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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
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L’ATTESA DEL GRANDE  DONO CHE VERRA’

Anno dopo anno la festa si annuncia da sé, come se il passato ricomponesse la sua trama senza incorrere in alcuna sbavatura. 

Apparentemente la Festa  risulta identica alla precedente, allo stesso modo interpretata, asimmetricamente rappresentata alla nascita del Bimbo.

Anno dopo anno il Natale veste i panni del rinnovamento per tentare di scardinare perplessità e povertà spirituali, ogni anno quella culla è colma di attese, di speranze, di certezze che non potranno venire meno.

Ogni anno è così, sebbene il mondo vesta i panni dell’ingratitudine, dimentico di una Croce e di una morte dedicata alla vita degli altri.

Quella nostra, di ieri, di oggi e di domani.

Anno dopo anno attraverso una preghiera bisbigliata sottovoce, accolta in punta di piedi, per non svegliare il Bambino che verrà per renderci finalmente più giusti e quindi più felici, per prenderci per mano in nome di una verità che dapprima fa male alle coscienze ma poi trascina la ragione al cuore, perché ci rende liberi di alzare lo sguardo al cielo e dire e fare grazie per tanto amore ricevuto.

La festa di questa nascita non s’arrende alla stanchezza,

è nascita,

è somma,

a mezzo nella memoria in tutti i giorni.

Anno dopo anno più importante di quello precedente, di quello che verrà, perché il Bambino non ci abbandonerà, nonostante il nostro dispiego di dimenticanze.

Anno dopo anno è festa della donna, è festa degli uomini, del Bimbo che dorme a occhi aperti nel sorriso per gli anni comunque belli che ci portiamo addosso.

Anno dopo anno, come in una bestemmia, non detta, ma pensata, chiederci: ma Tu nasci?

Per chi e per che cosa?

E’ un Natale che racchiude il senso dell’esistenza, amiamo, soffriamo, crediamo, speriamo,e  oltre la condanna  delle nostre innumerevoli rese, noi riusciamo a pensare a Te, che nasci e gia ami.

Tu nasci, nel dubbio che corrode, se mai esisterà un uomo certo, se Dio stesso è ostia consacrata in terra nera.

Tu nasci, e io vorrei che tu sapessi dei tanti pugni presi, vorrei che anche Tu ne sentissi l’offesa, vorrei che Tu leggessi le mie pagine bianche scomposte e stanche.

Tu nasci e già ami, e vorrei solamente parlarti ancora in quest’abbandono così struggente, in questa attesa che è già dono, e se mai ritroveremo parte, se mai sarà arte maledetta la parola scritta o vissuta, chiedo a Te perdono che nasci e muori anche per me.

Vincenzo Andraous
Responsabile Centro Servizi Interni Comunità Casa del Giovane Pavia


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