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Quell’angolo buio dell’olocausto

 

Biblioteca Villa Mercede

  

   

Roma 26 gennaio 2005

 

 

Il difficile cammino della memoria

 

Primo Levi nel suo libro La tregua descrive lo stato d’animo in cui si trova quando i soldati russi arrivano nel campo di concentramento in cui è prigioniero.

Noi ci aspettiamo che ci sia felicità, sollievo: è la fine di un incubo, e invece questa  liberazione attesa, sognata, invocata che era stata immaginata come una grande festa, lo trova privato dell’emozione di una gioia pura “…per noi anche l’ora della libertà suonò grave e chiusa…”

Anche il ritorno a casa è faticoso. Il sogno di tutti era stato quello di tornare per raccontare, ma ora si lottava contro l’avverarsi del timore che lo accompagnava, quello di non essere ascoltati e creduti.

All’indomani del ritorno i sopravvissuti raccontarono, e quasi immediatamente scrissero: undici libri di memorie nel 1945, quattordici nel 1946, tre nel 1947 e tra queste il libro di Pimo Levi edito da De Silva in 2500 copie dopo essere stato rifiutato da Einaudi. 600 copie invendute conservate in un magazzino  annegarono a Firenze nell’alluvione del 1966.

A pubblicare le prime testimonianze furono piccoli editori, semplici tipografie motivati più da spirito di solidarietà che da logiche di mercato, ma non vi fu un’effettiva diffusione. Dal 1947 al 1952 il silenzio.

Erano gli anni della ricostruzione segnati da una tendenza generale a considerare chiuse le vicende della guerra e archiviate le sofferenze. Apparato statale e società civile non capirono e non sostennero il diritto dei sopravvissuti e dei familiari superstiti ad un risarcimento materiale e simbolico e neppure riconobbero deportazione e genocidio come eventi storici cruciali. Rifiutarne la portata fu del resto la via nazionale per minimizzare il coinvolgimento del paese nello sterminio nazista.

Il silenzio si interruppe nel ’54 con Si fa presto a dire fame di Pietro Califfi, seguì edito da Feltrinelli nel ’56 Perché gli altri dimenticano di Bruno Piazza e infine nel ’58 uscì da Einaudi Se questo è un uomo di Primo Levi.

Erano comunque gli anni in cui era egemone la figura del deportato politico, testimone legittimo della deportazione. Secondo la storica Anna Rossi Doria è stato con l’esaurirsi del paradigma antifascista che il ruolo portante dei deportati politici comincia ad indebolirsi, fin quasi a scomparire, mentre esplode la memoria dello sterminio degli ebrei.

Aumenta la produzione di memorie dovuta anche alla consapevolezza, da parte dei testimoni, che il tempo a loro disposizione si riduce, mentre in Europa si verificano episodi di razzismo di matrice antiebraica

La testimonianza, sostenuta anche dalle ricerche degli storici, (Sarfatti – Picciotto Fargion) diventa un dovere, una forma etica e politica della memoria che vuole tramandare i significati del passato per impedirne la riedizione. E questa istanza politica ha portato all’istituzione del Giorno della memoria in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti.

Questa legge oltre a far giustizia di un rimosso durato più di 50 anni rende la parola ai sopravvissuti nei lager.

 

Perché la storia dello sterminio delle persone disabili subisce un processo di rimozione in Italia?

 

La Shoah è un avvenimento al limite della esperienza che, per il suo carattere moralmente inaccettabile, rende difficile la rappresentazione sia in ambito narrativo che in ambito storico, ma abbiamo visto come le testimonianze delle persone sopravvissute abbiano sollecitato la ricerca storica  e come la memoria della Shoah sia riuscita nel difficile compito di passare alla storia compiendo nello stesso tempo un’azione pedagogica: quella di trasmettere conoscenza.

Ciò non è accaduto per ciò che riguarda l’eliminazione delle persone disabili perché non esiste una memoria dello sterminio delle persone disabili. Non ci sono autobiografie, non ci sono interviste ai familiari per ricostruire storicamente quello scenario, la bibliografia sull’argomento è scarsa.

E’ del 1988 la traduzione del testo di Muller-Hill Scienza di morte, del 1997 il libro di Friedlander sulle Origini del genocidio nazista a cui si aggiungono i testi di Lallo e Torresini su Psichiatria e nazismo, le ricerche presentate al convegno di Bolzano nel 1995 su Follia e pulizia etnica in Alto Adige del prof. Michael von Cranach e nel 2003 la traduzione di  Uccisi e dimenticati di Hartmann Hinterhuber. Questi ultimi sono due psichiatri, rispettivamente primario dell’Istituto Psichiatrico di Kaufbeuren in Baviera e curatore della Mostra “Progetto Eutanasia – Prove generali di uno sterminio” esposta ad Amburgo nel 1999 in occasione del primo congresso mondiale di psichiatria che si teneva sul suolo tedesco dal dopoguerra, e il secondo  Direttore della Clinica universitaria di psichiatria e vicedecano della Facoltà di Medicina dell’Università Leopold Franzens di Innsbruk.

Si risente della latitanza della storiografia italiana, di quegli storici che hanno  versato fiumi di inchiostro nell’indagare le differenze tra razzismo nazista e razzismo fascista limitandosi, per ciò che riguarda l’eliminazione delle persone disabili a constatare  che il razzismo fascista non accolse le teorie eugenetiche come fece il nazismo: in una tesi di laurea in giurisprudenza del maggio 1939 che ha per tema “La diversità di razza come impedimento matrimoniale” leggiamo:

Campo non ancora raggiunto, ma ci auguriamo che possa esserlo presto, è quello tendente non solo a salvaguardare i valori esistenti ma soprattutto ad appartare o eliminare dal campo demografico tutti quegli individui che per malattie o tare ereditarie non possano trasmettere ai figli una vita rigogliosa, come richiede la morale fascista, ed anche umana qualora sia rettamente intesa, ma saranno capaci di generare soltanto degli individui tarati, destinati ad aumentare il numero dei disgraziati che sono ricoverati negli ospedali e rinchiusi nelle prigioni…’ 

 

Nei testi e nei manuali di storia, non viene mai ricordato che l’alleato di Mussolini predispose il programma eutanasia e l’Azione T4 che portò all’uccisione di migliaia di persone disabili.

Dagli storici italiani non è stata avviata alcuna ricerca per conoscere la reazione dell’allora cardinale Pacelli, futuro Pio XII, ad una lettera inviatagli da un gesuita tedesco che richiedeva, tra le altre cose, quale fosse la posizione della Chiesa cattolica riguardo la Legge sulla sterilizzazione ormai in vigore. E’ possibile che questa lettera sia senza risposta? E questo silenzio che significato ha? I contenuti di questa legge erano conosciuti dal Vaticano  mentre si apprestava, nel 1933, a firmare il Concordato con il regime di Hitler?

Con l'estendersi dei fronti di guerra, lo sterminio dei disabili non risparmiò certo i Paesi occupati, con drammatici strascichi anche in Italia, come testimonia la deportazione di alcuni disabili ebrei internati negli ospedali psichiatrici di Venezia, deportati ad Auschwitz-Birkenau.

Emblematica è la storia dell’ospedale psichiatrico di Pergine (TN). Il 26 maggio 1940, 299 pazienti vennero trasportati in Germania nell’ospedale psichiatrico Zwienfalten nel Baden-Wuttemberg per essere destinati ad altri manicomi. Nella maggior parte dei casi il trasporto dei malati non poggiava su alcun fondamento giuridico; in Germania non potevano ottenere la cittadinanza tedesca e secondo le disposizioni di legge italiane, che rimasero in vigore fino al 1968, i malati psichici erano esclusi da ogni diritto di voto e quindi anche dal diritto di optare per una delle due cittadinanze. Nemmeno da parte dello Stato tedesco i pazienti vennero registrati come nuovi cittadini tedeschi, quindi gli altoatesini sopravvissuti alla catastrofe restarono in Germania, dopo il 1945, come apolidi.

         Tra le varie cliniche specializzate, quella di Brandeburgo fu la prima nella quale si eseguì il gassaggio dei malati di mente; direttore della clinica era il maggiore SS Christian Wirth, il quale fu poi inviato nel ’43 a comandare il campo di sterminio italiano di Trieste (Risiera di San Sabba).

Al processo di Norimberga i medici nazisti furono processati. Alcuni furono  condannati a morte altri a pene detentive. Dal processo di Norimberga emerge la necessità di un codice deontologico nel trattamento medico dei pazienti: Il consenso volontario del soggetto umano è assolutamente essenziale.

Nel ventesimo secolo le reazioni internazionali ai crimini nazisti hanno dato un forte impulso all’etica medica. I codici della moderna medicina sono nati per contrapporsi ai crimini nazisti, ma come è stato possibile che la scienza medica sia stata cooptata dal regime nazista e trasformato medici e infermieri in spietati killer? Anche in questo caso manca la riflessione della società medica italiana.

L’American Medical Association e il Centro di Studi Avanzati sull’olocausto del Museo memoriale dell’olocausto degli Stati Uniti hanno organizzato una serie di conferenze in tutte le Scuole di Medicina degli Stati Uniti in occasione dell’avvio di una mostra al Museo dell’Olocausto.

In Germania nei corsi professionali per infermieri sono attivi seminari sulla storia della loro professione durante il nazismo. Si analizzano documenti storici sull’igiene della razza, sull’ eutanasia e sul ruolo svolto nell’uccisione dei disabili e si discute anche di eugenetica ed eutanasia oggi.

Molti dei temi più importanti in etica medica oggi dai test genetici alle cellule staminali  possono diventare oggetto di strumentalizzazione politica. Per esempio nel settembre 2004 durante la raccolta di firme per proporre i  referendum sulla legge 40 in materia di procreazione medicalmente assistita, un  manifesto, contrario al referendum mostrava Hitler con le SS e la scritta: I nazisti avrebbero firmato.

E’ necessario ed urgente che gli storici con i loro strumenti indaghino i crimini nazisti perpetrati nei confronti di persone disabili, facendo un po’ di luce su questa pagina buia della storia, per un senso di giustizia ma anche per impedirne il pericoloso abuso pubblico.

 

Silvia Cutrera

 


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