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Si senta finalmente la nostra voce, forte e chiara!

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(di Giampiero Griffo*)

«Uccidiamo i neonati disabili»: questa l'incredibile proposta-choc che arriva da Londra, dai ginecologi del Royal College of Obstreticians and Gynaecologists (RCOG) e che abbiamo letto sul quotidiano cattolico «Avvenire», ripresa dalla testata inglese «Sunday Times». Quanto meno doverosa appare a questo punto l'approfondita riflessione di Giampiero Griffo, membro del Consiglio Mondiale di DPI (Disabled Peoples' International)

La notizia che viene da Londra sembra incredibile: «Dateci la possibilità di uccidere i neonati con disabilità gravi». È questa l'agghiacciante richiesta del Royal College of Obstetricians and Gynaecologists (RCOG) di Londra in un documento indirizzato al Nuffield Council on Bioethics, influente commissione privata di bioetica che la prossima settimana licenzierà un rapporto sulle decisioni critiche in medicina fetale e neonatale.

La notizia, pubblicata dal giornale inglese «Sunday Times», riporta anche le motivazioni che stanno alla base della richiesta. Secondo il Royal College of Obstetricians and Gynaecologists, sarebbe in questo modo tutelato il bene superiore delle famiglie, per risparmiare ai genitori il fardello emotivo e il peso economico della cura per un bambino gravemente disabile. Potrebbe inoltre, si dice testualmente, «prevenire alcuni aborti tardivi in quanto i genitori sarebbero rassicurati sulla continuazione della gravidanza, prendendosi un rischio sull'esito» della stessa.
Il professore di bioetica John Harris, influente membro della Commissione governativa di Genetica Umana, ha commentato la notizia in maniera favorevole, dichiarando: «Attualmente si può abortire fino agli ultimi giorni di gravidanza se ci sono grossi handicap del feto, ma non possiamo uccidere i neonati. Cosa pensate che accada nel passaggio attraverso il "canale della nascita" per giustificare l'uccisione del bambino da un lato del canale e non dall'altro?»...

Già in passato, attraverso un documento pubblicato da un'importante rivista scientifica, alcuni medici olandesi (dove è ammessa per legge l’eutanasia) avevano sostenuto la soppressione di bambini nati con la spina bifida (Protocollo di Groningen), dietro motivazioni analoghe a quelle sollevate oggi in Gran Bretagna: alleviare le sofferenze dei genitori e prevenire costi di assistenza elevati. E questa posizione favorevole all’infanticidio di neonati con disabilità aveva avuto autorevoli supporti culturali da vari esperti e luminari di bioetica e di medicina. Citiamo solo alcuni esempi di queste incredibili prese di posizione.

Wim Rietdijk, medico e filosofo olandese: «Si dovrebbe uccidere quel bambino che si scopra avere difetti fisici o mentali prima o dopo la nascita».

Bob Edwards, inglese, embriologo di fama mondiale: «Sarà presto una colpa per i genitori avere un bambino che rechi il pesante fardello di una malattia genetica».

Peter Singer, filosofo, professore di bioetica: «Non sembra del tutto saggio aumentare ulteriormente il drenaggio di già limitate risorse, incrementando il numero dei bambini con disabilità». Proprio Singer ha teorizzato che in un mondo dove le risorse sono sempre più scarse, esse vanno investite per i sani e non per i "malati". Si tratterebbe infatti di una trasformazione profonda dei valori su cui si è costruito il mondo fino ad ieri, per definire chi meriti di essere tenuto in vita. Se è il mercato che determina i valori del mondo perché stupirsi che la vita delle persone con disabilità venga valutata antieconomica e quindi soppressa? 

Non è un caso che da qualche anno alcune associazioni di persone con disabilità e i loro familiari lancino segnali di forte preoccupazione sui rischi di ulteriori discriminazioni e violazioni di diritti umani che le pratiche di biomedicina stanno sviluppando.

Gli screening prenatali orientati all’interruzione selettiva delle gravidanze “socialmente indesiderabili”, le promesse di terapie geniche che eliminino le malattie, senza conoscere le implicazioni di una modificazione del DNA, fino all’eutanasia delle persone con disabilità adulte, rappresentano nel campo della bioetica una delle più grandi minacce per i diritti umani delle persone con disabilità in questo millennio.

Ha cominciato nel 1995 Inclusion International, la Federazione mondiale delle famiglie di persone con ritardo mentale e difficoltà di apprendimento, occupandosi della Convenzione sul Genoma Umano del Comitato Internazionale sulla Bioetica dell’Unesco. Ha continuato nel 2000 DPI (Disabled Peoples’ International - Regione Europea), con l’organizzazione di un seminario mondiale nel Regno Unito, sul tema Bioetica e disabilità. Una questione di diritti umani e con la definizione di una Dichiarazione Europea su Genetica e Disabilità, elaborata direttamente dalle persone disabili di cinque Paesi continentali, attraverso un progetto finanziato dalla Commissione Europea (per tutto ciò si veda al sito www.dpitalia.org).

A queste associazioni hanno fatto seguito posizioni preoccupate dell’IFHSB (la Federazione europea delle associazioni di spina bifida e idrocefalo) e l’EDF (European Disability Forum), con due Risoluzioni sugli screening prenatali e sul diritto alla vita, quest'ultima in corso di approvazione.

Il dibattito verte su una semplice domanda: chi decide per il diritto alla vita delle persone con disabilità? I medici si arrogano la competenza di valutare la bassa qualità della vita delle persone con disabilità, partendo solo da considerazioni mediche, spesso distorte.

In realtà la qualità della vita delle persone con disabilità - come quella di qualsiasi persona - non dipende dalla sua condizione soggettiva, bensì dal livello di inclusione della società che le accoglie e dalle risorse che mette a loro disposizione (istruzione, ausili, servizi e così via).
Nella maggioranza dei casi la persona con disabilità riceve vari svantaggi, dalla società che non pensa che ci siano viaggiatori in sedia a rotelle, impiegati non vedenti, studenti sordi ecc.
In più, la qualità della vita di una persona con disabilità dipende dai comportamenti, dai sostegni e dalle risorse della famiglia, dall’ambiente di vita, dalle differenti istituzioni responsabili ad intervenire e, quando adulto, dalla stessa persona con disabilità. Le medesime ragioni, dunque, da cui dipende la qualità della vita di ogni persona.

E quindi è solo un pregiudizio attribuire una modesta qualità della vita alle persone con disabilità. Partendo però da questo pregiudizio, alcuni medici stanno veicolando l’idea che si possa decide sull’eutanasia di queste persone.

La persona con disabilità potrà vivere pesanti o lievi limitazioni alla liberta di muoversi, pesanti o lievi discriminazioni nelle regole sociali e/o istituzionali che lo includono o lo escludono, ma la qualità della sua vita non sarà automaticamente inferiore alla qualità della vita di altre persone.

La disabilità, secondo l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), è data dall’interazione tra le persone con disabilità e le barriere ambientali, inclusi gli atteggiamenti e le immagini discriminatorie che la società produce.

La nuova genetica umana, e le ideologie culturali e politiche che la sostengono, lavora direttamente contro questa definizione e promuove il concetto che la persona con disabilità sia, né più né meno, la sua stessa disabilità. Una medicalizzazione della disabilità, questa, che incrementa la discriminazione e conferisce sostegno al massiccio impegno finanziario solo per la ricerca sulla genetica umana, a scapito delle azioni contro gli ambienti fisici e sociali disabilitanti.
Sono gli effetti negativi dell’interazione con questo ambiente a produrre disabilità, non le nostre disabilità, siano esse di origine genetica o, come nella gran maggioranza dei casi, causate da malattia, incidente o conflitto armato.

Le persone con disabilità non si oppongono certo alla ricerca medica quando lo scopo è una cura o il lenimento del dolore. Molte persone con disabilità oggi sono vive solo grazie al progresso scientifico in generale e alle scoperte mediche in particolare, ragion per cui è importante promuoverne e sostenerne il progresso, laddove esso apporti benefici per tutti.
E tuttavia vorremmo vedere la ricerca diretta al miglioramento della qualità delle nostre vite, non a negarci l’opportunità di vivere. Ci opponiamo, invece, alla "pulizia genetica", guidata dal profitto e dall’efficacia sociale, pervasa di pregiudizio contro le persone con disabilità e condotta in nome della cura o del trattamento.

Se fino a ieri le persone con disabilità erano escluse e segregate (come avviene ancora nella gran parte dei Paesi del mondo), venivano uccise in forme tribali o istituzionali, e questo sembrava un trattamento legittimo e umano, oggi la loro voce è diventata tanto chiara e forte da far approvare dalle Nazioni Unite la Convenzione per i loro Diritti, che vieta ogni forma di discriminazione, promuove l’eguaglianza delle opportunità e tutela i loro diritti umani.
Oggi finalmente esiste uno strumento legale per far sì che le risorse della società siano indirizzate a garantire l’inclusione sociale delle persone con disabilità. Non suona paradossale che proprio ora che riusciamo a far riconoscere i nostri diritti ad una parte della società, non potendo più essere esclusi nelle vecchie forme, ci si schieri esplicitamente per la nostra soppressione fisica?
Davvero la "paura del diverso" (che fa scaturire fantasmi contro gli immigrati, contro le religioni, contro le culture che non appartengono alla nostra storia e tradizione) produce queste aberrazioni? Davvero la difesa dei propri privilegi e stili di vita può far arrivare a pensare di sopprimere chi li pone in discussione e vuole estenderli a tutti i cittadini?

Oggi che nel dibattito bioetico alcuni parlano di noi come se fossimo solo oggetti, di cui fare quello che si vuole, è importante che le persone con disabilità e i loro familiari combattano queste aberrazioni sul nascere.

Bisogna dire la nostra, portare in primo piano i nostri diritti e le nostre opinioni. Anche in questo campo è sempre più valido lo slogan/diritto Niente su di Noi senza di Noi.
Dobbiamo chiedere di avere diritto di parola nei corsi di bioetica (come nel Master di Bioetica dell’Università di Ancona, dove DPI Italia, in collaborazione con il Forum por la Vida Independiente spagnolo, l'Associazione GASBI - Genitori Associati Spina Bifida Italia e l’ACISB - Associazione Campana Idrocefalo e Spina Bifida, ha organizzato una giornata di formazione su bioetica e disabilità), dobbiamo rivendicare di far parte dei comitati etici, quando si parli di noi.
Dobbiamo chiedere infine di poter entrare anche nel Comitato Nazionale per la Bioetica e di elaborare urgentemente un documento sulle persone con disabilità e i loro diritti.

*Membro del Consiglio Mondiale di DPI (Disabled Peoples' International).


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