I GENERI DELL'IMMAGINE

di Elio Franzini

 

1. Il punto di partenza è una frase che si legge in Debray (*): "Si sarà compreso che non c'è da un lato l'immagine, materiale unico, inerte e stabile, e dall'altro lo sguardo (...). "Guardare non è ricevere, ma ordinare il visibile, organizzare l'esperienza". Ebbene, la storia dell'arte è solo una tappa, non la sola, nella storia che lega le immagini e lo sguardo. Ma questo significa che, come non vi è un solo sguardo, non vi è una sola immagine. L'immagine è un "genere" che ha non solo una storia ma anche e soprattutto differenti modi di ricezione.

2. Dimentichiamo infatti, e troppo spesso, che l'immagine, come peraltro la figura, sono legati alla morte: imago era la maschera funebre nell'antichità. E anche nel mondo cristiano, si riesce a sfuggire al divieto mosaico nei confronti delle immagini, e comunque al pericolo vicino dell'idolatria, solo riprendendo la tradizione greca e romana, che legava le immagini alla morte (persino nella tradizioni ebraica le immagini si trovano sui sarcofaghi).

3. Ma queste "imago" che sono le reliquie, le memorie, che rinviano all'invisibile, richiedono un "contorno" : ed è questo il primo stimolo verso un'arte sacra. E' la "difesa" della morte, cioè della memoria, e dunque della nostra identità culturale, in definitiva della nostra stessa storia, che costituisce la prima giustificazione culturale delle immagini: che impone di inventari modi e generi diversi per "intrappolare" il tempo nello spazio. Questo intrappolare genera un bisogno di "rappresentazioni", appunto di immagini: e rappresentare significa rendere presente l'assente: non soltanto "evocare" bensì proprio "rimpiazzare".

4. La pittura è stata l'arte di questo "rimpiazzo": ma bisogna essere ben consapevoli che nessuna tecnica di rappresentazione, quale appunto è la pittura, è immortale. Immortale o, meglio, inserito nel patrimonio culturale dell'antropologico, è il bisogno di legare il visibile all'invisibile, di immortalare la rappresentazione stabilizzando l'instabile. La pittura è, nei suoi vari generi, un genere storico di questa stabilizzazione.

5. Ma, come si sarà compreso, è un genere storico che non basta la storia a giustificare: la storia non ci spiega nulla sul senso dell'immagine, sulla sua funzione, sui suoi significati mitici, culturali, simbolici. E quest'ultimo termine è forse essenziale per comprendere il senso simbolico dell'immagine: senso indispensabile per comprendere come i generi dell'immagine abbiano bisogno di uno sguardo che non sia solo storico. Infatti, con quella tecnica di rappresentazione che chiamiamo pittura, non facciamo altro che costruire immagini simboliche. Ma queste immagini non hanno le proprietà semantiche della lingua: hanno tuttavia un incomparabile potenza di trasmissione.

6. Ed è questa incomparabile potenza di trasmissione che ci induce a domandarci: che cosa trasmettono queste immagini che chiamiamo simboliche? Questa è una domanda oggi, credo, essenziale - ma una domanda che non sempre gli storici dell'arte si pongono. Oggi che, di fronte a un'incertezza radicale, sul significato della stessa parola "arte", oggi che la dissoluzione delle sue forme si fa lampante, oggi che le immagini ci travolgono e manifestano la loro vuota nullità - oggi, appunto, al di là dello sguardo storico, cerchiamo di recuperare il potere simbolico, affettivo di quel genere di immagine che abbiamo chiamato "simbolica".

7. Definiamo, in primo luogo, quel che si intende con "simbolo": che non è un'immagine ma un suo genere specifico, che solo lentamente ha acquisito uno spessore figurale. Il simbolo è la riunificazione di due parti distinte: il senso è un riconoscimento, che prescinde dall'oggetto riconosciuto.

8. Il legame tra simbolo, immagine e figura passa attraverso proprio una gerarchizzazione dei generi dell'immagine, evidente nei primi secoli cristiani. Al di là dei vari nomi che si susseguono, è evidente che l'immagine simbolica si connette a un volto: la visione deve rimandare a un invisibile: è in questo modo che nasce l'icona, seconda il principio neoplatonico della "somiglianza dissimile": l'icona è il simbolo di questa "somiglianza dissimile".

9. Ebbene, una volta che si comprende e si evidenzia che l'immagine, nella tradizione pittorica occidentale, nasce all'interno di una concezione iconico-simbolica, vediamo che essa sceglie in via prioritaria lo strumento della pittura. E questo strumento va per due strade: da un lato è strumento mistico-simbolico per "vedere l'invisibile"; dall'altro è rappresentazione, racconto per narrare le storie sacre agli analfabeti. Spesso, nella storia dell'arte, è un'unione di queste due istanze.

10. Esistono dunque delle immagini espressive e simboliche che tuttvaia costituiscono forme, generi, tradizioni diverse. Ebbene, la domanda che ci si può porre - e che non si pone lo storico - è : che cosa hanno in comune queste immagini simboliche?

11. Si può dire che esprimono un "sentire comune" che si manifesta in un'epoca, in una società, in a comunità di soggetti. Il sentimento manifesta infatti, all'interno dei processi formativi e conoscitivi, la capacità di evidenziare e descrivere le differenze che sono nell'apprensione delle cose, cioè la possibilità di rivelarne la specificità qualitativa. "Far comprendere" il sentimento significa educare all'afferramento di quelle sottili variazioni che sono tra le cose, che uno sguardo distratto (o quotidiano) ignora, che lo storico riconduce a "fatti" (e non può fare altrimenti) e lo scienziato a elementi che possano venire tradotti in "numeri".

12. Vi sono allora sentimenti correlati a quegli oggetti culturali complessi dotati di senso espressivo e simbolico che abitualmente chiamiamo "opere d'arte", attraverso i quali è possibile cogliere le sfumature del senso, attraverso cui il sentimento può mostrare, in chiave esemplare, il suo significato educativo e formativo nel cogliere le differenze apprensionali e le qualità oggettive delle cose stesse così come in tali esperienze si offrono. Ma queste opere sono tra loro diverse, esprimono contenuti diversi: come vedere in esse, al di là della storia, il manifestarsi storico di un "sentire" capace di spiegare quei motivi di fondo che sono il senso, a volte non esibito e invisibile, della storia stessa? Andiamo, a questo proposito, a qualche esempio.

13. L'icona greca, di incerta datazione, ma attribuita addirittura all'evangelista Luca, raffigurante una Madonna con Bambino e detta "Madonna della Pace"; la Crocifissione di Giotto, conservata nella sagrestia di Santa Maria Novella a Firenze e, in particolare, il volto della Vergine; le tele di Vittore Carpaccio, conservate a Venezia nella Scuola di San Giorgio degli Schiavoni e, in particolare, quelle dedicate alla vita di San Girolamo. Ora, lo storico dell'arte o, meglio ancora, il turista intelligente si informerà sulle differenze storiche e culturali tra questi dipinti, sulla vita degli autori, sulle circostanze della produzione delle opere, ecc.: queste informazioni storiche, tuttavia, pur necessarie per la conoscenza dei dipinti, non sono forse ancora sufficienti. Per esempio, si comprenderanno meglio i dipinti se, di fronte all'icona, saremo informati che la leggenda dice che, di fronte ad essa il maggior difensore del valore religioso delle immagini, cioè San Giovanni Damasceno, cui un iconoclasta troncò la mano, la ebbe miracolosamente ricongiunta: l'immagine, allora, al di là del suo valore artistico, è simbolo, come dice il suo nome, di una "pace" raggiunta, cioè della vittoria degli iconoclasti. Ha quindi un eccezionale valore storico. Utile sarà anche conoscere l'originaria destinazione del ciclo del Carpaccio e le vicende legate alla "commessa" da parte della Scuola.

14. Ma se tutto ciò, come si è detto, è necessario ma non sufficiente, si dovrà, e sarà una sintesi della storia della pittura occidentale, cercare di guardare alle differenze iconologiche: se lo "stile" di Giotto e quello di Carpaccio appariranno, anche all'incompetente, del tutto diversi tra loro, straordinarie analogie avranno i volti della Vergine dell'icona e del dipinto giottesco: il profilo della Madonna, in particolare la forma del naso e degli occhi, oltre che, naturalmente, il fondo oro e il contorno del velo scuro, la staticità dell'immagine e il sorriso appena accennato, riveleranno senza ombra di dubbio, e anche a chi non abbia alcuna conoscenza storica, il debito di Giotto (e della sua epoca) nei confronti della pittura bizantina; una gita a Torcello, di fronte agli affreschi della Basilica (che risalgono al XII secolo), ci dirà quanto profonde sono, in questa zona d'Italia, parentele e connessioni; ma un'ulteriore digressione alla cappella degli Scrovegni di Padova ci farà domandare se al nome comune "Giotto" corrisponda davvero il medesimo artista. Tutte queste considerazioni ci avranno insegnato molto sui dipinti: e stimoleranno in noi la volontà di approfondire la storia dell'arte: saranno dunque anch'esse necessarie. Ma, probabilmente, non ancora sufficienti.

15. E' allora qui che entrano in gioco le differenze che il sentimento può illustrare, educando lo sguardo, prima delle categorie della storia e dell'iconologia. Infatti, al di là di queste differenze le immagini dell'icona e di Giotto sono "statiche", immobili nella loro assenza di prospettiva, non "raccontano" nulla bensì "fissano" un istante da contemplare mettendo il più possibile tra parentesi il sentimento soggettivo: siamo di fronte a misteri, non a favole. Il volto di Maria di fronte al figlio Crocifisso, nella Natività o nella gloria dei cieli a Torcello non esprime visibili sentimenti: è immobile nella sua ieratica, e serena, immutabilità, è privo di "retorica", cioè di volontà di suscitare un trasporto "estetico". Ben diverso, invece, il caso delle tele di Carpaccio: esse "raccontano", hanno in primo luogo una funzione retorica e sentimentale. La tela dove San Girolamo conduce il leone, da lui ammansito, nel convento stimola sì a conoscere la storia: ma una storia "minore", dove il fatto ha un valore mitico, dove si mischia con la favola e la leggenda, quella che ci dice che il santo si guadagnò l'amicizia del leone per avergli tolto una spina dalla zampa. Ridiamo allora della paura dei fraticelli, che ignari della vicenda fuggono da tutte le parti, con le vesti al vento. Ridiamo persino, nella più mesta tela seguente, dedicata alle esequie del santo, nel vedere il leone un po' triste, legato a un albero nella calma vita conventuale. E un senso, al tempo stesso, di mistero e di ironia pervade nell'ultima tela in cui Sant'Agostino, nel suo studio, immerso nei libri, guarda improvvisamente fuori dalla finestra: anche qui si ricorda una "storia" che è in realtà soltanto una leggenda veneziana, quella secondo la quale Agostino, lontano, vide aleggiare intorno a sé l'anima di Girolamo. Ma che sia una storia "non seria", una di quelle che rende il dipinto un evento sentimentale, oltre che storico e culturale, ce lo "racconta" il muso stupefatto del cagnolino ai piedi di Sant'Agostino, quasi stupito dello stupore del padrone. Gli storici dell'arte hanno in passato discusso su questo quadro: e su qualcosa che i committenti dalmati ben sapevano, dal momento che si legge in una storia popolare di San Girolamo della visione di Sant'Agostino: l'immagine richiede allora uno sguardo diverso, come diverso è lo sguardo di quella comunità "chiusa" cui esso è destinato

16. Qui, come si sarà notato, non è mai in questione il "valore" delle opere né il loro significato storico-culturale bensì il loro spessore "affettivo": esse, guardate con questo atteggiamento "sentimentale", che ne vuole cogliere le intrinseche qualità espressive, ci dicono che le immagini non sono tutte uguali, né sono un posto, una casella, una traccia nella nobile storia dell'arte bensì disegnano storie più segrete, sulle quali si fonda la storia dell'arte stessa, storie "fungenti", in cui si radica il senso simbolico delle immagini stesse, attraverso cui possiamo comprendere le differenze che sono nel darsi metaforico, simbolico, allegorico delle immagini stesse. Questo atteggiamento, detto in altri termini, fa comprendere che le immagini simboliche e culturali dei dipinti hanno diversi e vari ruoli conoscitivi, a volte tra loro irriducibili. E al tempo stesso fa "intuire", cioè sentire proprio con i sensi, che nell'esercizio dei sensi stessi, e in questo caso dello sguardo, vi sono "sfumature", "differenze" che possono essere descritte e "fondate" ma che sono irriducibili ad ogni descrizione e fondazione. Vi è nell'immagine una "eccedenza" che solo un atteggiamento non "cosale", un'intenzionalità fungente del sentire, può manifestare.

17. Ciò è dimostrato dal fatto che l'arte continua a veicolare un senso storico anche quando perde lo spessore del "riconoscimento", anche quando non è più rappresentativa: tende allora ad andare, prescindendo da una rappresentazione riconoscibile, verso l'esibizione di un valore simbolico e formativo in cui si riconosce poco, in cui è il colore ad assumere la forza espressiva della storia (Cézanne), in cui si prescinde totalmente dal problema del riconoscimento per cercare attraverso forme la forza che sta alla base della forza simbolica che guida la creazione stessa, per cercare il principio di una formazione (quel che i tedeschi chiamano Bildung) (Klee); o si giunge al punto di squartare il corpo, ovvero ciò che era stato al centro della rappresentazione classica, per esibire una forza critica e distruttiva dell'arte, che non cerca più l'armonia e la simmetria bensì accetta la differenza, lo squartamento, il dissidio, in cui diviene accettazione attraverso figure di una radicale assenza di unità

18. Ma con ciò si è compreso anche, ed è un ulteriore risultato conoscitivo, un ruolo "diverso" dell'arte, non esclusivo dell'arte stessa ma che in essa ha trovato, almeno nella tradizione occidentale, un eccezionale veicolo storico: quella di dire, nella loro "esemplarità", cioè nella loro emblematicità simbolica, i sentimenti e il loro valore. Quei sentimenti in cui tutti possiamo riconoscerci, indipendentemente dalle nostre personali vicende, dalle nostre soggettive storie. L'arte, nei suoi diversi modi e generi, è un modo simbolico per dire il sentimento. L'immagine è quel modo che si offre allo sguardo.

19. Questa varietà di esempi - volutamente astorica e del tutto priva di riferimenti storici - di quella storia cui ci ha abituato la storia dell'arte (come se, e lo afferma Deleuze, non vi fosse in ogni dipinto l'intera storia della pittura: a prescindere dai tenttaivi di classificazione e di generalizzazione), ci porta così ad una conclusione: l'immagine, per la sua varietà, non può mai definire se stessa, ovvero non si esaurisce mai in ciò che rappresenta. Ovvero: non basta una ricerca iconologica e iconografica per comprendere l'essenza espressiva dell'immagine dipinta. Attraverso le sue varie forme - ne abbiamo viste alcune - va sempre alla ricerca di "modelli", schemi o simboli che siano il segno di una "unità nella varietà" tra i generi diversi di immagini. Esprimere un comune sentire - una volontà conoscitiva e comunicativa - è questa unità.

20. Noi dunque studiamo la storia della pittura, della lingua, della poesia su "questi" autori perché essi parlano una lingua, disegnano figure che sanno prescindere dalla storia per inserirsi in quello che Bachtin chiamava "tempo grande". Ma, soprattutto, noi rimaniamo muti di fronte a queste opere perché esse ci insegnano qualcosa che la scuola non a sufficienza ci insegna: ci insegnano a ricordare. Il ricordo, ben inteso, è quasi sempre una traccia "passiva", che non richiede l'intervento di alcuna spontaneità produttiva, di alcuna "sintesi" attiva: sappiamo come è fatto un libro anche se ne vediamo solo tre facce, sappiamo che domani mattina sorgerà il sole, che un pugno fa male, una carezza meno, e via dicendo. Il sentimento è allora quello "stile" che, accompagnando i processi della percezione e delle sue modificazioni essenziali, cioè il ricordo e l'immaginazione, attribuisce loro una forza attiva, spontanea, appunto "formatrice", che permette di ricordare non solo i "fatti" ma anche e soprattutto la loro forza storica, simbolica, espressiva ed emblematica. Ed anche se è difficile, in particolare nelle istituzioni, e nelle versioni istituzionalizzate dei saperi, è questa forza che non bisogna mai smettere di "educare", di condurre cioè verso la radice estetica delle sue stesse possibilità conoscitive.


(*) Su Debray si veda



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