Un Mega-Ministero del Welfare?

Gli anni ‘90 si sono caratterizzati sul piano della riorganizzazione dello Stato per un processo di decentramento verso gli Enti territoriali, in particolare verso Regioni e Comuni, delle funzioni prima concentrate nelle amministrazioni centrali dello Stato, processo di cui la Legge Bassanini è stata la pietra angolare insieme ai suoi decreti attuativi ( ne mancano ancora due per completare tutti gli aspetti).

Il decreto 112 del 1998 si è occupato di ridisegnare la mappa della ridistribuzione dei poteri amministrativi nelle varie materie tra Stato ed Enti territoriali, le Regioni e soprattutto i Comuni; coerentemente con questo spostamento di funzioni agli art.11 e 12 viene impostato il riordino delle amministrazioni centrali.

Senza arrivare a scomodare il rapporto Giannini del 1979, qualcosa si molto simile all’attuale riforma era stato già proposto da Sabino Cassese nel 1993, allora Ministro della Funzione pubblica, con la legge delega 537 che prevedeva tra le altre cose una riforma degli apparati ministeriali, nel senso di una ridistribuzione dei loro compiti e una tendenziale riduzione del loro numero. Nella bozza di un decreto mai arrivato all’approvazione a causa di uno scioglimento delle Camere, si ipotizzava la creazione di un ministero comune tra Sanità e Servizi sociali (non includendo il Lavoro, come invece è per il nuovo Ministero del welfare).
L’attuale riforma dei ministeri (Dl. 300/99) risponde quindi ad una necessità di riorganizzazione dovuta ad una riduzione delle funzioni ma anche alla volontà di razionalizzare una distribuzione abbastanza dispersiva delle competenze (si pensi ad esempio alla sanità militare che fa capo alla Difesa e a quella delle forze di polizia che attiene agli Interni) e per garantire contemporaneamente una maggiore trasversalità delle politiche.

Di quest’intenzione l’esempio più chiaro è il Ministero che andrebbe ad unificare Sanità, Lavoro e l’attuale Dipartimento degli affari sociali. Vale la pena ribadire che oggi, come altri ministeri, quello del welfare svolgerebbe fondamentalmente funzioni di programmazione, di distribuzione di risorse, elaborazione di normative tecniche, funzioni di supporto tecnico scientifico e funzioni di carattere ispettivo essendo state spostate fuori dagli organismi centrali quasi tutte le funzioni operative.

Per quanto riguarda la sanità già da tempo i servizi sono stati regionalizzati o affidati alle strutture in cui si articolano i servizi sanitari; lo stesso vale per tanti altri servizi dell’assistenza sociale , come pure nel caso della previdenza della cui parte gestionale si occupano specifici enti (Inps, Inail, Inpdap, etc). Non si tratta quindi di unificare operativamente Sanità, Lavoro e Servizi sociali ma di coordinare e integrare tra di loro l’insieme delle politiche rivolte alla "persona". Non serve qui sottolineare gli stretti legami che ci sono la sanità e l’assistenza sociale, già l’argomento è stato abbastanza dibattuto con la Riforma sanitaria voluta dal Ministro Bindi e che ha spinto verso l’"integrazione sociosanitaria".

Meno evidente ad un primo sguardo, invece, è la vicinanza tra lavoro e sanità e tra lavoro e politiche sociali. Per quanto riguarda il primo accostamento si pensi a tutta la questione della sicurezza e della salute sui posti di lavoro. Nel secondo caso, invece, l’accostamento si gioca tutto sul rapporto tra previdenza ed assistenza.

Va letta in questa chiave la decisone di unificare le politiche sociali e previdenziali in un unico dipartimento dei quattro che andranno a comporre il Ministero del welfare. Decisione che sta sollevando non poche preoccupazioni tra quelli che temono di vedere le politiche sociali surclassate dalle questioni previdenziali, in un dipartimento che si deve occupare di entrambi.

Il decreto 300/99 fa una distinzione tra due gruppi di ministeri: quelli organizzati a "dipartimenti" e quelli con il segretario generale. I primi hanno al vertice il Ministro con il suo staff e poi delle grandi partizioni gestite da "capi dipartimenti" che operano uno accanto all’altro avendo come riferimento direttamente il Ministro. Tale gruppo è composto dai Ministeri dell’Interno, della Giustizia, dell’economia e delle finanze, delle attività produttive, delle politiche agricole e forestali, dell’ambiente e della tutela del territorio, delle infrastrutture e dei trasporti, dell’Istruzione, e del Welfare.

Il secondo e più ridotto gruppo è quello composto da Esteri, Difesa e Beni culturali, ministeri organizzati per "direzioni generali" coordinate dall’ufficio del Segretario generale, il quale opera alle dirette dipendenze del ministro, e che quindi rappresenta un "filtro di responsabilità" tra funzionari e Ministro. Ed è proprio sulla figura del "segretario generale" ma anche sull’unificazione del lavoro con la sanità e il sociale che si è spesa la critica di uno studio elaborato dall’ "Associazione Free" un gruppo di autorevoli intellettuali vicini alle posizioni politiche liberiste, tra i cui fondatori c’è l’economista Renato Brunetta.

E’ utile qui riportare le posizioni di questo dossier che ha tra gli autori l’onorevole Franco Frattini, già ministro della funzione pubblica nel primo governo Berlusconi. Si tratta di una proposta che potrebbe fare da indirizzo per eventuali cambiamenti alla riforma del governo da come la prevede la legge attuale.

Nel dossier si sostiene la necessità di generalizzare la figura del segretario generale, stretto da un rapporto fiduciario con il ministro tale che dovrebbe cambiare ogni volta con il cambiare di quest’ultimo. Si ritiene che questo sia un elemento di spoil system opportuno, cioè di un legame fiduciario tra il politico e il vertice amministrativo in modo che la parte operativa esprima coerentemente l’indirizzo politico.

Qui il contesto è quello del noto decreto 29 del ‘93 (ora rinominato 125/2001) sull’organizzazione e il rapporto di lavoro del pubblico impiego, che ha impostato i rapporti tra vertice politico e la dirigenza amministrativa secondo una forte separazione dei compiti volta a cercare sia una maggiore responsabilizzazione dei funzionari che una riduzione delle tradizionali ingerenze della politica nell’amministrazione. Se questa distinzione è un fatto opportuno e condiviso da tutti, nel dossier dell’Associazione Free si esprime comunque l’esigenza di avere alcune figure di vertice, come può essere il "segretario generale", che siano a metà tra la politica e l’amministrazione e che in un certo senso devono trasmettere l’indirizzo politico al corpo amministrativo.

Altra differenza tra la riforma del governo in via di realizzazione e la proposta del gruppo di intellettuali guidati da Frattini, sta nella stessa ricomposizione dei ministeri. Nel documento in questione il Ministero del Welfare comprende Sanità e Affari sociali ma esclude il Lavoro. Quest’ultimo dovrebbe integrarsi in un unico ministero con l’Educazione, l’Università e la Ricerca scientifica da cui, però, viene separata la "ricerca finalizzata" che rientrerebbe in un Ministero della Ricerca e delle Attività produttive. Quello di unire il Ministero del Lavoro con quello dell’Istruzione sarebbe il primo esempio in Europa.

Questo l’elenco dei Ministeri come pensati dal gruppo di ricerca "Associazione Free".

1. Ministero dell’economia e della Finanza

2. Ministero per gli affari esteri (che integra il Commercio con l’estero)

3. Ministero dei beni culturali

4. Ministero del Lavoro e dell’Educazione (ricerca di base e Università, pubblica istruzione, formazione)

5. Ministero della Ricerca e delle Attività produttive

6. Ministero della Giustizia

7. Ministero dell’ambiente e dello sviluppo del territorio (infrastrutture, trasporti e navigazione, difesa del territorio)

8. Ministero per le tecnologie dell’informazione e della comunicazione

9. Ministero dell’Interno

10. Ministero della Difesa

11. Ministero delle politiche agricole e forestali

12. Ministero della sanità e degli affari sociali

Sanità, lavoro e previdenza: la sfida del Ministero del welfare per il 'benessere della persona'

E’ facile definirlo un Megaministero, un termine che nel senso comune porta alla mente più la metafora del "pachiderma" che quella del "gigante". Quello che i giornali hanno ribattezzato per comodità Ministero del Welfare dovrà svolgere funzioni in quattro aree funzionali:

Al contrario di quanto alcuni temono, la vastità dell’area d’intervento dovrebbe risultare il punto di forza del nuovo ministero, il cui compito è quello di elaborare politiche più trasversali e coordinate per la promozione del "benessere della persona".Un compito impossibile se non ci fosse stato negli ultimi anni un decentramento agli enti territoriali delle funzioni operative prima spettanti ai ministeri, allora avrebbero avuto maggior fondamento le preoccupazioni di chi guarda con sospetto ai "megaministeri".

Chi già immagina trasferimenti in massa di intere amministrazioni, eccede di immaginazione. Il Ministero del Welfare non accorperà fisicamente e organizzativamente i precedenti Ministeri del lavoro , della salute e degli affari sociali ma manterrà una struttura a dipartimenti corrispondenti alle quattro arre funzionali sopra citate. Avremo quindi il "Dipartimento per l’ordinamento sanitario"; il "Dipartimento della tutela della salute umana e sanità veterinaria", il "Dipartimento per le politiche del lavoro e dell’occupazione e tutela dei lavoratori" e il "Dipartimento delle politiche sociali e previdenziali".

L’Istituto superiore di sanità e l’Istituto superiore per la previdenza e la sicurezza sul lavoro continueranno a parte del Ministero del Welfare, come organi tecnico scientifici con una propria autonomia scientifica, organizzativa e amministrativa.
Quello che oggi si chiama "Dipartimento degli affari sociali" ed che è un organismo della Presidenza del consiglio retto da un Ministro cosiddetto "senza portafoglio", con la riforma diventa il "Dipartimento delle politiche sociali e previdenziali" del ministero del Welfare.

Al suo vertice non troviamo più un politico ma un capo-dipartimento, il massimo livello dirigenziale amministrativo in quelle strutture che non prevedono un segretario generale, che risponde direttamente al Ministro del Welfare così come fanno i capi-dipartimento degli altri 3 settori.

Le funzioni che prima erano del "Ministero della solidarietà sociale" , noto anche come "Das", dalla realizzazione delle riforma verranno tutte svolte dal "Dipartimento delle politiche sociali e previdenziali" che dovrà occuparsi del coordinamento e della gestione del Fondo nazionale per le politiche sociali, con particolare riferimento al Piano nazionale delle politiche e degli interventi sociali, e delle politiche per la tutela delle categorie deboli ma anche dell’ordinamento del sistema previdenziale.

A parte quest’ultima importante differenza, non cambiano i compiti di questo "dipartimento" rispetto all’odierno "Das" in materia di coordinamento e gestione delle politiche per i gruppi da tutelare che siano per la famiglia, i portatori di handicap, gli anziani, la lotta alla tossicodipendenza, i minori e i giovani, l’integrazione degli stranieri immigrati, la sperimentazione del reddito minimo di inserimento.

Il Ministero del welfare ed il ruolo del Terzo Settore

Il decreto 300/99 lascia invariato il ruolo di dialogo e promozione con il terzo settore, come è chiaramente detto all’art 4 comma e ) del "Regolamento di organizzazione del ministero del lavoro , della salute e delle politiche sociali " D.p.r 176 del 26 marzo 2001 :

Inoltre , nello stesso art. 4 al comma d) riguardante la lotta alla tossicodipendenza si ribadisce la collaborazione con le associazioni, le comunità terapeutiche e i centri di accoglienza ; mentre al comma f) dedicato alle politiche sull’immigrazione si ricorda che il dipartimento tiene il registro delle associazioni e degli enti che svolgono attività a favore degli immigrati.
A questo si aggiunge un’altra voce, questa volta nel decreto 300/99 che accenna ai rapporti con il terzo settore che sembrerebbe attribuire al Ministero del welfare un ruolo di controllo e vigilanza amministrativa sulle Onlus. Così almeno si legge nel decreto 300/99 all’art 46 comma c) che definisce l’area funzionale delle "politiche sociali e previdenziali", quando dice : "controllo e vigilanza amministrativa e tecnico-finanziaria sugli enti di previdenza ed assistenza obbligatoria e sulle organizzazioni non lucrative di utilità sociale".

Il Ministero del welfare vigilerà anche sul sistema previdenziale

Il punto più innovativo della riforma riguarda la richiesta al "Dipartimento delle politiche sociali e previdenziali" di svolgere funzioni di ordinamento del sistema previdenziale. Per la novità rappresentata da quest’introduzione vale la pena di citare per intero l’ art.4 comma g) che dice:

E’ bene sottolineare che si tratta sempre di funzioni di monitoraggio e controllo e non di tipo operativo. Quest’unificazione tra sociale e previdenza potrebbe volgersi a vantaggio di entrambi i settori se ben gestita, basta pensare a tutta la questione degli assegni di invalidità. Il rischio è che il suddetto comma g), forte di una tradizione del welfare italiano molto sbilanciato sugli aspetti previdenziali, potrebbe prevalere (in termini organizzativi, di attenzione e di risorse) sulle altre funzioni che in sostanza riguardano le politiche attive del welfare. Questo nella peggiore delle ipotesi, ma se si riuscirà a dare la prevalenza non alle materie ma alla funzione trasversale di coordinamento di tutte le politiche, come vuole la riforma, allora il nuovo Ministero del Welfare potrebbe compiere il miracolo di integrare sanitario e sociale insieme a previdenza ed assistenza.

Tornando agli aspetti organizzativi, per svolgere le suddette funzioni il "Dipartimento per le politiche sociali e previdenziali" si comporrà di sette "direzioni generali", così indicate :

Welfare: il rischio di un ministero dominato dalle questioni previdenziali

Il fatto che il welfare italiano è stato a lungo impostato proprio sulla previdenza a scapito di un altro tipo di politiche attive, fa temere che i passi avanti fatti per riequilibrare questo sbilanciamento, rappresentate in particolare dalle recenti normative di settore e dal rafforzamento del dipartimento degli affari sociali, negli aspetti concreti cedano sotto il peso, anche "politico", della previdenza. Si teme, in breve, che il nuovo "dipartimento per le politiche e sociali e previdenziali" di fatto finisca per occuparsi prevalentemente di queste ultime.
Ma c’è anche un altro modo di leggere questa riorganizzazione, che poi è l’impostazione che ha guidato il legislatore. La previdenza non include solo il sistema pensionistico dei lavoratori ma anche tutti gli ammortizzatori sociali e molti sussidi tra cui, ad esempio, gli assegni d’invalidità.

Sarebbe quindi funzionale per lo stesso dipartimento che si occupa di handicap avere la gestione anche sulle politiche di erogazione dei sussidi.

Inoltre, il rapporto tra servizi sociali e lavoro si esprime anche nella pianificazione dei lavori socialmente utili che potrebbero essere meglio raccordati con politiche di reinserimento sociale, o il reddito minimo di inserimento, strumento contro la povertà che però prevede anche strategie di inserimento lavorativo. Diventa evidente, allora, il rapporto tra previdenza e assistenza di cui si diceva sopra e che in qualche misura va incontro anche alla necessità di riequilibrio tra sistema pensionistico e servizi sociali nel nuovo welfare. Questo non scongiura del tutto il rischio di avere un dipartimento dominato dalle questioni previdenziali, ma ciò dipende dagli indirizzi concreti del ministro, in primis, e dal capo dipartimento.
L’integrazione trasversale delle politiche e la loro gestione da una sede unica e coerente è quindi uno degli obiettivi principali di questa riforma, anche se ci sono ancora delle materie che con tutta probabilità resteranno frammentate. Si pensi solo alla questione dell’immigrazione che fa capo, per aspetti diversi, ai Ministeri degli esteri, dell’interno, della giustizia, della sanità e degli affari sociali.

Possiamo confrontare il modello di questa riforma con altre realtà di governo?

Dando un’occhiata a quanto accade in Europa, vediamo che alcuni paesi, in particolare la Francia ma anche l’Austria hanno un modello di accorpamento dei ministeri che somiglia a quello definito dal nostro decreto 300/99. Mentre il modello che prevede l’unificazione di Sanità e Affari sociali, tenendo separato il lavoro, è tipico dei paesi scandinavi. Il Regno Unito e la Germania seguono un’altra logica : essi distinguono tra una struttura che si occupa delle erogazioni finanziarie e una che si occupa della gestione dei servizi. Si tratta di una divisone per funzioni e non per materie.

Appunti

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Decreto Legislativo 30 luglio 1999, n. 300