Cronache e Riflessioni

di Nadia Scardeoni

 

Riconciliazione: terra promessa, terra sconosciuta
(per gentile concessione di "QUALEVITA")

"Davanti a Dio la riconciliazione è possibile solo quando passa attraverso il nostro prossimo: la riconciliazione è un rapporto a tre".
La provocazione del pastore della chiesa valdese, Paolo Ricca , ha subito varcato i limiti della pacata esposizione esegetica per obbligarci dentro una traccia, un cammino libero da equivoci: la relazione, il dialogo diretto, il dialogo a tre sono il fondamento della riconciliazione, unica via per integrare l'incarnazione dell'Uomo a sé stessi, all'altro, a Dio.
Ricca ha fornito così gli zaini per Graz, di preziosi strumenti di viaggio, ordinandoli sul tavolo delle conferenze, e con un gesto di vera conciliazione: ci ha perdonati.
Ci ha perdonati per il dolore, per l'esclusione, per le disparità, per le ferite che le chiese protestanti hanno subito nel tempo, dentro le loro storie di donne e di uomini in cammino verso Dio.
Infatti, quando la logica di Cristo si fa stringente, non occorrono grandi inviti, virtuosi ghirigori per delineare i nessi, le strutture portanti della "casa comune".
I materiali di costruzione, sono disseminati nelle storie interiori delle donne e degli uomini fedeli ad un Dio che non ha dimora stabile se non il cuore dell'uomo stesso:

"il figlio dell'uomo non ha un cuscino dove posare il capo"
"non potreste vegliare un'ora con me?"

 

Per rintracciarli occorre dimenticare gli arredi della casa di origine e della casa madre e costruire opzioni sincere verso ciò che è sostanzialmente efficace per edificare il luogo dell'incontro.
I percorsi sono infiniti così come infiniti sono gli sguardi e i cieli.

Così come infinite sono le asperità del terreno oggi, quando le nostre ali sono ancora così pesanti.
Ma il tempo non ci è più amico; troppe brutture, troppe violenze ci hanno ridotto il cuore in frammenti, ci stanno dicendo che è giusto, doveroso, non più procrastinabile il gesto della riconciliazione.
Da dove cominciare?
Inutile cercare sugli scaffali, fra i sacri testi non c'è una teologia della riconciliazione.
Né possiamo assolverci, andando di buon'ora, a confessare diligentemente, il nostro travisamento quotidiano dell'amore e dell'amicizia; anche le buone intenzioni purtroppo non bastano più.
Occorre agire.
Occorre agire nei tre possibili aspetti della Riconciliazione: "Riconciliazione della memoria, delle chiese, dei nemici".
La memoria custodisce tutte le nostre ferite, con tutti gli errori e gli orrori nostri ed altrui.
La memoria va allora liberata: "tutti i tagli della nostra storia devono essere portati alla luce, tutti i demoni fatti uscire per essere esorcizzati". Ma occorre ricordare insieme: "solo la vittima può perdonare il carnefice" e " solo dopo una lettura comune, si può costruire una storia comune".
Le chiese si sono prodigate nella riconciliazione all'interno delle loro confessioni ma ciò che più manca è il confronto nella parità, l'accoglienza reciproca, la comune professione di fede.
Occorre togliere le scomuniche, celebrare l'ospitalità eucaristica perché "siamo tutti ospiti dello stesso Cristo."
Riconciliarci con i nemici, infine, ci inchioda.

Occorre alzare un nuovo sguardo capace di scorgere l'altro nella sua vicenda umana, capace di cogliere la sua amabilità, la sua bellezza: "noi siamo belli, perché Dio ci ama".
Occorre allora saper cogliere la bellezza delle nostre diversità, la necessità e la bellezza di essere uniti nella diversità.
Occorre riscrivere ecumenicamente la storia delle chiese per raggiungere l'unità attraverso la ricchezza dei percorsi e la serenità dei confronti.

Una vasta e profonda provocazione per la resurrezione del "cristiano inedito", quello dal "bagaglio leggero".
Il vademecum per Graz è pronto.

giovedì 23 gennaio 1997

 

Aparecida

Il suo nome completo è MARIA APARECIDA ALVES DE SOUSA, ha 40 anni, vive a Piripiriì un angolo del Brasile dei "campesinos", nello stato del Piuì, e, come tutti, lavora il "campo" come unica forma di sostentamento.

Ha otto figli ,quattro vivi, quattro morti.
E' una regola per le donne brasiliane della sua condizione, citare con naturalezza i figli morti accanto a quelli vivi, forse perché è così facile morire di stenti, di infezioni, di mancato soccorso medico che il tutto appare tremendamente "naturale".

La sua apparizione, dentro le mura restaurate con sobria eleganza del Circolo della Rosa, ha creato un impatto globale.
Tutta la sua persona respirava "altro", con la fierezza di chi ha conquistato, ad un prezzo altissimo, la propria autonomia.
Autonomia totale, anche dalle nostre carinerie. Quando ci siamo scusate di essere in poche a sentire la sua testimonianza, ci ha cresimate con un rapidissimo: "non è la quantità che conta, ma la qualità".
Si è disvelata a poco a poco, con tutto l'incanto della testimonianza diretta la storia di
Aparecida, una donna brasiliana che, sorretta solo dalla sua luminosa intelligenza, ha
saputo percorrere le tappe di un faticosissimo affrancamento dai quei vincoli terribili che la storia, la cultura, le tradizioni del suo paese ancora impongono alle donne come lei.
Quale forza per scalfire, incidere il granitico costume dell'assoggettamento totale, dallo sfiancamento per le ininterrotte gravidanze al lavoro massacrante sul campo, dalle violenze fisiche "in famiglia" alla discriminazione diffusa in qualsiasi aspetto e ordine
sociale?
Aparecida si ritiene oggi fortunata per questa sua sorte che, da presidentessa, la fa essere il punto di riferimento più forte del movimento: "Mulheres trabalhadoras rurais", un movimento di donne, sorto nel 1988 per coscientizzare le donne della loro condizione esistenziale, per indurle a partecipare quanto e come gli uomini alle lotte comuni per la terra, per una dignitosa sopravvivenza.
Lei dice con una efficacia sintesi : era tutto aggiustato con un basin, basin - ciao, ciao. Tutto era tollerato, ogni sorta di violenza restava impunita.
Ora, Maria Aparecida, lascia spesso il campo per dedicarsi all'opera di formazione e informazione delle altre donne. Lascia il campo originando vuoti di sostentamento dentro la famiglia e, come ci ha detto fra parentesi, fanno volontariato non solo perché è bello e puro il volontariato ma sostanzialmente perché sono povere. Sono povere di una povertà materiale tremenda a tal punto che anche il Partito di riferimento che si occupa della riforma agraria, il P.T. (Partito dei Trabalhadores) non avrà le stesse chances dei potenti alla "Cardoso" che regalano qualsiasi cosa in campagna elettorale, anche la legatura delle tube.
Oggi, mentre parte della Chiesa brasiliana, capitanata da Mons. Lucas Moreiras Neves, sostiene pubblicamente i "Sem Terra" - contadini che rivendicano la proprietà delle terre strappate con anni di lavoro al latifondo incolto - ancora oggi, come nel Medio Evo, i lavoratori del Campo corrispondono il 70% del ricavato, al Padrone.
E' da questo scenario di vessazioni, abbandono, miseria e morte, sotto il tiro dei "pistoleros" assoldati per ammazzare i ribelli, compresi i bambini, che Aparecida, Alvaro, Garcia e Francisca , ciascuno per il suo impegno, lottatori sul campo, sono venuti in Italia. Per portarci un messaggio di resistenza e di fierezza. Non ci hanno chiesto niente ed è giusto così: sono loro che ci hanno donato qualcosa.

Noi dobbiamo solo decidere se questo "qualcosa" ci interpella oppure no.

 

Attenti a quei due
(per Filorosso)

Serge Latouche e Marco Revelli insieme a Verona a ragionare di mondializzazione, diritti sociali, cittadinanza davanti ad una sala stracolma così come raramente accade in una epoca di sonnolenti cedimenti alla retorica di parte.

Una sfida forte alle strutture di una modalità politica che ha il vezzo di colonizzare con vaste operazioni di circumnavigazione il pensiero divergente anziché assumere o confrontarsi con la novità e la fertilità del dissenso, anche quando è espressione di una ricerca intellettuale che nulla si concede se non il piacere dell'onestà.
Non è un caso che alla fine di tutti i rilievi sui temi scottanti della mercificazione del mondo e dell'estinzione progressiva della qualità del lavoro dell'uomo come espressione della sua "humanitas" sia emersa la necessità ineluttabile di procedere verso una ricerca che, proclamata così all'impronta da due studiosi miti e soavi come Serge Latouche e Marco Revelli, ha perso il connotato aggressivo e belligerante di rivoluzione culturale per approdare alle sponde della pura necessità: la necessità di cercare una via possibile per l'uomo che non vive solo di benessere materiale e che rifiuta un mondo che avanza solo sottili e persuasive tecnologie per colonizzare la sua anima.
No , grazie.

 

Le occasioni mancate

Così come è accaduto per le bellissime lezioni sulla resistenza, veri appuntamenti con gli "interpreti" in carne ed ossa che ci hanno fatto rivivere palpitanti pagine di storia, così come è accaduto con il convegno sulla laicità della scuola a Corte Molon che ha aperto finalmente il dibattito sulla scarsa lungimiranza politica che concerta di investire miliardi nella informatizzazione globale del sistema scolastico e nella privatizzazione piuttosto che nella formazione della classe docente, così è accaduto anche con la schietta e incisiva "lezione di storia contemporanea" di Marco Revelli ieri sera, in sala Goethe.
E' accaduto che buona parte del ceto intellettuale e politico veronese non abbia apprezzato questi chiari tentativi di alzare il tono dell'analisi politica, con provocazioni assolutamente fuori dai soliti recinti propagandistici
Perché solo di questo si è trattato.
Marco Revelli ci ha evocato con pagine di critica scrupolosa ma non astiosa, verso le procedure della Bicamerale, la stessa paura che abbiamo avuto ai tempi in cui la destra era al governo. Una paura così sorda da obbligare allora Don Dossetti a lanciare un allarme sferzante, a farlo uscire dal silenzio dell'eremo per raggiungere le postazioni di difesa della " sua" Costituzione .
Non è affatto un caso che lo stesso Marco Revelli abbia sintetizzato i lavori e gli esiti visibili della Bicamerale come operazioni decostituzionalizzanti.
Ricordarci ancora una volta di essere depositari, eredi, tutori di un dettato costituzionale fra i più autorevoli del mondo, ci serve e ci dovrebbe servire a riconoscere il tessuto coerente delle sue regole come bene inestimabile da preservare perché solo la sua integrità ci consente di coniugare l'equilibrio dei diritti e dei doveri dentro un circolo virtuoso posto a protezione della dignità di ciascuna persona e del suo rapporto con
lo Stato.
Non c'è infatti alcun valore umano, sociale, religioso che non sia ottemperato e tutelato dai primi 12 articoli della Costituzione e tradotto con la massima apertura di valore, dalla loro articolazione.

Appare oggi invece che la "sinistra al governo", subendo il ricatto degli accordi programmatici preelettorali, si ammanti di gesuitismo per accreditarsi e sfugga i veri nodi del dibattito, incorrendo in una perdita di identità emorragica.
L'abbraccio o il cappio, se si preferisce, di operazioni politiche globali come quella del "pancislismo", la potente costruzione a tavolino, di una maglia strettissima di file cattoliche organizzate - fra CISL, ACLI, Compagnia delle Opere di Comunione e Liberazione - pronte a sostenere i "valori crociati", a qualsiasi costo, sembra lasciarla indifferente.

Ci tornano alla mente alcune parole di Don Milani:

" Bisogna avere le idee chiare in fatto di problemi sociali e politici. Non bisogna essere interclassisti ma schierati. Bisogna ardere dall'ansia di elevare il povero ad un livello superiore. Non dico ad un livello pari a quello dell'attuale classe dirigente. Ma superiore: più da uomo, più spirituale, più cristiano, più tutto."

Vogliamo provare ad immaginare il "povero", che tenta di iscriversi alla scuola "IN" privata , confessionale, dell'alta borghesia, per accedere al suo livello superiore?
E' dissennato prefigurare ciò che è già accaduto altrove e cioè che la scuola pubblica è divenuta, giocoforza, ricettacolo di tutti gli emarginati sociali abilmente scansati dalla scuole che garantiscono formazioni competitive?
Ci attendono allora, è fuori dubbio per chi ama la coerenza, percorsi di conversione.

Marco Revelli ci ha dato spunti preziosi:

"Siamo in una fase di ricerca, ancora una volta tocca all'Italia essere, nel bene e nel male, un laboratorio." "Occorre curare la trasformazione delle categorie di analisi." "Occorre recuperare il ruolo pedagogico dei partiti politici." "Occorre ristrutturare il patto sociale dopo la terza rivoluzione industriale: la informatizzazione globale, la rivoluzione telematica, la robottizzazione."
Ma invertire la rotta della "megamacchina che si appresta a sopprimere il legame sociale" - come direbbe Serge Latouche - è compito di molti. Come?
La proposta, di una sinistra veramente solidale potrebbe essere: "Con il gioco a somme positive" dove tutti alla fine hanno un vantaggio.
Alla sinistra tutta, un solido incitamento: "cercate ancora".

 

Mantova 19 giugno, Palazzo del Te

Quando l'armonia intercede tra gli elementi che ci sovrastano, sentiamo una grande pace, quasi il lieto presagio di una possibile futura saggezza.

Oggi, sotto il loggiato del Palazzo del Te, dentro l'armonia evocata dalle serene architetture di Giulio Romano, si è prodotto un evento di vera eleganza letteraria con la presentazione del libro di Edgarda Ferri: "Giovanna la Pazza".

Prima, il cielo plumbeo, con energiche folate di vento, ci ha esposti all'incertezza, creando un'attesa appropriata verso l’inafferrabile disagio che il titolo estrae: la pazzia, quella cosa un po' lucida e un po' ammiccante di cui nessuno sa parlare con composta scienza.

Un epiteto?

Lo psichiatra Vittorino Andreoli, catturato dalla bellezza del libro, è entrato in solidarietà con l'Autrice che ha voluto cimentarsi nei dettagli della vita privata della Regina di Castiglia per un’insofferenza recidivante verso la "storia" dei libri di storia che hanno registrato la condanna di pazzia emessa dal padre, dal marito e dal figlio, privata e pubblica, grazie al sostegno del loro potere istituzionale.

Forse tutti i poteri si sono adunati per inquisire il cuore, la mente della "ribelle", con leggi, calepini e sorridente indulgenza, compiacendosi di relegarla in una torre.

Ecco che ci viene oggi, in parte, sciolto un enigma che il tempo ormai rasserenato, avvolge in un'atmosfera di quiete.

Dietro l'esedra, il cielo si è fatto azzurrino e le nuvole stanno ferme ritagliate d'oro nell'ora dolce del tramonto.

Giovanna, "l'inquisita", è interrogata con vergine delicatezza da due persone amiche che guardano alle cause della sua follia per affidarci un'altra storia.

La storia di una regina chiusa nella torre della sua intelligenza e della sua capacità d'amare che forse, Filippo d'Asburgo aveva suscitato per errore, oltre la ragion di stato.

Siamo molte donne. Forse c'era l'attesa di una battaglia al femminile ma....non è così.

E' una provocazione più vasta che interpella uomini, donne, padri, madri, figli e poi le istituzioni civili, morali e religiose, senza enfasi, senza pretestuose certezze.

La "sopa dorada", un dessert del 500, chiude l'evento lasciandoci anche nel gusto, una dolce e profumata speranza affinché si aprano più sapienti sentieri dell'essere, quei percorsi solidali che ci fanno incontrare, senza l'inciampo delle pietre lisce e levigate dei sepolcri imbiancati, il nostro vero volto.

Solo allora ciò che ci distingue sarà occasione di ricchezza e la banalità che giudica e condanna alla follia avrà come ricompensa il proprio vuoto d'amore.

Verona 20 giugno 1996

FORSE (Per la morte di Don Dossetti)

Siamo orfani. Noi, che abbiamo lavorato sotto il "dettato" e niente più, oggi siamo ancora più soli.

Caro Maestro, noi sappiamo che i Maestri si ritirano quando avvertono che i loro discepoli sono cresciuti e sanno camminare da soli. E' forse per questo che ci hai lasciati?

E' così?

A quanti di noi erano scesi in campo per custodire, ognuno secondo la sua storia, il dettato democratico, Tu, in un momento di grande confusione, di notte della ragione, hai fatto un dono così perfetto che è superfluo ogni nostro ornamento: la tua parola incarnata.

Era il 20 dicembre 1995.

Avevi un filo di voce, avevi una voce così alta che ci hai spaccato il cuore.

Ti aveva annunciato Isaia:

Mi gridan da Seir:

"Sentinella, quanto resta della notte?

Sentinella, quanto resta della notte?"

La sentinella risponde:

"Viene il mattino, poi anche la notte;

se volete domandare, domandate

convertitevi, venite!"

E invece sei venuto tu da noi.

Tu venivi dal silenzio, noi venivamo dal rumore.

Avevi un aspetto così diafano e tremante in quel lungo saio, che era quasi impossibile coniugare la tua presenza fisica alla energia tremenda delle tue parole.

Parole come mille mani esperte che scavavano fondamenta, come mille sguardi lucidi che fissavano gli orientamenti.

E piano piano, come per incanto, si andava ergendo con getti di materie luminose un'architettura chiara e trasparente in ogni suo nesso che vincolava tutti i nostri piccoli pezzi di vita e di verità ad un gesto che prima o poi abbiamo fatto o stiamo per fare o dobbiamo fare: camminare da soli.

Ora il Maestro va onorato con mille mani esperte e con mille sguardi lucidi

Per ogni cosa c'è il suo momento,

il suo tempo per ogni faccenda sotto il cielo.

C'è un tempo per nascere e un tempo per morire,

un tempo per piantare e un tempo per sradicare le piante.

Un tempo per uccidere e un tempo per guarire,

un tempo per demolire e un tempo per costruire.

Un tempo per piangere e un tempo per ridere,

un tempo per gemere e un tempo per ballare.

Un tempo per gettare sassi e un tempo per raccoglierli,

un tempo per abbracciare e un tempo per astenersi dagli abbracci.

Un tempo per cercare e un tempo per perdere,

un tempo per serbare e un tempo per buttare via.

Un tempo per stracciare e un tempo per cucire,

un tempo per tacere e un tempo per parlare.

Un tempo per amare e un tempo per odiare,

un tempo per la guerra e un tempo per la pace.

Qoèlet (3,1-8)

 

FORSE, E' TEMPO DI CAMMINARE DA SOLI.

Verona 16 dicembre 1996

 

Lettera all' "Avvenire"

Io credevo che ci fosse il limite del "pudore" a frenare la faziosità dell'analisi politica in un quotidiano di ispirazione cattolica invece mi capita di cogliere elementi di grande rigidità ne: "Il caso Bertinotti" di Marco Tarquinio, AVVENIRE di oggi 1 ottobre. Voglio fare il gioco delle frasi "sporgenti" e applicarlo al pezzo che Tarquinio gli ha dedicato.

Il ritratto del leader di Rifondazione Comunista , delineato a larghe falde di pennellessa se mi è consentito un parere tecnico, ci appare .....in preda di irrefrenabili pulsioni crisaiole....il più malconcio e pesto degli interlocutori politici (e sociali)........un tiratore scelto di ......corde governative che deve avere paura...sia di vincere che di perdere.......un subcomandante senza sorprese che se attua quel che minaccia apre una crisi a più facce......e .....che se perde deve scegliere fra le dimissioni immediate e l'accettazione di una umiliante condizione da leader .....più che dimezzato.........e infine il caro Bertinotti non può farsi nemmeno l'epitaffio , nè voltarsi, nè fare giravolte o........."pentirsi" .................per non fare sganasciare noi cattolici che ..........sulla misericordia e il perdono........non ci batte nessuno. Caro Marco Tarquinio , io sono un lettore normale e....non ho capito niente. Fai, ti prego, qualcosa per la comunità: chiedi a Bertinotti di spiegare bene ai lettori con una bella conferenza stampa a reti unificate o con una Chat-line da Washington come Zucconi... di entrare nel merito della sua diversa opinione su alcuni tratti della finanziaria. Vorremmo anche che ciò avvenisse in un clima di serenità per non dare ragione al dubbio che questo tuo.... sia uno sfogo forsennato , sia un residuato di quel giornalismo che è alle corde perché in quanto fazioso.....non ha più nulla da dire e da fare se non osservare con la lente di ingrandimento le pellicine, i vasi sanguigni, le macchiette, i brufolini, i graffietti....del dito di un poeta .......che indica la luna. Per non offrire il destro...a Bertinoff il Terribile di conciarti un epitaffio:

" A Marco Tarquinio ..un premio speciale perché con il suo sguardo sereno...immune da irrefrenabili pulsioni crisaiole ci ha dimostrato che è possibile applicare al ragionamento politico lo stile della cosiddetta "incaprettatura"...di siciliana memoria." Con il mio personale rispetto per i sentimenti di tutti coloro che hanno affidato alla politica i loro sogni.

 

Forum Repubblica.it
Gogna Telematica o Democrazia Diretta

Vorrei rispondere alla domanda : gogna telematica o democrazia diretta? Penso..... nessuna. Riflessioni: a - Esiste ruolo pubblico che ripari il "privato" da qualsiasi tipo di speculazione? Clinton è così superficiale da non essere consapevole che il suo ruolo - fra i più importanti e delicati del mondo - non doveva essere intaccato e offerto alla mercé dei detrattori e degli speculatori nazionali e internazionali??? b - Ha ceduto ad una ....momentanea, subitanea attrazione sensuale/sessuale o indulgeva ad un gioco .furbo e sprezzante - meditato e cerebrale- nei confronti di una "innamorata folle", assetata di attenzioni? ...........

Non so quasi niente di questa pur orrenda macchina stritapersona, azionata da Starr - si fa per dire!!! - e..... quindi reagisco all'impronta. Ma é infine così soddisfaciente e producente per la "democrazia multimediale" essere aggiornati sui gusti intimi di Clinton? o è una consapevole operazione congiunta per destabilizzare il quadro politico mondiale? Mi torna alla memoria l'ira della moglie di Chiesa che per un "assegno incongruo"...scatena tangentopoli......e se fosse , analogamente....Hilary che , per un "rapporto improprio".........???? ...........

Per la "democrazia diretta" penso infine che sia stato profondamente ingiusto, disonesto e disgustoso indulgere sui dettagli del "fattaccio" , riempire il mondo intero di "immagini-feticci "- che esaltandosi vicendevolmente per l'interconnessione dei media - hanno prodotto un effetto di video-valanga alla quale nessuno ha potuto sottrarsi.

Non è allora un fatto di democrazia diretta e nemmeno di gogna telematica.

Credo purtroppo che sia l'ultimo stadio della crudeltà e della follia di chi possiede e utilizza politicamente il potere dell'informazione.



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