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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
Direttore responsabile: Dario Cillo


 

Una riflessione sul Libro bianco

Studi Zancan 2/2003

 

(Welfare del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali)

 

di: Caritas Italiana - Consulta ecclesiale degli organismi socio-assistenziali

 

La presente riflessione, frutto della lettura attenta e sistematica realizzata dalla Consulta nazionale degli organismi socio-assistenziali di cui Caritas Italiana tiene la segreteria, è stata condivisa all'unanimità nella riunione del 27 marzo 2003.

I membri: Acisjf (Associazione cattolica internazionale al servizio della giovane); Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII; Avulss (Asso­ciazione per il volontariato nelle unità locali dei servizi sociosanitari); Caritas Italiana; Cism (Conferenza italiana superiori maggiori); Cnca (Coordi­namento nazionale comunità di accoglienza); Confederazione nazionale delle Misericordie d'Italia; Gruppi di volontariato Vincenziano; Fict (Fede­razione italiana comunità terapeutiche); Cif (Centro italiano femminile); Mac (Movimento apostolico ciechi); Società di San Vincenzo De Paoli; Uneba (Unione nazionale istituzioni e iniziative di assistenza sociale); Usmi (Unio­ne superiore maggiori); Firas (Federazione italiana religiose servizi sociali); Consulta nazionale fondazioni antiusura.

Tali realtà rappresentano il 55 per cento del volontariato organizzato, che opera in Italia con circa 300 mila volontari. Esprimono 11 mila servizi, di cui il 43 per cento residenziali. Impegnano più di 400 mila operatori, di cui 90 mila operatori retribuiti e 15 mila religiose/i.

La nostra riflessione: la comunicazione sarà articolata in due parti: la prima porrà l'accento su alcune dimensioni valoriali che attraversano l'intero documento; la seconda invece rappresenta un primo elenco di nodi da sciogliere.

Prima parte: abbiamo ritenuto opportuno porre l'accento su alcune dimensioni valoriali che a nostro parere permeano l'intero documento e necessitano una maggiore esplicitazione proprio perché problematiche.

Seconda parte: contiene un elenco di certo non esaustivo di nodi problematici che riteniamo siano presenti nell'intero Libro bianco.

 

Prima parte

 

A. Il benessere

Alla radice delle politiche sociali c'è un'azione dell'operatore pubblico (il soggetto politico) che è orientato a facilitare il raggiungimento del benessere da parte dei cittadini. Le definizioni di benessere possono variare, ma comunque al centro ci sono i bisogni della persona. A livello politico e di teoria economica si hanno sostanzialmente due possibilità: che il benes­sere della persona consista nell'avere più beni di consumo a disposizione o che il benessere abbia una configurazione multidimensionale, cioè sia il risultato di una serie di fattori economici, culturali, relazionali. Scegliere una delle due strade non è indifferente. L'opzione culturale scelta dal Libro bianco sembra la prima, cioè che sia necessario favorire lo sviluppo economico perché ci siano più reddito e ricchezza a disposizione, cosicché molte più persone e famiglie possano raggiungere alti livelli di consumo e quindi avere maggiore benessere. Per chi non ce la fa troviamo qualche strumento di sostegno, sia esso un ammortizzatore sociale o un reddito di ultima istanza. Le famiglie «meno fortunate» che hanno una persona non autosufficiente vanno in qualche modo aiutate alleviando l'onere: non sembra che sia per loro possibile un orizzonte di umanità e dignità. In questo quadro la politica sociale deve essere funzionale allo sviluppo economico o meglio alla crescita economica. Nell'altra ottica, non seguita dal Libro bianco, il benessere non si raggiunge per una strada sola, l'aumento di reddito disponibile, ma attraverso un percorso, fatto di strade diverse e complementari, che metta al centro la dignità della persona e i suoi molteplici bisogni.

Abbiamo di fronte due ottiche, una individualista o utilitarista e una personalista: la differenza sostanziale sta nella relazionalità sociale che è concepita in modo diverso. Nel primo caso è strumentale ai propri bisogni, nel secondo definisce essa stessa l'identità della persona. Anche il concetto di famiglia sotto stante è molto diverso. Nel primo caso la famiglia è un soggetto completo, autodefinito, di cui socialmente si rileva la capacità di essere soggetto produttivo, di consumo e riproduttivo. Anche la solidarietà familiare è vista in un'ottica di scambio necessario tra pari. Nel secondo caso la famiglia è il luogo prioritario di realizzazione della personalità dei singoli e non è definita di per sé ma dalla capacità di essere essa stessa soggetto di relazione e cittadinanza sociale. La famiglia è cellula della comu­nità, non un corpo autonomo.

 

B. La cittadinanza

L'idea di cittadinanza è una delle conquiste della modernità. L'ac­cezione di cittadinanza sociale garantisce a ogni persona, anche a coloro che non hanno lo status di cittadini di un determinato paese ma sono stranieri, il rispetto di diritti sociali fondamentali. Va ricordato come il nostro paese abbia aderito e ratificato la Carta sociale europea del Consiglio d'Europa che definisce i diritti protetti, che sono veri e propri diritti di cittadinanza: dall'abitazione alla protezione della salute, dall'educazione al lavoro alla protezione sociale, dalla libera circolazione delle persone alla non discriminazione. La distinzione fatta dal Libro bianco tra immigrati legali e altri rispetto ai diritti sociali che appartengono alla persona è un arre­tramento rispetto alla legge n. 328 del 2000 che invece li aveva garantiti a tutti.

D'altronde, tutto il fenomeno dell'immigrazione è liquidato dal Libro bianco con corsi di alfabetizzazione per immigrati. Non si coglie la portata epocale del fenomeno migratorio, che sembra sempre più un affare di polizia piuttosto che di politica sociale

 

C. La sicurezza

Tra i bisogni prioritari dell'uomo, secondo la piramide dei bisogni dello psicologo Maslow, c'è il bisogno di sicurezza. Le accezioni possono essere molto diverse: quando si parla di sicurezza sociale ci si riferisce alla capacità di una società di prevenire le situazioni di bisogno dovute a eventi fisiologici (come l'infanzia, la maternità e la vecchiaia), patologici (come la malattia e l'infortunio), legati al sistema economico (come la disoccupazione). Non c'è stata mai, in ambito sociale, un'accezione da ordine pubblico, che aveva invece caratterizzato gli interventi sociali nell'ottocento e nei primi decenni del novecento. Gli interventi sociali come interventi di ordine pubblico hanno origine dal timore del turbamento che i bisognosi potrebbero creare all'ordine costituito.

Va compresa meglio quale idea di sicurezza è presente nel Libro bianco. A volte sembra riecheggiare un'idea di sicurezza, presa a prestito dal dibattito politico prevalente, come bisogno di protezione dalla criminalità comune soprattutto nei contesti urbani. Va invece recuperata la profonda caratteristica solidaristica della sicurezza sociale concepita non solo come patto tra i cittadini ma anche come patto intergenerazionale, soprattutto per la previdenza.

Va integrato lo spettro delle situazioni di insicurezza con due realtà sempre più evidenti. Da un lato la precarietà delle condizioni contrattuali dei lavoratori provoca quell'incertezza diffusa che, forse prima di ogni altro fenomeno, è tra le cause di una ridotta natalità; se non si assicura un oriz­zonte dignitoso alle giovani famiglie attraverso un lavoro stabile, non saran­no certo gli asili nido o i mutui agevolati per l'acquisto della casa a incenti­vare l'autonomia e la natalità. Dall'altro lato l'assenza di reddito che atta­naglia molte famiglie è una condizione di persistente insicurezza. La soppressione di fatto del reddito minimo di inserimento con l'introduzione di non meglio specificati strumenti finalizzati, compreso il cosiddetto reddito di ultima istanza, rende ancora più precario l'orizzonte.

 

D. La mobilità

La mobilità umana è un fenomeno antichissimo che ha sempre avuto una caratterizzazione incentrata sul bisogno: ci si sposta da una zona all'altra per vivere meglio. È la deprivazione che spinge la persona e la famiglia a spostarsi. Solo di recente si è diffusa su larga scala, ma solo nei paesi occidentali, la possibilità di spostarsi per fattori diversi dalla sopravvivenza: è la volontà di migliorare la propria vita, di cogliere nuove opportunità, ma non certo di sopravvivere che muove molte persone a spostarsi. Rimane comunque, anche nei paesi occidentali, la mobilità spinta dal bisogno: questo tipo di mobilità forzata è in genere valutato come un limite alle libertà della persona, perché la condiziona involontariamente. Sembra che il Libro bianco re susciti in qualche modo la teoria della pressione demografica differenziale: quando un territorio non ha le risorse sufficienti a garantire uno standard di vita della popolazione viene abbandonato per andare dove ci sono maggiori opportunità. Se da un punto di vista analitico in parte la realtà è di questo tipo, grave è quando si assume come dato politico. C'è una sorta di condanna implicita dei territori meno ricchi e sviluppati, che saranno alleggeriti dal peso di una popolazione in eccesso. Si ripercorrono strade che si pensava appartenessero alla storia del nostro paese, mentre la concorrenza tra territori - per permettere ai più efficienti di continuare la corsa mentre gli altri affannosamente raggiungono (non si sa come) i loro standard - teorizzata nel Libro bianco ce ne riproduce un esempio ag­giornato. Non c'è cenno alla storia, alla cultura, alla tradizione di relazioni sociali di un popolo, né tanto meno alla necessità che le forze migliori restino nei territori più poveri per guidare uno sviluppo non ancora realizzato. La risorsa umana anche in questo caso è considerata un semplice fattore produttivo che deve allocarsi dove c’è traccia di impiego: è una visione prettamente strumentale della persona.

 

E. La solidarietà e la sussidiarietà

I principi di solidarietà e sussidiarietà, caratteristici della dottrina sociale cristiana, vanno tenuti saldamente uniti per evitare che una sussidiarietà senza solidarietà lasci comunque da parte le esigenze dei più poveri. La sussidiarietà verticale implica la solidarietà poiché ciò che non si riesce a sostenere al livello più prossimo al bisogno va sostenuto facendo intervenire, in termini di risorse disponibili, i livelli di governo superiore. Ma l'intervento di questi ultimi è possibile solo se i territori più ricchi e sviluppati forniscono le risorse necessarie: è allora possibile l'intervento sussidiario delle regioni nei confronti degli ambiti territoriali distrettuali e dello stato nei confronti delle regioni in un vincolo di solidarietà. A livello orizzontale, la catena di sussidiarietà dovrebbe prevedere che qualora la persona o la famiglia non sia in grado di rispondere autonomamente ai propri bisogni intervenga innanzitutto la responsabilità pubblica di garanzia del servizio, da chiunque fornito, e quindi, a livello integrativo e non sostitutivo, il volontariato, l'associazionismo e le altre realtà del terzo settore non nella loro dimensione di impresa sociale, che è fornitrice di servizi sul mercato, ma come realtà animata da valori di solidarietà.

Suscitano riserve alcune accentuazioni del Libro bianco come: la carenza di analisi degli squilibri tra regioni ricche e povere; la sommarietà nella messa a punto dei livelli essenziali; la predominanza della logica economicistica dell'impresa sociale.

La solidarietà è invece spesso in contrasto con le leggi di mercato applicate al sociale e, soprattutto, alle condizioni di svantaggio della per­sona.

Va recuperato invece un approccio promozionale alla persona, tipico delle organizzazioni di auto aiuto, orientato ad abilitare un'attiva soggettività sociale di chi è nel disagio, non considerandolo solo come un destinatario di assistenza.

 

Seconda parte

 

A. Persona e famiglia

            Nella definizione degli obiettivi di benessere sociale non è presente la definizione di sviluppo umano, consolidata in sede internazionale, che è alquanto diversa da quella di sviluppo economico e forse più appropriata al caso.

- Al centro del concetto di sviluppo umano c'è infatti la persona, di cui va evidenziato il valore, quale che sia la sua rilevanza nel sistema economico e nei processi produttivi. La persona trova la sua naturale dimensione rela­zionale nella famiglia, la quale contribuisce all'edificazione della società. È la persona, secondo il dettato costituzionale, per cui portatrice dei diritti, anche quella che non dispone di una famiglia. E ciò anche in riferimento alla tutela dei diritti dei nati fuori del matrimonio (artt. 30 e 31 della Costituzione) .

- La famiglia, lungi dall'essere un mondo chiuso e autosufficiente, quand'anche avesse le risorse umane ed economiche per esserlo, ha quindi un compito di solidarietà sociale nei confronti delle tante famiglie e delle tante persone che non vivono in condizioni dignitose.

- Non può essere considerata solamente soggetto gestore di servizi, soprattutto in presenza di un forte disagio, ma si deve coniugare il suo ruolo decisionale con il collegamento alla rete dei servizi del territorio secondo un progetto organico e di integrazione fra risorse.

- Il rapporto famiglia-istituzioni civili è sempre biunivoco. Se si è avuta una preponderanza istituzionale e questa invece di facilitare la vita quotidiana delle famiglie si è risolta in svolgimenti spesso autoreferenziali, tale situa­zione va corretta. Ma non con l'instaurazione di una conflittualità che porta a disconoscere il ruolo delle istituzioni nella convivenza civile a presunto vantaggio di reti spontanee e informali. Queste infatti, quando sono presenti, sanno spesso andare alla profondità dei problemi, ma non possono rappresentare una garanzia organica e predeterminata, e perciò uni­versalmente fruibile, di aiuto nelle situazioni di bisogno.

- Va inoltre ponderata la tendenza a incentivare l'appartenenza a reti informali di solidarietà come strumento di risoluzione delle problematiche, soprattutto le più gravi: non è detto che tutte le famiglie vogliano apparte­nervi, né che molte, forse le più disagiate, siano in grado di parteciparvi atti­vamente.

 

B. Il terzo settore

- Lo stesso ruolo del terzo settore, già ampiamente riconosciuto nella 328, non può essere dilatato fino a diventare sostitutivo delle responsabilità isti­tuzionali di garanzia dei servizi, né può essere considerato un ammortizza­tore delle carenze di finanziamento della politica sociale, tale cioè da garantire servizi a buon mercato, a volte gratis come il volontariato; ciò che invero può essere, ma in via del tutto eventuale.

- Il terzo settore ha significato se il primo ~e istituzioni) e il secondo ~e imprese) fanno la loro parte, altrimenti si rischia di assistere a una pericolosa

esternalizzazione delle responsabilità istituzionali, magari con uno schiacciamento del terzo settore sul secondo qualora prevalessero logiche aziendali di gestione dei servizi.

- L'ottica di servizi sociali universali, pur con la selettività delle forme di erogazione, deve garantire la possibilità a ogni persona e a ogni famiglia di accedere ai servizi sociali.

- La giusta centralità data alla famiglia come strumento di aiuto nelle situazioni di bisogno, forse da integrare con una più marcata funzione relazionale ed educativa, non può nascondere le situazioni in cui la famiglia non c'è (persone sole) o è inadeguata. Appare inoltre una strada di incerta efficacia l'enfasi sulla solidarietà di vicinanza abitativa intergenerazionale, caratteristica di contesti tradizionali delle campagne e dei paesi ma molto rarefatta nei contesti urbani.

- Il concetto di equità intergenerazionale ha un valore innovativo, ma va rilanciato nel senso di un intervento sociale che non è solo riparatorio.

 

C. Il ruolo specifico del volontariato

- Vanno differenziati la funzione, la natura e gli obiettivi del volontariato, di cui alla rispettiva legge quadro nazionale, da quelli delle Onlus (di cui alla rispettiva legge), delle cooperative sociali (vedi legge), dei patronati, delle associazioni, et alia.

- La disamina generalizzante del Libro bianco fa emergere un'esigenza di maggior chiarezza sulla gratuità del volontariato e sulla sua forte con­notazione di servizio nel disagio o «lavoro sul campo» della povertà e dell'esclusione sociale.

- Altrettanta chiarezza va esplicitata sull'altruità o solidarietà-lunga, che non limita gli interventi ai soli membri dell'organizzazione ma, anzi, si rivolge prevalentemente a terze persone in stato di bisogno.

- Il volontariato non intende comunque essere colto come ispirato a una generica «logica d'impresa», sia pure sociale, molto sostenuta dagli orienta­menti del Libro bianco, né a una «sussidiarietà» vista come sostituzione di ciò che non fanno altri. Si riconferma anzi come intervento agile attraverso servizi non gravosi ,e complessi ma più attenti alla relazione di prossimità e di promozione umana (Carta di identità del volontariato della Consulta).

 

D. Gli immigrati

- Si nutrono perplessità riguardo l'assenza della tematica dell'immigrazione, citata solo per i corsi di alfabetizzazione per gli immigrati.

- Un Libro bianco che si pone obiettivi decennali e che parte da un'analisi della transizione demografica dovrebbe considerare adeguatamente il feno­meno dell'immigrazione, sempre più relegato in ambiti di politica della sicurezza piuttosto che di politica sociale. La stabile presenza e, date le tendenze naturali delle popolazioni al di là di posizioni ideologiche e politiche, il prevedibile aumento di immigrati nei prossimi anni pongono questioni di integrazione e convivenza eminentemente socio-culturali.

- Non è possibile essere indifferenti a una realtà come quella degli immi­grati, che pone in primo piano la tutela sociale della persona anche se non ancora cittadino. Le politiche per l'integrazione dovrebbero coniugare il rispetto delle culture originarie con un positivo coinvolgimento nel contesto socio-culturale italiano.

 

Gli strumenti

 

E. Il problema del reddito minimo d'inserimento

- Nell'individuazione delle priorità delle politiche sociali nel nostro paese dovrebbe trovare spazio anche l'azione attiva di contrasto alle povertà e all'esclusione sociale in continuità all'azione intrapresa con la 328 attraverso una misura generalizzata di contrasto alla povertà, allora individuata nel Reddito minimo di inserimento.

- Non sembra che il Libro bianco individui questa priorità, comune agli altri paesi dell'Unione Europea, ma anzi intende sostituire lo strumento già previsto e di cui si era avviata la sperimentazione con un - non adeguata­mente definito - reddito di ultima istanza, che non sembra però recepire le finalità della misura precedente.

- Anche nel linguaggio si nota un mutamento culturale: è la differenza che passa tra la logica dell'inserimento sociale e non solo lavorativo che era insita nel reddito minimo e la logica «da ultima spiaggia» del reddito di ultima istanza: sarebbe più corretto chiamarlo sussidio di sopravvivenza. La motivazione addotta per il cambiamento di rotta sta nella difficoltà di individuare criteri uniformi per gli aventi diritto.

- Nell'impostazione municipale del welfare della 328 questo era un compito dei comuni, poiché l'esclusione sociale può avere volti diversi nelle diverse zone del paese. Va forse calibrata meglio l'osservazione considerando che un singolo comune, che non dispone di strumenti di professionalità sociale, può aver trovato difficoltà applicative e gestionali che hanno prodotto inefficienze e anche abusi. Proprio per questo motivo, peraltro, l'impianto della 328 non si basava sul comune singolo ma sugli ambiti territoriali che, associando i comuni, garantivano la presenza di strumenti professionali per la gestione delle politiche e dei servizi.

- Il reddito minimo era la base del sistema di welfare previsto dalla 328: una sua sperimentazione avulsa dal quadro complessivo della legge (ad esempio nell'individuazione di comuni isolati in cui effettuare la sperimentazione senza una logica zonale) va valutata, date le condizioni di contesto.

- Ad ogni modo, quale che sia il giudizio sulla sperimentazione compiuta, resta il problema della garanzia universale di un livello minimo di sostegno sociale che non sia soltanto sussidio di sostentamento, ma accompagni misure concrete di solidarietà che coinvolgano la responsabilità delle istitu­zioni a ogni livello e, con esse, quella dei «cittadini invisibili», altrimenti privi di ogni considerazione da parte della comunità. Il governo non può evitare di rispondere a questa istanza che la Consulta presenta come l'espressione più acuta e severa dei diritti dei poveri.

 

F. I livelli essenziali di assistenza

- Si nota un persistente ritardo da parte del Governo nella formulazione dei livelli essenziali delle prestazioni sociali, ancora interamente di competenza statale e le cui aree di bisogno e relativi servizi sono stati codificati dalla legge n. 328/00 e non modificati. Ma proprio su questo punto il Libro bianco sembra avventurarsi in una logica innovativa che, portata all'estremo, può addirittura vanificare il concetto stesso dei livelli essenziali.

- Non può non preoccupare, infatti, il discorso alquanto tortuoso che viene svolto attorno all'idea di fissare per le regioni più arretrate e meno dotate di risorse dei target, cioè degli obiettivi ai quali, se non si legge male, ciascuna dovrebbe avvicinarsi facendo affidamento, essenzialmente, sulle proprie forze, stante l'affermazione, di principio, della non fungibilità delle risorse a scala nazionale, cosa che in assoluto nega le premesse di ogni politica redistributiva.

- La mancanza di una definizione dei livelli essenziali rivela poi una scarsa attenzione al ruolo crescente delle regioni che, seppur in forme diverse, si stanno orientando nel solco tracciato dalla 328. Il quadro sembra quindi contraddittorio in quanto ci si spinge a delineare un sistema articolato che sarebbe di competenza regionale, senza invece adempiere al ruolo proprio che, alla luce del nuovo art. 117 della Costituzione, rimane allo stato.

- La portata della definizione dei livelli essenziali delle prestazioni sociali non è stata forse adeguatamente sottolineata. Prevedendo un loro obbli­gatorio soddisfacimento in ogni ambito territoriale (distretto sociosanitario), si pone un chiaro obiettivo quantitativo di orientamento delle scelte di politica sociale, vincolante per le regioni che potrebbero eventualmente integrare detti livelli.

- È questa una funzione di riequilibrio tra i territori, garantendo a tutti uno standard, che rimane in capo allo stato. Va quindi meglio precisata l'af­fermazione che non è possibile garantire più tutto a tutti, dati i vincoli di bilancio: se si intende l'universalismo selettivo, cioè che tutti possono accedere ai servizi ma contribuendo ognuno secondo le proprie possibilità, è un corretto principio costituzionale; se si intende invece che alcuni territori possono avere le garanzie e altri no, sarebbe una strisciante deriva di frantumazione della solidarietà nazionale

 

G. Fiscalità

- La fiscalità va intesa come elemento utile nella politica sociale e non può essere utilizzata come modalità prevalente delle politiche sociali di un paese.

- Per quanto riguarda la fiscalità, pur importante anche se non elemento decisivo e prevalente della politica sociale, vanno considerati anche i nuclei familiari senza reddito stabile o con una prospettiva precaria (contratti a tempo determinato, contratti interinali, contratti di collaborazione coordi­nata e continuativa ecc.), che avrebbero scarsi o nulli vantaggi marginali da tale misura.

 

H. Integrazione sociosanitaria

- Un'altra riserva che emerge riguarda la scarsa attenzione al tema dell'integrazione sociosanitaria che, almeno in linea teorica, aveva conquistato negli ultimi anni un posto prioritario nell'agenda dei governi nazionale e regionali.

- Già alcune regioni (la Lombardia) hanno varato un unico piano sociale e sanitario concependo l'unitarietà dell'intervento, anche se possono essere discutibili la prevalenza di un'attenzione sull'altra o della titolarità delle funzioni tra regioni e comuni.

- La linea dell'integrazione nasce dalla preoccupazione di mettere al centro dell'intervento la persona e la famiglia, che vanno considerate nella com­plessità delle loro relazioni e dei loro bisogni e non possono essere mai considerate dei semplici utenti di un servizio.

 

Il metodo

 

1. Partecipazione

- La partecipazione attiva, responsabile, democratica e collegiale dei cittadini e delle organizzazioni alla messa a punto delle politiche sociali non è prevista, come del resto non è stata richiesta nell'elaborazione del Libro bianco.

- Nel processo top-down, bottom-up descritto nel Libro bianco si prevede solo che l'autorità illustri ai re ferenti il passo successivo, elaborato senza partecipazione. Così come il soggetto più gerarchicamente in basso illustra le proprie istanze al livello superiore.

 

L. Grave emarginazjone

Il Libro non indica politiche adeguate per le gravi realtà di emargina­zione. Ad esempio: il disagio mentale, i minorenni immigrati non accompa­gnati.


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