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" When we build, let us think that we build for ever. Let it not be for present delight, nor for present use alone; let it be such work as our descendants will thank us for, and let us think, as we lay stone on stone, that a time is to come when those stones will be held sacred because our hands have touched them, and that men will say as they look upon the labour and wrought substance of them, "See! this our fathers did for us."
--- J o h n   R u s k i n
"The Seven Lamps of Architecture"

Il rapporto etica-estetica da John Ruskin ad oggi
di  Gian Luigi Verzellesi

«Senza dubbio il dono artistico e la bontà sono due cose distinte; un uomo buono non è per forza un pittore, e una visione da colorista non implica valore morale. Ma la grande arte attesta l'unione di questi due poteri: essa non è che l'espressione, grazie a un temperamento dotato, di un'anima pura.

Se non c'è talento, non c'è arte, e se non c'è anima retta, l'arte è inferiore, per quanto abile».
Con questi accenti John Ruskin (1819-1900), signore della critica d'arte inglese e appassionato riformatore sociale, imposta il rapporto tra l'arte e l'etica in una splendida conferenza, tradotta da Marcel Proust (1871-1922) e pubblicata nel 1906 con una quarantina di pagine di note incisive.

Paragonabili a una piccola miniera d'osservazioni e precisazioni preziose, quelle note manifestano ammirazione, affinità elettiva, ma anche obiezioni che emergono nettamente. In particolare nelle righe in cui Proust, condiviso il rigore morale di Ruskin, riconosce che "il desiderio di farsi strada, lo snobismo, è certamente il maggiore sterilizzatore dell'ispirazione, il maggiore ammortizzatore dell'originalità, il maggiore distruttore del talento"; ma, alla fine prorompe in due esclamazioni: "quanti snob di genio hanno continuato come Balzac a scrivere dei capolavori" e "quanti asceti impotenti non hanno saputo cavare da una vita mirabile e solitaria dieci pagine originali".

In queste parole, serpeggia il "latente dissidio" da Ruskin che Proust "non intende dissimulare" (G. Macchia), e insieme prende voce una sorta di sopraffazione della sfera estetica su quella d'ordine morale. "Snob di genio" è definizione speciosa: si riferisce a un talento creativo che non ha saputo liberarsi se non dalle scorie più grosse dello snobismo, senza estirparlo: come invece avviene quando l'impulso magnanimo più profondo erompe sbaragliando le dighe erette dal mero calcolo snobistico e mettendo in luce una genialità senza scorie.

Nel caso degli "asceti impotenti", rilevare che la loro vita "mirabile e solitaria" ha impedito loro di realizzarsi come scrittori "originali", non induce a trascurare l'ipotesi che non si siano dedicati alla coltivazione e del proprio talento artistico perché non lo ritenevano così importante come lo ritennero Balzac, Flaubert e innumerevoli altri "nati sotto Saturno"?

La domanda sfugge a Proust, al quale interessa, sopra ogni altra cosa, la "scoperta del proprio talento" (Macchia). In coloro che sono intenti a costruire "una vita mirabile e solitaria" nel segno della probità, l'interesse di scrivere bene almeno "dieci pagine originali" forse non è stato mai al centro dell'attenzione. In Proust, la meravigliosa opera, lentamente costruita, è la "metafora della redenzione" d'ordine estetico; attesta la vittoria dello stile sul tempo fittizio che predomina nelle successive tendenze di moda novecentesche.

Senza dubbio, nella cerchia degli artisti d'oggi la convinzione che la categoria ultima non sia l'estetica, ma l'etica, è assai poco diffusa. Le conseguenze di questa regressione morale sono state individuate dagli osservatori più attenti e perspicaci. Da Huizinga a Mann, da Zolla alla Weil, a Camus, Sedlmayr, Adorno, Brandi, Gombrich... hanno confermato le analisi preoccupanti di Freud, Einstein, Lorenz. Quest'ultimo (in un libretto edito anche da Mondadori) ha descritto veridicamente "Il declino dell'uomo. ", rilevabile sia nell'ordine etico-sociale sia nell'andamento artistico. In entrambi, la scatenata "volontà di potenza" e "le cosiddette vanità di farsi strada" rispuntano di continuo, come se non fossero fattori nocivi, ma ingredienti benefici. Così il passaggio "Dall'informe all'abietto" (proposto da Claude Gintz a Parigi) ha raccolto non si sa quanti consensi di artisti americani e inglesi e italiani, pronti (chi può dubitarne?) a coltivare con entusiasmo la creatività dell'abiezione.

Gian Luigi Verzellesi


Gian Luigi Verzellesi è Socio effetivo dell' ANISA , http://www.anisa.it/ 

sezione di Verona http://www.anisaverona.splinder.com/

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