Prima Pagina
Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
Direttore responsabile: Dario Cillo

Ricerca

 

Verso l'Europa
Due interventi di Romano Prodi

 

Bruxelles 28 febbraio 2002

.........."Vi sono momenti nei quali i popoli sono chiamati a affermare e a definire le ragioni del loro stare insieme."
"Sessione inaugurale della Convenzione sull'avvenire dell'Europa"  - Bruxelles, 28 febbraio 2002
"Vi sono momenti nei quali i popoli sono chiamati a affermare e a definire le ragioni del loro stare insieme. Per i popoli della nostra Europa questo momento è arrivato...."
Vi sono momenti nei quali i popoli sono chiamati a affermare e a definire le ragioni del loro stare insieme.
Per i popoli della nostra Europa questo momento è arrivato. Voi, rappresentanti degli Stati, delle istituzioni e dei popoli europei siete qui oggi riuniti in questa Convenzione, perché l'integrazione ha avuto successo, un successo che è andato al di là di ogni speranza.
Voi siete qui riuniti perché un continente tutto intero si interroga sul proprio futuro.
Spetta a voi trovare le risposte. Risposte all'altezza della posta in gioco.
La questione centrale alla quale siete chiamati a rispondere non è di natura tecnica .
Essa va ben al di là dei semplici meccanismi, delle regole e delle architetture istituzionali.
Perché l'Europa è molto più di questo.
Cinquant'anni fa, uomini lucidi, coraggiosi e capaci di guardare lontano seppero aprire una strada del tutto nuova.
Quegli uomini scelsero la riconciliazione invece della guerra, la pace fondata sull'interdipendenza invece della reciproca distruzione, il diritto invece della legge del più forte. Essi gettarono le basi per la costruzione di una Comunità di popoli e di Stati.
Istituzioni sopranazionali originali furono edificate e, col tempo, consolidate.
Con gli Stati membri riuniti nel Consiglio collaborano una Commissione garante dell'interesse generale europeo, un Parlamento eletto a suffragio universale a rappresentare l'intero popolo europeo e una Corte di Giustizia che assicura il prevalere della legge.
Questa collaborazione ha generato una nuova identità europea.
Ha incoraggiato scambi di una ampiezza mai prima conosciuta.
Ha permesso e prodotto stabilità e sviluppo.
Ha portato, infine, alla nascita dell'euro, che gli europei hanno accolto con diffuso entusiasmo.
Tredici anni or sono, i popoli dell'Europa centro-orientale, sino a quel momento privati della libertà, hanno ripreso il futuro nelle loro mani e hanno scelto la strada della democrazia.
Oggi, quei popoli di cui saluto i rappresentanti con commozione e con amicizia - chiedono di unirsi a noi.
A questa richiesta dobbiamo dare una risposta forte e positiva, rinnovando ed estendendo il patto politico europeo.
Le imperfezioni nella integrazione comunitaria che pure esistono e che devono essere corrette sono ben poca cosa se confrontate con ciò che abbiamo saputo costruire e con ciò che ancora possiamo e dobbiamo fare.
Il successo dell'Unione Europea allargata, il successo della grande Europa è possibile.
Noi abbiamo le capacità per realizzarlo.
Ma quale progetto per il futuro dell'Europa?
Io credo che questo significhi affrontare queste quattro sfide.
Innanzitutto, dobbiamo assumerci, come europei, la nostra responsabilità su scala mondiale, al servizio della pace e dello sviluppo.
Sono infatti in gioco il futuro del mondo, la vita di milioni di essere umani ridotti in condizioni di indicibile povertà, la sorte degli innocenti che pagano il prezzo più alto per guerre insensate.
E nessuno dei nostri Stati è in grado di arrivare a tanto agendo da solo.
Dobbiamo poi, in quanto europei, difendere un modello di società equilibrato, capace di conciliare benessere economico e solidarietà.
Il nostro benessere e il nostro stesso stile di vita sono, infatti, strettamente legati all'equilibrio tra crescita, giustizia sociale e difesa dell'ambiente.
E le nostre capacità di creare sviluppo e occupazione dipendono dalla moneta unica e dal mercato unico, a loro volta basati su un sistema comune di regole.
In quanto europei dobbiamo, inoltre, garantire la libertà nel pieno rispetto dei principi di sicurezza.
La nostra storia e la nostra cultura ci impongono di non separare sicurezza, giustizia e libertà.
A fronte del terrorismo e della criminalità senza frontiere, a fronte dei grandi fenomeni migratori, la nostra azione non può che essere su scala europea.
Infine, noi europei, dobbiamo scommettere sul futuro per fare dell'Europa un polo di influenza intellettuale, scientifico e di innovazione.
Perché nel campo dell'intelligenza l'Europa non può permettersi di restare indietro.
Una volta definito il progetto per l'Europa del futuro, allora, e solo allora, onorevoli membri della Convenzione, sarà il momento di affrontare i problemi più specificamente istituzionali.
Permettetemi, a questo riguardo, di esporvi alcune brevi riflessioni.
Noi dobbiamo darci una Costituzione che segni la nascita dell'Europa politica.
Non dobbiamo, tuttavia, perdere di vista l'originalità dell'integrazione europea.
L'originalità sta nel fatto che l'Unione Europea è una unione di popoli e di stati. L'ambizione vera non è quella di costruire un super Stato. Che senso avrebbe proprio nel momento in cui i modelli statali classici sono sempre più inadatti a gestire la globalizzazione? L'ambizione vera, fatta di realismo e visione, sta nello sviluppare ulteriormente questa costruzione originale verso una democrazia sovranazionale sempre più avanzata.
Una democrazia europea che si fonda sui popoli e sugli Stati d'Europa. Per questo, noi dobbiamo adattare a questa costruzione originale europea i grandi principi delle nostre tradizioni democratiche nazionali, e cioè: la separazione dei poteri; il voto a maggioranza; il dibattito pubblico e il voto, da parte degli eletti del popolo, di tutti i testi di legge; l'approvazione delle imposte da parte del Parlamento.
Il sistema decisionale dell'Unione deve essere rivisto.
Nuove, più semplici e trasparenti procedure di decisione e di esecuzione sono necessarie.
Missioni e competenze oggi svolte a livello dell'Unione possono e debbono essere riconsiderate e devolute agli Stati membri. La Commissione non si sottrarrà alle proprie responsabilità ed è pronta a fare la sua parte, ad evolvere in funzione delle nuove necessità dell'Europa. Essa è pronta a ridefinire i propri compiti e anche, se utile al bene comune, a cedere parte delle proprie competenze, per assumere nuove responsabilità in quei campi in cui si gioca il futuro dell'Europa.
È infatti dovere di tutte le istituzioni qui rappresentate rimettersi in discussione di fronte a questa Convenzione.
La Commissione è guardiana dei trattati.
Questo significa garantire che l'Unione Europea evolva fedele a se stessa.
Non vuole dire conservare ad ogni costo quello che i tempi chiedono di cambiare.
Riconoscendo e rispettando le grandi tradizioni culturali e spirituali che dell'Europa sono l'anima, dobbiamo lavorare per una vera riforma dell'Unione.
Una riforma che sia al medesimo tempo profonda e fedele ai grandi principi che sono stati alla base del nostro successo.
Dobbiamo continuare a tendere a una "Unione sempre più stretta tra i popoli d'Europa" perché i giovani europei non si riconosceranno in un progetto ristretto e senza respiro.
Dobbiamo condividere la sovranità per esercitarla in modo reale (come abbiamo fatto per la moneta).
Dobbiamo riconoscere la necessità di istituzioni responsabili dell'interesse comune.
Dobbiamo garantire l'eguaglianza di trattamento di tutti gli Stati.
Onorevoli membri della Convenzione,
L'Europa non è un'alleanza. Essa è la casa comune dei cittadini europei. E' il nuovo protagonista del secolo che si apre.
Per questo essa non può essere fondata sulla legge di pochi perché sono più grandi, più forti o membri più antichi del club europeo.
L'Unione Europea è una "unione di minoranze" nella quale nessuno stato deve avere la possibilità di prevaricare sugli altri.
Essa non può accontentarsi di un debole coordinamento incapace di resistere a forti tensioni.
Cinquant'anni fa, Jean Monnet promosse l'Alta Autorità del carbone e dell'acciaio persuaso che una istituzione incaricata di difendere l'interesse superiore dovesse vegliare affinché ciascuno rispettasse gli impegni presi.
In base a questa medesima persuasione voi, onorevoli membri della Convenzione, dovrete promuovere istituzioni solide.
L'Unione non è e non deve diventare una nuova Società delle Nazioni, ridotta all'impotenza dagli egoismi e dai diritti di veto.
L'Unione Europea offre un modello armonioso di democrazia sopranazionale.
Essa è l'unico tentativo concreto di costruire una globalizzazione democratica, capace di offrire diritto e sviluppo.
Per questo essa può giocare un ruolo del tutto speciale nel mondo di oggi e di domani.
Io sono fiducioso che voi saprete dare al nostro continente le istituzioni necessarie alle sue peculiarità, istituzioni all'altezza del suo passato, istituzioni adeguate alle sfide del mondo di domani.
La Commissione all'interno della Convenzione sarà rappresentata dai Commissari Barnier e Vitorino. Essa offrirà con passione il pieno contributo della propria esperienza e della propria competenza.

*****

"Cinquant'anni di integrazione europea e prospettive future"  - Madrid, 7 febbraio 2002
"Alla fine della seconda guerra mondiale, l'Europa era in rovina. Era assolutamente necessario allora trovare una strada alternativa per assicurare una pace duratura. Per ricostruire l'Europa, occorreva una nuova filosofia delle relazioni internazionali, che si basasse sull'uguaglianza reale tra Stati e sulla volontà di cooperare su progetti concreti. Una strada completamente originale per costruire l'amicizia e la cooperazione fra le nazioni ed i popoli europei..."

Discorso di Romano Prodi
Presidente della Commissione europea
"Cinquant'anni di integrazione europea e prospettive future"
Instituto de España
Madrid, 7 febbraio 2002

Signore e signori,
sono molto lieto di avere l'opportunità di dare inizio a questo ciclo di conferenze dell'Insituto de España sulla rifondazione delle istituzioni europee. Il titolo annuncia che parlerò dei 50 anni passati ma so che ciò che più vi interessa sono le prospettive future.
Consentitemi tuttavia di cominciare dal momento in cui ebbe inizio l'esperimento europeo.
Alla fine della seconda guerra mondiale, l'Europa era in rovina. Era assolutamente necessario allora trovare una strada alternativa per assicurare una pace duratura.
Per ricostruire l'Europa, occorreva una nuova filosofia delle relazioni internazionali, che si basasse sull'uguaglianza reale tra Stati e sulla volontà di cooperare su progetti concreti. Una strada completamente originale per costruire l'amicizia e la cooperazione fra le nazioni ed i popoli europei.
E questo fu esattamente ciò che propose Robert Schuman, l'allora ministro degli esteri francese, il 9 maggio 1950 nella sua famosa dichiarazione.
L'idea radicalmente innovativa di quel testo è che le nazioni europee avrebbero messo in comune le loro risorse e la sovranità, creando una forma inedita di unione politica ed economica posta sotto il controllo di istituzioni sovranazionali. Come disse Jean Monnet: "non si può realizzare nulla senza istituzioni".
All'inizio il progetto riguardava l'industria del carbone e dell'acciaio, negli anni seguenti l'integrazione ha coinvolto via via settori economici sempre più ampi ed infine la moneta. È giusta l'espressione del Trattato: "un'unione sempre più stretta fra i popoli dell'Europa".
Schuman non ha mai precisato l'unità che aveva in mente, la sua profondità e l'estensione. Ma era chiaro che, benché l'oggetto della cooperazione fosse di natura economica, gli obiettivi e le motivazioni erano squisitamente politici. Si trattava di elaborare una nuova convivenza tra Stati e un nuovo sistema politico non statuale, di superare la vecchia concezione basata sulla coincidenza tra nazione, stato e istituzioni democratiche.
In questo modo ebbe inizio il processo di integrazione europea e possiamo essere giustamente orgogliosi di ciò che abbiamo realizzato in 50 anni.
La pace e lo Stato di diritto sono stati i due risultati più alti della condivisione della sovranità nazionale finalizzata alla ricerca di interessi comuni e di un sistema giuridico sovranazionale. Il processo di costruzione comunitaria si é sviluppato attorno a tre istituzioni che, in modo diverso e originale, esercitano alcune funzioni essenziali: l'attività legislativa, quella esecutiva e il controllo giurisdizionale. Nuovi sistemi decisionali e, successivamente, l'investitura popolare del Parlamento europeo hanno caratterizzato in senso ancor più originale il sistema, permettendo all'Europa di raggiungere alti traguardi.
Il mercato unico ha prodotto un livello di prosperità senza precedenti che l'euro promette di accrescere ancor di più. L'euro, in particolare, è la massima espressione di cooperazione in campo economico ed ha un grande significato politico.
L'euro, a ben guardare, è un fatto eminentemente politico. Come ha affermato Helmut Kohl, uno degli artefici di questa grande impresa, dall'Unione monetaria dipende la pace e la guerra nel ventunesimo secolo. Per questo, il successo dell'euro ha un grande significato, su cui tutti dobbiamo riflettere e che deve servirci da stimolo per affrontare le nuove sfide che abbiamo innanzi.
Tra queste, figura, ad esempio, la libertà.
Realizzato il mercato unico, gli obiettivi di libertà dell'Europa sono andati oltre la dimensione strettamente economica. Le libertà di cui si parla oggi nell'Unione sono libertà tipicamente civili, legate al concetto di cittadinanza europea e all'obiettivo di realizzare uno spazio di sicurezza e di giustizia.
Ma questi obiettivi devono farci riflettere sul metodo necessario ed opportuno per continuare ad avanzare nel processo di costruzione dell'Europa.
Parlare di libertà fondamentali, di cittadinanza, di giustizia, infatti, significa andare a toccare questioni tipicamente politiche, che richiedono un nuovo metodo democratico e un nuovo tipo di legittimità.
Sinora, l'Unione europea è stata costruita seguendo una serie di "passi concreti" che hanno progressivamente dato ai nostri popoli il senso dell'unità e dell'identità europea.
Passo dopo passo siamo andati avanti: ma in che direzione? Che cosa ci attende alla fine di questo processo di "unione sempre più stretta"? E di quali strumenti abbiamo oggi bisogno per procedere?
Siamo arrivati ad un punto in cui tali questioni non si possono più rimandare.
Siamo in procinto di realizzare un grande allargamento, ci prepariamo ad accogliere fino a dieci nuovi Stati membri entro il 2004, mentre altri seguiranno negli anni successivi.
I nuovi Stati membri ospitano una grande diversità di culture e di aspirazioni. Quindi questo è il momento di trovare un accordo su ciò che vogliamo per il nostro futuro comune e di affermarlo in un Trattato costituzionale.
Per questa precisa ragione è stata istituita la Convenzione, che darà inizio ai suoi lavori alla fine di questo mese e sulla quale mi diffonderò più oltre.
L'Unione europea è ad un bivio, anzi si trova di fronte ad un grande incrocio da cui dipartono molte strade. Quale dobbiamo prendere?
Una strada porta alla completa unificazione politica, un'altra alla semplice cooperazione intergovernativa, un'altra ancora verso una maggiore integrazione fra tutti gli Stati membri, l'ultima conduce al "rafforzamento della cooperazione" fra diversi gruppi di paesi.
Credo che sia impossibile trovare un accordo sulla direzione da prendere senza prima aver chiaro il nostro obiettivo di lungo termine. Dobbiamo avere una visione per il tipo di Europa che vogliamo realizzare.
Per troppo tempo abbiamo parlato solo di bilanci e di conti, concentrandoci unicamente sulla dimensione economica dell'Europa.
L'Europa non è un'impresa, è una famiglia di nazioni ed i popoli che si è unita alla ricerca di obiettivi comuni.
È quindi tempo di abbandonare l'approccio contabile, sollevare gli occhi dai libri mastri e guardare all'ultimo orizzonte. Dobbiamo immaginare insieme la meta che vogliamo raggiungere.
Oggi vorrei parlarvi della mia visione di Europa.
Sono profondamente convinto che si debba costruire l'Europa sui valori di base che ci accomunano:
la pace e la stabilità;
le libertà e la democrazia;
la tolleranza ed il rispetto dei diritti umani;
la solidarietà e la giustizia sociale.
L'integrazione ha già fatto molto per questi grandi valori europei.
In primo luogo, la pace e la stabilità hanno messo radici ovunque in Europa negli ultimi cinquant'anni.
Più di recente abbiamo contribuito a portare pace e stabilità anche nelle regioni confinanti, soprattutto nei Balcani. Gli accordi di stabilizzazione e di associazione con i paesi della regione promuovono l'integrazione fra quei paesi ed aprono la strada per una loro futura adesione all'Unione Europea.
L'integrazione ha prodotto anche la stabilità finanziaria ed economica. La disciplina imposta dall'unione economica e monetaria ha tonificato l'economia di tutti i paesi. I fondamentali economici sono buoni, e poi adesso abbiamo l'euro.
Sono convinto che l'Unione, proprio partendo da queste solide basi economiche interne, debba esportare stabilità. Lo stiamo già facendo attraverso il processo di allargamento a Sud e ad Est. Dobbiamo continuare a farlo attraverso una nuova concezione dei rapporti euromediterranei e una cooperazione sempre più stretta con i "nuovi vicini" dell'Unione allargata: la Russia, l'Ucraina, i paesi del Caucaso.
Il mercato unico, l'unione monetaria e le politiche comuni sono infatti ottimi strumenti di "politica estera" dell'Unione, e vanno utilizzati come tali, per rafforzare la cooperazione con i nostri vicini ed estendere al di là dei confini dell'Unione quella nuova filosofia di relazioni internazionali che è alla base del successo dell'integrazione europea.
Una filosofia basata sulla libertà e sulla democrazia. La libertà di movimento è stata la base sulla quale abbiamo costruito la prosperità in Europa, e la prosperità a sua volta promuove la libertà individuale.
Negli ultimi dieci anni, la libertà e la democrazia si sono estese anche all'Europa centrale e orientale. Per questo motivo il prossimo allargamento dell'Unione è un evento di assoluta portata storica. Finalmente il nostro continente, per troppo tempo diviso, viene di nuovo unificato e stavolta non con la forza ma grazie alla libera scelta e sulla base dei nostri valori comuni.
I negoziati di adesione vengono condotti con attenzione per consolidare la democrazia, i diritti umani e delle sane politiche economiche in tutti i paesi candidati.
Contemporaneamente siamo impegnati a stabilire buoni rapporti con i nostri vicini, non solo con quelli che si trovano oltre i confini orientali ma anche con i vicini del Mediterraneo.
Vogliamo infondere nuova linfa al processo euromediterraneo nella speranza che la nostra azione serva a risolvere i conflitti della regione, soprattutto in Medio Oriente.
Al tal fine, ci siamo posti tre priorità chiare per il Mediterraneo: la creazione di una banca euromediterranea, lo sviluppo di forme nuove di cooperazione subregionale, ed il rafforzamento del dialogo politico e culturale nella regione.
Il dialogo fra le culture è di importanza primaria e, dopo gli attacchi terroristici dell'11 settembre nella campagna militare che ne è seguita, è diventato un compito urgentissimo.
Queste considerazioni conducono naturalmente alla successiva coppia di valori che ho citato poc'anzi: la tolleranza e il rispetto reciproco. Questi sono ideali profondamente radicati nella tradizione umanistica europea. Nel corso dei secoli i popoli del nostro continente hanno imparato, sebbene lentamente e con dolore, a rispettare la cultura ed il sistema di credenze altrui.
Oggi in Europa abbiamo bisogno di molta tolleranza, più che in passato, perché apparteniamo tutti in un certo senso ad una minoranza. Nutro la speranza che, grazie alla nostra secolare esperienza di convivenza, possiamo offrire al mondo il buon esempio.
La tradizione culturale ed umanistica europea è anche la fonte del nostro impegno verso la solidarietà e la giustizia sociale. Gli europei desiderano una società giusta e benevola, che si prenda cura degli elementi più deboli e assicuri che tutti possano godere del nostro benessere.
Ciò significa redistribuire la ricchezza ai poveri, ai disoccupati, ai malati e agli anziani; significa garantire l'istruzione gratuita ai nostri figli...
Lo Stato assistenziale, nelle sue diverse forme nazionali, è una delle più alte conquiste europee del ventesimo secolo. È un modello di come la società possa essere competitiva e solidale allo stesso tempo. È la prova che il progresso economico può andare di pari passo con il progresso sociale.
Ma di fronte a noi ci sono grandi sfide sociali. La popolazione invecchia, la forza lavoro si riduce. Senza una serie di riforme autentiche, i sistemi sanitari e pensionistici diverranno presto insostenibili.
Per questo motivo dobbiamo ammodernare lo stato assistenziale adattandolo alle realtà del ventunesimo secolo. Dobbiamo assicurarci che non vada perduto e che continui a proteggere le generazioni future.
Parallelamente abbiamo bisogno di un'energica riforma dell'economia per farla diventare più forte, più dinamica e più competitiva.
Per le donne e i lavoratori più anziani deve essere più facile trovare e conservare una dignitosa occupazione retribuita.
Dobbiamo eliminare i disincentivi alla ricerca di un lavoro.
Dobbiamo investire in maniera considerevole nella formazione, nella mobilità e nell'istruzione.
In breve, dobbiamo perseguire con decisione l'agenda concordata a Lisbona nel marzo 2000. È essenziale che il vertice di Barcellona del mese prossimo dia nuovo slancio all'agenda.
Come spesso ricordo, mettere in pratica Lisbona significa dare corpo alla dimensione microeconomica dell'Unione monetaria, significa agire con coerenza per permetterci di raggiungere tutti gli ambiziosi obiettivi che ci siamo fissati e soddisfare alcune legittime aspettative che noi stessi abbiamo sollevato tra i nostri cittadini.
Signore e signori,
il fine ultimo dell'Unione è quello di favorire il benessere di tutti i cittadini, senza discriminazioni o esclusioni, di difendere i nostri valori fondamentali e di promuoverli in tutto il mondo.
Il mio desiderio è di una Unione forte e prospera che realizzi questi obiettivi. Un protagonista che prenda l'iniziativa sulla scena internazionale per mantenere la pace dove essa è in pericolo, per dare stabilità, combattere la criminalità e il terrorismo, promuovere lo sviluppo sostenibile e il libero scambio, infine per prendere in mano le redini della globalizzazione.
L'Unione europea può e deve essere un modello per il mondo, dimostrando nella pratica che è possibile canalizzare le forze della globalizzazione grazie all'integrazione regionale democratica. Dopo tutto, l'Europa è anche questo: un esempio di governo democratico della globalizzazione.
Questa è la mia visione dell'Europa.
Per realizzarla, l'Europa deve imparare a parlare e ad agire all'unisono.
Mi ha fatto piacere osservare come, dopo l'11 settembre, siamo stati capaci di esprimere un vero intento comune con grande rapidità.
Dobbiamo procedere in quella direzione. Il mondo vuole più azioni concertate a livello europeo.
Quindi, di fronte a questo complicato incrocio, credo che l'Europa debba scegliere la strada di una maggiore integrazione fra tutti gli Stati membri.
Non ci devono essere corsie veloci e corsie lente, sulle quali ci lasceremmo alle spalle alcuni Stati membri più deboli. L'Europa o si fa insieme o non si fa affatto.
Signore signori,
se il modello europeo di integrazione regionale deve servire da esempio per il resto del mondo, esso deve diventare più efficiente.
Il pericolo maggiore che minaccia il sostegno popolare per l'Europa sono le promesse non mantenute. Dobbiamo colmare il divario fra i vani proclami e la realtà. I cittadini desiderano concretezza e risultati. Non solo, i nostri cittadini chiedono anche più legittimità.
Bruxelles si è allontanata troppo dalla vita dei cittadini e questi, a ragione, chiedono di voler dire la loro sulla forma che prenderà la Nuova Europa. E chiedono anche un'Unione dove vi sia una chiara leadership, un centro esecutivo facilmente identificabile e politicamente responsabile di fronte al Parlamento e ai cittadini.
Dobbiamo cioè rimediare all'attuale frammentazione della nostra azione politica, che rende il sistema poco comprensibile e tende ad indebolire i meccansimi di controllo.
Dobbiamo quindi applicare in Europa alcuni principi di base delle democrazie liberali, pur tenendo presente che l'Unione é e deve rimanere qualcosa di diverso da uno Stato.
E abbiamo bisogno di un nuovo sistema decisionale che eviti la paralisi nell'Unione allargata.
È già difficile raggiungere l'unanimità fra quindici Stati membri, figuriamoci quando gli Stati saranno venticinque o forse più.
Dobbiamo abbandonare il sistema dell'unanimità ed utilizzare in modo molto più esteso il voto a maggioranza qualificata in seno al Consiglio. Inoltre il Consiglio dei ministri dovrà rivedere i suoi metodi di lavoro. Nell'Unione a 25, un semplice tour de table durerebbe un interno pomeriggio! Si dovrà quindi votare in tutti i casi in cui i trattati lo consentono, senza cercare sempre e comunque un consenso unanime.
Divenire una democrazia sovranazionale compiuta, poi, significa anche estendere i poteri decisionali del Parlamento europeo a tutta l'attività di tipo legislativo.
Occorre anche consolidare la base di legittimazione democratica e l'efficienza della Commissione.Ad esempio, e di questo sono certo, la Commissione dovrà essere un organismo più snello limitandosi ai compiti più schiettamente politici e delegando l'attività amministrativa alle agenzie europee oppure alle autorità nazionali.
A Bruxelles dobbiamo infatti operare in un sistema più semplice e aperto, concentrando l'attività delle istituzioni comunitarie sulle missioni fondamentali ed avviando, allo stesso tempo, una forma di governo nuova e decentralizzata per l'Unione del domani.
Il Libro Bianco che la Commissione ha pubblicato la scorsa estate propone alcuni passi importanti in questa direzione. Per esempio, propone un rapporto diverso fra le istituzioni europee e le autorità nazionali, regionali e locali che consenta a tutti i livelli di collaborare insieme al governo dell'Unione.
La Commissione europea intende anche istituire una consultazione sistematica con la società civile.
Lo scopo è di coinvolgere sempre più strettamente i cittadini nella definizione delle politiche dell'Unione europea.
Il futuro dell'Europa deve restare saldamente in mano ai cittadini. Dobbiamo costruirlo dal basso, per i cittadini e dai cittadini. Inoltre dobbiamo costruirlo in modo aperto e responsabile, non a porte chiuse.
Per questa ragione sono felicissimo che il vertice di Laeken abbia preso la storica decisione di istituire una Convenzione per preparare il prossimo Trattato dell'Unione.
L'idea di una Convenzione che elabori le proposte di revisione del Trattato è nuova e rivoluzionaria. Sarebbe stato impensabile prima di Nizza. Ricordo che, lasciando il Consiglio europeo di Nizza, la mattina presto di un giorno di dicembre di due anni fa, mi sono detto: "Non possiamo andare avanti così, con i capi di Stato esausti che prendono decisioni formidabili nel cuore della notte. Ci deve essere un sistema migliore per progettare il nostro futuro."
Subito dopo ho cominciato a proporre la Convenzione, e oggi è una realtà!
Alla Convenzione si discuterà il futuro dell'Unione europea non solo fra i rappresentanti dei governi degli Stati membri, ma anche con i paesi candidati e con i membri di tutti i parlamenti nazionali.
Ci sarà anche la Commissione per fare, come sempre, l'interesse esclusivo dell'Unione.
Parallelamente avremo un Forum della società civile nel quale le ONG e tutte le altre organizzazioni dei cittadini potranno esprimere il loro parere sulle questioni dibattute nella Convenzione.
Le questioni sul tappeto sono importantissime.
Qual è lo scopo dell'Unione?
Quali sono gli obiettivi di lungo termine?
Di quali politiche e istituzioni comuni abbiamo bisogno per realizzarli?
Quale sarà il ruolo di ciascuna istituzione e dei parlamenti nazionali nella nuova architettura dell'Unione?
In breve, chi farà cosa nel nuovo sistema?
Valéry Giscard d'Estaing, il presidente della Convenzione, ha tutta la fiducia della mia Commissione.
La Convenzione sfocerà in una Conferenza intergovernativa nel 2004 che, spero con tutto il cuore, tradurrà le sue raccomandazioni in un nuovo Trattato.
Molto dipenderà da come la Convenzione riuscirà ad organizzare i suoi lavori e dalla qualità delle opzionio del documentoche riuscirà a proporre. Ma molto dipenderà anche dal dibattito pubblico che dovrà accompagnare i lavori della Convenzione e sostenere in seguito la Conferenza intergovernativa.
L'informazione, la discussione e la partecipazione dei cittadini alle proposte della Convenzione saranno fondamentali.
L'Europa ha infatti bisogno di un ampio consenso popolare: sarebbe estremamente pericoloso continuare a correre avanti e, ad un certo momento, voltarsi e accorgersi di essere soli.
Per questo, abbiamo anche bisogno di un Trattato che sia finalmente scritto in termini chiari e semplici e che tutti i cittadini possano comprendere facilmente.
Signore e signori,
Quanto di buono è stato realizzato in Europa negli ultimi cinquant'anni è il prodotto dell'integrazione, attraverso il metodo comunitario.
Tale metodo, rinnovato e rafforzato, deve restare il cuore pulsante dell'Unione. La semplice cooperazione intergovernativa non è un'alternativa praticabile, come abbiamo visto chiaramente a Nizza.
Il futuro dell'Unione europea va progettato, attuato e regolato dal metodo comunitario ma con una partecipazione molto più piena di tutti i cittadini europei.
Se il leader europei riusciranno oggi ad agire con coraggio, possiamo dare ai nostri cittadini l'Europa che desiderano, l'Europa che si aspettano da noi le generazioni future.
Un'Europa giusta, umana e solidale.
Un'Europa appassionante, energica ed intraprendente.
Un'Europa per tutti.
Grazie.

 ******
da http://europa.eu.int/comm/commissioners/prodi/index_it.htm

 


La pagina
- Educazione&Scuola©