare contenuti, idee, concetti, apprendimenti.

                                 Per  dimostrare ciò non c’è bisogno di ricorrere a   esemplificazio-
                                 ni complesse: un piccolo  motuleso (o  audioleso o  tetraplegico  e
                                 simili) sin dai primi mesi di vita non è in grado di attuare le stesse
                                 esperienze sensoriali degli altri bambini, e il suo apprendimento ri-
                                 sulterà carente sotto molti aspetti. E conseguentemente, presenterà
                                 uno sviluppo cognitivo parziale.Altrimenti non si spiegherebbe co-
                                 me danni cerebrali simili implichino deficit e carenze in attività co-
                                 gnitive del tutto diverse tra loro. 3

                Si consideri il caso di due bambini con un’analoga lesione cerebrale: come mai uno è del tutto incapace di fare operazioni logico-matematiche, mentre l’altro eccelle proprio in esse?

            Ma in questo caso non credo interessi approfondire le classificazioni concettuali.

A te interessa sapere come devi comportarti concretamente con questi ragazzi comunemente definiti con disabilità mentale.

            Vorrei fornire alcuni suggerimenti, molti dei quali sanno di già sentito. Poco male: repetia invant, dicono quelli che masticano il latino. La ripetizione aiuta a memorizzare, aiuta a operare il cambiamento di atteggiamento.

  • Primo. Non avere paura. Difficilmente manifesta comportamenti aggressivi. Nel corso dei primi incontri chiedigli il suo nome, l’indirizzo e il numero di telefono. Se non è in grado di farlo, procurati il tutto in segreteria.
  • Secondo. Armati di pazienza. Non fare discorsi troppo difficili, non invitarli a fare più cose contemporaneamente. Non dare consegne complicate: <<Vai in segreteria, chiedi della signora Rossi, dille che hai bisogno di un modello di permesso da portare a casa, fattelo dare, ringrazia e chiuditi la porta alle spalle>>.

Spezza i tuoi discorsi in un diagramma di flusso. Cos’è un diagramma di flusso? Lo usi tutti i giorni con il tuo cellulare:

 1.      Aprire il cellulare.

2.      Andare su menu.

3.      Pigiare

4.      Scendere con il cursore fino alla voce <<rubrica>>.

5.      Pigiare.

6.      Scendere dalla a fino alla lettera iniziale del nome che ti interessa: poniamo sia Maria.

7.      Pigia le lettere m, a, r

8.      Ti apparirà: Maria

9.      Chiamare?

10.  Ok.

Si fa più presto a farlo che a dirlo.

Non per tutti. L’automatismo a volte, come nel caso del ragazzo che hai davanti, è una conquista.

  • Terzo. Rispondi sempre alle sue domande, per quanto strambe ti possano sembrare. Se urla non urlare anche tu, rispondi con il tuo tono di voce abituale.
  • Quarto. Non essere accondiscendente. Non dirgli sempre di si. <<tanto, poverino…>>. Usa i no contenutivi. Se fa un gioco pericoloso o tira fuori il pisello, affrontalo severamente e poni dei limiti e delle regole. Non che a lui il sesso debba essere vietato, ma è chiaro che se deve farlo, non può dare spettacolo: deve poterlo fare in luoghi non problematici, in bagno ad esempio.
  • Quinto. Se urla e si mette a correre per il corridoio non devi inseguirlo, ma seguirlo. Seguendolo ti accorgerai che difficilmente fa cose che possono mettere in pericolo la sua incolumità e quella degli altri. E allora aspetta. Se tu lo seguissi ogni volta che fa il <<pazzo>>, lo rinforzeresti nel suo comportamento: si vedrebbe premiato, visto che vuole richiamare maggiore attenzione su di sé. Ignoralo finché puoi. Smetterà dopo alcuni <<insuccessi>>.
  • Sesto. Abitualo a rispettare le regole, fatti promettere che non correrà per i corridoi, che saluterà entrando, che si toglierà il cappotto e lo appenderà….

Se una mattina arriva, entra normalmente, saluta (al suo saluto hai sempre risposto con un altro saluto sorridente), ma poi getta per terra il cappotto e corre via, tu devi dirgli che non ci si comporta così.

            Se lui sembra non aver recepito il rimprovero, non punirlo costringendolo <<fisicamente>> a     raccattare il cappotto ed appenderlo.

            Qualora il   mattino   successivo   dovesse   ripetere lo stesso comportamento, non salutarlo e   soprattutto non sorridergli. A quel sorriso rassicurante tiene tanto.

            Forse ti chiederà perché non gli sorridi più. Digli che è per il cappotto. Capirà, anche se non

            immediatamente. E ritornerà ad appenderlo.

            Anche se non subito.

 

 

  1. AA.VV., Nuove metodologie per il ritardo mentale, Milano, Angeli, 1998.

  2. Ibidem
  3. Ibidem

Per chi suono la campanella?
Vito Piazza - Erickson

 


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