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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
Direttore responsabile: Dario Cillo


 

Dossier
Nato da corpo di donna, non di mammifera
 
Stralci in rete
a cura di
Nadia Scardeoni
 
 
 
 
 
Ben poco di carminio ha la sua faccia -
è di smeraldo povera la gonna -
la sua Bellezza è l'amore che dà
E' proprio ciò che la rivela mia.

Emily Dickinson
 
 
Ilaria Tarabella
Lo spazio del corpo femminile.
Il corpo della donna come “luogo pubblico”  (B. Duden):
autodeterminazione e biotecnologie riproduttive.

 
3 capitolo

“Il corpo della donna come luogo pubblico” (B. Duden).
 
“Profondamente scosso per quello che vedeva o meglio per il fatto di poterlo vedere, sentì il suo animo assillato da segreti dubbi. Ciò che stava facendo avveniva con mezzi onesti? Era lecito che egli vedesse nel buio oscillante e crepitante? E l’aspra voluttà dell’indiscrezione si fuse nel suo petto con sentimenti di commozione e di pietà.”
Thomas Mann
 
“Nel giro di pochi anni il bambino è diventato un feto, la donna incinta un sistema uterino d’approvvigionamento, il nascituro una vita e la ‘vita’ un valore cattolico-laico, quindi onnicomprensivo. Con stupore e sgomento ho seguito questo ribaltamento della percezione della ‘gravidanza’ nella società. La possibilità di questa trasformazione del grembo delle donne in ‘spazio vitale’ e del bambino in sistema immunitario in pericolo, costituisce a mio avviso una questione di teoria della storia”1.

Barbara Duden sostiene che il feto intrauterino , uno degli argomenti più discussi di oggi, non è una creatura di Dio o della “natura”, bensì della società moderna, o forse sarebbe meglio dire postmoderna. Il suo è un rifiuto del modo di pensare e di vivere la gravidanza solo in funzione di un feto, di “una vita umana” che priva la donna del proprio corpo e la degrada al ruolo di cliente bisognosa non soltanto di assistenza, ma anche di consulenza.

Le domande che la Duden si pone e a cui cerca di dare una risposta sono:
Com’è accaduto che l’esperienza del grembo sia stata oggettivata in modo tanto brutale e spudorato?
Come hanno potuto le donne accettare che questa loro esperienza fosse resa pubblica?”
 
2. Si tratta dunque di affrontare un argomento apparentemente invisibile in quanto riguarda quelle parti di corpo che normalmente non sono soggette agli sguardi poiché interne, come il feto.
 Una volta le donne erano attente alle sensazioni di ‘dolce attesa’ e l’interruzione delle mestruazioni era uno stato incerto, oggi il tutto viene vissuto come una sindrome causata dalla fecondazione: il nascituro era un bambino sperato, non un prodotto calcolato in base alle probabilità.
 
3.1 “Life-observations” : viaggi all’interno del corpo.
 
Negli anni Sessanta l’osservazione del feto nel grembo materno, la foetoscopia in situ, è ancora agli esordi, ma il feto viene già estrapolato dall’interno della donna, fluttua solo nello spazio.

“È un homunculus e rappresenta il prototipo dell’individuo senza legami: come un astronauta nella capsula, è collegato al sistema di approvvigionamento della placenta soltanto dal cordone ombelicale”

La tecnica che consiste nell’inserire attraverso il collo dell’utero un fascio flessibile di fibre di vetro alla cui estremità sono collegati un grandangolo e una fonte di luce, consente le ‘life-observations’ all’interno del corpo. In questo modo, però, è stato possibile mettere a fuoco soltanto piccole porzioni insignificanti dell’interno dell’utero.
Solo “con il montaggio di queste riprese ravvicinate, spesso pesantemente ritoccate, di una manina o di un profilo con altre immagini
di parti di feti morti illuminati di rosa, si era creata l’illusione che fosse diventato visibile ciò che fino a quel momento era stato invisibile”4.
Nonostante i trucchi, queste fotografie del 1965 danno ancora l’impressione di avere esteso la portata del nostro sguardo.
“Oggi facciamo sempre più fatica a distinguere tra ciò che è certamente visibile e la concretezza simulata di affascinanti ipotesi”5.
Crediamo di vedere illimitatamente, in quanto la fotografia autentica l’osservazione e fornisce le prove. “Il prolungato esercizio quotidiano con gli strumenti che costituiscono lo sguardo, infatti, ha portato la percezione visiva a dominare completamente gli altri sensi, tanto da paralizzare tatto, olfatto, gusto e intuito”6. 
Alla luce dell’importanza che hanno assunto queste immagini di feti e di spermatozoi (e della loro autorevole rappresentazione) quale è la condizione psichica della donna che rimane incinta?
È sempre più frequente, anche all’interno di consultori, l’esortare le donne incinte alla necessità di controlli prenatali, informando dei rischi che il ‘loro’ feto corre. “Feto normale, parto prematuro, fattori di rischio, peso medio: sono tutti elementi dell’apparato concettuale che oggi fa parte di una gravidanza […], così come le prescrizioni di esami per la valutazione del futuro sviluppo del bambino, fornite con il libretto sanitario”7.
Ma qual è l’impatto simbolico di tali procedure? In che modo determinano quella particolare esperienza che la donna incinta fa del proprio corpo?
Oggi il desiderio di vedere il nascituro attraverso l’ecografia è diventato quasi indispensabile ed è verso la fine del XIX secolo che per la prima volta ciò è reso possibile dai raggi X che danno visibilità allo scheletro del feto. 
3.2 Il corpo come superficie visiva.
 
Nel tardo Novecento il corpo in generale, e quello femminile in particolare, è considerato un luogo paradossale, un complesso teatro ove giocano molteplici intrecci sociali, simbolici e discorsivi.
È un’entità che Michel Foucault ha analizzato approfonditamente come un nodo di rapporti di potere e sapere, che in quanto tale si trova simultaneamente in questi paradossi d’inflazione discorsiva e di assenza di sostanza. È un corpo che non è più uno, come nel discorso metafisico, ma piuttosto una vera moltitudine di strati, di pratiche e di discorsività corporee.
Donna Haraway e altre “cyber-femministe”8 elaborano vere e proprie figurazioni concettuali che rappresentano una corporeità completamente attraversata dal fattore tecnologico, ormai diventato seconda natura.

“Siamo nell’ebbrezza del materialismo corporeo divenuto merce, il che riduce anche l’identità ad oggetto di scambio e dunque anche a gioco di maschere, performance priva di sostanza.”

Quindi l’immaginario sociale contemporaneo è teratologico, cioè intriso di rappresentazioni devianti, grottesche e mostruose.
“Siamo nel regime dei mutanti e delle chimere” dove “la rivoluzione multimediale ha stabilito un vero impero dello sguardo disincarnato”
La tecno-cultura crea spazi di immersione totale del corpo in processi sempre più diffusi di visualizzazione, dal computer alle telecamere video. Le politiche della visualizzazione, specialmente nel campo delle bio-tecnologie, hanno creato nuovi spazi di resistenza femminista, inventando una “politica visiva”. Lo sguardo biotecnologico è riuscito a penetrare nella struttura più intima della materia vivente, vede l’invisibile, dà forma a ciò che forma non ha; e così facendo congela il tempo, mettendolo fuori gioco.
“La materia vivente sottoposta all’attenta e penetrante osservazione dello sguardo medico, è al di là della morte e del tempo: è ‘vivente’ nel più astratto dei modi”11.
Il processo di congelamento del tempo è chiaramente percepibile nel caso della procreazione artificiale. Con le tecnologie riproduttive il processo di riproduzione viene frantumato in una serie di fasi discontinue. “Da un lato il congelamento dello sperma, dell’ovulo o dell’embrione sospende all’infinito il tempo riproduttivo; dall’altro la fecondazione in vitro (FIVET) introduce un nuovo tipo di discontinuità: pre-trattamento ormonale/ coltura degli ovuli/ fecondazione in vitro/ suddivisione cellulare/ trasferimento dell’embrione nell’utero”12. Al contempo, le nuove forme di procreazione come la madre surrogata (utero in affitto), il cui carattere innovativo è più sociale che tecnologico, frantumano la continuità procreativa in una serie di livelli diversi di “maternità”: ovulare, uterina e sociale.
Il tempo, in tutte queste procedure, è profondamente dislocato.
 In altre parole, attraverso la depersonificazione del soggetto si realizza la fantasia di una materia fuori del tempo, illusione prediletta del discorso medico.
“Barattando la totalità in cambio delle parti che la compongono, ignorando il fatto che ogni parte contiene il tutto, l’era dei “corpi senza organi” è prevalentemente l’era che ha espulso il tempo dall’immagine corporea: il potere biologico ha più a che vedere con la negazione della morte che con la padronanza sulla vita”13.
 Ma nel campo della percezione, nella logistica spazio-temporale, il congelamento del tempo va anche messo in relazione con il trionfo dell’immagine, con la rappresentazione visiva.
La visualizzazione è un modo per fissare il tempo nel tempo: ad esempio la tecnica dell’ecografia, che consente di esternare e vedere su uno schermo l’interno del grembo materno e il suo contenuto fetale.
Mettere in mostra tutto, rappresentare perfino l’irrappresentabile, cioè “l’origine”, vuol dire trovare immagini che sostituiscono e spostano i confini dello spazio (dentro/fuori il corpo materno) e del tempo (prima/dopo la nascita). “Il tempo è congelato, fuori del quadro e lo spazio si contrae in uno spasmo”.
Il trionfo della rappresentazione visiva del luogo della maternità sottolinea un altro importante aspetto del primato del “guardare”: la pulsione a penetrare con lo sguardo come paradigma della conoscenza.

“Diverse filosofe femministe come Evelyn Fox Keller e Luce Irigary, hanno evidenziato il fatto che il discorso scientifico ha sempre a cominciare da Platone privilegiato l’immagine dell’‘occhio’ come metafora della ‘mente’ per cui ‘io vedo’ diviene sinonimo di ‘io so’”14.
Nell’universo biotecnologico la pulsione a penetrare con lo sguardo sta raggiungendo il parossismo, come se il principio fondamentale della visibilità si fosse trasformato in un miraggio di trasparenza assoluta, come se si potesse vedere ogni cosa.
L’impulso visivo-scopico implicito in tutte le rappresentazioni emerge dunque con particolare intensità nel campo del bio-potere.
Quindi, ne consegue che la manipolazione tecnica della procreazione muta soggetto, causa, tempo e spazio della generazione umana. Nella sempre più frequente fecondazione in vitro non sono i corpi a congiungersi, né i loro organi, ma semplicemente i materiali generativi da essi prodotti.
 
 La causa della vita si sposta così dall’interno all’esterno, dall’incontro di due persone alla fusione di due cose ad opera di un tecnico che potrebbe anche non conoscere i produttori biologici della materia sulla quale interviene. Inoltre, come abbiamo già in parte visto, i tempi della generazione non sono più scanditi dalla sequenza fecondazione-gestazione-parto, perché possono trascorrere anni tra l’emissione di sperma maschile e il suo incontro con l’ovocita. Infine, non è più necessaria una contiguità dei corpi perché il materiale germinale si è reso autonomo rispetto ai suoi involucri biologici.
“In altri termini, le tecnologie riproduttive dimostrano che la generazione, sganciata dalla sessualità, ha trovato un luogo privilegiato nell’istituzione medica, all’interno dei suoi precostituiti discorsi”15.
La procreazione che è divenuta, dunque, oggetto di inquietanti tecnologie contribuisce fortemente alla crisi dell’identità femminile.
“Ci occorrono cambiamenti fondamentali di coordinate, per apprezzare le nuove forme di corporalità tecnologica […], postumana che già circolano fra di noi. Io descriverei come un lento processo di disfacimento, di scopertura di strati della soggettività che l’umanesimo ha rappresentato come negativi, ‘thanatici’ o repellenti.
Occorre ripensare e rifigurare la pulsione di morte nell’epoca del tramonto di un certo concetto di ‘vita’”16.
3.3 I movimenti del feto.
 
Una volta la testimonianza di una donna su un “movimento nel proprio corpo” modificava il suo status. A partire da quel momento si accettava la gravidanza, della donna in questione, come un fatto sociale.
Infatti, le donne erano “davvero incinte” quando il feto cominciava a muoversi nel loro grembo.
Questo fatto rispondeva ai canoni dell’iconografia cristiana: cioè allo specifico episodio della “visitazione” della Vergine Maria alla sua parente, Elisabetta, che viene minuziosamente illustrata nelle pale d’altare. Le due donne si abbracciano per salutarsi teneramente e “appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino le sussultò nel grembo”, quel bambino che aveva miracolosamente concepito, “quando era già avanti negli anni”. Quindi, è indubbio, che il bambino si annuncia alla madre attraverso il suo primo movimento.
“Oggi la gravidanza si annuncia diversamente: con una crocetta sul risultato degli esami di laboratorio”17.
Sintomo della gravidanza, dunque, non è più una percezione di tipo tattile, ma l’annuncio dell’esito di un test chimico.
 
“A partire dal secolo XIX, il primo movimento del feto è stato liquidato dalla scienza. Per quanto possa rimanere, dal punto di vista emotivo, un evento importante per la paziente sentire per la prima volta lo scalciare del bambino, sappiamo che di fatto il feto si muove già da dieci settimane”.
 
Questo è quanto osserva il ginecologo americano Bernard Nathanson.
Sul primo movimento del feto quale esperienza tipicamente femminile non esiste una letteratura storica perché gli storici si sono sempre occupati in primo luogo delle cose visibili ed è anche vero che non è facile descrivere ciò che può essere solo sentito. Nessun altro, infatti, all’infuori della donna interessata può percepire il primo movimento del bambino; l’uomo è decisamente escluso da questo tipo di esperienza.
Questa tradizione del significato sociale del movimento del feto è legata anche al fatto che “notoriamente, le donne hanno una percezione della realtà diversa dagli uomini; le donne possono comprendersi tra loro quando si parla di percezioni che per la sensibilità maschile rimangono in ombra o in un angolo cieco”18.
Tale sfera della diversità vissuta dalle donne, che rivestiva un’importanza sociale, è oggi scomparsa man mano che prima le mani dell’ostetrico, poi lo stetoscopio, poi i raggi X ed infine l’apparecchio ecografico hanno occupato l’interno del corpo della donna, esponendolo a uno sguardo pubblico, indipendente dal sesso.
La gravidanza è diventata strumentalmente verificabile.
Le donne dell’epoca delle biotecnologie vedono l’interno del proprio corpo con i mezzi dell’ottica medica, che illustrano per la paziente i fatti scientifici.
“La stessa attività del bambino non fa che confermare in un tempo successivo ciò che la donna sa ormai da tempo.
L’esperienza all’interno del corpo, che non lascia tracce dietro di sé, ha perso per sempre la propria importanza sociale”19.
Una volta la percezione del corpo era orientata verso un’attenzione di tipo tattile, non ottico. Corrispondeva, dunque, a una dinamica tattile. Ma si dava molta importanza anche al senso dell’udito, facoltà completamente scomparsa e dimenticata dalla medicina moderna.
Ne sono un esempio le anamnesi del dottor Johann Storch a Eisenach (1700) che iniziavano sempre con una valutazione della condizione sociale e dell’indole delle sue pazienti che egli ascoltava con attenzione.
Ciò che la malata porta dal medico non è un semplice corpo che vuol essere esaminato, che deve essere palpato, bensì una storia divenuta carne nella donna. Lo strumento dell’anamnesi è quindi l’orecchio del medico, non l’occhio. Il medico diventa quindi parte della biologia delle sue pazienti e quello che ascolta è la storia dei ‘movimenti del corpo’, intesi in maniera del tutto differente rispetto alla società contemporanea.
 
3.4 Tatto e sguardo.
 
Oggi l’interno del corpo femminile, visibile ed esposto allo sguardo, non ha alcun equivalente, fondato sull’esperienza, con il corpo delle pazienti di Storch.
I cambiamenti di paradigma che si sono susseguiti nella medicina sono decisivi per capire le tappe dell’embriologia. “Nel loro uso attuale, questi interventi metodici sui rovesciamenti storici non tengono conto del cambiamento decisivo nella condizione del corpo, ovvero dello spostamento d’accento dall’ (toccare) all’ (vedere), dall’  (stato) tattile a quella visuale”20.
 La Duden parla di  ottica per definire uno stato orientato principalmente verso il visibile, ciò che è evidente; e di   per distinguere la percezione attraverso lo sguardo dai mezzi ottici al servizio del vedere.
La storia del feto che la Duden ha percorso è la storia di una visualizzazione.
Il feto, tuttavia, è divenuto visibile perché sono stati impiegati mezzi ottici allo scopo di mostrarci qualcosa di invisibile, a cominciare dai disegni di Leonardo, passando dal cannocchiale di Galileo, fino ad arrivare al microscopio di Leeuwenhoek.
        Barbara Duden riporta un’esperienza significativa di vissuto di una donna incinta: “per Joanne il rapporto col figlio non passa più attraverso la percezione del proprio corpo gravido, ma attraverso l’immagine dell’ecografia”.
Fino al Settecento, come abbiamo già visto, era la donna stessa a segnalare al medico i sintomi relativi alla gravidanza, che era un evento incerto, conosciuto dal medico attraverso le modificazioni del corpo che la donna per prima percepiva.
        Era ancora la donna che avvertiva il primo movimento del feto e dunque (ri)conosceva essa stessa la maternità, rendendola al contempo un evento sociale. Tanto che la norma del divieto d’aborto interveniva solo a partire dal momento in cui la donna “sentiva” il nuovo essere vivente. Ma, progressivamente, il medico vuole accertarsi di persona dell’esistenza e della salute del feto, rendendo insignificante l’esperienza del corpo, come forma di conoscenza.
Joanne vive davanti allo schermo. È arrivata al punto di equiparare l’essere e la sua raffigurazione visibile. Non si chiede neppure più se ciò che appare sullo schermo esisterebbe davvero anche senza di esso.
       Nasce così (in laboratorio) il “feto pubblico”, creazione tecnologica, interiorizzata dalle donne stesse. Che si vivono come “ambiente di vita”. Un concetto di vita che non ha più niente a che fare con l’esperienza di creazione del figlio, che cresce nel corpo femminile.
 
“Viviamo in un mondo sotto vetro, nel quale è reale solo ciò che ci viene mostrato”21.
 
In questa epoca dello sguardo si è andata perdendo tutta quella percezione tattile propria non solo del medico, ma anche del corpo stesso delle donne in quanto cinestetico , cioè è un’esperienza d’orientamento basata sul movimento. Per millenni, la presenza del nascituro è stata determinata dalla denuncia da parte della donna di questo movimento interno.
“Nessuna donna ha oggi lo stesso potere di definire la propria condizione attraverso un’affermazione circa il proprio corpo. Viviamo in una società nella quale si deve essere dichiarati malati, incinte, e perfino sani, da un documento scritto”22.
 
3.5 Foucault e il “biopotere”.
 
Prima ho accennato al biopotere senza spiegarne la genesi ed i contenuti, ora è il momento di approfondire questo argomento.
Per Michel Foucault uno dei fenomeni fondamentali del XIX secolo è stato ciò che si potrebbe chiamare la presa in carico della vita da parte del potere. “Si tratta, per così dire, di una presa di potere sull’uomo in quanto essere vivente, di una sorta di statalizzazione del biologico, o almeno di una tendenza che condurrà verso ciò che si potrebbe chiamare la statalizzazione del biologico”23.
Il primo riferimento a cui Foucault si allaccia è la teoria classica della sovranità che aveva come attributo fondamentale il diritto di vita e di morte. Ma che cosa significa, nella realtà delle cose, avere questo diritto?
Per il sovrano il diritto di vita e di morte si esercita solo in modo squilibrato perché sempre dalla parte della morte. Si tratta, infatti, del diritto di far morire o di lasciar vivere.
Nel XIX secolo vi è una grande trasformazione, tanto che tale diritto, o piuttosto tale potere, sarà esattamente il contrario di quello precedente: sarà il potere di ‘far’ vivere o di ‘lasciar’ morire.
Da qui potrebbe nascere una discussione di filosofia politica che però Foucault preferisce evitare per dare spazio al suo vero interesse: seguire questa trasformazione sul piano dei meccanismi, delle tecniche, delle tecnologie di potere.
Nel XVII e nel XVIII secolo si vedono, infatti, apparire delle tecniche di potere incentrate essenzialmente sul corpo, e soprattutto sul corpo individuale. Si tratta della tecnologia disciplinare del lavoro.
Nel corso della seconda metà del XVIII secolo appare una tecnologia diversa, non disciplinare, o almeno non del tutto, ma di potere.
“A differenza della disciplina, che investe il corpo, questa nuova tecnica di potere non disciplinare si applica alla vita degli uomini, o meglio, investe non tanto l’uomo-corpo, quanto l’uomo che vive, l’uomo in quanto essere vivente. Potremmo dire, al limite, che investe l’uomo-specie”24.
La nuova tecnologia  si rivolge alla molteplicità degli uomini, come massa globale che viene investita da processi di insieme che sono specifici della vita, come la nascita, la morte, la produzione, la malattia, ecc..
“Possiamo dire dunque che, dopo una prima presa di potere sul corpo che si è effettuata secondo l’individualizzazione, abbiamo una seconda presa di potere che non è più individualizzante, ma procede nel senso della massificazione. Essa si realizza infatti non in direzione dell’uomo-corpo, ma in direzione dell’uomo-specie. Dopo l’anatomo-politica del corpo umano instaurata nel corso del Settecento, alla fine del secolo si vede apparire qualcosa che non è più un’anatomo-politica del corpo umano, ma qualcosa che io chiamerei una ‘biopolitica’ della specie umana”25.
I primi obiettivi di questo biopotere sono stati quelli di controllo sulle nascite, sui decessi, sulla riproduzione e sulla fecondità di una popolazione, che sono sempre stati connessi con i problemi economici e politici, almeno fino alla seconda metà del XVIII secolo.
Alla fine del XVIII secolo sono tutte quelle malattie, che vengono chiamate endemie26, che poi condurranno all’instaurazione di una medicina realizzata attraverso organismi che coordinano le cure mediche, che centralizzano l’informazione, normalizzano il sapere, fanno campagne per insegnare e diffondere l’igiene, e agiscono per la medicalizzazione della popolazione.
Nel XIX secolo il biopotere agisce per mezzo di meccanismi globali, in modo da ottenere degli stati complessivi di riequilibrio, di regolarità. Il problema diventa quello di prendere in gestione la vita, i processi biologici dell’uomo-specie, e di assicurare su di essi non tanto una disciplina, quanto piuttosto una regolazione.
“Al di qua, dunque, di quel grande potere assoluto, drammatico, fosco, che era il potere della sovranità, e che consisteva nel poter far morire, ecco ora apparire, con la tecnologia del biopotere, con questa tecnologia del potere su ‘la’ popolazione in quanto tale, e sull’uomo in quanto essere vivente, un potere continuo, scientifico: il potere di ‘far vivere’”27.
“Nello spazio così acquisito, organizzandolo ed allargandolo, procedimenti di potere e di sapere prendono in considerazione i processi della vita ed iniziano a controllarli e modificarli. L’uomo occidentale apprende a poco a poco cosa è una specie vivente in un mondo vivente, cosa vuol dire avere un corpo, delle condizioni di esistenza, delle probabilità di vita, una salute individuale e collettiva, delle forze modificabili ed uno spazio dove le si può distribuire in maniera ottimale”28.
La vecchia potenza della morte in cui si simbolizzava il potere sovrano è ora ricoperta accuratamente dall’amministrazione dei corpi e dalla gestione calcolatrice della vita.
“Per la prima volta probabilmente nella storia, la realtà biologica si riflette in quella politica; il fatto di vivere non è più il fondo inaccessibile che emerge solo di tanto in tanto, nelle vicende della morte e della sua fatalità; esso passa, almeno in parte, nel campo di controllo del sapere e d’intervento del potere”29.
È questo il passaggio dalla bio-storia alla bio-politica: la prima era caratterizzata dalle pressioni tramite cui i movimenti della vita ed i processi della storia interferivano gli uni con gli altri, la seconda designa quel che fa entrare la vita ed i suoi meccanismi nel campo dei calcoli espliciti e fa del potere-sapere un agente di trasformazione della vita umana; “questo non significa che la vita sia stata integrata in modo esaustivo a delle tecniche che la dominano e la gestiscono; essa sfugge loro senza posa”30.
La soglia di modernità biologica di una società si colloca nel momento in cui la specie entra come posta in gioco nelle sue strategie politiche.
 “Per millenni, l’uomo è rimasto quel che era per Aristotele: un animale vivente ed inoltre capace di un’esistenza politica; l’uomo moderno è un animale nella cui politica è in questione la sua vita di essere vivente”31.
Vi sono state considerevoli conseguenze a questa trasformazione.
“Se il problema dell’uomo è stato posto nella sua specificità di vivente e nella sua specificità rispetto ai viventi, la ragione va cercata nel nuovo tipo di rapporto fra la storia e la vita: in questa duplice posizione della vita, che la mette contemporaneamente all’esterno della storia, come suo limite biologico, ed all’interno della storicità umana, penetrata dalle sue tecniche di sapere e di potere.
Inutile insistere anche sulla proliferazione delle tecnologie politiche, che, a partire di qui, investiranno il corpo, la salute, le modalità di nutrirsi e di abitare, le condizioni di vita, l’intero spazio dell’esistenza”32 .  
                                                                                                                                                                                             La medicina come sapere-potere che agisce al contempo sul corpo e sulla popolazione, sull’organismo e sui processi biologici ha dunque degli effetti disciplinari e di regolazione anche sulla sfera della sessualità. Partendo dall’analisi di Foucault sull’economia politica della verità sulla sessualità della nostra cultura, si arriva a quella distinzione fondamentale tra tecnologie della capacità procreativa (scientia sexualis) e la pratica del piacere del sé (ars erotica).
“Si potrebbe sostenere che le moderne tecnologie contraccettive hanno fatto sì che, dal punto di vista scientifico e culturale, lo iato tra sessualità e riproduzione sia assurto al rango di contraddizione, di paradosso. Con la pillola antifecondativa possiamo fare del sesso senza procreare, con le nuove tecnologie riproduttive possiamo avere dei bambini senza fare del sesso […].
 Accade dunque che gli enormi mutamenti che stiamo vivendo sul piano biotecnologico siano agiti all’interno di uno scenario che è il più reazionario possibile dal punto di vista ideologico. Non è stupefacente il modo in cui il conservatorismo patriarcale riesce ogni volta a ricreare le condizioni ottimali per la sua sopravvivenza? È in questo modo che si ribadisce la priorità del (non)sesso riproduttivo sul piacere mentre la sessualità viene subordinata agli imperativi della società a capitalismo avanzato. E questo esattamente nella stessa fase storica in cui altri soggetti stanno lavorando alla ridefinizione della sessualità in termini differenti”33.
da:
Tesi in Antropologia filosofica
Dipartimento di Filosofia dell’Università degli Studi di Pisa
Relatrice Prof.ssa Paola Bora
Correlatrice Dott.ssa Ilaria Possenti
 
Pubblicata nel giugno 2004 dalla Provincia di Massa Carrara- Commissione Provinciale Pari Opportunità all’interno dell’iniziativa della Festa della Toscana 2002 “Io sono il pianeta” per i diritti delle donne.
Il tema affrontato ne " Lo spazio del corpo femminile "
di Ilaria Tarabella è uno tra i più difficili e urgenti della nostra epoca, quello delle biotecnologie che non solo modificano l’ambiente in cui viviamo, ma mettono in crisi la nostra identità, il modo di porsi in relazione con se stessi/e e con gli altri.
Partendo dalla tradizione della medicina ginecologica, Ilaria Tarabella, propone un excursus storico-filosofico-antropologico sul problema femminile della “donna antica” nell’ambito aristotelico, in quello degli studi ippocratici e delle “Mulieres Salernitanae”, fino ad arrivare a quello delle tecnologie riproduttive contemporanee e alle problematiche ad esse correlate.
 
from
 
Corpus non datur, ovvero del corpo assente
 

[È davvero un enorme piacere pubblicare questo pezzo di Lorella Cedroni, che mi onora da tempo della sua amicizia e dei suoi consigli. Lorella Cedroni insegna Scienza Politica all'Università La Sapienza di Roma e si occupa, tra le altre mille cose, di comunicazione politica e tematiche di genere. as]

Corpus non datur.
C’è un grande assente in questo dibattito sul referendum che riguarda la legge 40 sulla fecondazione assistita: il corpo. Per l’esattezza: il corpo della donna.
Si parla di embrioni, di materia vivente (o inerte), di esseri umani, di persone, individui, soggetti, ma non si parla di corpi.
Tra fede e ragione, etica e diritto, vita e morte, il corpo è obliterato. Tertium non datur.

E non è per caso che si tratti proprio del corpo della donna.
Il suo corpo quando non mercificato o non corrispondente a quell’immagine stereotipata della donna volitiva e sensuale, da vedere e da godere, sempre giovane e carina, tutta sesso, casa e chiesa, allora non esiste.

In questo dibattito il corpo della donna è diventato tabù, ridotto a contenitore da riempire, una machina allegorica e barocca, in cui innestare materia vivente per generare vita.
Questa obliterazione è aberrante.

Nessuna donna, nessun uomo ha posto l’accento su quell’unico punto nevralgico del discorso che è la sperimentazione su corpi viventi (umani), sessualmente selezionati: le donne. Sono le donne, infatti, ad essere cavie (e vittime) di questa sperimentazione che le sottopone a cure ormonali i cui effetti non sono (tutti) immediatamente visibili, che impone ai loro corpi stress defatiganti (mortificanti) a cui seguono gestazioni (spesso) interrotte. E, paradossalmente l’istinto di maternità si frange sulle soglie della mortalità, della nostra umana finitezza, dei nostri limiti psicofisici che continuiamo a non voler accettare.

Giovanni Sartori sulle pagine del Corriere della Sera (sabato 16 aprile, si può leggere qui) è tornato a parlare, con il suo consueto tono laico manicheo, sempre proteso tra fede e ragione, ancora una volta, dell’embrione (appunto!).
Ma questa volta lo ha fatto richiamando la “dottrina del corpo e dell’anima” di San Tommaso che Umberto Eco sull’Espresso del 17 marzo scorso
riassumeva così:

Dio introduce l'anima solo quando il feto acquista, gradatamente, prima anima vegetativa e poi anima sensitiva. Solo a quel punto, in un corpo già formato, viene creata l'anima razionale ('Summa Theologiae', I, 90).

Ecco il punto: un corpo formato. L’anima ha bisogno di un corpo per “installarsi”. E anche chi crede nell’esistenza dell’anima non può fare a meno di considerare dignitosamente il corpo.

Quando andavo a catechismo mi dicevano che il corpo è la casa dell’anima e che quindi bisognava mantenere integro questo rifugio. Oggi lo scientismo assoluto – anche di quegli scienziati che si professano cattolici – ha profanato il corpo - la casa dell’anima – e qui non è questione di privacy, con buona pace di Francesco D’Agostino, Presidente del Comitato di bioetica. Sul Supplemento “Io Donna” del Corriere della Sera della scorsa settimana (8 aprile), egli ha infatti introdotto il concetto-principio di diritto dell’embrione, parlando addirittura di privacy.

Queste sono assurdità, si dirà, perché l’embrione non è una persona, ma “semplicemente” vita. Già, è vita! E come poter pensare questa vita sganciata dal corpo della donna!
Non serve qui dilungarci per appurare se l’embrione o il feto siano da considerarsi persone e, come tali, titolari di diritti. Basterà solo ricordare che l’embrione e il feto sono vita – e non materia vivente – incorporata (appunto) al corpo della donna. E che la vita umana è (anche) vita animale! E’ vita e basta. E questo dovrebbe essere sufficiente – senza perderci nei meandri di ragionamenti intellettualistici - perché tale “diritto”, come noi umani lo chiamiamo, possa essere rispettato in tutte le sue forme.Sono pertanto dell’idea che andare a votare – per tornare ai nostri fatti mondani – possa essere l’unico modo per far sentire che esistiamo in corpo (ed anima).

 

I diritti dell'embrione

http://ulisse.sissa.it/intervista050526.jsp

Le implicazioni giuridiche di problematiche inerenti, della donna e della coppia nel suo insieme sono al centro di un acceso dibattito sulla fecondazione medicalmente assistita. La sfera del diritto raccoglie e rielabora le tematiche scientifiche ed etiche che il dibattito solleva. Ne abbiamo discusso con l'avvocato Riccardo Villani, professore di Diritto dei Contratti nel Dipartimento di Scienze Giuridiche dell'Università degli Studi di Ferrara. 

Dal punto di vista legale è possibile stabilire quando una cellula, o un insieme di cellule, diventa un soggetto avente diritto?

In realtà questo è uno dei grandi problemi che solleva la legge 40 approvata nel febbraio scorso. In precedenza la questione praticamente non si poneva. Infatti per quanto attiene alla nostra disciplina giuridica, l'articolo 1 del codice civile ci dice che la capacità giuridica si acquista con la nascita. Siamo molto lontani da un discorso legato alla cellula. In passato non si discuteva della possibilità di riconoscere soggettività o meno a una cellula o a due cellule o a un insieme di cellule: l'embrione non esisteva nel mondo del diritto. Quando il codice civile è stato fatto nel 1942, problematiche di questo genere erano lontane anni luce, e quindi, quello che al massimo ci si chiedeva all'epoca era: cosa succede al nascituro, cioè a chi sta per nascere ma non è ancora nato, alla luce di quell'aticolo 1 del nostro codice civile, un articolo fondamentale che in sostanza dice: sei persona nel momento in cui nasci.

Col passare del tempo ci si è accorti che in realtà conveniva anticipare la questione dell'applicazione di certe regole, perché grazie a una maggior sensibilità, ma soprattutto per una maggior conoscenza dei processi biologici e naturali, si è capito che fermarsi alla nascita non andava bene.

Sembra paradossale (per chi si occupa della pratica del diritto non lo è affatto), ma il provvedimento che maggiormente ha affrontato il problema della tutela dell'embrione è la stessa legge numero 194 del 1975 sull'interruzione volontaria della gravidanza. L'articolo 1 di quella legge stabilisce, infatti, che "lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile (...) e tutela la vita umana dal suo inizio". Ciò significa che al di fuori delle ipotesi tassative previste da quella normativa (e che sono legate alla esclusiva tutela della salute psico-fisica della madre) la vita in divenire è intangibile.

La disciplina sull'interruzione volontaria della gravidanza ha individuato una tutela del nascituro molto anteriore al momento della nascita. Nel passaggio che disciplina l'interruzione della gravidanza si è teso a sostenere che lo Stato tutela la vita fin dal suo inizio. Anche se non è chiaro quando si collochi l'inizio; dopodiché dato questo presupposto si sono individuate le ipotesi nelle quali si può ricorrere all'aborto.

La tutela approntata dalla legge sull'aborto tende in realtà a preservare il nascituro, il feto in sviluppo, salvo quei casi specificamente previsti dalla legge in cui è consentito l'aborto, non come fine a se stesso ma nel confronto con il diritto alla salute della madre. Ci sono infatti casi tassativi in cui la salute della madre deve prevalere, e quindi anche in situazioni drammatiche, si è scelto di preferire la vita della madre piuttosto che quella del nascituro, e consetire in questo caso l'aborto.

Una nota sentenza della Corte costituzionale (la 27 del 1975) affermò, infatti, che nell'eventuale contrasto tra i diritti della donna e quelli dell'embrione (nell'ipotesi per esempio di interruzione volontaria della gravidanza) dovevano senz'altro essere ritenuti prevalenti quelli della prima in quanto già persona, rispetto a chi persona ancora doveva divenire. Ciò non significava che all'embrione non dovesse essere riconosciuta una qualche forma di tutela, ma significava solo che la sua posizione, in un'ottica di bilanciamento degli interessi, doveva essere ritenuta subordinata a quella legata alla salute della madre che lo portava in grembo.

Al di fuori di questi casi, il nascituro deve essere tutelato e ha diritto alla vita. In realtà, come dicono tutte le pronunce della Corte Costituzionale e della Corte di Cassazione che nel tempo si sono avvicendate, si deve fare il possibile perché la nascita si realizzi.

In ogni caso siamo ancora molto lontani dalla questione posta nella sua domanda. Uno degli elementi che questa legge ha introdotto nell'articolo 1 è la tutela di tutti i soggetti compreso il concepito. Ma continuiamo a essere lontani dal contenuto della domanda: non si parla di una cellula o di un insieme di cellule. Il problema sta proprio lì. Noi stessi siamo un insieme di cellule, siamo il frutto dello sviluppo di quella cellula iniziale da cui abbiamo preso vita, origine. Quindi, un problema centrale nell'ambito del diritto è quello di individuare e definire il concepito; ciò non ha nulla a che fare con questioni bioetiche, morali o religiose. A me e al legislatore dovrebbe interessare questo tipo di problema, e non l'individuazione del momento in cui si può parlare di soggetto di diritto.

La legge fa riferimento al concepito, ma dire "il concepito" è un po' generico, anche in un'ottica di confronto con le legislazioni straniere. La nostra legge ha scelto di non dare alcuna definizione, cioè non dice che cosa sia un embrione. Al contrario le legislazioni straniere affrontano la questione: le legislazioni britannica, svizzera e tedesca prendono una posizione, ognuna a modo suo. Parlare di embrione, come indicato nella nostra legge, si presta evidentemente a interpretazioni. Infatti molti scienziati, come il professor Flamini, sostiengono che l'uso dell'espressione embrione fa riferimento a qualcosa di scientificamente ben preciso, che pare essere diverso dal concetto di semplice insieme di cellule, se con "insieme di cellule" intendiamo la partenza, l'innesco del meccanismo riproduttivo.

L'embrione sarebbe qualcosa che si forma in una fase successiva della gravidanza. Se venisse accettata quest'ultima interpretazione la maggior parte dei problemi connessi con la nuova legge verrebbero meno. La legge 40 impone una lunga serie di divieti, per esempio la crioconservazione, la possibilità di compiere esperimenti con la facoltà di produrre embrioni in numero superiore a tre. Tutti divieti che si riferiscono all'embrione. Allora a me parrebbe un elemento fondamentale stabilire innanzitutto che cosa è un embrione. La legge ha taciuto in merito: questo è un problema al quale non c'è una risposta sicura in questo momento.

La legge è nuova di zecca, bisognerà però vedere come la si applica: se verrà accettata l'idea che l'embrione è cosa diversa dalla semplice cellula uovo fecondata, penso che ciò basti a scardinarla interamente, perché in questa interpretazione molti divieti cadrebbero. Ma l'attuale orientamento non sembra andare in questa direzione. Una recentissima pronuncia del Tribunale di Roma sosteneva che scientificamente non c'è alcuna somiglianza tra una cellula uovo fecondata e l'embrione. Per coerenza con questa premessa, mi aspettavo che si sostenesse di conseguenza che i divieti applicati all'embrione non si possono applicare in un momento precedente, dove di embrione non si può parlare. Invece, stranamente, si conclude dicendo in sostanza che l'intenzione del legislatore è quella di utilizzare la parola embrione in senso non tecnico e di indirizzarla anche alla cellula uovo fecondata, con il ché si ritorna a portare fino all'origine tutti i divieti della legge.

Questo è un punto assolutamente fondamentale. Visto che il legislatore non ha preso posizione, l'interpretazione in via applicativa della legge porterebbe a strade opposte. Una è appunto quella delineata dal Tribunale di Roma. Se si conferma questa linea la legge chiude praticamente la strada quasi a tutto. Ma quella del Tribunale di Roma è la prima pronuncia in merito, non è detto che sia l'unica. Ne sono uscite altre tre in tutto, però riguardavano questioni diverse. Su questo argomento, che io ritengo fondamentale, vi è al momento solo questa.

In ogni caso, ritornando alla domanda, definire soggetto qualche cellula è da un punto di vista giuridico un'affermazione estremamente forte. Inoltre, attribuire all'embrione lo stato di soggetto non basta. Bisogna non solo prendere una posizione, ma occorre che questa scelta si armonizzi con tutto il sistema legislativo che ci sta intorno. Aver preso la posizione di elevare a soggetto l'embrione crea non pochi problemi, e di fatto, non a caso, è un tema che coinvolge uno dei referendum. Infatti quelli che l'hanno proposto tendono a far saltare la prescrizione che riguarda la soggettività dell'embrione: è chiaro che se questo punto della legge salta, ritorniamo al punto di prima; torniamo cioè alla tutela riconosciuta con la disciplina sull'interruzione della gravidanza, ad altre leggi speciali, al fatto che è principio basilare che la vita prenatale vada tutelata, senza però spingersi fino all'embrione in vitro.


Indipendentemente dall'attuale legge, quali sono in generale i diritti legati alla salute della donna che entrano in gioco nell'ambito della procreazione medicalmente assistita?

Diventa una problematica di tipo sanitario in senso generale, non diversa da quella che probabilmente si pone rispetto a ogni intervento sanitario, cioè regolata da principi di rispetto del consenso, principi della libera revocabilità del consenso in ogni momento. L'articolo 32 della nostra Costituzione dice che nessuno può essere sottoposto a trattamento sanitario contro la sua volontà. Da questo principio fondamentale discendono un'infinità di applicazioni pratiche. Semplificando, diciamo che nulla può essere fatto sul corpo di nessuno, che sia uomo o donna, a prescindere dal proprio consenso. Inoltre, il consenso può in ogni momento essere revocato. Tutto quello che attiene agli interventi sulla salute delle persone e ai trattamenti sanitari è sottoposto a questo principio.

La legge 40 apparentemente sembra metterlo in discussione. In realtà si ritiene che non si sia riuscito a intaccare questo principio, per quanto il terzo comma dell'articolo 6 della legge dice che non si può revocare il consenso dopo la fecondazione dell'ovulo. Sembrerebbe una cosa banale ma se ci si riflette, è dirompente nelle conseguenze, perché la fecondazione dell'ovulo è una tecnica che avviene in un qualche ambulatorio medico. Eseguita questa prima procedura della fecondazione in vitro, devono ancora iniziare i trattamenti medici sulla donna. Nel senso che una volta fecondato l'ovulo, successivamente si deve controllare che il processo si sia innescato. Solo dopo si procede con l'impianto nel corpo della donna. La legge dice che non si può più revocare il consenso dopo la fecondazione. I più all'indomani delle legge hanno interpretato tutto ciò come l'impossibilità di revoca del consenso al fine di far continuare il processo innescato. Paradossalmente la donna dovrebbe essere costretta a sottostare all'impianto dell'embrione nel suo corpo, perché non può più revocare il consenso, dopo una prima fase che si è conclusa.

La legge lo dice testualmente. Non mi sembra però che il principio possa essere inteso in questa maniera, perché altrimenti saremmo quasi in un regime di polizia: non si può costringere una donna a subire l'impianto di un embrione nei cui confronti ha cambiato idea. Una scelta differente da parte della donna potrebbe derivare da svariate ragioni, fino al fatto, forse quello meno condivisibile, che la donna ha semplicemente cambiato idea, cioè ieri ne aveva voglia e oggi non ne ha più voglia. Ma ci potrebbero essere casi ben più seri, ragionevoli, come per esempio la morte del marito o del compagno: si ha l'intenzione di avere dei figli a condizione però che abbiano un padre, ma se nel frattempo, dopo la prima fase di fecondazione dell'ovulo, il padre muore, è possibile che una donna possa cambiare idea, e non avere più intenzione di avere un figlio.

Nell'ottica di una straordinaria tutela dell'embrione, sostenere che una volta creato in vitro l'embrione, lo si deve per forza far nascere, è un'interpretazione comunque molto forte. In ogni caso, teniamo presente che c'è sempre la legge sull'interruzione della gravidanza: questo è un gradino insuperabile. Paradossalmente un attimo dopo che la donna fosse stata costretta all'impianto dell'embrione, c'è la legge sull'interruzione della gravidanza che le consente entro non più di novanta giorni di abortire. Quindi mi chiedo che beneficio si è ottenuto nell'ottica di tutela dell'embrione. Nessuna, perché è ovvio che se una donna rifiutasse l'impianto di quell'embrione, un istante dopo che l'avesse paradossalmente subito, chiederebbe l'aborto. Con l'aggravante che si esporrebbe a rischi di interventi. È una norma oggettivamente paradossale.

Inoltre, l'obbligo di impiantare tutti gli embrioni prodotti (stabilito dall'articolo 14 della legge 40) porta con sé l'aberrante conseguenza che anche qualora si accertasse che l'embrione è gravemente malato esso dovrebbe essere ugualmente impiantato. Circostanza che pare del tutto illogica anche alla luce del fatto che, comunque, come detto, la donna potrà ricorrere, un istante dopo l'impianto, all'interruzione della gravidanza.
L'obbligo di produrre non più di tre embrioni per volta, unito al divieto di crioconservarli (sempre previsto dall'articolo 14) fa sì che nell'ipotesi (tutt'altro che remota) di fallimento del primo impianto la donna debba sottoporsi a nuovi cicli di stimolazioni. Con evidente disagio oltre che pericolo fisico e psicologico.

Per concludere, il prevalente desiderio di tutela a tutti i costi dell'embrione rischia di far passare in secondo piano lo stesso diritto alla salute della madre, la quale risulta esposta a disagi e pericoli in nome di non si sa bene che cosa, vista, comunque, la vigenza della legge sull'interruzione volontaria della gravidanza. Ciò, dunque, che non le è permesso quando ancora l'embrione è conservato in una provetta di vetro, le sarà consentito un attimo dopo che la gravidanza dovesse essere iniziata. Il che, francamente, suscita più di qualche perplessità.

Come si sono "parlate" nel tempo la scienza e il diritto?

Nel caso specifico della legge 40, il dialogo tra scienza e legge pare essere stato, purtroppo, un dialogo tra sordi. In sede di lavori preparatori della legge, numerose sono state le audizioni di illustri scienziati e specialisti della materia, che tuttavia non hanno dato i frutti sperati. Pur occupandomi, io, esclusivamente di diritto, devo dire che le ragioni della scienza paiono essere state del tutto disattese dalla legge 40, la quale, a mio avviso, ha perso un'occasione importante. Cioè quella di disciplinare in maniera equilibrata (sottoponendo, magari, a rigorosi controlli) certe attività. Il supremo principio dell'intangibilità dell'embrione in vitro ha fatto sì che tutto ciò che potrebbe portare o all'evoluzione delle conoscenze in materia di malattie genetiche, o alla prevenzione delle stesse, o alla loro cura o, infine, alla semplice riuscita del progetto genitoriale, nel rispetto della salute della madre, sia stato talmente limitato e costretto dai divieti della legge il cui principale (almeno a voler credere ai primi dati statistici pubblicati dai media) a un anno di distanza dall'approvazione della normativa è stato quello, da un lato, della forte diminuzione delle procedure di procreazione assistita e, dall'altro, il notevole incremento dei viaggi all'estero (per chi può permetterseli) verso i centri di procreazione maggiormente permissivi. Senza contare il blocco totale della ricerca sulle cellule staminali embrionali.

Nota della redazione

È possibile consultare il testo completo della legga 40 che disciplina la procreazione medicalmente assistita all'indirizzo:
http://www.parlamento.it/parlam/leggi/04040l.htm

 

 

LEGGE SULLA PROCREAZIONE MEDICALMENTE (CLERICALMENTE) ASSISTITA

http://www.nogod.it/procreazioneclericale.htm
(contributi)

Fecondazione assistita
La legge della vergogna


Con l'entrata in vigore della legge sulla fecondazione assistita siamo tutti meno liberi come cittadini, e come donne in particolare. Con questa legge lo Stato italiano è meno laico, perché impone per legge principi morali propugnati dal confessionalismo del clero cattolico.
Una legge oscurantista, dove è bastato attribuire all'ovulo fecondato lo status giuridico di "nascituro" (così come la Chiesa romana predica), sia per vietare ogni possibilità di ricerca scientifica sui gameti, sia per riportare in un futuro non troppo lontano le donne a dover accettare la maternità come condanna.
Vediamo di riflettere su queste due questioni.
Come noto dai gameti umani possono avere origine tutte le altre cellule che compongono un individuo umano, e per questo il loro uso medico potrebbe essere vitale per la cura dei malati di Alzheimer, di Parkinson, di sclerosi laterale amiotrofica, di tumore ….e di molte altre malattie. Ma ogni speranza di sperimentazione scientifica in tal senso è definitivamente sepolta. I gameti sono stati sacralizzati per legge, e visto che sono soggetti giuridici, si potrà anche arrivare a chiedere per loro un giudice tutelare a garanzia del loro sviluppo. Forse potranno rivendicare anche l'eredità dai futuri-ipotetici-virtuali genitori. Chissà?
Ma torniamo alla ricerca scientifica. Quotidianamente interveniamo su tutte le altre strutture cellulari umane, anche con una semplice aspirina. E nessuno si scandalizza per il fatto che qualche cellula del corpo umano muoia o venga "manomessa" a seguito di terapie chemioterapiche, ad esempio, o per interventi chirurgici. Anzi cerchiamo e vogliamo l'intervento medico perché è in gioco la nostra salute o addirittura la nostra vita.
Nessuno è stato mai rassegnato di fronte alla malattia.
Neppure gli stessi ecclesiastici, sebbene credano che il mondo ed ogni evento nel mondo, malattie comprese, è il prodotto dalla superiore volontà del loro Dio Unico e Rivelato. E che in nome di questo Dio, per molti secoli, hanno ostacolato e represso la ricerca sul corpo umano, considerandola sfida intollerabile verso il mistero della vita, della natura che si doveva ritenere creata secondo un imperscrutabile disegno divino. Liberi pensatori, filosofi, scienziati sono stati perseguitati, incarcerati, mandati al rogo perché avevano avuto l'ardire di studiare la natura, di sperimentarla e di scoprire magari la non conformità alle pretese universalistiche delle ontologie ecclesiastiche. Come noto, nel medioevo (ma non solo) studiare e sezionare i cadaveri era vietato, e il mestiere del medico non godeva della stima che gli attribuiamo oggi. Anzi, era tra i mestieri "maledetti", e come tale veniva lasciato esercitare agli ebrei, che il pregiudizio dell'antigiudaismo cristiano aveva trasformato nei perfidi deicidi. Per non parlare delle erbarie, delle levatrici, donne che custodivano l'arte della farmacologia e che accusate di stregoneria a milioni, fino al XVIII sec., sono state cristianamente perseguitate, inquisite, bruciate.
La filosofia e la scienza, sfidando gli anatemi e i roghi, ha messo nella condizione di capire e di studiare la natura. Abbiamo imparato che la natura non è un'idea eterna, a priori. E non siamo così sprovveduti da non saper capire come dietro ai modelli universalistici di uomo, di donna, di natura, soprattutto se divengono coattivi, c'è sempre il vecchio desiderio totalitario di controllarci per impedire la legittima aspirazione ad una responsabile, autonoma e libera realizzazione individuale.
Appare fin troppo evidente, allora, che con la legge sulla fecondazione assistita, stabilendo per legge che i genomi sono equiparati ad un essere umano compiuto, si è voluta riproporre un'antistorica concezione di sacro mistero della vita.
E' questo il regalo che la Chiesa romana voleva. E' questo il regalo che ha ottenuto. E per questo le gerarchie non sono state troppo a sottilizzare sul fatto che qualunque fecondazione che avvenga in un laboratorio scientifico mette comunque in crisi il suo mito creazionistico. Non sono state troppo a sottilizzare che, per garantire fino in fondo questo presunto miracolo, anche la fecondazione omologa è per esse comunque inaccettabile. Del resto sanno bene, che proprio gli assurdi meccanismi di divieti e imposizioni introdotti scoraggeranno le coppie dall'intraprendere o dal persistere nella "procreazione assistita". La legge così come è combinata sarà essa stessa un deterrente, visto che poco si preoccupa della salute della donna, ma anche del nucleo cellulare appena fecondato, condannato a vivere anche se portatore di gravi malattie genetiche, e da impiantare quindi senza nessun accertamento preventivo nel corpo della donna.
La donna, dunque, potrà essere costretta all'impianto dell'embrione nel suo corpo. E' l'aspetto più repellente di questa legge. Non a caso qualcuno ha parlato di stupro di Stato.
Alla donna è inoltre negato un diritto elementare garantito ad ogni altro cittadino: scegliere liberamente un trattamento sanitario, e in ogni momento della terapia, stabilire se continuare ad accettarlo o sottrarsi ad esso. Nel caso della sterilità il trattamento sarà obbligatorio: i gameti non possono essere gettati, né conservati, e la donna dovrà prenderli nel suo grembo. E' il fiat del modello mariano che attraverso la legge sulla fecondazione assistita viene reimposto alle donne. Un fiat pienamente compiuto, se attraverso questa legge che fa dell'embrione una persona, si otterrà l'abrogazione della legge sull'interruzione volontaria della gravidanza.
Solo uno sprovveduto non può rendersi conto che l'obbiettivo vero per la Chiesa romana è quello di smantellare la legge 194. Cosa che le sarà abbastanza facile: se l'embrione è titolare di diritto, come non potrà esserlo a maggior ragione il feto?
Pertanto, quello che premeva alle gerarchie cattoliche e alla parte più retriva del mondo cattolico con le sue lobby dei movimenti della vita si compierà a breve. Non illudiamoci, il diritto alla maternità responsabile verrà rimesso in discussione, anche se la società civile non concorda affatto sulla repressione proibizionista che si sta realizzando sulla pelle degli individui, della donna in particolare, che evidentemente ancora per alcuni, continua ad essere lo strano animale, incapace di intendere e di volere, che s. Tommaso (per fare l'esempio più noto) pretendeva mancante di qualcosa, un errore di natura (aliquid deficiens et occasionatum -SummaTheologiae, I q.92, art.1 ad I), e per questo bisognosa sempre di un tutore: un padre, un fratello, un marito. Adesso lo Stato-Chiesa.
Che la chiesa faccia il suo mestiere non ci meraviglia affatto, ciò che ci sconcerta, è che la sua pur rispettabile visione del mondo, che ogni cattolico può benissimo seguire, debba divenire norma coattiva per ogni cittadino dello Stato Italiano.
Uno Stato sempre meno laico, meno progressista, meno democratico e sempre più genuflesso al Vaticano.
Maria Mantello

 

http://www.donneinviaggio.com/rinnovandosi/bioetica.htm


La Bioetica è Donna

di Cecilia Cortesi
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Non è solo simbolico concludere che la bioetica più che laica o cattolica, è donna, poiché il controllo sul corpo della donna può essere effettuato in vari modi ed essere possibile anche grazie alle tecnologie, se ciò non avviene con il consenso, la scelta e l'autonomia femminile.


http://www.lucacoscioni.it/node/3400

«Una brutta legge, ideologica e carica di vizi di costituzionalità».

Il professor Stefano Rodotà, membro dell’European Group On Ethics in Science and new Tecnologies non ha dubbi: «Voterò quattro sì convinti il 12 giugno, perché la legge sulla procreazione assistita è un brutto passo indietro del diritto».

Professore, stavolta tra etica e diritto sembra aver vinto la prima.
Ne sono assolutamente convinto: avevo cercato anche di segnalarlo in parlamento, quando sono stato sentito. C’era il rischio di una legislazione di tipo autoritario, che tendesse ad imporre un particolare punto di vista in una materia come questa dove le posizioni sono fortemente differenziate in ragione sia degli orientamenti culturali e religiosi, sia delle valutazioni scientifiche. Dunque, fare appello alla laicità non significava cercare di imporre un punto di vista, ma al contrario sottolineare che in materie come questa il legislatore deve tener conto dei diversi punti di vista, che sono il riflesso di convinzioni personali e sociali diffuse. In questo modo si sarebbe evitato di correre un rischio, che era evidentissimo e che poi si è realizzato: questa è una legge che nel tentativo di imporre un punto di vista, a cominciare da un’idea dell’embrione, ha finito per delegittimare se stessa e il legislatore.

Perché?
Perché è una legge che si è rivelata per molti aspetti inapplicabile, che viene aggirata dal turismo procreativo, che è già socialmente rifiutata, considerando le molte dichiarazioni di parlamentari che oggi dicono “l’abbiamo votata rendendoci conto che andava modificata”. Quindi, partendo dal fatto che il diritto non è un veicolo che può costruire valori condivisi in modo autoritativo arriviamo a una situazione in cui il diritto viene delegittimato.

Dunque, conferma: siamo di fronte all’«ingannevole potenza del diritto»?.
Certo, quando il diritto pretende di imporre un comportamento alla donna, prevedendo l’obbligo di impianto contro la sua volontà degli embrioni creati, rivela da una parte la impraticabilità delle via giuridica e dall’altra che una norma di questo genere fa violenza agli stessi principi fondativi di una paese civile e democratico dove, lo dice l’articolo 32 della costituzione, nessun trattamento sanitario può essere imposto in materia di salute violando il rispetto della persona umana.

Ma fino a che punto il diritto può entrare nella sfera delle libertà di scelta degli individui?
Questo è un punto essenziale. In questi anni ci siamo resi conto del fatto che il diritto non può impadronirsi della “nuda vita”, cioè di tutta una serie di scelte che progressivamente sono state riconosciute alle persone e non possono essere sequestrate dalla regola giuridica. Come, ad esempio, il diritto di rifiutare le cure anche a costo della fine della vita. In questi casi, il diritto di fronte a situazioni esistenziali, ha fatto un passo indietro, ha riconosciuto che non si può imporre un’etica. Questo non vuol dire che non ci sia il riconoscimento di un valore. Il valore in questo caso è l’autodeterminazione di ciascuno per quanto riguarda la propria vita. Prima il “dominus” di queste situazioni era il medico che stabiliva quale dovesse essere la cura, anche senza il consenso dell’interessato, poi, da un certo momento in poi si è stabilito che tutto deve avvenire in base al consenso informato della persona, tant’è che qualcuno ha detto che è nato un nuovo soggetto morale.

E adesso un nuovo salto indietro?
La legge 40 sembra che vada esattamente nella direzione opposta: negare, per quanto riguarda le decisioni esistenziali, la libertà e la responsabilità di ciascuno. Ma c’è un secondo elemento in controtendenza: riprendere il controllo del corpo femminile, un corpo che era stato progressivamente liberato, prima dalla contraccezione, poi dalla possibilità di abortire, e infine dalle tecniche di procreazione assistita. Con questa legge si è colta l’occasione per riprenderne il controllo perché, insisto, l’obbligo di impianto di tutti gli embrioni fecondati è una violenza programmata legislativamente che non precedenti nella storia. Si è arrivati alla concezione del corpo femminile come a puro contenitore. A cui viene vietato di “ospitare” un embrione frutto della fecondazione eterologa. Ormai siamo di fronte a una prepotente rivincita della biologia sulla biografia. Negli anni passati una delle grandi tendenze che ha retto la riforma dell’adozione e quella del diritto di famiglia, è stata quella di ritenere che la vita delle persone più che essere governata dal puro legame biologico, dalla materialità, è governata dagli affetti. Il modello di famiglia creato dalla riforma si basa sulla forza degli affetti: il peso attribuito all’adozione è stato quello appunto di ritenere più importante un legame affettivo che non la pura costruzione basata sulla biologia. E qui salta fuori un’altra contraddizione della legge 40 quando prevede che la coppia che si sottopone alla fecondazione deve essere informata sull’adozione. Il legislatore che si pone in questo modo non può poi ritenere che tutto sia riducibile al dato rappresentato dalla biologia ricondotta il più possibile alla natura. Il divieto dell’eterologa non tiene conto che la forza degli affetti può essere molto più forte del dato biologico.

Non crede che possa aver influito la Chiesa?
Ne sono assolutamente convinto. Questa è una storia che arriva da lontano. Io stesso sono stato presentatore di una proposta di legge in questa materia, moltissimi anni fa. Ricordo nel dibattito pubblico, che era molto acceso, il peso che esercitava già allora la posizione della Chiesa, la quale era ritenuta così importante da costituire un ostacolo a una legislazione italiana che fosse sul modello di quella degli altri paesi. Un autorevole esponente democristiano con il quale parlai dell’argomento mi spiegò molto chiaramente che pur condividendo alcune mie posizioni non poteva non ascoltare quelle d’Oltretevere.

Desideri e diritti - riflessioni sulla fecondazione medicalmente assistita

di Mary Nicotra 

http://www.donneinviaggio.com/rinnovandosi/fecondazione.htm
 ''Non c'è assolutamente niente di rivoluzionario nel controllo del corpo della donna da parte dell'uomo. Il corpo della donna è il terreno su cui è stato eretto il patriarcato''
Adrienne Rich (1977)

Parlare di fecondazione medicalmente assistita per me equivale metaforicamente al trovarmi davanti all' ingresso di un palazzo di cui, come ovvio, è impossibile scorgere contemporaneamente la struttura portante, i materiali utilizzati, le decorazioni, i piani e le cantine… il rischio di non riuscire a cogliere una visione di insieme il più possibile accurata e dettagliata è assolutamente certo …per tutte/i i presunte/i implicati.
Si tratta infatti di intrecci complessi e delicatissimi che riguardano in primis le donne.
Le donne che, nella loro dimensione soggettiva, devono affrontare i propri difficili e ambivalenti vissuti psicologici di sterilità ed elaborare il proprio desiderio di maternità, con il pesante rimorchio a seguito dei tentativi fallimentari, delle tensioni, delle frustrazioni. del sentirsi inadeguate, delle riflessioni e implicazioni etico-morali che le interrogano. 
Le donna, nella loro dimensione sociale, ancora una volta, al centro del dibattito politico, come ''corpo sociale'' 
La storia della medicina e la storia delle donne hanno avuto un percorso parallelo, e lo spazio sociale delle donne è sempre stato mediato dalla medicina fatta dagli uomini (Rosetta Papa, 2000). E la storia inizia da lontano.
 
Nel Medioevo la donna era considerata un ricettacolo passivo dell'embrione. Nella concezione dell'epoca, il seme maschile apparteneva alla categoria delle idee e il sangue mestruale alla categoria delle materia. 
Nel Rinascimento i seguaci di Galeno descrivono il corpo femminile come impotente e debole e posizionano la donna ad un livello intermedio tra l'animale e l'uomo. 
A partire dal XVI secolo, i medici e i filosofi naturalisti si liberano delle vecchie teorie e formulano la teoria utero-centrica in base alla quale la dignità della donna è nella sua funzione procreativa.
E facendo un tuffo di 400 anni tornando in Italia in tempi più recenti, mi avvalgo delle parole di Rosetta Papa:
Nel 1925 il regime fascista istituisce l'Omni (Opera nazionale maternità e infanzia) che nel giro di pochi anno conta di 92 ambulatori pei principali capoluoghi di provincia. Il 26 Maggio del 1927 Mussolini, con il famoso discorso dell'Ascensione, dà inizio alla campagna demografica del regime. Il calo demografico, infatti, mal si adatta alle necessità militari e lavorative dello Stato fascista. La 'politica' si impone di fatto nel privato delle famiglie, si definisce il modello culturale di 'madre di famiglia', nuovo stereotipo delle adolescenti dell'epoca.
E' dello stesso anno l'Enciclica Casti Connubi che penalizza le pratiche contraccettive (De Giorgio, 1992).
Inizia così il periodo buio degli aborti clandestini, e solo dopo più di 50 anni, con un referendum popolare indetto dal movimento radicale e voluto soprattutto dal movimento delle donne, l'aborto viene legalizzato. 
E' evidente che la fertilità delle donne ha sùbito sempre l'esplicito controllo da parte del potere, modificandosi nel corso della storia secondo i climi culturali di puritanesimo o di liberizzazione.
Progressivamente il problema della sterilità è diventato sempre più importante e le scoperte della biologia riproduttiva hanno aperto nuovi spazi diagnostici e terapeutici.


Da qui l'esigenza da parte degli Stati di regolamentare attraverso le leggi gli sviluppi delle biotecnologie, e negli ultimi anni, si è accesso un notevole dibattito anche in Italia.
Già il 9 Giugno 1996 il ''Manifesto per una bioetica laica'' (IL Sole 24 Ore) ribadiva la necessità di separare la sfera morale da quella religiosa e la morale dal diritto con parole premonitrici, rispetto agli scenari attuali: La società nella quale viviamo è una società complessa. E' una società nella quale convivono diverse visioni dell'uomo, visioni diverse della società, visioni diverse della morale. Per questo è impossibile pensare che in un campo come quello della bioetica, che tocca le concezioni e i sentimenti più profondi della persona, possa esistere un canone morale a vocazione universale.
Per dirla con Adele Cesàro: la visone laica della bioetica non rappresenta una versione secolarizzata delle etiche religiose. Non vuole costituire una nuova ortodossia (…) . La visione laica si differenzia dalla parte preponderante delle visioni religiose in quanto non vuole imporsi a coloro che aderiscono a valori e visioni diverse 
Quando si parla di società complesse si parla di pluralismo e mi sembra opportuno sottolineare che l'accettazione del pluralismo non si identifica con il relativismo come spesso strumentalmente affermato da molti.
La libertà della ricerca, l'autonomia delle persone, l'equità, sono per i laici valori irrinunciabili, e sono valori sufficientemente saldi da garantire regole di comportamento che nutrono il rispetto delle differenze di opinione e dei vincoli sociali.
Non so più a quale piano del palazzo mi trovo, ma apro un'altra finestra. 
Nel terzo quaderno del Tavolo di donne sulla bioetica (giugno 1998) sono stati evidenziati alcuni problemi da parte di esperte/i . Alcuni frammenti significativi:
Demetrio Neri ricordava che la legge in materia anche nella cattolicissima Spagna riconosce il principio di autodeterminazione della donna, e recita infatti all'art 1 :" Tutte le donne al di sopra di 18 anni, mentalmente e fisicamente sane, possono accedere alla Tra (tecniche di riproduzione assistita). Se sono sposate devono avere l'assenso del marito''
La genista Persico ha invece posto l'accento alla problematica connessa al consenso informato avanzando il dubbio che l'informazione fornita alle donne che si sottopongono alla fecondazione assistita spesso non sia adeguatamente dettagliata e tale da permettere a quese ultime valutazioni approfondite rispetto al rapporto costi-benefici di questi interventi comunque invasivi ( la percentuale di successo delle Tra è del 10%) 
La studiosa Lidia Menapace ha insistito sulla necessità di partire da una definizione in cui l'infertilità non sia riconosciuta come patologia, ma come ostacolo a procreare e si appella ad una medicina che cerchi le cause di questo fenomeno, non che elimini solo il sintomo
E un'altra finestra, ancora, questa volta sulle Leggi europee:
1) la fecondazione omologa ( cioè esclusivamente con seme del partner) è ammessa in tutti i Paesi Europei per le coppie sposate: per le coppie di fatto è ammessa in Austria, Svezia, Spagna, Norvegia, Francia,Gran Bretagna.
2) la fecondazione eterologa (con donatore esterno alla coppia) è ammessa in tutti i paesi europei tranne l'Italia
3) la fecondazione eterologa in vitro è ammessa in Austria, Svezia, Spagna, Norvegia, Gran Bretagna - è vietata in Francia, Germania, Italia
4) la fecondazione eterologa per le donne single è consentita in Gran Bretagna e Spagna
5) in caso di fecondazione eterologa è prevista l'identificazione del donatore in Svizzera, Gran Bretagna, Svezia, Germania, e Austria, mentre è vietata in Spagna e Francia
6) inoltre, nel mondo arabo la sola fecondazione assistita omologa è ammessa in Egitto e in Arabia Saudita.

In Italia, l'approvazione del disegno di legge sulla procreazione assistita risale al 9 Luglio 2003 e la proposta verte sui seguenti punti principali 

· Riconoscimento di soggetto giuridico all'embrione e conseguente diritto a nascere
· Divieto alla fecondazione eterologa
· Divieto alla clonazione e sperimentazione sugli embrioni
· Concessione alle pratiche di procreazione medicalmente assistita solo alle coppie sposate o conviventi
Il dibattito sul disegno di Legge sulla Fecondazione medicalmente assistita è ripreso in modo accesso a fine settembre.
I sostenitori inneggiano alla sconfitta del (presunto) caos procreativo, grazie all'avvento di una legge che tutelerebbe e garantirebbe i diritti della famiglia (intesa come nucleo primordiale della società), dell'individuo (riconosciuto già allo stadio di embrione).

Le voci che si oppongono provenienti dai Movimenti delle donne e dalle Parlamentari donne, evidenziano invece le insidie che questo disegno di Legge (per come è stato concepito) porta con sé: subordina la salute psico-fisica della donna a principi filosofici a-priori, invade delicati campi riguardanti esclusivamente le scelte personali di donne e uomini, nega il principio dell'autodeterminazione femminile, (nel non consentire la fecondazione eterologa), e fa vacillare con esso anche i principi democratici dello Stato laico, dal momento che attribuisce allo Stato la funzione decisionale e il controllo etico di scelte individuali (ad esempio solo alle coppie sposate, conviventi ed eterosessuali è permesso accedere alla PMA). Inoltre nel riconoscimento del diritto giuridico dell'embrione (il diritto a nascere) si cela un'altra insidia che mette in discussione la legge 194 (sull'interruzione volontaria di gravidanza).

Ma c'è dell'altro, a mio parere.

Questo modo di procedere nutre di nuovo lo stereotipo della donna come macchina biologica contenitore di un embrione (come nel Medioevo?!?) e c'è ancora qualcosa di più sottile… in qualche modo vi è un'altra appropriazione indebita che riguarda " l' altra scena" quella che appartiene al piano simbolico che sostiene l'ordine del linguaggio e della rappresentazione per il soggetto.

Riorganizzare i significati del lutto e della perdita che i vissuti di sterilità portano con sé, indagare il proprio desiderio di maternità (e paternità), interrogarsi su quale risposta si darà al proprio figlio così concepito sono di diritto del soggetto, dell'individuo e della persona (chiamatela come volete). Comprimere, negare e ridurre sul piano soggettivo questa 'elaborazione' dei significati, imponendo dei significati normativi e assoluti esterni che decidono a priori quale è il discorso soggettivo 'giusto', non solo mette in grave pericolo il futuro di qualsiasi società laica e democratica, ma contribuisce ad alimentare il disprezzo del limite e il trionfo dell'onnipotenza. Onnipotenza da parte di chi? E a cosa mi riferisco? Lascio la domanda aperta, sorgeranno delle domande in chi legge,spero, e sarò lieta di accogliere una discussione nel forum di DonneInViaggio se ci sarà interesse da parte vostra.

Mary Nicotra
Riferimenti bibliografici e link di interesse
Adele Nunziante Cesàro (a cura di) Il bambino che viene dal freddo - Procreazione assistita: una lettura al femminile di Rosetta Papa - Procreazione assistita:il desiderio di un figlio di Adele Nunziante Cesàro Ed Franco Angelo 2000
Link utili:
Dal sito mammeonline
Glossario utile 
http://
www.mammeonline.net/pma/glossario.htm
Testimonianze
http://
www.mammeonline.net/pma/testimonianze.htm
Il sito mammeinprovetta
http://
www.madreprovetta.org/
articolo su DonneInViaggio Aprile 2002 
http://
www.donneinviaggio.com/tu_e_gli_altri/tecniche_di_riproduzione.htm
 

 

http://www.fdca.it/generi/chimera.htm

Una chimera fatta legge
Note sulla procreazione medicalmente assistitaì 

"La sessualità viene allora accuratamente rinchiusa. Mette casa.
La famiglia coniugale la confisca e l'assorbe tutta nella serietà della funzione riproduttiva. La coppia, legittima e procreatrice, detta legge; s'impone come modello, rende efficace la norma, detiene la verità, conserva il diritto di parlare riservandosi la prerogativa del segreto. (...) E ciò che è sterile, se insiste e si mostra troppo si trasforma in anormale: ne riceverà lo statuto e dovrà pagarne le sanzioni" Michel Foucault (1)

Noialtri vittoriani. Così inizia la storia della sessualità di Michel Foucault, e noi vittoriani lo siamo ritornati davvero, per mano dei legislatori, di un parlamento che ha approvato dopo un iter lunghissimo, la legge sulla procreazione medicalmente assistita nel dicembre del 2003. La visione del mondo secondo cui la riproduzione è procreazione ovvero creazione in funzione di qualcos'altro sia dal punto di vista simbolico sia dal punto di vista fisico e corporeo, per cui i figli si fanno in virtù di qualcosa che trascende il consorzio umano, una visione del mondo rigidamente religiosa e creazionista, ha determinato le linee della nuova legge, a partire dal nome: "Norme in materia di procreazione assistita".

Le tecniche di fecondazione assistita dal 1978 ad oggi hanno aiutato qualche centinaia di migliaia di bambini a nascere, figli di persone con problemi di sterilità appartenenti al primo mondo. Queste pratiche sono comunque regolate da limitazioni tecniche e scientifiche e da disposizioni deontologiche per cui è lecito domandarsi il perché di tanto accanimento per far approvare una legge che, invece di controllare con maggiore cura l'operato dei centri che si occupano di questi interventi in Italia (così come accade in Francia dove c'è una legge dal 1994), va a colpire direttamente i soggetti che intendono accedere alle tecniche di fecondazione assistita. Da indagini dell'Istituto Superiore di Sanità (2) emerge che la situazione nel nostro paese non era fuori controllo ma anzi che i rapporti con i centri erano stati istituiti già da anni. Anzi una discussa circolare del Ministro della Sanità on. Degan (1985) che restringeva l'accesso alle tecniche omologhe (3) solo alle strutture pubbliche mentre lasciava la possibilità di quelle eterologhe alle strutture private, circolare non ovunque recepita a livello territoriale, già forniva maggiore opportunità al libero mercato penalizzando il servizio pubblico. Ora si apre alla migliore offerta sul libero mercato dell'Europa unita visto che l'Italia nazionalista e purista intende attenersi alla omologia, e anche alla sterilità in alcuni casi, della famiglia eterosessuale. Non crediamo che la fecondazione artificiale sia una passeggiata che ciascuno vuole compiere amabilmente cercando un figlio su misura. L'invasività delle tecniche sul corpo della donna e sulla psicologia della donna e del suo compagno sono sottovalutate, o solamente ignorate nel nostro immaginario per cui il bello è che sembra che si possa avere un figlio su ordinazione, mentre su ordinazione non c'è niente se non una trafila estenuante e la speranza di riuscire ad avere una gravidanza anche dopo anni di attesa. Perché questa legge?

Cerchiamo di analizzare, decostruire alcuni punti nevralgici del testo approvato per poter risalire a spiegazioni nascoste, quasi sepolte sotto l'apparente naturalità della piana e sterile sintassi del legislatore. Tra le finalità della legge vi è quella di assicurare diritti a tutti i "soggetti coinvolti, compreso il concepito". Nell'articolo 5 in cui si esplicano i "Requisiti soggettivi" di chi potrà accedere alle tecniche si parla espressamente e solo di "coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi". Chi sono i soggetti a cui questa legge assicura i diritti? Un soggetto che non è un soggetto individuale, ma una coppia, da un lato e dall'altro un soggetto che non è tale, che non ha una sua materialità, un soggetto che non parla, che non si muove, che solo dispute teologiche possono decidere quando diviene soggetto, se ora o tra mezz'ora o quattro giorni. Questa legge detta le disposizioni di diritto in cui devono avvenire una serie di operazioni molto materiali, che hanno a che fare con i corpi fisici e con la fisiologia e la psicologia di soggetti capaci giuridicamente e dotati di diritti civili, ma che al momento di sottoporsi a queste tecniche per lo Stato italiano spariscono nella loro individualità e materialità in favore di qualcosa che trascende la loro vita individuale e la loro libera scelta.

Se la sterilità è riconosciuta dall'Organizzazione Mondiale della Sanità come malattia che colpisce uomini e donne, perché la possibilità di fare figli con aiuto esterno viene data alla coppia e non ai singoli affetti da questa malattia, ed è la coppia che deve essere soggetto titolare di diritto in questo ambito di intervento medico? Infatti sia uomini che donne non sono quasi mai nominati nel testo, in particolare la donna - sul corpo della quale avviene la quasi totalità delle pratiche connesse alla riproduzione assistita - non viene mai presa in considerazione prima del Capo VI dedicato alle "Misure di tutela dell'embrione" il cui articolo 14 tratta dei "Limiti all'applicazione delle tecniche sugli embrioni". A questo punto risultava difficile non nominare la donna e allora i parchi legislatori si limitano a prenderla in considerazione, ma come? Le tecniche sono rivolte ad un corpo dal quale occorre prendere gli ovociti, dopo averlo sottoposto a dovute stimolazioni ormonali, ma gli ovociti che devono essere fecondati non possono essere più di tre perché poi gli embrioni non siano più di tre, ma non tutti gli ovociti sono uguali e adatti alla fecondazione, come non tutte le cellule che si aggregano in vitro sono di qualità tale da sviluppare un embrione. Inoltre non tutti i cosiddetti embrioni sono di buona qualità per annidarsi nell'utero (la percentuale di successo è al 24% ora che la legge non è ancora applicata, tenderà probabilmente a scendere viste le limitazioni). I vincoli posti da questa legge sono sulla gestione del corpo della donna che viene scomposto, destrutturato in organi atti alla riproduzione, mentre di lei come soggetto - che è il corpo di cui si tratta - il testo tratta solo per chiarire che il trasferimento contemporaneo degli embrioni nell'utero può essere bloccato solo a causa di "grave e documentata causa di forza maggiore relativa allo stato di salute della donna non prevedibile al momento della fecondazione". Ma se la fecondazione avviene esternamente al corpo della donna e in vitro, quando dovrebbe essere previsto il suo stato di salute? E si può parlare di salute in relazione ad una persona che viene bombardata da cicli ormonali e che è esasperata psicologicamente dalla lunga trafila in cui si esplica la medicalizzazione riproduttiva del suo corpo?
Chi deve documentare lo stato di salute della donna è il medico. Ed è il medico che deve decidere della salute della donna per il reimpianto degli embrioni che non possono essere crioconservati. Tutto si gioca su un corpo che è oggettivato, che non ha la dignità di un soggetto che può mantenere la libertà di scelta, quella che gli è propria in altri settori della vita. Ma perché?

E' lecito a questo proposito non scandalizzarsi o reclinare il capo ma cercare una spiegazione che si trova nella secolare espressione della biopolitica, di quella serie di provvedimenti che vengono a rispondere alla necessità di avere ed esercitare potere sulla gestione della vita individuale e sociale. Il concetto di biopolitica è stato sviluppato da Michel Foucault e precisamente spiega il cambiamento di prospettiva epistemologica che avviene nel XVIII secolo quando al potere sovrano che decide quando il suddito deve morire, che ha il privilegio di dare la morte, si sostituisce una organizzazione di politiche atte alla gestione della vita sociale ma anche individuale (in questo periodo si organizzano gli ospedali e nasce la scientificità della classificazione, della distribuzione dei soggetti, della loro impiegabilità disciplinata nel sociale). Lo Stato borghese ha avuto un grande ruolo nello sviluppo delle politiche rivolte alla gestione della vita, e la questione della riproduzione della vita è sempre stata un punto focale di questo settore della politica. Non limitiamoci a pensare che questa legge sia solo uno degli esempi di biopolitica mettendoci il cuore in pace, infatti si farebbe un errore di miopia. Occorre invece fare uno sforzo per approfondire la questione e chiedersi perché proprio un settore così marginale come la fecondazione assistita meriti per il nostro parlamento una legge così, invece di regolamenti specifici più tecnici e per gli addetti ai lavori, proprio quelli che mancano a questo testo troppo generalizzato per alcuni aspetti e molto rigido per altri. Infatti la posta in gioco non è tanto la fecondazione assistita quanto il dare una chiara indicazione di disciplina dei corpi, di negazione della soggettività politica e giuridica dei cittadini e di mettere ancora una volta sotto scacco le donne e le loro libertà. La potenzialità di creazione delle donne è ancora il cruccio di tutte le ramificazioni del patriarcato, da quelle cattoliche integraliste che mirano a sottomettere la soggettività della donna alla potenza creatrice di una divinità che trascende l'umana vita, a quelle scientifico-mediche che ancora non hanno la possibilità di accaparrare dal corpo della donna, fatto a pezzi dall'immaginario e dalla pratica medica, il donare la vita.

Una espressione privilegiata della biopolitica è stata sin dal XVIII secolo la creazione di un potere/sapere medico e giuridico che investe il corpo femminile riproduttivo per patologizzarlo. Quindi se da un lato alla donna comincia ad essere riconosciuto il legame indissolubile con il feto (messo in discussione dalla supposta neutralità del feto rispetto al corpo della madre delle prospettive scientifiche precedenti) dall'altro tutta l'organizzazione dell'ostetricia e della letteratura scientifica e divulgativa fatta di divieti e imperativi e consigli alla donna durante la gravidanza fa trasparire il ruolo nascosto della teratologia scientifica. Se la donna aveva una funzione attiva nella riproduzione allora era lei che doveva essere disciplinata perché la possibilità che generasse mostri riposava nella sua indisciplina corporea e immaginativa (4). La donna che rimaneva impressionata in negativo o che immaginava in positivo qualcosa di mostruoso/estraneo, conduceva emozioni che potevano creare un mostro (5). A questi discorsi si è intrecciato da sempre il discorso razzista per cui è su questo corpo che occorre porre una normazione tale che da questo corpo non nasca un bambino impuro, non omologo. Tutte le politiche razziste e nazionaliste si sono occupate in maniera scientifica di costruire apparati culturali e giuridici per tutelare la donna come il contenitore di una discendenza pura fino a giungere alle espressioni più violente della biopolitica nelle recenti guerre balcaniche e del continente africano fatte di stupri e di considerazione simbolica del corpo della donna come di una terra, di un confine da difendere o di cui impossessarsi. Ma non occorre uscire dal territorio italiano per vedere che dal punto di vista giuridico il corpo della donna è inteso in senso oggettivante. Infatti nel nostro ordinamento permane la concezione della libertà dell'habeas corpus come senso del possedere, dell'avere proprietà di un corpo che si esprime nella mancanza di limitazioni (libertà negativa) e che potenzialmente può promuovere la libertà positiva (autodeterminazione). Nel nostro ordinamento non è ancora stata iscritta l'inviolabilità del corpo della donna, perché la questione dell'autodeterminazione cozza con quella del possedere/detenere. In particolare per quello che concerne il corpo della donna occorre stabilire la proprietà della sua potenzialità riproduttiva anzi procreativa. Non è funzionale alla biopolitica infatti che la donna abbia la possibilità di vivere il proprio corpo, di essere il proprio corpo in un senso che supera quello della proprietà e del detenere, e che questo sia riconosciuto come autodeterminazione, perché la donna permane un contenitore per altro, e su questo contenitore è necessario ribadire la proprietà.

Altro problema da non sottovalutare è quello della sterilità che può colpire gli individui e che in quanto malattia può essere aggirata con l'escamotage della fecondazione assistita. La sessualità simbolicamente sterile, quella che non è finalizzata alla procreazione e al 'donna partorirai con dolore' di biblica e dogmatica memoria, è sempre stata un problema per il biopotere nell'occidente cristiano e in particolare nella tradizione cattolica. Anche per questo è stata approvata una legge che nasconde - restringendo le possibilità di accesso alle tecniche - i corpi sterili fisiologicamente e quelli sterili simbolicamente (lesbiche, donne sole, omosessuali), una legge che classifica, che divide e che orienta il nuovo corso della biopolitica italiana. Monia Andreani


Articolo apparso su A rivista anarchica 299, anno 34 n. 4, maggio 2004
Note:1. La volontà di sapere, Milano, Feltrinelli, 1997, pp. 9 - 10.
2. Cfr. Indagine sull'attività di procreazione medicalmente assistita in Italia, Rapporti ISTISAN n. 03/14, Istituto Superiore di Sanità, 2003,
www.iss.it/pubblicazioni
3. Il significato di omologo ed eterologo viene del tutto stravolto nel testo della legge sulla procreazione assistita (ancora Ddl. 1514). Infatti il significato di eterologo è relativo a qualcosa che appartiene ad altra specie, mentre questa legge, con malcelato intento razzista, interpreta come eterologo un gamete maschile o femminile esterno alla coppia che intende accedere alle tecniche di fecondazione assistita.
4. Cfr. Rosi Braidotti, Madri, mostri e macchine, Roma, Manifestolibri, 1996.
5. Echi di queste paure infatti si trovano nella specificazione del legislatore che vieta espressamente: "la fecondazione di un gamete umano con un gamete di specie diversa e la produzione di ibridi o di chimere". Dalla singolarità immaginifica di questa affermazione deriva il titolo di questo articolo.
 

ENRICO PEYRETTI / ALCUNE PERPLESSITA'

Da La nonviolenza in cammino Numero 941 del 26 maggio 2005

http://lists.peacelink.it/nonviolenza/msg00225.html

Ho firmato a suo tempo l'appello di "Adista" per la liberta' di coscienza nel referendum sulla
procreazione assistita del 12-13 giugno. La mia firma e' stata per la
decisione personale, che puo' essere partecipazione o astensione, voto si',
o no, o scheda bianca. Io rifletto, a monte del referendum e della legge,
con molta preoccupazione, nel testo che segue, che non e' da leggere come
una dichiarazione di carattere conclusivo, ma come espressione di una
preoccupatissima meditazione e attenzione, che purtroppo non mi pare
considerata da chi ragiona solo di leggi e schieramenti.
*
Ripresento alcune domande morali, non religiose, sulla sostanza che conta,
piu' che sulla legge:

1. Posso fidarmi, in generale, delle tecnoscienze oggi spesso tracotanti,
condizionate e dirette piu' dal profitto del capitale che dall'interesse
umanitario, che spesso guastano la natura invece di perfezionarla (producono
armi distruttive di massa anzitutto a favore del privilegio dei ricchi,
seminano pericolose scorie millenarie nella vita dei posteri, sequestrano il
cibo dei poveri imponendo sementi sterili da comperare ogni anno,
compromettono l'equilibrio dell'ambiente vitale), piu' di quanto mi possa
fidare della natura stessa, la quale, nonostante tutto, al contrario di
ieri, oggi pare meno pericolosa dell'intervento dell'uomo?
Sono perplesso e inclino a pensare di non potere fidarmi, in generale, delle
tecnoscienze.

2. Posso fidarmi di una scienza oggi tanto celebrata, quasi fosse il massimo
dei saperi, ma fortemente inquinata dai poteri economici, i quali, col
dare-negare finanziamenti e istituzioni, indirizzano a forza sia la ricerca
sia l'applicazione, nelle direzioni in cui pensano di trarre profitto,
anche a scapito di inviolabili diritti umani di persone e popoli, e a danno
della natura, mentre negano l'appoggio a direzioni di ricerca e applicazione
medica, sanitaria, ecologica, cooperativa, alimentare, pacifica, solo
perche' possono trarne minore profitto? Posso fidarmi abbastanza di una
ricerca scientifica che non ha tutto il diritto, l'importanza e l'utilita'
che le spetterebbe e avrebbe se il capitale fosse al suo servizio, invece di
servirsene? Posso fidarmi di una scienza che, di fatto, non e' puramente
scientifica, ma, nelle condizioni attuali di abbondante ignoranza e
imprevedibilita' degli effetti, puo' anche essere criminale, perche' manca
spesso di quella cautela scientifica che impone di evitare effetti forse
irreversibili?
Posso fidarmi molto poco, e piuttosto diffidare e stare in guardia.

3. Posso fidarmi di una scienza e tecnica medica e farmaceutica che ha mille
meriti, ma e' orientata in generale a stra-curare i ricchi e i loro desideri
(fino a raddrizzare i nasi, gonfiare i seni, e far crescere i capelli ai
calvi) tras-curando i poveri nei loro bisogni vitali primari e nella difesa
dalle piu' semplici malattie, lasciati soffrire e morire perche' non pagano?
Sono perplesso e inclino a dire che non stimo giusto l'orientamento
complessivo di questa medicina e dell'industria farmaceutica.

4. Posso fidarmi di politiche e legislazioni che, mentre omettono largamente
la costruzione della giustizia e della pace e restano disponibili alla
guerra e all'ingiustizia mondiale, pur di acquistare il favore popolare
amano andare incontro ad ogni desiderio, quelli legittimi (come avere un
figlio), ma anche i piu' futili, come se fossero dei diritti, con
conseguente crescente giuridicizzazione dei rapporti umani? E distribuiscono
circenses ai frivoli piu' che panem ai deboli? E favoriscono i beni privati
e individuali piu' dei beni comuni, necessari ai poveri? E privilegiano le
possibilita' dei ricchi piu' dei bisogni dei poveri?
Sono molto perplesso e mi fido molto poco.

5. Posso fidarmi dell'ethos dominante nella societa', specialmente nelle
espressioni piu' influenti (spettacoli, persone in vista, modelli
compiacenti), che orienta la ricerca e la politica, ethos caratterizzato dal
liberismo etico individualista, insofferente del limite dettato dal diritto
di chi ha meno e puo' meno, insensibile al principio che non e' giusto per
me quel che non e' giusto per tutti (o che almeno non cerchiamo di ottenere
per tutti), e sordo, se non contrario, al principio per cui la giustizia e'
misura della liberta', e non viceversa?
No, non mi fido di questo ethos, causa profonda di ingiustizie.

6. Posso fidarmi di una probabilita' morale, in campi delicati come il
rispetto della vita umana, per cui pensiamo di non colpirne il diritto
intervenendo su di essa dopo averne stabilito con sicurezza forse eccessiva
il momento iniziale e finale? Posso pensare che quella probabilita' sia una
certezza morale? Posso fidarmi di scelte, in questo campo inviolabile,
dettate dall'audacia operativa, dalla passione del successo, e anche da
interessi demagogici ed economici, piu' che da cura umana e da cautela
scientifica?
Sono molto, molto perplesso.

7. Non mi piace la pratica in questione, ne' come la regola questa legge,
non mi piace allargare la legge, ne' confermarla, ne' l'astensione. Forse,
forse, forse, lo diro' votando quattro schede bianche.
 

 

Bobbio: ecco perché sono contro l’aborto

http://www.db.avvenire.it/avvenire/edizione_2004_01_11/articolo_409041.html


Di Giulio Nascimbeni

Alla vigilia del referendum sull'aborto, il «Corriere della sera» dell'8 maggio 1981 pubblicò un'intervista di Giulio Nascimbeni a Norberto Bobbio. Il filosofo, tra i massimi esponenti della cultura laica del dopoguerra, spiega così le sue ragioni a favore della vita.

Sono con Norberto Bobbio nel suo studio di Torino, fra scaffali gremiti e tavoli coperti da giornali e riviste. «Non parlo volentieri di questo problema dell'aborto» mi dice. Gli chiedo perché. «È un problema molto difficile, è il classico problema nel quale ci si trova di fronte a un conflitto di diritti e di doveri».
Quali diritti e quali doveri sono in conflitto?
«Innanzitutto il diritto fondamentale del concepito, quel diritto di nascita sul quale, secondo me, non si può transigere. È lo stesso diritto in nome del quale sono contrario alla pena di morte. Si può parlare di depenalizzazione dell'aborto, ma non si può essere moralmente indifferenti di fronte all'aborto».
Lei parlava di diritti, non di un solo diritto
«C'è anche il diritto della donna a non essere sacrificata nella cura dei figli che non vuole. E c'è un terzo diritto: quello della società. Il diritto della società in generale e anche delle società particolari a non essere superpopolate, e quindi a esercitare il controllo delle nascite».
Non le sembra che, così posto, il conflitto fra questi diritti si presenti pressoché insanabile?
«È vero, sono diritti incompatibili. E quando ci si trova di fronte a diritti incompatibili, la scelta è sempre dolorosa».
Ma bisogna decidere.
«Ho parlato di tre diritti: il primo, quello del concepito, è fondamentale; gli altri, quello della donna e quello della società, sono derivati. Inoltre, e questo per me è il punto centrale, il diritto della donna e quello della società, che vengono di solito addotti per giustificare l'aborto, possono essere soddisfatti senza ricorrere all'aborto, cioè evitando il concepimento. Una volta avvenuto il concepimento, il diritto del concepito può essere soddisfatto soltanto lasciandolo nascere».
Quali critiche muove alla legge 194?
«Al primo articolo è detto che lo Stato "garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile". Secondo me, questo diritto ha ragione d'essere soltanto se si afferma e si accetta il dovere di un rapporto sessuale cosciente e responsabile, cioè tra persone consapevoli delle conseguenze del loro atto e pronte ad assumersi gli obblighi che ne derivano. Rinviare la soluzione a concepimento avvenuto, cioè quando le conseguenze che si potevano evitare non sono state evitate, questo mi pare non andare al fondo del problema. Tanto è vero che, nello stesso primo articolo della 194, è scritto subito dopo che l'interruzione della gravidanza non è mezzo per il controllo delle nascite».
E se, abrogando la legge 194, si tornasse ai «cucchiai d'oro», alle «mammane», ai drammi e alle ingiustizie dell'aborto clandestino? L'aborto è una triste realtà, non si può negarla.
«Il fatto che l'aborto sia diffuso, è un argomento debolissimo dal punto di vista giuridico e morale. E mi stupisce che venga addotto con tanta frequenza. Gli uomini sono come sono: ma la morale e il diritto esistono per questo. Il furto d'auto, ad esempio, è diffuso, quasi impunito: ma questo legittima il furto? Si può al massimo sostenere che siccome l'aborto è diffuso e incontrollabile, lo Stato lo tollera e cerca di regolarlo per limitarne la dannosità. Da questo punto di vista, se la legge 194 fosse bene applicata, potrebbe essere accolta come una legge che risolve un problema umanamente e socialmente rilevante».
Esistono azioni moralmente illecite ma che non sono considerate illegittime?
«Certamente. Cito il rapporto sessuale nelle sue varie forme, il tradimento tra coniugi, la stessa prostituzione. Mi consenta di ricordare il Saggio sulla libertà di Stuart Mill. Sono parole scritte centotrent'anni fa, ma attualissime. Il diritto, secondo Stuart Mill, si deve preoccupare delle azioni che recano danno alla società : "il bene dell'individuo, sia esso fisico o morale, non è una giustificazione sufficiente"».
Questo può valere anche nel caso dell'aborto?
«Dice ancora Stuart Mill: "Su se stesso, sulla sua mente e sul suo corpo, l'individuo è sovrano". Adesso le femministe dicono: "Il corpo è mio e lo gestisco io". Sembrerebbe una perfetta applicazione di questo principio. Io, invece, dico che è aberrante farvi rientrare l'aborto. L'individuo è uno, singolo. Nel caso dell'aborto c'è un "altro" nel corpo della donna. Il suicida dispone della sua singola vita. Con l'aborto si dispone di una vita altrui».
Tutta la sua lunga attività, professor Bobbio, i suoi libri, il suo insegnamento sono la testimonianza di uno spirito fermamente laico. Immagina che ci sarà sorpresa nel mondo laico per queste sue dichiarazioni?
«Vorrei chiedere quale sorpresa ci può essere nel fatto che un laico consideri come valido in senso assoluto, come un imperativo categorico, il "non uccidere". E mi stupisco a mia volta che i laici lascino ai credenti il privilegio e l'onore di affermare che non si deve uccidere».

 

Roberto Colombo
 
"LA GESTAZIONE ECTOBIOTICA"

http://www.academiavita.org/

16 febbraio 2002 

Negli ultimi giorni, attraverso le agenzie di stampa, è stata diffusa la notizia di alcuni esperimenti - condotti dalla dottoressa Hung-Ching Liu e dai sui collaboratori presso il Center for Reproductive Medicine and Infertility del Weill Medical College (Cornell University, New York) - che avrebbero mostrato la possibilità ed il percorso investigativo e biotecnologico per giungere, entro alcuni anni di ricerca biologica e clinica, allo sviluppo di un "utero artificiale" capace di accogliere e sostenere lo sviluppo di un embrione umano dallo stadio di blastocisti sino alla viabilità fetale (capacità di sopravvivenza extrauterina). Scopo di questi studi sperimentali -secondo quanto dichiarato dalla ricercatrice al domenicale britannico The Observer -è quello di consentire la procreazione attraverso una gestazione ectobiotica (o ectogenesi) anche a donne affette da gravi patologie uterine che impediscono l'insorgenza della gravidanza. E' la situazione, per esempio, delle pazienti con agenesie e ipoplasie mülleriane, sottoposte ad isterectomia conservativa delle ovaie o che presentano un aborto spontaneo ricorrente. Attualmente, nei casi citati ed in altri di severa insufficienza nidatoria o gestazionale, la donna può divenire madre solo attraverso l'adozione o la "maternità sostitutiva".

Gli studi in corso, divulgati al pubblico solo ora, non sono una novità per gli addetti ai lavori e per chi conosce la letteratura primaria pertinente. La circostanza prossima che ha portato alla loro notificazione è rappresentata dal convegno promosso dal dipartimento di filosofia della Oklahoma State University, che si volgerà i1 22-23 febbraio p.v. a Tulsa (Oklahoma, Usa) sotto il provocatorio titolo "The End of Natural Motherhood?" ("La fine della maternità naturale?"). Il "nuovo dilemma etico" affrontata nel simposio, come anticipato dagli organizzatori, sarà precisamente la tecnologia dell'ectogenesi e le sue applicazioni nel campo della procreazione umana. In realtà, alcune episodiche sperimentazioni volte a far crescere un embrione umano al di fuori del corpo della madre oltre il quinto-sesto giorno dalla fertilizzazione (quando, di norma, esso può continuare a svilupparsi solo se trasferito in utero) erano già state condotte negli ultimi dieci anni, anche in Italia.Ma vennero presto sospese sia per l'insufficienza dei risultati ottenuti sia per le reazioni di scetticismo e disapprovazione che tali esperimenti avevano suscitato nel mondo accademico e clinico.

Accanto a questi tentativi di ectogenesi totale, non sono mancate ricerche volte ad ottenere nell'animale di laboratorio una gestazione ectobiotica parziale. La più conosciuta è quella condotta alla Jutendo University di Tokio, dove alcuni feti di cavia sono stati asportati dall'utero e trasferiti in incubatori riempiti con liquido amniotico. La dottoressa Liu e la sua équipe alla Cornell Universiry da alcuni anni sono impegnati nello studio dei fattori citochimici dell'impianto, nella co-coltura in vitro di tessuto endometriale e connettivo, e nella coltura di embrioni umani precoci su tessuto endometriale autologo di origine bioptica, prelevato da donne che avevano sofferto di insufficienza nidatoria nel corso dei cicli di trasferimento in utero a seguito di fecondazione artificiale. I loro principali lavori sono apparsi, negli ultimi quattro anni, sulle riviste di settore Fertility and Sterility, Journa/ of Assisted Reproduction and Genetics, e American Journal of Reproductive lmmunology.

La comunicazione più recente, con i risultati che hanno consentito la realizzazione dell'esperimento di impianto di una blastocisti umana in un endometrio ectopico in vitro, è stata presentata al 57th Annual Meeting della American Society for Reproductive Medicine, tenutosi a Orlando (Florida) dal 20 al 25 ottobre 2001. Nella sessione pomeridiana del 22 ottobre (abstract 0-59) la ricercatrice taiwanese ha riportato l' esito dei propri studi di ingegneria tessutale delle cellule endometriali umane mediante un polimero biodegradabile di supporto. Circa duecentomila cellule endometriali (stromali e ghiandolari) sono state seminate in una matrice extracellulare copolimerica porosa costituita da collageno (il più diffuso componente proteico del corpo umano) e condroitina-6-solfato (un mucopolisaccaride attualmente impiegato per fabbricare la c.d. "pelle artificiale" che viene utilizzata in alcuni casi di trattamento delle ustioni). La coltura della matrice per alcune settimane in presenza nel mezzo di coltura di insulina, di un estrogeno (estradiolo) e di un progestinico (6-metil-17-idrossi-progesterone) ha consentito la fissazione e la crescita di un tessuto tridimensionale di tipo endometriale avente uno spessore simile a quello rinvenibile in vivo e dotato delle strutture di tipo ghiandolare che ricordano quelle che si sviluppano nella fase proliferativa e secretiva del ciclo uterino, e che sono necessarie per nutrire l' embrione impiantato sino alla formazione di una placenta emocoriale. Sin qui le premesse metodologiche del tentativo compiuto dai ricercatori della Cornell University. Il resto attende di essere conosciuto nella sua completa documentazione scientifica, ma è già stato parzialmente rivelato in modoinformale dalla dottoressa Liu. Alcuni embrioni umani allo stadio di blastocisti (ca. 5 giorni di vita), ottenuti da fecondazione in vitro, sono stati fatti aderire al tessuto artificiale di tipo endometriale ehanno iniziato il processo di annidamento. Il loro sviluppo è rimasto sotto osservazione per sei giorni, terminati i quali l'esperimento è stato volontariamente interrotto. Il team di ricercatori, considerato il successo iniziale, sembra intenzionato a far proseguire lo sviluppo ectogenetico embrionale almeno fino al quattordicesimo giorno, termine ultimo consentito dalla vigente legislazione statunitense in materia di procreazione artificiale umana.

Anche a prescindere dalle restrizioni imposte dalla legge (nei paesi ove essa è in vigore), il progetto di una ectogenesi totale non appare di facile realizzazione. Con il secondo mese di sviluppo non sono più le cellule endometriali a fornire il nutrimento necessario all'embrione, ma subentra in tale ruolo -decisivo per lo sviluppo del concepito - un organo embrionale-materno, chiamato placenta, che raggiunge il suo pieno ruolo funzionale (nutritivo, respiratorio, escretorio ed endocrino) con la fine del primo trimestre di gravidanza. Già prima di allora, tuttavia, le sostante nutritive e l'ossigeno vengono diffuse dal sangue materno a quello fetale attraverso la barriera ematoplacentare, ed i metaboliti di scarto prodotti dal feto passano nella direzione opposta. La disponibilità di un tessuto endometriale artificiale rappresenta la condizione necessaria ma non sufficiente per sostenere lo sviluppo completo dell'embrione e del feto in vitro. Se e come le indispensabili funzioni placentari potranno essere vicariate attraverso una connessione vascolare extracorporea rimane, allo stato attuale dell'arte, una domanda senza risposta attendibile. Ciò non di meno, la prospettiva ectogenetica evocata da questi esperimenti, condotti senza ritegno su embrioni umani vivi e distrutti dopo sei giorni di osservazione, rimane inquietante e solleva numerosi e gravi interrogativi antropologici, etici, sociali e giuridici

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Per meglio comprendere le implicazioni antropologiche ed etiche di questo nuovo capitolo della storia della procreazione artificiale, che si apre con la prospettiva di una gestazione ectobiotica, può risultare utile riprendere alcune affermazioni discusse in taluni circoli medici e della ricerca biotecnologica che hanno trovato eco in un recente passato anche presso alcuni settori della pubblica opinione e della stampa. Esse rappresentano, al presente, solo l'opinione di pochi e forse il progetto operativo di nessuno tra essi. Ma le idee pericolose non devono essere mai trascurate, anche quando appaiono così irragionevoli da sembrare indegne di essere prese in esame. La clonazione umana, prospettata all'indomani di quella della pecora Dolly, costituisce un esempio istruttivo di come un denigrato sogno che aveva turbato le coscienze di tutti e generato un coro di sdegnate proteste in ogni parte del mondo sia in breve tempo divenuto una realtà in alcuni laboratori, sotto il pretesto di un contributo alla ricerca sulle cellule staminali autologhe per la terapia degli innesti di tessuto.

Ben al di là degli scopi enunciati dagli studiosi della Cornell Universiry, che prevedono di riservare la possibile applicazione della ectogenesi totale (autologa od eterologa) ai soli casi di infertilità da fattore uterino - assai ristretti., presenti in ca. l'1,1% delle coppie che ricorrono alla fecondazione artificiale negli Stati Uniti (rilevazione del Center for Disease Control and Prevention per l'anno 1999) - vi è chi vede nella gestazione ectobiotica una "metodo alternativo per la riproduzione umana del futuro", che potrà sostituire quella naturale (endobiotica) "in un numero sempre crescente di circostanze della vita della donna, quali la malattia cronica, la professione o l'impegno sociale e politico". Senza considerare, sottolineano altri, che "la gravidanza naturale, nonostante i progressi dell'ostetricia, porta sempre con sé il rischio di un insuccesso, consuma tempo ed energia, e può provocare sofferenza alla madre prima, durante e dopo il parto". Non mancano neppure coloro che leggono le ricerche sulla ectogenesi in una prospettiva eugenetica, complementare ed integrabile con quella aperta dalla selezione dei gameti e dalla diagnosi pre-impianto. Infine è da registrare la voce - per la verità assai solitaria - di chi allude alla evenienza di una "paternità indipendente dalla maternità", volta a soddisfare il desiderio di un figlio da parte di soli uomini mediante il ricorso a donazione di ovociti e ad ectogenesi totale eterologa.

Ad un prima considerazione di natura antropologica, le istanze avanzate in favore della gestazione ectobiotica, come - nel loro complesso - quelle riguardanti l'impiego delle biotecnologie riproduttive in vitro destinate a "mettere in braccio" un figlio ad una coppia sterile, tradiscono una concezione dell'actus humanus che ne disconosce la fondamentale distinzione dal mero actus hominis. La riduzione del primo al secondo risulta negatrice della singolare dignità della persona umana nell'universo dei viventi e istituisce come unico referente della progettualità scientifica e della prassi clinica lo scopo, elimina così il senso dall'orizzonte della critica alle scelte operate in campo biotecnologico. Se lo scopo biologico della gestazione nella donna è indubbiamente quello di consentire lo sviluppo e la nascita di un nuovo membro della specie Homo sapiens, il senso della gravidanza umana si inscrive in quello della procreazione di un soggetto personale, e dunque nell'ordine razionale secondo il quale l'uomo e la donna sono chiamati dal Creatore ad offrire i propri corpi, nella communio personarum sponsale, per la generazione, lo sviluppo e l'accoglienza della vita di un figlio. In tale offerta corporale, indisgiungibile da quella spirituale, trova il suo senso pieno e sublime - e dunque il suo valore inalienabile, in sé e per sé - ogni atto procreativo, inclusa la gestazione che ne costituisce la perfezione somatica finale. «Scopo e senso - afferma Romano Guardini - sono i due modi di presentarsi del fatto che una cosa esistente ha fondato diritto di essere quella che è. Dal punto di vista dello scopo una cosa si inserisce in un ordine che va oltre di essa; nei riguardi del senso essa sta a sé e riposa in se stessa» (Vom Geist der Liturgie, Freiburg i. Br., 1909; tr. it.: Lo spirito della liturgia, Brescia, 19302, p. 118). Un uso strumentale della gravidanza, quale quello che si compie attraverso la maternità surrogata o l'ectogenesi, priva di qualità e di consistenza morale la decisione procreativa personale della donna e dell'uomo, fondata sul reciproco dono di sé attuato nel matrimonio. L 'essere che si sviluppa nell'utero e che lo abbandonerà attraverso il parto non è un semplice individuo biologico di una specie di mammiferi, ma è esso stesso persona singolare, unica ed irripetibile, costituita ad immagine e somiglianza di Dio (cf. Gn 1,26). Allo sbocciare di questa nuova vita umana personale la donna partecipa in modo del tutto particolare attraverso il suo corpo ed il suo spirito, perché la maternità è legata alla natura costitutiva dell'essere donna nella sua unitotalità corporeo-spirituale (corpore et anima unus) e come tale la fa «partecipare al grande mistero dell'eterno generare». (Giovanni Paolo II, Mulieris Dignitatem, 21 ).

In questa prospettiva, il punto di vista ultimo e decisivo non può essere quello "tecnologico" della efficienza e della efficacia, bensì quello propriamente antropologico che dispone alla comprensione di eventi di carattere intenzionale. Nel già citato saggio, Guardini avverte il rischio di valutare la generazione degli esseri viventi in termini meramente quantitativi: «L 'intera natura potrebbe essere piena di esseri, la cui riproduzione potrebbe essere ottenuta in una maniera assai più rapida ed economica. La sconfinata applicazione del finalismo alla natura non rimane per nulla immune da contestazioni» (Lo spirito della liturgia, p. 116). A maggior forza questo è vero per la generazione umana: essendo definiti da una relazione di natura personale che trova nell'imago Dei la propria eziologia, il generare e l'essere generati si sottraggono all'economia del "fare" e dell' "essere fatti" che caratterizza il mondo degli oggetti per collocarsi propriamente nella sfera dell' "accogliere" e dell' "essere accolti" che denota il mondo dei soggetti. Il grembo verginale di Maria, che accolse la caro Verbi e la diede alla luce, è, in quest'ordine, il prototipo di ogni gestazione e suggerisce, in modo unico e irripetibile, il senso di quella singolarissima unità nella distinzione che caratterizza ogni relazione materno-fetale: «Quella "pienezza di grazia", concessa alla Vergine di Nazareth in vista del suo divenire Theotòkos, significa allo stesso tempo la pienezza della perfezione di "ciò che è caratteristico della donna", di "ciò che è femminile". Ci troviamo qui ad un punto culminante, all'archetipo della personale dignità della donna» (Mulieris Dignitatem, 5) .

«L' ipotesi o il progetto di costruzione di uteri artificiali», unitamente alla «maternità sostitutiva» e alla «gestazione di embrioni umani in uteri di animali», è da considerarsi moralmente illecito (Congregazione per la Dottrina della Fede, Istruzione Donum Vitae, I, 6 e II, 3). La valutazione morale di tali progetti o pratiche ostetriche discende dalla antropologia della procreazione sopra considerata, essendo questi procedimenti «contrari alla dignità di essere umano propria dell'embrione» (Donum Vitae I, 6) nonché lesivi del diritto naturale di ogni uomo ad essere concepito e a svilupparsi in una relazione personale corporeo-spirituale con la madre nell'ambito della unione coniugale di un uomo e di una donna. La mancanza di idoneità fisica o psichica alla gestazione naturale - pur rappresentando «una sofferenza che tutti debbono comprendere ed attentamente valutare» (Donum Vitae, II, 8) - non pone in essere un vero e proprio diritto a ricorrere alla maternità sostitutiva o alla ectogenesi, essendo entrambe una violazione grave del rispetto dovuto alla dignità sia dell'embrione in quanto essere umano in fase di sviluppo sia della donna in quanto madre. Tale giudizio negativo si estende anche alla fase sperimentale della gestazione ectobiotica, con la circostanza aggravante della inevitabile distruzione di embrioni umani che la ricerca in questo campo, irta di difficoltà biologiche e tecniche, comporta. Così elevata è la posta in gioco, che «ogni ricerca., anche se limitata alla semplice osservazione dell'embrione, diventerebbe illecita qualora, per i metodi impiegati o gli effetti indotti, implicasse un rischio per l'integrità fisica o la vita dell'embrione» (Donum Vitae, I,4). Infine, se la pratica dell'ectogenesi - un giorno eventualmente introdotta nel novero delle procedure realizzabili in sicurezza per l'embrione - venisse estesa anche ai casi non propriamente patologici, una ulteriore accelerazione, prevedibile, ineluttabile e gravissima, sarebbe impressa al processo sociale di medicalizzazione della procreazione, estendendo arbitrariamente il campo dell'intervento ostetrico dal monitoraggio e dalla terapia delle gravidanze a rischio ad una sostituzione della stessa gestazione naturale con un processo strumentale artificioso. Alla cultura del dono e dell'accoglienza della vita si sostituirebbe così quella della operatività iatrotecnica e della prestazione biotecnologica.  / (pubblicato su L'Osservatore Romano, Sabato 16 febbraio 2002, p. 4)

"Non la madre è la generatrice di quello che è chiamato suo figlio,
ma è soltanto la nutrice del germe in lei seminato.
 E il fecondatore che genera: e lei come straniera a uno straniero salva il germoglio,
se un dio non lo soffoca prima" (Eschilo /Eumenidi )
 


 
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