Ritratti

di Nadia Scardeoni

 

I. Gabriella Goffi: Il lavoro delle mie mani

La parola di Gabriella Goffi.

Il mio mondo s'è fatto piccolo, tre stanze più i servizi, ma il mio tempo ugualmente preme, come fosse l'universo stesso; allora io confondo il finito con l'infinito ........

Se parlo del " mio lavoro" mi capita di usare frasi spezzate, interrotte, come certi stranieri che non sanno bene la lingua.

Questo mi è utile, io credo, per dare incisività alle mie parole e per affermare ciò che di per se è molto semplice.

Quando ho iniziato questo " gioco" non potevo fare altrimenti., cucire, recuperare, riutilizzare era quello che sapevo e che potevo fare. Un lavoro antico come le donne antiche, che contengono in sé la pazienza e il silenzio necessari a quest'arte.

Il tempo mi ha fatto il dono della perseveranza, così che la mia voce prendesse sempre più forma attraverso ciò che avevo imparato.

Nel riscoprire questa possibilità riscopro me stessa.

Nell'arte, nelle donne, nel silenzio c'è sempre una domanda che vuole formularsi e in sé contiene la risposta che da sempre avremmo voluto sentire. Tentare questo colloquio con se stesse è una sfida a desiderare con i propri occhi.

Usare strade conosciute per inventarne di nuove mi fa calare direttamente nella realtà lasciandomi quel tanto di sospensione e di attesa che mi permette il sogno.

"lo, via lattea, diafana,
pulviscolo incolore
chiesi forma
aspettando coperchi a depositarmi.."

Oggetti

il luogo dove sono ora, non è più il luogo dove eravamo.
…..sottratta ad un destino?

L’incontro con gli oggetti, con la loro materia, volume e dimensione, non è stato casuale. Conosciuti da sempre, essi fanno parte della mia memoria, mi permettono oggi di dar corpo ad un immaginario che preme.

Il ferro mi suscita fascino e timore. Mi colpiscono in particolare le forme di certi ferrivecchi, parlo di cose che non esistono più, ormai inefficienti per la loro funzione originaria.

Essi tuttavia nascondono possibilità non ancora esplorate e il mio piacere è nel guardarli con occhi nuovi e trovare per loro (e per me) un esistenza nuova.

Il momento è fatto di ascolto, di passività e di ricerca nello stesso tempo, la meta è un insieme che li comprenda rispettandone la forma e la materia. Mi piace partire da oggetti reali, cercarli, sceglierli e la ruggine, la ruggine soprattutto, l'usura, i segni dei tempo sulla materia.

Metterli insieme, poi, soddisfa il mio bisogno di fare ordine, un bisogno dei tutto femminile di guardare ad una piccola realtà, perennemente in disordine, da riordinare. Non devo ricostruire un mondo, sono ricca, trasformo una realtà che già esiste.

La tela mi rimanda ad immagini più elaborate, richiede un lungo lavoro di cucitura, c'è il gusto del lavoro paziente, la ripetitività dei punti, il fascino dei colori.

I personaggi nascono lentamente come se dovessi covarli.

A volte non nasce niente.

E' giusto.

E' giusto che non tutto arrivi a compimento. La soluzione talora appare tardi, ed è là dove non penseresti. C'è l'imprevisto, il caso e la scelta. Guardare dentro di me e fuori di me, dentro di me e fuori di me. E' un gioco, una fatica che conosco. E' il fare che mi interessa, che mi appartiene.

Per il resto so che ci sono donne e cavalieri, personaggi che vanno e tornano. Sono, tutto sommato, figure in agguato.

E' perché hanno questi occhi che li rendono vivi?

Certamente ogni opera, che sento con lo sguardo prima che nelle mani, mi permette di osare l'incontro tra la mia realtà interiore ed esteriore. Soddisfa un pensiero che è di libertà a cui affido la pretesa di potersi dire da solo. (Gabriella Goffi)

………………..

Verso l’ autrice…

Il mio primo incontro con le opere di Gabriella Goffi resterà così, come l'ho vissuto, una gemma incastonata nel tessuto delle esperienze che, per il senso di meraviglia, per l'improvviso stupore che incanta la mente e per la felicità del cuore dentro la gioiosa scoperta, ci costringono ad un abbraccio immediato quasi che la separazione , il distacco, ci possano comportare una grave perdita di noi stessi.

Non si tratta di un groviglio di emozioni.

Credo che Gabriella Goffi abbia costruito per sè e per noi, un percorso straordinario dentro la più dolorosa metafora dell'esistenza: il vuoto d'amore.

Dalla mutilazione degli affetti familiari alla perdita della sua identità e capacità di identificarsi.

Una perdita di sè come un precipizio dentro la storia dell'umano e degli uomini, fino alla sorgente delle incisioni rupestri per ricominciare a sillabare una lingua superbamente essenziale, evocata e ritrovata, ci è concesso di capire, dentro una nuova relazione d'amore.

Corpi di una sacralità nuda ed ostentata, impossibili da corrompere per la loro totale estraneità al dettaglio del quotidiano e del contemporaneo, cuciti dagli archetipi dell'esistenza, si guardano e ci guardano, muti ed eloquenti, e ci narrano con il sillabario povero dei legni recuperati, dei nastri, dei chiodi, una incredibile , preziosissima storia che , ancora una volta, inarca il limite della nostra speranza.

Gabriella Goffi ci può far credere, infine, che l'amore ci basta

Per incontrarla dobbiamo sostare.

E poi intraprendere con fede un cammino.

Nadia Scardeoni

Eco:

"Attraverso un sentiero del bosco,
in un comodo cantuccio,
un elastico e lindo filo di ragno,
asperso di allegria solare e di ombra,
è sospeso nei cieli; e con un tremito impercettibile
il vento lo fa vibrare, tentando invano di strapparlo;
il filo è saldo, sottile, diafano e semplice.
E' tagliata la viva cavità dei cieli
da una linea sfavillante, da una corda policroma.
Noi siamo avvezzi a stimare solo ciò che è confuso.
Con falsa passione nei nodi ingarbugliati
cerchiamo sottigliezze, ritenendo impossibile
congiungere nell'anima semplicità e grandezza.
Ma sono meschine, ruvide e smorte le cose complesse;
e l'anima sottile è semplice come questo filo.
z. gippius

…………….

Dialogo

 

Gabriella, se tu potessi rivedere la tua vita e rifare un percorso ideale per rintracciare i segni, le premesse del tuo lavoro di oggi, ripensare alle tue mani come strumenti che liberano un linguaggio, che cosa troveresti?

 

Se devo pensare alla mia infanzia: era molto solitaria.....stavo bene da sola.

Mi bastavo e giocavo con tutto, con i bottoni, con gli alberi.

Ora parlavo con gli alberi, ora stavo zitta.

C'è stato un periodo in cui studiavo poesie su un libro che avevamo in casa; passavo le ore ad imparare le poesie a memoria.

Imparavo le poesie ed ero felice.

Se devo pensare alla mia infanzia penso a questo piacere di restare sola.

Abitavo anche isolata. La mia era una famiglia numerosa.

Avevo fratelli e sorelle ma stavo bene da sola, a guardare gli altri: era come se io fossi sempre alla finestra.

Quando io ero piccola mia sorella maggiore era molto malata. Poi è morta..

Io avevo otto anni e lei quindici.

Lei era malata da sempre ma io non avevo mai capito niente. Ora capisco da adulta che i grandi volevano tutelarmi non raccontandomi perché lei appariva e spariva per la sua malattia al cuore.

E, un giorno, é sparita del tutto

Dopo due anni l'altra mia sorella ha deciso di farsi suora.

Loro erano molto importanti per me.

Ho incominciato la mia adolescenza e loro non c'erano più.

Loro, per me, erano tutto. Le ammiravo, le adoravo.

Ho avuto un'adolescenza difficile, molto difficile.

Poi, quando avevo diciannove anni é sparita un'altra persona: mia madre.

A vent'anni le donne della mia casa erano tutte sparite e il mio dolore, il mio disagio è stato così grande che sono sparita anch'io.

Sparite loro io non ero più nessuno. Con loro se n'era andata la mia identità.

Le mie mani?

Le mie mani, le ho sempre usate tantissimo.

Eravamo poveri e giocavo con tutto. Scrivevo molto, tenevo diari, ricopiavo poesie.

Ero molto attaccata alle poesie perché "loro" mi davano delle immagini che altrimenti non vedevo.

Una in particolare, la ripetevo come una preghiera: " La spigolatrice di Sapri: "Eran trecento, eran giovani e forti e sono morti........"

Io li vedevo.......

C'è voluto molto tempo prima che io scoprissi che, con le mie mani, potevo fare di più. Molti anni. Fino a trent'anni io ho vagato. Poi ho sposato un uomo che era un artista.

Lui era l'artista, non io.

Prima di allora le mie mani avevano lavorato e basta.

Io sono figlia di contadini, credo che l'arte proprio a casa mia non........

Non esisteva la possibilità che io imparassi ..... anche se amavo moltissimo ........

La mia mamma mi insegnava a cucire. Io ero una donna, e allora dovevo imparare a cucire.

Se io ho un ricordo delle mie mani a quell'età: erano mani che dovevano cucire e fare cose utili.

C'era una cosa che lei mi ripeteva sempre: "Quando saremo morti e andremo in Paradiso, S. Pietro ci guarderà le mani e dirà: "queste mani hanno lavorato, queste mani non hanno lavorato".

Questa cosa mi é rimasta molto dentro: le mie mani devono dimostrare che lavorano.

Non é che lei me l'abbia ripetuto continuamente, forse me l'ha detto una volta sola.

 

Tua sorella…… morta così giovane ?.........

 

Essendo malata lei non poteva fare altro che scrivere o disegnare e lei scriveva e disegnava. Le rafforzavano queste cose perché erano le uniche cose che lei poteva fare. Lei era molto ricca e scriveva poesie, dipingeva e scriveva anche ..cose musicali.

Io le sono stata molto vicino, non ho ricordi precisi ma mi pare che la.... assorbivo.

Per me, lei é stata uno specchio

Io, veramente, questa sorella l'adoravo. Era così bella.

Ma forse ora capisco anche che lei era così bianca perché era malata: io la vedevo così bella con quelle sue mani così bianche.

Mi sembrava una Dea...............

Probabilmente é stato accanto a lei che io ho avvertito, senza rendermene conto, tutti questi stimoli . Io mi immagino una bambina passiva che guarda e ascolta.

Una bambina che non fa rumore ma assorbe.

Ero così: "una bambina che non faceva rumore ma assorbiva".

Legate alle mie mani ricordo solo le cose utili. Dovevo cucire perché ero una ragazza.

Le mie mani per lavorare.

 

Ricordi la prima volta in cui hai mutato la destinazione di un oggetto?

 

Si, un oggetto molto semplice. Un pezzo di un'anta della mia vecchia casa, di quando ero piccola. Questo oggetto mi piaceva molto però stavo quasi per gettarlo via.

Poi invece l'ho preso, gli ho piantato dei chiodi, una serratura, dei nastri. Ero grande, avevo quasi trent'anni . Ho sentito che era legato a me, che era una cosa troppo importante e che non potevo buttarla via.

Però non sapevo quello che facevo............... Anche ora : faccio le cose senza sapere perché le faccio. Non capisco mentre faccio, capisco dopo.......................

Capisco ora: cinque chiodi uguale cinque fratelli, vi leggo la mia storia.....Ho bisogno di sapere sempre, alla fine, perché l'ho fatto: cinque chiodi con cinque nastri che li legavano fra di loro. La serratura che divideva i chiodi, due a sinistra ( i miei genitori?)

Sopra c'era legato un bastoncino che muoveva un sole.

La prrima volta che ho cucito ho fatto due occhi enormi e dopo l'ho chiamata: "la civetta vanitosa" e l'ho riempita di nastri.

E' stato un bisogno molto forte.

Io non ho mai pensato di essere un artista, era molto lontano da me, questo.

Poi ho preso consapevolezza di avere questa possibilità, anche accanto a mio marito.

In tutto questo tempo io non ho mai smesso di amare la poesia, quando mi venivano tutte queste immagini pensavo: "che cosa posso fare?".

E' stato tramite la poesia che sono arrivata qui. Avevo tante immagini che mi venivano alla mente e allora io mi sono chiesta: "che cosa so fare?".

 

"Ho imparato a cucire, so solo mettere insieme quello che esiste, so solo cucire".

Allora ho fatto quello che potevo fare.

Ho pensato di cucire e di mettere insieme quello che esiste.

Questo é un fatto abbastanza cosciente: "anche con gli oggetti cucio.., cucio e lego.

Lego con il filo di ferro".

Ho bisogno di mettere insieme.

 

Come se fossero le persone che hai perdute?

 

Forse si: sono dei corpi

All'inizio erano corpi senza braccia e poi, piano piano, ho sentito il bisogno di mettere anche le braccia..............e poi anche le mani.

Mentre all'inizio non avevo questo desiderio di mettere le braccia e le mani.

Questi corpi senza braccia sono le donne della tua vita, che ora non ci sono più?

Le tre donne che non potevano più abbracciarti, che non hanno più potuto coccolarti quando tu avevi bisogno di loro?

Sono sicuramente segno della mancanza di amore che ho subito. E anche della mia impotenza.

Questa cosa del costruire mi ha fatto uscire dalla mia impotenza.

Mi ha fatto venire un desiderio di potenza tremendo.

Prima, non avevo la capacità di dire quello che provavo. Non sapevo dire.

 

Ora so dire.

…………………

 

Gabriella ci racconti la storia, la genesi delle tue opere?

 

Questo oggetto, una vecchia asse da stiro per sarti trovata in un mercatino é parte di un desiderio che avevo: " due cose che dovevano unirsi in simbiosi, un desiderio di essere in simbiosi, di essere collegata". Un desiderio di collegare tutte le mie parti.

Il pendolino é come l'amore che vibra, é il collegamento, é il cuore che si muove: l'amore muove, può muovere la fissità di queste immagini e le tiene collegate.

I due corpi non sono di fronte, di solito non ci si abbraccia così, ho espresso un desiderio di lasciare andare di dare la libertà per amore, l’ho chiamato: Scultura

Questo – Abitarsi - non é stato un "parto" facile. E' un pezzo di ottone che io ho piegato.

Io volevo che ci fosse un corpo cavo, che accoglie.

E' stato un desiderio di potenza, una voglia di rischiare, di potere, di poter dire.

Il mio desiderio di potenza non é violenza né sopraffazione é desiderio di esprimere la mia energia interiore senza censure.

"Lei" ha dentro questo bambino, é stato faticoso per me capire che cosa avesse dentro.

Io ho trovato questo legno in soffitta, era dei miei genitori quindi era una cosa che mi apparteneva, una cosa molto "forte".

Nella cavità prima volevo mettergli un peso poi ho capito che potevo "fare" una bambina.

Può essere una madre con la figlia ma io non l'ho pensato.

Può essere una donna con la sua fanciullina dentro.

Questa energia può essere la fanciullina sempreviva con tutte le sue potenzialità da esprimere perché ha ancora tutta la vita davanti.

La bambina é l'inizio, la novità, la curiosità é la capacità di rinnovarsi. La bambina é anche inquieta, vive e cresce e va sempre avanti: é un'energia che vuol essere ascoltata, che non può essere messa a tacere.

 

La sedia innamorata, è stata un gioco sempre dentro il mio desiderio di simbiosi: sono due personaggi che si guardano, sono identici si riflettono l'uno nell'altro

 

L'anima leggera, é sempre la bambina che gioca, la bambina felice. E' anche una bambina molto vecchia: la sua testa é antica, é una "donna", vecchia di dolore, attraversata, bucata dal dolore. Non é la leggerezza della bambina incosciente é la leggerezza della bambina che ha subito violenza, nella testa ma é ancora viva.

 

La veglia al confine, l'ho costruito pensando alla morte. Una volta costruivo sempre guerrieri, ero molto attratta dalle immagini dei guerrieri.

...."Eran trecento, eran giovani e forti e sono morti"....? Forse...

E' così. Ho voluto fargli uno scudo ma é simbolico. E' uno scudo, "femminile" fatto di rete, é fragile, non protegge. Forse questo guerriero é una guerriera o forse no.

Anche il suo sesso é un pò ambiguo. Io ho sempre bisogno di dare loro un'identità sessuale perché sono persone.

 

Esserci 1996.

Ho voluto fargli delle braccia così ampie perché.....abbracci tanto, é nata dopo una lunga interruzione, dopo un lungo periodo nel quale ho pensato: "forse non farò più niente".

E' stato un lungo silenzio e si é interrotto così con questo grande "abbraccio".

 

Verso la meta, è' fragile con questo corpo cavo ma é anche leggero e la sua leggerezza é, forse, anche la sua forza, la sua energia quindi può andare, sa andare. E' un augurio che voglio fare, che mi voglio fare: andare verso la meta.

 

Tentativo di volo

Molto alta, ha le braccia molto piccole, non ha ancora le mani. E' un tentativo di alzarsi, di uscire dalla terra............ Non siamo ancora pronti.

 

Qual'è la tua ultima scultura?

 

L'ultima scultura che ho fatto é il "guerriero" legato a questo mio pensiero della morte.

 

Il guerriero non ha un'identità precisa. Forse registra attraverso i delicatissimi sensori di Gabriella Goffi il momento che stiamo vivendo, il passaggio dei ruoli, la transizione storico filosofica dalle identità volutamente definite dalle costruzioni ideologiche che ci hanno allontanato dalla vita, ad una materia vivente ed incandescente che reclama , senza appello, di riprendere la propria forma.

E' la vita che invoca la liberazione del suo progetto originario. Attraverso la sofferenza, il sacrificio , i contrasti, le contraddizioni che soli, ne trattengono il movimento, ne potenziano la grandezza e lo splendore.

La sua opera vanifica le categorie rigide di chi ha voluto irridere il primato dei sentimenti con fantasmagoriche costruzioni concettuali.

Tutte le sue sculture registrano questo dinamismo interiore: partono da un luogo della memoria, della vita per approdare ad un'altro, solo apparentemente, opposto.

E' una ricerca intessuta di fibre di anima e corpo, espressa con una autenticità che elude qualsiasi sosta cerebrale nell'autodefinizione o nell' autocompiacimento.

Gabriella Goffi vive la sua scultura nel suo farsi e la sua scultura ci restituisce intatti i segreti della sua pudica esistenza.

Le morti, da abbandono, che hanno accompagnato la sua infanzia, sublimate dentro l'energia di un grande abbraccio, infrangono le pietre dei sepolcri che la vita le ha imposto, le ordinano di alzarsi.

E Lei si appresta al volo, verso una meta che già si delinea oltre il confine e la cifra della banalità, oltre la grande follia della superbia contemporanea.

Nadia Scardeoni

 

Post scriptum

Alla mostra del Decumano 97, organizzata dal Circolo della Rosa di Verona, nel novembre successivo, Gabriella Goffi ha portato la sua ultima creatura:

INFANZIA DI LUCE….

che si lascia deliberatamente senza commento.

……………………..

 

note

Gabriella Goffi vive e lavora a Gavardo. Nelle sue sculture si avvale dell'utilizzo di materiali poveri e di recupero: legni, metallí, " stoffe che taglia, ritaglia, cuce, adatta' con maestria a notevoli figurazioni scultoree" ( Vivi Milano 9/2/89)

Attraverso la forza evocativa del materiale e la ricerca dell'essenzíalità delle forme, dà vita a personaggi emblematici che esprimono il dramma e l'ironia: una sfida tra le suggestioni della materia e quelle della mente.

Questo il compito, si direbbe, dettato dalla fiaba della scultrice bresciana in cui si rivela la sua affinità per il ma-teriale come tale, per la libertà delle cose" ( L'Adige 21/9/91).

"Qui l'arte è ancora capacità originaria di espressione, produttiva manifestazione di vita, vicina alle creazioni delle culture primitive. Un'arte dalle cose di ogni giorno per ogni giorno della via" . ( Dietrind Kinzelmann )

L'artista si è occupata di attività espressiva infantile. Ha realizzato bozzetti e costumi per allestimenti teatrali. Riproduzioni delle sue opere appaiono in copertine di pubblicazíoni edite dall'Uníversità delle Donne " S. de Beauvoir " di Brescia.

Mostre personali: Milano - Studio Panigati 1989, Gargnano - Sala della Cernita 1989, Riva - Galleria la Firma 1991. Collettive: Artedonna 90 - Galleria AAB Brescia 1990, Riva Galleria la Firma 1992, Museo delle Scienze di Brescia 1992.

 

III. Matilde Sartorari: Il felice rigore del quotidiano

Mi sono accostata all'opera di Matilde Sartorari solo di recente.

E' stato un incontro fortuito che mi ha procurato una grande gioia come se la sua "forma pittorica" , quel suo sommesso e insieme potente equilibrio fra connotazione e soggetti, contagiasse di una luce di perfettibilita' i sedimenti incompleti e recisi della mia piu' remota vocazione artistica .

Ogni quadro ha la sua "misura" dentro una ricerca sapiente di armonie di colori di tratti di guizzi di luci, di scavi di ombre vitali.

Non un gioco .........piuttosto uno sguardo capiente , inesausto che si adagia sui fatti e mai sulle cose.

Sostando ....oltre i fiori, i paesi, le figure ...restando un poco in silenzio, si sente leggero leggero il ticchettio dell'ora che si consuma nella felicita' del suo sguardo….

Alcuni stralci critici , qui di seguito, a partire dal 1919 , ci consentonio di rivisitare il contesto culturale che ha affiancato la sua ricerca pittorica. E se talvolta , Matilde Sartorari, è stata omaggiata da una critica densa di dubitante benevolenza il peso non e’ stato poi così determinante..

Infatti , Matilde procede in perfetta assonanza con sé stessa : "dice e ….non si lascia dire".

( Nadia Scardeoni )

 

Stralci critici

"Le nature morte di Matilde Sartorari, molti suoi schizzi, paesaggi, figure sembrano dipinti da mano virile ed espertissima.

Alcuni pezzi sono un vero prodigio di armonia dei colori.Certe piccole impressioni sono talmente luminose, così gaie di luce e così fresche di colorito, da ricordarci le migliori cose dei nostri piu’ gloriosi toscani.

Si tratta di un arte senza lenocini, senza pretese di pensiero; sincerità di visione e di espressione, tocchi rapidi e sicuri.

Sotto il colore c’è il disegno e di saper disegnari la Sartorari lo prova in certi piccoli schizzi a matita segnati con molto senso dell’insieme e del movimento."

FERDINANDO PAOLIERI (La Nazione , giugno 1919)

 

"Cesare Ciani…non ha potuto insegnare alla sua allieva che una cosa sola:il fedele rispetto della natura; nient’altro un ribelle e libertario erede di quel glorioso patrimonio ideale poteva insegnare, in nessun altro modo influire nella delicata formazione di una personalita’ nuova."

GIUSEPPE DE LOGU (Voce Repubblicaca, 1923)

 

"La spigliatezza e freschezza e disisnvoltura di questa pittrice dall’occhio sicuro e dalla mano facile che s’è assimilato un mondo pittorico con quella prontezza che le donne hanno istintiva: tanto piu’ che ella non imita…assorbe"

ROBERTO PAPINI (Il Mondo,1923)

 

"A ben guardare, in più di un pezzo, si nota subito quel che di netto, di asciutto, di segnato, …eppure di aggraziato, di ben detto insomma, che è proprio della migliore maniera toscana"

LEONARDO BORGESE (Corriere della Sera, 1950)

 

" Nella pittura di lei e’ consustanziale e compresente la gioia dell’atto creativo, non la fatica e la concentrazione, com’è spesso manifesto. Il dato emerge, per quanto irrazionale e dissueto; la gioia si trasferisce all’osservatore per contatto.

Sorprende un fatto in chi la conosce. Matilde Sartorari, vivendo appartata, in sommessa discrezione,subì rovesci, dolori solitudine. Lo spettatore dei suoi dipinti si domanda incredulo come l’artistapote’, malgrado cio’far sgorgare spontaneità, conservare serenita’, manytenere lo sguardo limpido della giovinezza. Ecco una donna nella quale non è perita l’innocenza.E non ha più diciassette anni.

GILBERTO ALTICHIERI (dal Catalogo della Mostra:MATILDE SARTORARI, San Floriano, 1974)

 

UNA RICERCA LIBERA E APPARTATA

G.L.VERZELLESI

Introduzione alla Mostra Antologica, Dipinti e Disegni 1919-1984

MATILDE SARTORARI - Sessant'anni di Pittura

GALLERIA DELLO SCUDO - 1985 – Verona

 

Stralci:

"Per apprezzare la qualità della figurazione di Matilde Sartorari, bisogna uscire dalla cerchia dei modernisti snob, che non ha occhi se non per l'arte ultima e - secondo la pungente ma ineccepibile espressione di Huizinga - "vive nella miopia del momento".

Per cogliere la genuita' del talento, che la pittrice veronese ha saputo mantenere vivo anche nel corso degli ultimi decenni, bisogna lasciare la via dello storicismo spurio che continua a fare questione di "tendenze" e squalifica come "datato" tutto cio' che non sembri abbastanza sfolgorante di novità' provocatoria…….

….......Da questa convinzione deriva un tranquillo, tenacissimo rifiuto di condividere le varie poetiche novecentesche rivolte a teorizzare, come esigenza programmatica inderogabile, il gusto della trasgressione, della dissonanza, della "disartizzazione" dell'arte cui sarebbe prescritto- come irresistibile stigma di autenticità- "il tono della sventura".

Ma questo rifiuto della Sartorari ( che le e' costato l'isolamento e spiega, anche se non giustifica, la disattenzione di certa critica, sensibile soltanto ai sussulti piu' rumorosi delle tendenze d'avanguardia) e' un segno di fedeltà' ad una concezione della vita e dell'arte che non ha nulla in comune con il modernismo, in cui "'energia antitradizionalistica diventa un turbine che tutto inghiotte"(Adorno)..….

........"Ogni arte – annotava Tolstoj nel diario - può deviare in due modi dalla strada maestra: volgarità' e artificiosità'. Fra queste due vie sbagliate c'e' solo una stradina stretta" E per questa stradina la Sartorari a continuato a procedere senza guardarsi intorno, senza timore di essere sola o troppo lontana dagli itinerari d'avanguardia, prescritti dalle "oscillazioni del gusto" della moda. Alle esigenze dell'aggiornamento conformistico, all'ambizione di arrivare ed emergere (dietro l'esempio dei pochissimi "snob di genio" e dei sempre più' numerosi snob senza talento) ha saputo opporre un tranquillo diniego, che le fa onore: non perché sia consistito in una sorte di cieco conservatorismo, rivolto a ridurre l'arte ad un processo d’imbalsamazione o di gelido ricalco di certe figurazioni ormai stagionate e museificate: ma proprio per l'irriducibile tenacia con cui la pittrice, senza cedere allo snobismo modernistico nè a quello antimoderno, ha seguitato a mettere a prova il suo talento procedendo sulla "stradina" indicatale tanti anni fa da Ciani: un umanissimo maestro che, con probità inflessibile, continuava a ripetere all'allieva parole non molto diverse da quelle (famose ma ora quasi dimenticate) che dicono: "Bisogna coltivare il nostro giardino".Non perdersi nel sottobosco delle vanità. Non lasciarsi sviare dai consensi che possono sterilizzare l'ispirazione.

Continuare a disegnare e dipingere avendo fede nell'occhio, che scruta e può' cogliere, anche nelle apparenze più povere, un palpito di verità: un granello di vita da far lievitare nelle opere."

 

NADIA SCARDEONI (Catalogo Mostra , Società Belle Arti, 1998)

Matilde Sartorari, qualcosa di fresco.

 

Chiedersi come mai l’opera di Matilde Sartorari non appaia fra le pagine istituzionali della storia dell’arte del 900 porta ad una riflessione ormai banale e datata: la creativita’ femminile non ha incontrato nel corso dei secoli un favore paritario alla "genialità" maschile.

Quando Artemisia Gentileschi, artista barocca di inequivocabile levatura , e’ stata resuscitata dal pensiero femminista negli anni settanta dalla bara di ghiaccio che ha impedito per quattrocento anni di accostare le meraviglie della sua titanica forza innovatrice , anche un critico raffinato e preparato come Roberto Longhi non esitò a citarla come: " l’unica donna della storia dell’arte che avesse capito qualcosa della pittura"……..Ecco che mentre veniva riparato un mostruoso torto storico se ne apriva un altro altrettanto mostruoso nei confronti delle "mille donne artiste" relegate….. succintamente, ad un rango …senza cittadinanza.

Madilde Sartorari irruppe giovanissima nel mondo della pittura del 900.

Al primo apparire delle sue sessanta impressioni "macchiaiole" nelle sale del "Lyceum" a Firenze, nel luglio del 1919, i critici colti alla sprovvista - subito -….. urlarono al prodigio.

Aveva solo 17 anni e con il suo "birichino" vestito alla marinara lasciò di sasso le "ornate dame" del Lyceum mortificando l’attesa di una romantica e magari più vezzosa "giulietta".

Educatasi all’arte quasi da sé, Matilde disegnava magnificamente e non per pedissequa cura del particolare ma per uno straordinario intuito che le concedeva di rappresentare con piglio impressionistico , grazie a preziose sintesi formali e coloristiche , le inesauste suggestioni del mondo naturale che la circondava.

Il critico d’arte Mario Tinti, de II NUOVO DELLA SERA, a questo suo ingresso repentino e informale nel panorama dell’arte italiana , reagi’ un po’ scompostamente, dedicandole una colonna ineguagliabile per la densita’ delle osservazioni pregiudiziali :

"Benchè sapessi che non tutte le pittrici sono "delle signore o signorine che dipingono", pure non tanto spesso mi era capitato di dover ammettere alla regola del dilettantismo e della superficialità della pittura donnesca una eccezione così distinta come dinnanzi ai dipinti e ai disegni che la Signorina Matilde Sartorari – una pittrice non ancora diciottenne – ha esposto in una sala del Lyceum."

Prosegue lodando cautamente le doti di spontaneità, d’istintivita’, di percezione immediata del colore e della forma della giovane pittrice e, paternalisticamente, le aggiudica…… "una buona gustazione del colore", ma, ahimè, ecco la conclusione:

"La sig.na Sartorari, che e’ stata allieva di Francesco Gioli e studia ora con Cesare Ciani ha assimilato, specialmente dal primo di questi due ottimi maestri, non solo l’accento del colore, ma alcune caratteristiche formali, e li ha assimilati con tanta aderenza da potere indurre a qualcuno il dubbio che le sue qualita’ siano più la conseguenza di eccezionali facolta’ mimetiche e imitative che l’espressione di una individualità.

E’ questo il dubbio che ogni discepolo deve cercare di dissipare nella propria convinzione oltre che in quella degli altri. Ed io vedo nei primi esperimenti di questa giovane, fuori della suggestione dei maestri, qualcosa di fresco, di candido, di nativo da cui potra’ uscire in seguito – con la disciplina e la volontà – un definitivo carattere di artista.

M.T."

Il testo critico che ha salutato l’alba di Matilde , credo debba essere commentato e "gustato", esemplarmente, "Lettera dopo Lettera", per avere conferma del clima culturale che ha inibito l’ingresso di un’artista di squisito, fluente talento pittorico, fra i "grandi" della storia dell’arte italiana del 900.

Viene da pensare che il nodo fondamentale della puntigliosa rimozione dell’arte e dell’artisticita’ femminile , che solo il pensiero di genere poteva sciogliere , abbia consistito dunque in questa lapidea incapacità del "genio maschile" di recedere dal suo dominio piu’ fertile e redditizio: la donna , tutt’al più……"musa ispiratrice".

E’ immaginabile allora come il "nostro", trincerato nelle sue stanze messe a soqquadro dalla rivoluzione femminista , abbia faticato a riprendersi dallo sbalordimento di fronte ad un "oggettino" che si alza e dice :

"Sono soggetto, penso, creo: sono musa a me stessa"

* * *

" La poesia se explica sola; sino no, no se explica. Todo comentario a una poesia se refiere a los elementos circundantes a ella, estilo, lenguaje, sentimientos, aspiracion, pero no alla poesia misma.

La poesia es una aventura hacia lo absoluto."

Pedro Salinas

 

IV. Milvia Seidita: Un sogno per le giuste nozze di " Acqua e Colore".

La pittura di un grande maestro, Francois Daulte Renoir, si affaccia seducente dalle illustrazioni di un calendario che la giovanissima Milvia mira e rimira nello studio del padre , dentista.

Aspetta con ansia la fine di ogni mese ...per ritagliare le immagini preziose che verranno poi conservate gelosamente nella sua prima "raccolta d'arte", per essere "studiate" nel segreto, senza trascurare il minimo dettaglio.

Non può tralasciare anche il più minuzioso particolare di quelle "apparizioni" ricche e splendenti , sature di luminescenti colori che portano dritti al sogno.

E Milvia sogna.

Sogna le vivide atmosfere , i suoni argentini , i profumi - dolci e inebrianti - delle "due giovanette al piano", la festosa sarabanda del Moulin de la Gallette, l'incanto del verde aulente inondato dall'oro assolato ..... del "Sentiero nel bosco" Ma l'aspirazione a tracciare una linea diretta fra questa primo approccio all'arte, sognante e romantico ....e gli acquerelli di oggi - evocazioni vibranti di composite , gelose memorie - viene subito tacitata dal secondo amore di Milvia, che proprio non ci si aspetta: Pablo Picasso .

Come possa essere stata attratta, una ragazzina decenne, dallo "svirgolamento" e dagli acuti delle immagini cubiste di Picasso dopo le tenerezze di Renoir.....e' un buon quesito ; resta il fatto che Milvia rincorre il suo "innamorato" , dedicandogli disegni e pitture secondo lo stile a lui caro , con tale fervore e serietà che si inventa uno  "studio" ricavandolo dall'angolo che la porta del tinello forma - una volta aperta - con la parete.

Lì , in uno spazio angusto solo in apparenza, perche' in realta' è la nuova misura della sua liberta', sistema un riquadro a mo' di cavalletto e...su di una mensola colloca, in bell'ordine, vasetti, pennelli e colori.

Mi tornano alla memoria gli "studii" dipinti da Colantonio, da Antonello, austeri e silenti angoli di pace con poche suppellettili: tutto ciò che basta all'autore.

Milvia procede così .....col nasino petulante degli autodidatti, "studia direttamente i maestri ", con grandi attrazioni e grandi passioni e poi....... "prova e riprova"

Presto anche il grande Pablo deve lasciare il passo .....ed è la volta di Casorati.

Pastelli a cera e via ! verso la felice ( !!) imitazione-liberazione di un nuovo stile.Intanto qualche buon osservatore nota la sua "cultura pittorica" ed è così che Milvia approda , tredicenne, alla prima mostra collettiva. Con la mostra il primo successo: ha in premio un libro ed una medaglia...che provocano un guizzo di responsabile autocoscienza.

La faccenda...si fa seria. Arriva in dono il primo cavalletto e di conseguenza ...... un tratto della veranda di casa sua e' promosso a "vero studio di pittura".

Basta con carta , pastelli ....improvvisazioni.: acquista le prime tele...vere.

Partecipa ad altre collettive, ottiene consensi che la rallegrano ma gli studi superiori non vanno nella direzione da lei auspicata.

La scelta cade infatti sugli studi scientifici che la rimettono a poco a poco nel solco delle tradizioni familiari.

Si iscrive infine a Medicina, finiscono i sogni...scema la pittura...comincia la "vita".

Dopo un lungo intervallo, quando gli oneri familiari e professionali allentano un po' i fili...Milvia sente di nuovo attizzarsi un desiderio: "Potreste regalarmi una scatola di acquerelli!!"

E così accade.

Ritorna la curiosita' , lo studio, l'analisi delle opere dei grandi acquerellisti.

Prova e riprova...ma c'è qualcosa che non va. C'è qualcosa che non la soddisfa...qualcosa che "manca" e che si erge come una barriera , davanti al suo sguardo educato e sensibile.

Va a lezione di Acquerello da prof.Avesani, fra i piu' stimati incisori ed acquerellisti, per accedere alla "tecnica severa " che, appena intravista, già sa che "non perdona ".

Ecco che cosa manca: " Manca l'acqua".

Oggi , dopo aver frequentato il suo corso con rigore, strappando le ore al sonno e alle pause della sua professione di medico...libera ....le sue immagini: paesaggi, angoli, piazze, itinerari....quasi sempre appunti di viaggio.

Luoghi veri , vissuti ed evocati dalla culla della memoria. Il colore - nitido e fragrante - svela le suggestioni della terra natale, la Sicilia, : forte e caldo "trasmigra" incauto ed audace dentro le insidie dell'acqua che domina , che esalta ma che - occorre ricordarlo - all'improvviso tutto puo' corrompere e portare a disfacimento.

Milvia affronta il rischio ....regge la singolare tenzone: " "Lei" e' importante e tende ad avere sempre il sopravvento ; e' come una valanga ...non si ferma...

Con il colore io la devo...la posso domare..

Quando "lei" invade spazi che puo' invadere io la lascio correre... ma se si insinua dove "sono io"..... dove "devo stare io con il colore", "lei" deve fermarsi."

"Lei" , l'acqua e' ora addomesticata dalla magistralità della tecnica, appare e riappare dentro la complessa raffinatezza delle trasparenze, affonda "imperiosa" gli squarci dei piani spaziali, accarezza i contorni, addita riverberi guizzanti....... si insedia, regina, nei trionfi di luce.

E' ormai ......."Sorella acqua".

 

IV. Milvia Seidita: A long dream for a proper wedding between "Water and Colour".

The painting of great master Francois Dautle Renoir, reaches out seductively from the images of a calendar that very young Milvia repeatedly admires in the dentistry studio of her father.

She waits with impatience for the end of the month to come so that she can finally cut out those precious images that she will jealously keep in her first "arts collection". She will then study them in secret, examining every little detail.

She must not neglect even the most minute details of those rich and bright "apparitions" so luminescent with colours that they lead you straight to dreams.

And Milva dreams. She dreams of vivid atmospheres, silvery sounds, sweet and stirring perfumes, the "Two little girls at the piano", the joyful saraband of Moulin de le Gallette, the enchantment of the green colour shot through with the sunny gold of the "Path in the wood".

However, her inspiration to trace a direct line between her first approach to such dreamlike and romantic art, and her watercolours of today – vibrant evocations of composite, jealous memories – is what is silenced by her second, yet unexpected love: Pablo Picasso.

How a ten-year old girl might have felt attracted by the "striations" and sharpness of the cubist images by Picasso, after the tenderness of the paintings of Renoir is a good question. Hence, as a matter of fact, Milvia runs after her "beloved" and dedicates to him drawing and paintings in his style, with such a fervour and seriousness that she even makes up a "studio" for herself in the corner that the kitchen door makes with the wall once opened.

There, in a space that is narrow only in appearance – in reality that is the new dimension of her freedom, she sets up a frame for an easel and on a shelf she puts in tidy order her little jars, brushes, and colours.

They remind me of the "studies" painted by Colantonio and Antonello, austere and silent corners of peace with a few furnishings: all that the painter needs.

Milvia proceeds in her way….in the impudent mode of self-taught people, she "studies the masters directly" feeling great attractions and passions and then… "she tries and tries again".

Soon the great Picasso had also to relinquish his place …this time to Casorati.

Wax pastels and away! To the happy (!!) liberating imitation of a new style.

In the meanwhile some attentive observers noted her "pictorial culture" and in this way Milvia approaches, at the age of thirteen, her first joint exhibition. With that exhibition she encounters her first success: a book and a medal as an award …that provokes a hint of responsible self-consciousness.

Things are become more and more serious…As a gift she receives her first easel and as a consequence a bit of the veranda at home is transformed into a "real painting studio".

No longer papers, no longer pastels…improvisations. She buys her first canvases…real ones. She takes part in other joint exhibitions. She receives plaudits that give her satisfaction. However, her studies at high school do not suit her wishful way of thinking. In fact, the choice goes to scientific studies that little by little draw her back onto the path of her family tradition. She then enrols in the Faculty of Medicine.

Dreams come to an end…painting fades away… "real life" starts.

***

After a long break, when family and professional duties become less pressing, Milvia feels again a deep desire coming back: "could you please give me a box of watercolours!!"

So then, again, it happens.

Curiosity, studious attention, analyses of works of art of the great watercolour painters, all this is back again.

Yet, something is not working well.

Something does not give her satisfaction, something is "missing", something, like a barrier, stands in front of her sensitive and educated gaze.

She takes lessons in watercolour painting from Prof. Aversani, one of the most highly esteemed engravers and watercolour painters, to acquire the "severe technique", yet she realises that this is really strong and "unforgiving".

Now she knows what’s missing: "Water is missing".

Today, after taking that course with rigour, sacrificing hours of her sleep and breaks during her job as a doctor, she sets her images free: landscapes, corners, squares, paths, almost always taken from travel notes. Real places. Experienced and evoked from the cradle of her memory.

 

The colour – neat and fragrant – is suggestive of her homeland, Sicily: strong and warm, it "passes" unwary and daring onto the tricks of water; the water that dominates and extols, that - we must remember – can suddenly ruin and destroy.

Milvia takes the chance. She manages that peculiar tension: "’water’ is important and tends to overwhelm. It’s like an avalanche…it does not stop.

Yet, with colours, I must…I can dominate it.

Whenever water invades spaces that it can invade, I let it go…however, if it trickles where ‘I am’…

where ‘I must be with the colours’,

‘water’ must stop".

Water is tamed by the "mastery" of technique. It appears and disappears within the complex refinement of transparencies. It drowns imperiously the splits of the spatial planes, caresses contours, points to quivering reverberations…. It takes over, as a rein, in triumphs of light.

Indeed, it is by now "Sister water".

 

V. Jane Toby

JANE TOBY è nata a Brooklyn da una famiglia  russa, di religione ebraica.

Ha trascorso la sua infanzia a Merrick a pochi minuti dall'Oceano, nel Long Island,  quando Merrick  era ancora  un piccolo paese circondato da  campi e boschi naturali .

Un infanzia  felice , piena di incantamenti  e l'immagine della sua figura esile con  i  capelli biondi argento... in simbiosi con i campi di grano  ne  e' forse una adeguata  metafora .

La  sinfonia della natura incontaminata  ha  accompagnato la sua crescita di bambina sensibile e ricca di emozioni a volte... fin troppo profonde.

L'esperienza  poetica  ha  dunque  la sua origine  in questo radicarsi di un  dialogo  privilegiato  con la natura, ricercato come il luogo  in cui vivere armoniosamente,  con fecondità,  fertilità e libertà.

La natura è lo "spazio del  silenzio dovuto " ... per sentire  il respiro, i palpiti , i tremolii , le ferite  del  mondo  in tutte le sue manifestazioni..

I suoi sogni , da bambina,  erano vivere nel  bosco ,  scrivere  poesie e.... fare  teatro  per poter dare espressione alla moltitudine di emozioni che sentiva raccogliersi  precipitosamente dentro la sua anima.

Amava molto la scuola e  fra i  ricordi  più intensi dell'infanzia  c'è una lettura importante :  ALICE NEL PAESE DELLE MERAVIGLIE, il profumo delle pagine , il viaggio affascinante  nel mistero e nel "rischiodella  fantasia ".

Scrive poesie da sempre... e subito fuori dei canoni, senza rime . 

La  poesia e non solo scritta,   tende senza pause il filo della sua solare e vivida esistenza .

Jane, laureata in Letteratura  Inglese e Italiana , ha trascorso alcuni i periodi della sua vita  in Italia , a Firenze, a Verona,  a Genova  e alcuni mesi a Palermo in occasione della sua ricerca sulla vita e le opere di Maria Messina , scrittrice siciliana, culminata in una tesi pubblicata  dall'Università dell'Illinois.

E' amica di artiste d'avanguardia ed ha curato la loro presenza nella mostra veronese VERONAMERICA.

Attualmente scrive anche articoli sulla devastazione delle terre  e dei popoli nigeriani a causa delle pratiche  brutali di sfruttamento del suolo da parte delle aziende petrolifere.

E' molto attenta alle tematiche femministe. E' attiva nelle associazioni di donne che lottano per la giustizia e la pace. 

Jane  e' - soprattutto - fra i privilegiati  che hanno ricevuto   dalla madre-terra  gli   insegnamenti  che  aprono il cuore e la mente alla "sacralità  dell'abitare"  e il suo sostare a lungo  nelle   "arboree stanze"  ha liberato il suo canto .

E  il suo grido.

Verona 28 ottobre 2000

 

VI. La fuga titanica di Ingrid Madera

“La mia storia  personale e’ quella di essere una donna che e’ partita da un paese del terzo mondo dopo aver lottato  tanto a lungo contro l'oppressione.
Mi identifico molto con le donne vittime della violenza .
Ho lottato contro molti demoni per dare a me stessa la libertà di essere l’artista che sono oggi.”*
"Per anni ho avuto dubbi e confusione su come tradurre in un lavoro finito le immagini della mia fantasia e della mia osservazione.
A lungo mi sono rifiutata di dare un assetto accomodante alla mia esistenza. Sono stata in costante movimento, cambiando ed inseguendo le mie fantasie, reinventando continuamente me stessa.
Sono arrivata a credere che il cambiamento dinamico sia uno dei fattori positivi dell'esistenza contemporanea.” *
"La mia missione di artista e’ di continuare a sviluppare la mia visione e di trovare un equilibrio  quando una maggiore potenza e quella visione si incontrano." ( ingrid madera )

Scultrice ed artista multimediale , INGRID MADERA  è nata  nella Repubblica Domenicana.

Appena ventenne, Ingrid, lascia il suo paese e fugge ……
Lascia il Sud America,  con lo zaino in spalle ed un  «fagotto» sotto il braccio: suo  figlio di poco più di un anno.
Va a New York  per  «guadagnare» ad entrambi   un grande  sogno di libertà’ .
Frequenta i corsi di “ Spettacolo ed Arti Visive” alternandosi all'educazione del figlio e ad un lavoro che le permetta  di vivere.
Completa  i suoi studi presso gli istituti: Academia de Bellas Artes , Art Students League, School of Visual Arts, Southampton College.

Oggi, Ingrid Madera,  quando è stanziale vive a Calverton  in una casa  isolata a 150 kilometri da New York, dove dalle finestre  si vedono  scorazzare ….. liberamente i  bufali.

Ci siamo incontrate  a Verona,  nel   97, in occasione della  Mostra “Veronamerica” .
Ricordo che sopraggiunse a notte inoltrata ,dopo un viaggio travagliatissimo, generando un vivace scompiglio.
Volitiva oltre il  ragionevole, si era  trascinata da New York  una delle sue installazioni in un bagaglio a  rotelle, a forma di “armadio”….molto più pesante e ingombrante delle sua esile  persona.
Una “follia”  sopportata con grande allegria : il minino dovuto…..”per l’arte”.

Nei giorni di permanenza a Verona la vedevo e la perdevo continuamente.
Ingrid  è come il vento ....ti cattura, ti  avvolge di un grande dinamismo ....e  poi, improvvisamente, scompare.
Ci riunivamo spesso alla sera nei pranzi conviviali.
In quelle occasioni, nei momenti della  confidenza, Ingrid  all’improvviso  si “potenziava” , gli occhi nerissimi  mandavano bagliori ; quasi …. tizzoni  ardenti  anticipavano le memorie di una  vita  tutta  all’insegna della “lucha” ……la lotta.
 Quando infine la vidi al lavoro,  nei video portati dall’America , con  maschera e fiamma ossidrica  …non ebbi  più dubbi :
 “un angelo era disceso nella  tana di Vulcano per una sfida titanica”

Ingrid Madera è una  rivoluzionaria pura.

Le sue sculture  sono corpi trasparenti fatti di resina intrecciata a fili strutturanti.

Corpi librati, distesi, accoccolati, aggrovigliati…., divaricati ..
Sono corpi e anima.
Intensi, sofferenti, placati…… racchiusi in se stessi.
Sono Vite.
Intrecci  di dialoghi , urli, intese…abbandoni…
Sopportano  macigni:  il  peso spirituale di un  martoriato percorso esistenziale.
Allora …Ingrid provoca, disturba , «martella» - con potenza  sorgiva– tutto e tutti .
Ha assunto le buone  regole ma  disconosce la «misura» dei prudenti.
Spezza con tocchi magistrali pregiudizi,  stereotipi , banalità,  conformismi….
Ingrid sfida ogni giorno , ogni ora ….. la «buena suerte»
I suoi «media» sono  tossici
Forse Ingrid …..e’ ancora  in guerra.
Una guerra  iniziata lontano nel tempo , nella prima giovinezza…… contro le sopraffazioni ……pubbliche e private.

La «cifra» dell’ opera di Ingrid Madera  è allora dolorosamente semplice:
“ fuga  titanica  di energia vitale”
Ingrid Madera non va interpretata oltre.
Sa parlare  della sua opera  con  largo respiro  ed una  preziosa capacità di autoanalisi , così  come  si è presentata alla Mostra  Veronamerica  Decumano  97.

"Il corpo esprime sempre lo spirito di cui è l'involucro. Sono interessata ad esprimere
L’emozionante mistero, la meraviglia della forma umana.

Il volume non e' solo concetto spaziale. Attraverso lo studio e l'analisi basati sui due elementi spazio e tempo ( il tempo identificato con la luce) lavoro per rivelare le forme.
Devo rimanere fedele alla natura, e' la mia sola ambizione.
L'ispirazione e' la mia ricompensa.
Il gap esistente fra il soggetto e la percezione intelligente del soggetto e' stato uno dei problemi principali nella produzione artistica
Per anni ho avuto dubbi e confusione su come tradurre in un lavoro finito le immagini della mia fantasia e della mia osservazione. A lungo mi sono rifiutata di dare un assetto accomodante alla mia esistenza. Sono stata in costante movimento, cambiando ed inseguendo le mie fantasie, reinventando continuamente me stessa. Sono arrivata a credere che il cambiamento dinamico sia uno dei fattori positivi dell'esistenza contemporanea.
I nostri pensieri, volontà e azioni concordano con le leggi  che governano il movimento delle onde, la combinazione delle sostanze acide e basiche e la crescita delle piante e degli animali. Quando la potenza e la visione si uniscono anche usando strumenti comuni e umili, abbiamo la sensazione di fare delle cose che sono giuste di per se', dotate di un significato autonomo assoluto.
La mia missione come artista e' di continuare a sviluppare la mia visione e di trovare un equilibrio fra visione e grande  potenza. Ho tentato di cogliere la vera interpretazione delle cose, cosi' come esse sono, piuttosto che sovraccaricarmi di idee o di troppi commenti e interpretazioni. Io preferisco sviluppare una diretta e semplice comprensione delle cose senza troppi criteri o vincoli. E' l'unico modo per me, il solo modo di collegarmi all'esperienza della condizione umana. “

E negli scritti originali presenti nelle sue installazioni:

“La cosa che io voglio innanzitutto è sviluppare un riconoscimento diretto e semplice Una vera comprensione delle cose così come esse sono. Cio che mi attrae verso l’arte astratta è il fatto che essa, parla sostanzialmente di libertà. Liberta’ dalle «cure» di questo mondo, dalla sue banalità Mi invita ad una meditazione silente e profonda.
Nell’arte astratta incontro una sensazione trascendente di liberta’.”

 “Non si puo’ fare scultura senza coinvolgere il nostro corpo Il centro  dell’esperienza scultorea è un processo di identificazione fra l’opera d’arte e il corpo di chi crea.
Si deve raggiungere un coinvolgimento fisico con una totale consapevolezza muscolare
Io non sto lavorando per essere approvata
Ma per esprimere certe cose.
Io  penso e credo di dover esprimere le mie lotte e le mie esperienze. E’ importante per me andare oltre i preconcetti di ciò  che si suppone una persona debba essere; come donna, come artista etc etc  e affrontare tutto questo con la prefigurazione visuale. “

“Ho un bisogno urgente di spogliare la mia vita fino al suo essenziale. Sto tentando di ridurre ogni cosa alla sua forma più semplice.
Ed è questo  per me l’unico modo di condividere l’esperienza della condizione umana.
I nostri pensieri, la nostra volontà, le nostre azioni si accordano alla potenza delle leggi che governano il movimento delle onde , le combinazioni degli acidi e delle basi, la crescita delle piante e degli animali..
Molte volte , mi è stato necessario…. autodistruggermi , per potermi rigenerare” 

traduzioni Inglese-Italiano
di Jane Toby e Nadia Scardeoni 

da : Erica Lynn Gambino, «Ingrid Madera ‘Crossings’» Oct., 1998 

..."Ingrid Madera, una espatriata Domenicana,  si muove , con il suo genere di opera , verso una direzione piu’ Post Moderna appropriandosi dell’immaginario e del contesto del suo passato religioso e della sua cultura Hispanico-Afro-Cubano. Si ispira ai «miti dei Santi, streghe, icone e dei che sono condivisi collettivamente dai Domenicani, Cubani e Portoricani» lei dice, «  e che in massima  parte riguardano le promesse e la realizzazione delle speranze, dei desideri» un tema consueto della letteratura e dell’arte Latino-Americana.
Per Ingrid Madera la sua cultura è «piena di incroci e di ambiguità» e questa e’ la modalita’ ammantata di veli colla quale lei affronta le sue  narrative le più intime e personali  per raggiungere  la natura universale.
La tenacia con la quale lei affronta i suoi media è la stessa che la guida ad esprimere lo sforzo di essere coerente con «l’essere una donna di un paese del terzo mondo dove, per tradizione,  le donne hanno contrastato  così  a lungo ogni genere di oppressione»...


BTA - Bollettimo Telematico dell'Arte



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