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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
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Handicap grave: il progetto SAVI e l’affidamento intrafamiliare*

Elena Galetto

Responsabile Servizio sociale, CISAP, Collegno-Grugliasco (To)

Interpreto il tema dell’incontro odierno in chiave di riflessione a partire proprio dalla programmazione dei servizi che può e deve essere l’elemento di connessione tra i bisogni espressi dalle persone e le risposte che l’istituzione ma anche il territorio locale di riferimento devono fornire ai cittadini in difficoltà.

 

L’offerta di servizi nei comuni di Collegno e Grugliasco

 

Vi parlo qui di una realtà costituita da due comuni di medie dimensioni, Collegno e Grugliasco, nella prima cintura torinese, che insieme contano circa 87.000 abitanti. Sono comuni nei quali la presenza dell’ospedale psichiatrico ha condizionato la strutturazione dei servizi, con una attenzione all’importanza di attrezzare le città con servizi territoriali per tutti i cittadini, privilegiando le soluzioni che consentono alle persone la permanenza presso la propria abitazione o presso ambiti di tipo familiare, evitando il ricorso all’istituzionalizzazione, di cui il manicomio ricorda gli effetti traumatizzanti.

La polarizzazione di risorse ed idee rispetto alla territorializzazione dei servizi ed una popolazione non troppo elevata hanno consentito ai due comuni di porsi come un “territorio laboratorio” in cui poter attuare sperimentazioni nell’offerta e nella gestione dei servizi.

La scelta delle due amministrazioni è stata di gestire i servizi sociali ed inizialmente anche quelli sanitari, in modo associato dapprima attraverso l’USL e successivamente al D.lgvo 502, attraverso la costituzione di un consorzio, Il CISAP, consorzio intercomunale, che qui rappresento. La gestione associata è stata fondamentale per mettere in sinergia le risorse non solo finanziare ma anche progettuali.

La premessa è necessaria per contestualizzare l’esperienza fatta in questi anni in merito alla programmazione e gestione di servizi a favore delle persone disabili. La storia di questi servizi nasce circa 20 anni fa , all’inizio degli anni ‘80 con i primi interventi a favore dei disabili intellettivi e la predisposizione ed apertura dei primi centri diurni con valenza educativa.

Va sottolineato che è stata indispensabile la collaborazione con i servizi sanitari, inizialmente con protocolli d’intesa e successivamente con accordi di programma e convenzioni, al fine di gestire in modo integrato e partecipato i servizi e per avere una disponibilità di risorse finanziarie più elevate.

I servizi, nel corso di questi anni, sono stati progressivamente implementati da un lato per offrire risposte a nuovi e diversificati bisogni, dall’altra utilizzando le possibilità offerte dalla normativa via via entrata in vigore. E’ stato possibile utilizzare finanziamenti locali, regionali e si è anche aderito ad iniziative a livello europeo come la partecipazione al progetto Horizon finalizzato all’orientamento scolastico e all’inserimento lavorativo.

Il risultato è stata la creazione di risposte modulari graduate in base alla gravità dell’handicap e ai progetti educativo-riabilitativi individualizzati. Preciso che si tratta di servizi rivolti quasi esclusivamente a disabili intellettivi.

In particolare sono state molto diversificate le risposte rispetto alla residenzialità con l’apertura sul territorio di una convivenza guidata, di una microcomunità e di una comunità alloggio, che offrono crescenti livelli di tutela in base al grado di autonomia del disabile e al suo percorso di vita. Altro intervento importante riguarda l’ambito dell’inserimento lavorativo con un servizio, sempre gestito in collaborazione con la sanità, che fino all’approvazione della L. 68/1999 si è occupato di valutare le capacità lavorative dei disabili ed individuare ambiti di inserimento lavorativo o formativo idonei, seguendo tutte le fasi dell’inserimento del disabile.

Così come delineato dalla Legge 328/2000 all’art. 14 il complesso delle risorse è finalizzato alla costruzione di un percorso per la definizione di un progetto individualizzato di vita.

 

Si può osservare però che oggi è cambiato in modo sostanziale il quadro normativo di riferimento con una difficoltà sempre più accentuata a mantenere una gestione integrata tra ambito sociale e sanitario, in quanto si sono maggiormente “compartimentate” le competenze con l’esito di rendere più disagiati i percorsi per l’erogazione dei servizi e di moltiplicare gli ambiti di valutazione e di predisposizione dei servizi stessi(si pensi alle varie commissioni legali …).

In questo contesto il consorzio mantiene i servizi avviati grazie anche ad un consolidato rapporto di lavoro comune con i servizi sanitari e cerca ancora di sperimentare nuove iniziative al fine di colmare esigenze senza risposte o bisogni che si sono meglio specificati.

Vi è una maggiore attenzione verso la disabilità dei minori, la diffusione di una adeguata informazione (è stato avviato un servizio di informahandicap collegato in rete ad altri centri pilota), la disabilità fisica, verso risposte sempre più inserite in un continuum che consente ai disabili ed alle loro famiglie di avere un riferimento durante le varie fasi e criticità dei loro cicli vitali. Molto resta ancora da fare.

In questo ambito si situano le due esperienze che vi presento oggi. Sono due progetti avviati tra il 2000  e il 2001 e tuttora in corso di sperimentazione.

 

Il  Servizio di Aiuto alla Vita Indipendente (SAVI)

 

La prima riguarda la sperimentazione di un “Servizio di Aiuto alla Vita Indipendente - S.A.V.I” - rivolto a persone con disabilità permanente e grave limitazione dell’autonomia personale”.

Il riferimento è alla legge 162 approvata nel 1998 che modifica e aggiorna alcune parti della legge 104 [1] del 1992. A seguito delle integrazioni apportate all’articolo 39 [2] della legge quadro sull’handicap “Le regioni possono provvedere, sentite le rappresentanze degli enti locali e le principali organizzazioni del privato sociale presenti sul territorio, nei limiti delle proprie disponibilità di bilancio:

 

·         ……a programmare interventi di sostegno alla persona e familiare come prestazioni integrative degli interventi realizzati dagli enti locali a favore delle persone con handicap di particolare gravità, mediante forme di assistenza domiciliare e di aiuto personale, anche della durata di 24 ore, provvedendo alla realizzazione dei servizi di cui all’articolo 9, all’istituzione dei servizi di accoglienza per periodi brevi e di emergenza….e al rimborso parziale delle spese documentate di assistenza nell’ambito di progetti previamente concordati (l – bis);

 

·         ……a disciplinare, allo scopo di garantire il diritto ad una vita indipendente alle persone con disabilità permanente e grave limitazione dell’autonomia personale nello svolgimento di una o più funzioni essenziali della vita, non superabili mediante ausili tecnici, le modalità di realizzazione di programmi di aiuto alla persona, gestiti in forma indiretta, anche mediante piani personalizzati per i soggetti che ne facciano richiesta, con verifica delle prestazioni erogate e della loro efficacia (l – ter)”.

 

Le considerazioni che derivano dalla lettura del testo citato sono almeno tre:

·         forse per la prima volta si proclama, in una legge nazionale italiana, il “diritto alla vita indipendente” riconoscendo ai disabili con grave limitazione dell’autonomia piena capacità di autodeterminazione

·         si afferma inoltre un diritto di cittadinanza che, in quanto tale, risulta più ampio del diritto alla cura ed all’assistenza

·         purtroppo però il “diritto alla vita indipendente”  si concretizza, nei fatti, come inesigibile e condizionato dall’entità delle risorse che si rendono disponibili.

 

Il Consorzio, fin dalla sua costituzione, ha l’obiettivo di perseguire la tutela del diritto all’assistenza anche attraverso la promozione dei diritti di cittadinanza e opera per far sì che nel formulare le politiche sociali rivolte alla generalità dei cittadini residenti, vengano effettivamente considerate le esigenze dei più deboli.

La decisione - presa dal consorzio nel corso del 1999 - di cimentarsi con la tematica del “diritto alla vita indipendente” si situa coerentemente in questo disegno. Approfittando dell’opportunità offerta dalla delibera della regione Piemonte  D.G.R 31 maggio 1999, n.28/2748 - che prevedeva il finanziamento, in quota parte, di progetti genericamente finalizzati a “Interventi destinati a soggetti con handicap di particolare gravità di cui all’art.3, comma 3, della L.104/92” - si è progettato l’avvio sperimentale di un “Servizio di Aiuto alla Vita Indipendente - S.A.V.I”.

 

Con il nuovo servizio - organicamente inserito nel complesso dei servizi consortili di assistenza domiciliare - si intende consentire, alla persona disabile, di “reclutare” dal mercato locale le figure professionali e le prestazioni necessarie - autogestendosi l’assistenza personale - o di usufruire, in alternativa, del supporto dei servizi di assistenza domiciliare offerti dalle cooperative accreditate. Si fa presente che il finanziamento regionale complessivo relativo all’anno 1999,è stato di L. 2.238.000.000 (corrispondente a L. 34.500.000 medie per ogni Ente gestore operante nella Regione Piemonte) e pertanto l’avvio della sperimentazione ha  rappresentato, per il consorzio, l’accettazione di una difficile sfida.

La deliberazione regionale non prefissava, per l’anno 1999, alcun budget di area territoriale. Ogni Ente gestore era quindi libero di concorrere al finanziamento presentando un progetto corredato dall’impegno a partecipare, con propri fondi, alle spese di realizzazione. L’Assessorato regionale avrebbe poi provveduto a selezionare i progetti ed a definire l’entità del finanziamento da accordare.

Si è così deciso di avviare la fase di definizione partecipata delle linee del progetto ed in particolare si è formalizzata la partnership con ENIL Italia [3] . Il progetto riprende infatti alcuni concetti ed idee innovative proposte da questa associazione ed è finalizzato a dare ad esse attuazione.

La fase di predisposizione si è conclusa con la presentazione, alla Regione Piemonte, della richiesta del finanziamento per la realizzazione del progetto del quale si è dichiarata l’immediata “cantierabilità”. La Regione Piemonte, a fronte di una spesa prevista in L. 253.600.000 (di cui 76.080.000 a carico del Consorzio e L.177.520.000 richieste a titolo di contributo), ha accordato, nel gennaio 2000, un finanziamento di L. 80.000.000 (su fondi anno 1999). Nei due anni successivi il finanziamento è stato, in sostanza, confermato: L. 90.000.000 sui fondi anno 2000 e L. 90.000.000 sui fondi 2001.

L’esiguità delle risorse disponibili evidenzia chiaramente la responsabilità che il consorzio si è assunta nei confronti dei propri cittadini disabili attivando - pur in via sperimentale - un servizio che richiederà, per funzionare a regime, cospicui investimenti da parte dei Comuni associati.

Dal punto di vista dell’innovazione crediamo inoltre che il progetto sia in linea con la tendenza in atto a promuovere servizi alla persona orientati al cliente. Nel caso specifico viene inoltre offerta - alla persona disabile che è in grado e se la sente - la possibilità di aggiungere al ruolo di consumatore di un servizio, quello di datore di lavoro con tutti i diritti ed i doveri che dall’assunzione di questa incombenza derivano.

 

I beneficiari

Il progetto, assumendo quale obiettivo strategico la tutela del diritto alla vita indipendente individua, quali potenziali beneficiari a norma dell’art. 9 L.  104/92, i “cittadini” – residenti nel territorio consortile – “in temporanea o permanente grave limitazione dell’autonomia personale non superabile attraverso la fornitura di sussidi tecnici, informatici, protesi o altre forme di sostegno rivolte a facilitare l’autosufficienza e le possibilità di integrazione dei cittadini stessi” [4] . Il servizio consente di realizzare programmi di sviluppo delle residue potenzialità comunicative e sociali e di aiuto, anche della durata di 24 ore

 

Le “idee forza” alle quali il progetto si ispira possono essere così sintetizzate:

·         la Vita Indipendente si concretizza nei servizi di aiuto alla persona gestiti in forma indiretta, ovvero con l’autogestione dei fondi finalizzati al pagamento di assistenti personali scelti dalla persona disabile o dai soggetti preposti alla tutela delle persone non in grado di scegliere direttamente;

·         i servizi di assistenza personale sono destinati a “persone con disabilità permanente e grave limitazione dell’autonomia personale”. Si ritiene importante precisare che la parola “permanente” non deve essere considerata sinonimo di “stabilizzata” e quindi debba ricomprendere anche le disabilità evolutive, causate da malattie progressive come la sclerosi multipla o la distrofia muscolare. Si ritiene altresì che con il termine “autonomia non debba intendersi semplicemente il “fare le cose da sé” ma il poter vivere la propria esistenza in modo autodeterminato;

·         le modalità di attuazione dei programmi di aiuto alla persona devono porre al centro le esigenze delle persone con disabilità e nella definizione dei piani personalizzati di assistenza (per i soggetti che ne facciano richiesta) diviene dunque centrale il rispetto del concetto di autodeterminazione che trova il solo limite, oggettivo”, rappresentato dalle risorse disponibili;

·         i servizi di aiuto alla persona, finanziati nell’ambito del progetto, devono essere verificati sia per quanto riguarda l’effettiva erogazione delle prestazioni, sia per quanto riguarda la loro efficacia. La verifica sull’utilizzo del denaro impiegato per il pagamento degli assistenti personali può avvenire mediante autocertificazione come atto principale di rendicontazione ordinaria e, successivamente, attraverso controlli sulla documentazione depositata e conservata presso l’abitazione della persona con disabilità, o presso uno studio professionale o un’agenzia di servizi. Per quanto riguarda invece l’efficacia si ritiene che uno strumento appropriato, in quanto rispettoso della privacy, sia una dichiarazione di gradimento rilasciata dalla stessa persona con disabilità che utilizza gli assistenti personali.

·         gli assistenti personali vengono individuati direttamente dalla persona disabile. Il consorzio fornisce, ai soggetti che ne facciano richiesta, il supporto necessario all’individuazione di personale idoneo (singolo operatore o agenzia di servizi accreditata) assicurando inoltre gli interventi formativi eventualmente necessari.

 

La finalità generale del progetto è di operare, in modo sistematico e permanente, per migliorare la qualità della vita dei cittadini con gravi disabilità e dei loro familiari sostenendo - con interventi mirati -  la realizzazione del progetto di Vita Indipendente così come definito dalle persone stesse.

Nella situazione contingente - caratterizzata dalla insufficiente disponibilità di risorse finanziarie - si sono assicurati i necessari interventi - integrativi di quelli già forniti dai servizi sociali e sanitari - ad un numero limitato, di persone con disabilità fisiche molto gravi attraverso la definizione di un budget finanziario personalizzato finalizzato all’acquisto diretto del servizio da parte dell’interessato.

 

Nel 2000, primo anno di sperimentazione, sono state assistite tre persone con una spesa di L.137.025.600. La spesa prevista per l’anno in corso viene quantificata in L. 283.000.000 (di cui L. 99.200.000 spese a tutto agosto) e gli assistiti sono quattro.

Come si può ben capire, la quantità delle persone che possono venire realmente coinvolte - così come la quantità di assistenza fornita ad ogni singolo (proporzionale al budget personale) - non può che derivare dal rapporto tra le esigenze effettivamente espresse dalle persone da assistere e le risorse disponibili.

Per questo motivo nel progetto si esplicita chiaramente che per definire il quantum del budget finanziario da destinare all’assistenza personale è necessario prevedere la negoziazione con la persona disabile. La sperimentazione dovrebbe consentire di verificare la validità di tale pratica che richiede, alla persona disabile, di “farsi carico” dell’insieme del servizio e non solamente delle proprie dirette esigenze (cosa non facile quando si rivendica un diritto soggettivo).

 

E’ inoltre necessario verificare, attraverso la sperimentazione, la reale entità del bisogno potenziale espresso dall’area consortile e, di conseguenza, quantificare le risorse necessarie per operare a regime. Da questo punto di vista è necessario monitorare puntualmente gli effetti (potenzialmente sinergici) derivanti dall’utilizzo dello strumento dell’aiuto alla Vita Indipendente in connessione con quelli rappresentati da servizi quali l’assistenza domiciliare, l’ADI, il supporto del volontariato e delle associazioni ecc.

In ogni caso la verifica del servizio e la valutazione dei risultati conseguiti dal punto di vista qualitativo, non può che essere (anch’essa) partecipata. La metodologia, gli indicatori di misurazione e quant’altro vengono definiti (nelle varie fasi di attuazione) con le persone disabili coinvolte nel progetto. Il progetto è infatti centrato sul tema della loro Vita Indipendente.

 

Avvio del servizio e criteri di erogazione

In sede di attuazione si è provveduto, in primo luogo, alla formale individuazione del

Responsabile [5] del progetto ed alla costituzione di un apposito gruppo di lavoro interdisciplinare in collaborazione con l’A.S.L 5, competente per territorio.

 

Si è poi operato per il coinvolgimento delle associazioni d’utenza che sono state sensibilizzate attraverso numerosi di incontri finalizzati ad illustrare le finalità del progetto S.A.V.I. e a raccogliere osservazioni, suggerimenti, individuando i rappresentanti da inserire nel gruppo di lavoro.

Il gruppo di lavoro si avvale infatti della collaborazione di una o più persone indicate dalle associazioni d’utenza [6] , operanti nell’ambito territoriale consortile, che esprimono pareri consultivi in ordine alle varie fasi di attuazione del progetto.

Al gruppo interdisciplinare è stato affidato il compito di definire:

 

·         i criteri di selezione delle situazioni di persone adulte con disabilità grave – già in carico ai servizi socio sanitari territoriali- da inserire nella sperimentazione;

 

·         i protocolli operativi contenenti gli adempimenti posti a carico del consorzio (quantificazione e regolare erogazione, per il periodo di tempo definito, del budget finanziario concordato; verifica sul corretto utilizzo delle risorse attribuite) e quelli a carico della persona disabile inserita nella sperimentazione (scelta del/degli assistenti; stipula di regolare contratto di lavoro nel rispetto della normativa vigente; garanzia di copertura assicurativa e previdenziale del personale addetto);

 

·         la metodologia di verifica, di processo e di risultato, dei piani d’intervento e di valutazione finale complessiva della sperimentazione finalizzati alla futura stabilizzazione ed estensione del S.A.V.I.

 

Al gruppo - costituito in commissione senza i rappresentanti delle associazioni - compete infine la selezione delle richieste per la definizione, previa negoziazione con ogni singola persona disabile, dei piani d’intervento personalizzati autonomamente elaborati . I lavori della commissione sono regolati dalla deliberazione con la quale il Consiglio di Amministrazione ha approvato i “Criteri di attuazione del progetto SAVI” nella fase di sperimentazione.

Al servizio possono accedere le persone con gravi disabilità [7] - già in carico ai servizi socio sanitari locali - che, opportunamente informate, possono presentare domanda al consorzio. A corredo della richiesta di usufruire del servizio deve esser fornita:

 

·         certificazione rilasciata dal medico curante attestante che la totale non autosufficienza nello svolgimento di una o più funzioni essenziali della vita non è superabile solo attraverso la fornitura di sussidi tecnici, informatici, protesi o altre forme di sostegno. Qualora il medico curante non rilasci il certificato richiesto o questo non sia ritenuto esaustivo dalla persona interessata, questa può richiedere alla Commissione di rivolgersi ad altri servizi dell’ASL 5 (Fisiatria o Medicina Legale);

 

·         piano personalizzato con precisazione delle richieste, tempistica e descrizione/quantificazione delle necessità di aiuto alla persona e relativi costi;

 

·         indicazione dei servizi consortili già utilizzati e che concorrono al progetto personale di Vita Indipendente.

 

Alla persona disabile inserita nel SAVI viene corrisposto un contributo anticipato mensile pari a 1/12° del budget complessivo accordato.

L’ammontare complessivo della somma stanziata per ogni singolo progetto prevede i costi effettivi che devono esser sostenuti dalla persona disabile: salario, oneri riflessi, spese assicurative per gli assistenti. L’importo viene aumentato del 10% per le spese generali di gestione, per gli imprevisti e per le emergenze assistenziali non documentabili (es. sostituzione tempestiva dell’assistente personale). Tale aumento percentuale non viene riconosciuto se l’assistito si avvale delle agenzie di servizi accreditate dal consorzio.

La persona disabile è tenuta a presentare una rendicontazione semestrale delle spese sostenute. La rendicontazione può essere autocertificata e, in questo caso, deve essere dichiarata la sede ove sono depositati i documenti originali sui quali il consorzio esercita il controllo.

Ogni sei mesi (o al termine del progetto) il consorzio richiede al beneficiario del servizio una relazione scritta, onde poter verificare l’efficacia dell’intervento così come previsto dall’art. 39, comma 2, punto l – ter della L.104/92 e s.m.i.

 

Esperienze di Vita Indipendente

“Il diritto inalienabile all’autodeterminazione ed al controllo in prima persona del proprio quotidiano e del proprio futuro”. E’ questa l’istanza che ricorre con forza nelle domande pervenute al consorzio da parte dei disabili gravi che hanno richiesto di usufruire del S.A.V.I.

Autodeterminazione e futuro: due termini che sono la chiave dei progetti personalizzati attualmente in corso e sui quali è opportuna una riflessione approfondita.

 

Autodeterminazione. I progetti attuati con il servizio S.A.V.I riguardano persone affette da disabilità fisica grave alle quali viene offerta (quando va bene) la tradizionale assistenza domiciliare – spesso erogata per poche ore al giorno – e la possibilità di accedere a servizi sanitari finalizzati alla riabilitazione o, più spesso, alla conservazione delle funzioni vitali compromesse. Sono ben più diffusi i servizi per i disabili intellettivi, i quali possono fruire di servizi domiciliari, di interventi a carattere semiresidenziale (centri diurni) e residenziale (comunità alloggio, convivenze guidate, fino ad arrivare ai tradizionali istituti). I servizi seguono, in questi casi, una prassi di lavoro basata sulla sostituzione e sull’assunzione di delega da parte delle famiglie, in nome di un tecnicismo che spesso non riconosce capacità e competenza alle famiglie stesse nei compiti di cura.

Agire in una chiave di servizio di aiuto alla vita indipendente richiede di spostare l’ottica in una dimensione non solo di servizi domiciliari, ma di “domiciliarità” [8] intesa certamente come la permanenza nella casa in cui si dimora, ma anche come lo spazio relazionale, l’esterno, il territorio in cui si vive e si lavora.

Le persone disabili che hanno richiesto il S.A.V.I. rivendicano la possibilità di avere non solo interventi assistenziali ma di poter continuare a ricoprire ruoli e funzioni sociali, di marito/moglie, di genitore, di lavoratore ma, soprattutto, di cittadino con diritti e doveri.

 

Fare domiciliarità significa dare la possibilità alle persone di essere collocate in una rete sociale, di non scomparire nel chiuso delle proprie abitazioni, di continuare a fare una vita sociale che è anche andare normalmente a teatro, al cinema, a trovare gli amici alla sera, al bar, dal parrucchiere e dall’estetista, negli uffici per seguire pratiche burocratiche. Occorre rompere gli schemi di servizio e di aiuto che fanno del disabile fisico grave un “disabile sociale”, rassegnato alla compromissione dei propri spazi sociali e al quale prestare cure assistenziali e sanitarie, trascurando gli interventi finalizzati a garantire gli essenziali diritti di cittadinanza.

Scrive, a tale proposito, un disabile nel proprio progetto: “ho la necessità di ritrovare una possibilità decisionale per poter effettuare quelle azioni quotidiane e prendere quelle decisioni ed iniziative che sono comuni a tutte le persone senza disabilità”.

Emerge dunque con forza un’esigenza di autodeterminazione intesa come la possibilità di tornare a compiere i gesti della quotidianità, magari in modo indiretto, ma soprattutto di poter esprimere la propria progettualità, senza essere identificati unicamente con la propria patologia, nel riconoscimento che la sofferenza e le limitazioni di autonomia funzionale non determinano necessariamente incapacità a decidere sulla e della propria vita.

 

Futuro. Come afferma Ines – moglie e mamma disabile seguita dal S.A.V.I sino alla morte, avvenuta da poche settimane – “riconoscendo le nostre fragilità e le nostre limitatezze si dovranno colmare le nostre stive di coraggio, per riuscire a vivere e a ricreare la propria identità perduta”. E’ ancora la dimensione del progetto che emerge, nell’immagine di un futuro cadenzato non solo dal bisogno di cure assistenziali spesso prestate dai familiari. Viene riconosciuta alla persona la possibilità di desiderare altro, di non dover dipendere in modo pressante – almeno per alcuni atti della vita quotidiana – dalle cure dei familiari rispetto ai quali si può riassumere un protagonismo attivo che può servire a "vivere in famiglia con maggior armonia sopportando più facilmente il mio problema". Il futuro, allora, non è solo la possibile evoluzione della patologia, ma è la possibilità di avere un progetto e di poterlo attuare.

 

Come si è detto sono in tutto quattro le persone che hanno usufruito del S.A.V.I nei quasi due anni di sperimentazione: si tratta di persone affette da patologie degenerative gravemente invalidanti, di età compresa tra i 27 ed i 55 anni. Tre di queste persone sono costrette all’utilizzo di sedia a rotelle. Due persone svolgono una regolare attività lavorativa in qualità di dipendenti di aziende ed entrambe vivono sole, con il supporto degli assistenti personali retribuiti in parte con i fondi del progetto ed in parte con risorse personali. Le altre due persone vivono (o hanno vissuto) in famiglia con il coniuge e/o con i figli, supportati anche dalla presenza dei genitori.

Hanno proposto al consorzio progetti individuali che vanno da un minimo di 5 ore al giorno di assistenza ad un massimo di 11, con totali annui complessivi finanziati tra le 1.200 ore e le 4.000 ore. Il costo orario di riferimento riconosciuto è di 16.000 lire l’ora anche se i costi reali si aggirano ormai intorno alle 18.000 lire orarie.

La negoziazione con la persona interessata ed i suoi familiari ha portato il consorzio a ridimensionare alcune delle richieste presentate e a contenere i finanziamenti dei progetti tra i 20 ed i 64 milioni annui graduati anche in base alla gravità della disabilità e delle situazione familiare. Non sono stati formalmente applicati parametri di reddito personale, ma si è comunque valutato il complesso delle risorse - anche economiche - a disposizione della persona disabile.

Le necessità coperte dai progetti riguardano bisogni di assistenza personale ed esigenze domestiche ed extra domestiche. Le più ricorrenti sono legate ai bisogni primari di alzarsi, coricarsi, lavarsi, vestirsi, alimentarsi ma anche gli accompagnamenti al lavoro o per svolgere attività fuori casa, come ad esempio portare i figli a scuola.

Le quattro persone hanno regolarmente assunto assistenti personali reperiti autonomamente così come autonomamente gestiscono il rapporto di lavoro. Due di loro si sono anche rivolte alle cooperative accreditate sul territorio per interventi integrativi. Nessuna delle persone seguite è in carico ad altri servizi socio – sanitari se non per cicli riabilitativi.

 

Considerazioni conclusive

Il progetto S.A.V.I impone un ripensamento dell’agire professionale del servizio sociale, a partire dalla considerazione che si è equi soltanto se si riconoscono le differenze e a partire da queste si orientano gli interventi.

Il S.A.V.I mette in luce che l’offerta di opportunità di aiuto è cosa diversa dal sostituirsi integralmente alle persone e alle loro famiglie, considerandole incapaci di una organizzazione autonoma solamente perché presentano un problema.

 

Il servizio sociale deve esser capace di un aiuto rispettoso e non intrusivo e per questo è necessaria una funzione di accompagnamento ed orientamento, unita alla capacità di fornire informazioni adeguate sul funzionamento dei servizi e sulle diverse opportunità offerte dal territorio, al fine di favorire una scelta mirata e competente da parte delle persone.

Accompagnare nella conoscenza e nell’utilizzo dei servizi non vuol dire procedere necessariamente alla tradizionale “presa in carico globale” della situazione da parte del servizio sociale professionale. Significa invece rinunciare ad una parte del potere professionale riconoscendo, alle persone, la capacità di effettuare le scelte che riguardano la propria vita, “componendo” il servizio nel modo che ritengono più confacente ai loro bisogni.

La negoziazione dei progetti con le persone interessate rappresenta al meglio questo processo e riconosce un ruolo di primo piano alla persona, restituendole dignità.

 

La possibilità di scegliere personalmente un assistente e di “formarlo” rispetto ai compiti di cura necessari rappresenta un elemento di forte decisionalità e garantisce alle persone disabili continuità e possibilità di intrattenere un rapporto fiduciario, spesso difficilmente realizzabile nei servizi istituzionali a seguito del turn – over di operatori.

Il S.A.V.I. consente inoltre - con la snellezza delle procedure e con l’autogestione degli interventi da parte degli assistiti – di superare i limiti dei tempi istituzionali, troppo spesso tarati su esigenze burocratiche rispetto alla necessità di attivare tempestivamente gli interventi da parte di chi si trova in una situazione di bisogno.

E’ evidente che si tratta di un servizio che richiede adeguate capacità sociali da parte di chi ne usufruisce, unitamente alla conservazione di possibilità reali di autodeterminazione. Sono inoltre necessari adeguati supporti tecnici per reperire assistenti personali e per gestire il rapporto di lavoro che deve instaurarsi con loro.

Rispetto ai costi sostenuti per l’erogazione del servizio è chiaro come si tratti di un servizio che, a regime, richiede fonti di finanziamento certe e continuative. Se le somme erogate appaiono, in senso assoluto, elevate (in particolare se rapportate alla singola persona) occorre ricordare che l’attivazione del tradizionale servizio di assistenza domiciliare quotidiano, per due ore al giorno su cinque giorni alla settimana, può costare sino a 10 milioni l’anno. Se si considerano poi i costi delle strutture di ricovero a lungo degenza - peraltro difficilmente reperibili per situazioni di disabilità fisica - si raggiungono costi (ancora più importanti) tra i 3 ed i 5 milioni mensili.

A questo proposito giova ricordare che due delle persone interessate al progetto lavorano e ricoprono una regolare posizione contributiva che verrebbe meno nel caso non venissero più messe in condizione continuare ad essere produttive.

Infine il tema dell’efficacia dell’intervento che, come si è detto, è basata sull’auto valutazione delle persone: tutte hanno riferito e scritto che la loro qualità di vita ne ha beneficiato e - seppure nei limiti costituiti dalla disabilità - ha consentito loro una vita sociale e familiare decorosa e soddisfacente.

Per dirla con le parole di una delle persone assistite “ora riesco a scorgere la possibilità di potermi riappropriare di gesti ed azioni che mi sono stati negati”.

 

L’affidamento intrafamiliare di disabili intellettivi adulti

 

Il progetto, anche alla luce di quando previsto dalla normativa vigente, nasce dalla considerazione che occorra garantire al disabile intellettivo grave la permanenza presso la propria famiglia, anche dopo il raggiungimento della maggiore età, da un lato per consentire al disabile di mantenere le proprie relazioni significative dall’altro, per consentire al servizio pubblico, sociale e sanitario, il contenimento della spesa per inserimenti in strutture residenziali, investendo risorse in servizi territoriali.

 

Nell’attività di servizio si è constatato come la maggior parte dei disabili intellettivi (su 57 ben 47) inseriti nei centri diurni viva con la propri genitori o con altri parenti (fratelli e sorelle) che sono gravati dal carico assistenziale con una attività quotidiana più o meno onerosa. Si è pensato di riconoscere l’apporto prezioso di questo “lavoro di cura” sperimentando un contributo economico di affidamento intrafamiliare. In passato si è cercato di avviare anche progetti di affidamento eterofamiliare che non hanno però avuto successo tranne in un singolo caso.

A causa della disponibilità limitata di risorse da parte del Consorzio, sono stati individuati criteri selettivi, tra tutte le situazioni dei disabili frequentanti i centri diurni, dando priorità a situazioni sociali gravi che necessitano di urgenti interventi di ulteriore supporto rispetto agli aiuti già avviati.

Il disabile oltre alla frequenza al centro diurno deve presentare una invalidità totale con diritto all’I.A. e , a  seguito della propria condizione di non autosufficienza, non essere in grado di svolgere alcuna attività lavorativa.

 

Il contributo viene riconosciuto prioritariamente in situazioni in cui è presente un solo genitore o in cui almeno uno dei genitori sia ultra65enne oppure in assenza di genitori qualora il disabile venga ospitato da altri parenti. Le quote riconosciute variano, a seconda della gravità della situazione da un importo corrispondente ai 2/3 di una mensilità di IA alla quota corrispondente ad una mensilità di IA. E’ indipendente dalle condizioni economiche dei familiari affidatari ed è alternativo all’inserimento in struttura e all’erogazione di ulteriori interventi (?). Il budget per l’anno 2001 è di 90 milioni . Attualmente sono  erogati 5 contributi:

-          in tre situazioni il disabile (con età dai 24 ai 39 anni) vive con un solo genitore per vedovanza , separazione o per ricovero in RSA dell’altro genitore – si tratta di 2 padri ed una madre

-          in due situazioni i disabili vivono con genitori ultra 70enni uno e ultra 75 l’altro (hanno rispettivamente 30 e 45 anni)

Con i fondi dell’affido i genitori coprono le spese per interventi di supporto al mattino per la preparazione al centro diurno e soprattutto per i giorni festivi in cui non vi è l’attività del centro diurno. Al pari dell’affidamento minori il contributo si configura come un “rimborso spese” e pertanto non viene chiesta rendicontazione alle famiglie se non ne termini dei progetti di supporto predisposti per i disabili interessati

 

L’affido intrafamiliare si pone in un’ottica di “compensazione sociale” considerando i maggiori costi sostenuti dalle famiglie gravate dall’assistenza alla persona disabile. È un intervento integrativo e non sostitutivo di altri interventi a carattere educativo/riabilitativo. Per questa ragione è legato alla frequenza al centro diurno (rispetto al quale in questo momento al Consorzio non si registra una lista di attesa).

E’ una risposta di tipo economico che riconosce la fatica e lo stress derivanti dai compiti di cura ma può anche in parte rispondere a domande inespresse. La vecchiaia del genitore con un figlio disabile è gravosa perché pone in primo piano la domanda del “cosa accadrà dopo di noi”. Alla propria vecchiaia non corrisponde la vita autonoma del figlio in età adulta,  che può diventare un riferimento per le difficoltà del genitore stesso. Il disabile intellettivo continua a restare dipendente, ed il futuro per il genitore anziano è pieno di incognite.

I servizi forniscono su un piano di realtà interventi che aiutano il genitore nella gestione della situazione ma spesso non gli riconoscono la fatica e le capacità che ha dovuto e deve mettere in campo per gestire la situazione. Non sono infrequenti, nella nostra esperienza, situazioni di elevata tensione tra operatori e genitori spesso basate su pretestuosi mal funzionamenti dei servizi che nascondono problemi di altro livello.

Aiutare i genitori che diventano anziani, con interventi che gradualmente diventano sempre più intensi può contribuire a rassicurarli rispetto al fatto che i loro figli saranno seguiti ed aiutati anche senza e dopo di loro con la stessa attenzione e le stesse cure. Significa non aspettare che le situazioni diventino esplosive ma ricorrere ad aiuti preventivi e tempestivi. In quest’ottica l’affidamento intrafamiliare assume una duplice valenza  simbolica e materiale. E’ un gradino in più nel consentire alle famiglie di costruire con il servizio un vero rapporto fiduciario basato sull’empatia e non sulla contrapposizione . Non è solo un servizio da cui pretendere ma è un servizio con cui condividere una fatica ed un pezzo della propria strada.

 

* AA.VV., Handicap grave, autonomia e vita indipendente, Gruppo Solidarietà, Castelplanio 2002, p. 96, € 7.00. Per ricevere il volume: Gruppo Solidarietà, Via S. D’acquisto 7, 60030 Moie di Maiolati (AN). Tel. e fax 0731.703327, e-mail: grusol@tin.it. Per ordinare direttamente il volume versamento su ccp n. 10878601 intestato a: Gruppo Solidarietà, Via Calcinaro 12, 60031 Castelpanio (AN).



[1] Legge 5 febbraio 1992, n.104 “Legge quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate”.
[2] All’articolo 39, comma 2, della legge 104/92 dopo la lettera l sono aggiunte le lettere l - bis e l – ter.
[3] ENIL Italia - referente italiano di ENIL (European NetworK Independent Living), movimento di liberazione delle persone con disabilità.
[4] Articolo.9, comma 1, della L.104/92 e s.m.i.
[5] La fase di elaborazione e di prima attuazione è stata seguita dal Dott. Luciano Rosso, vice direttore del CISAP.
[6] Sono coinvolte nel progetto le associazioni che operano nell’area della disabilità intellettiva - “La Scintilla” e “l’isola che non c’è” – e quelle che rappresentano, a livello locale, disabili fisici: “Associazione Italiana Sclerosi Multipla” e la già citata ENIL Italia. I rappresentanti di queste ultime fanno parte stabilmente del gruppo di interdisciplinare unitamente al responsabile SAVI, al responsabile progetto disabili (entrambi del CISAP) ed al Direttore del Distretto 1 dell’ASL 5.
[7] Di cui all’art.9, comma 1, della L.104/92 e s.m.i
[8] Concetto elaborato dalla “Bottega del possibile” associazione per la promozione della domiciliarità di Torre Pellice (To).

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