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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
Direttore responsabile: Dario Cillo


 

Dipartimento per i servizi nel territorio
Dipartimento per lo sviluppo dell'istruzione

Nota 6 novembre 2003

Prot. n. 2781/Dip/Segr.

Oggetto: "I giovani ricordano la Shoah"

Nell'ambito delle iniziative che saranno realizzate nel nostro Paese per celebrare il "Giorno della Memoria", istituito dal Parlamento italiano con la Legge 211/2000 in ricordo della Shoah, la Scuola, quale istituzione deputata alla crescita umana, civile e culturale delle giovani generazioni e sede privilegiata di educazione e formazione ai valori della democrazia e della solidarietà può svolgere un ruolo di fondamentale importanza.

In tale ottica, al fine di promuovere studi e approfondimenti da parte dei giovani su-gli orrori che hanno segnato parte della storia europea nel secolo appena concluso e, al tempo stesso, rafforzare i sentimenti di pace e solidarietà fra i popoli, questo Ministero, con l'Alto Patronato del Presidente della Repubblica, in collaborazione con l'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, bandisce due distinti concorsi, riservati rispettivamente:

  • alle classi dell'istruzione primaria (elementari e medie) sul tema "Il periodo della Shoah vissuto da bambini e ragazzi come voi. Quali conoscenze avete in proposito? Quali considerazioni vi vengono alla mente? Quali emozioni provate?";

  • alle classi dell'istruzione secondaria di II grado sul tema "Popoli e singoli durante la Shoah. Vicende, ruoli e comportamenti diversi: le vittime, i persecutori, quelli che hanno voltato la sguardo, quelli che hanno reagito impegnandosi… La classe dovrà trattare almeno due degli aspetti indicati nella traccia, evidenziandone le correlazioni".

Tenuto conto dell'importanza e delle finalità dell'iniziativa, le SS.LL. sono pregate di dare alla stessa la più ampia diffusione tra le scuole di rispettiva competenza, sensibilizzandole ad un impegno che possa garantirne la migliore riuscita e la partecipazione piena e convinta ai Concorsi.
A tal fine le SS.LL. vorranno anche invitare le Scuole a promuovere, nell'ambito dei percorsi didattici e dell'offerta formativa, occasioni e momenti di riflessione, di confronto, di dibattito sui crimini e sugli avvenimenti tragici che hanno segnato la vita dei popoli in un passato recente.
Le SS.LL. vorranno infine costituire, presso i rispettivi Uffici, un apposito gruppo di lavoro che possa adeguatamente seguire, orientare e sostenere le scuole che intendano partecipare al Concorso, nonché segnalare allo scrivente il nominativo di un referente appartenente al gruppo di lavoro.

Per la documentazione si può fare riferimento ai Siti dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane (www.ucei.it/giornodellamemoria - tel 06/5898405) e della Fondazione CDEC (Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea - www.cdec.it).

Questo Ministero, dal canto suo, per ogni utile informazione indica i seguenti numeri telefonici: - 06/58493090.- tel/fax 06/58492140; e-mail: maria.barberini@istruzione.it.
Si ringrazia per la collaborazione.

IL CAPO DIPARTIMENTO
Pasquale Capo


"I giovani ricordano la Shoah"
BANDO DI CONCORSO

Nell'ambito delle iniziative che saranno realizzate nel nostro Paese per celebrare il "Giorno della Memoria", istituito dal Parlamento italiano con la Legge 211/2000 in ricordo della Shoah, questo Ministero, con l'Alto Patronato del Presidente della Repubblica, in collaborazione con l'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, bandisce due distinti concorsi, riservati rispettivamente:

  • alle classi dell'istruzione primaria (elementari e medie) sul tema "Il periodo della Shoah vissuto da bambini e ragazzi come voi. Quali conoscenze avete in proposito? Quali considerazioni vi vengono alla mente? Quali emozioni provate?"
    Vi proponiamo (in allegato) alcuni brani e immagini riferiti a quell'epoca, che possono servirvi da spunti per le vostre riflessioni. Le classi possono partecipare al concorso mediante l'elaborazione di disegni, poster, favole, poesie, racconti, raccolte di memorie scritte o registrate;

  • alle classi dell'istruzione secondaria di II grado sul tema "Popoli e singoli durante la Shoah. Vicende, ruoli e comportamenti diversi: le vittime, i persecutori, quelli che hanno voltato la sguardo, quelli che hanno reagito impegnandosi… La classe dovrà trattare almeno due degli aspetti indicati nella traccia, evidenziandone le correlazioni". Le classi possono partecipare attraverso la realizzazione di: ricerche, saggi, articoli di giornale, opere teatrali, sceneggiature, video, CD, poster.

Per la documentazione si può fare riferimento ai Siti dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane (www.ucei.it/giornodellamemoria - tel 06/5898405) e della Fondazione CDEC (Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea - www.cdec.it).


INFORMAZIONI TECNICHE
Selezione dei vincitori e premi

Gli elaborati dovranno pervenire entro il 6 dicembre 2003 ai Direttori Generali degli Uffici Scolastici Regionali, che effettueranno, con la collaborazione del gruppo di lavoro appositamente costituito, una prima selezione individuando i lavori ritenuti più meritevoli a livello regionale (due per ogni ordine di studi).
I lavori selezionati dovranno essere inviati entro il mese di dicembre 2003 all' Ufficio del Capo Dipartimento per i Servizi nel Territorio e per lo Sviluppo dell'Istruzione - MIUR - Viale di Trastevere, 76/a 00153 Roma. Una Giuria, composta da 4 rappresentanti del MIUR e 4 dell'Unione Comunità Ebraiche Italiane, sceglierà tra questi ultimi i più degni di nota, distinti per ordine di studi, i cui autori saranno premiati in occasione del "Giorno della memoria".
Le classi vincitrici saranno ricevute dal Capo dello Stato e/o dalle più alte Cariche Istituzionali e dal Presidente dell'Unione: con l'occasione saranno organizzati momenti di riflessione e dibattito sulle tematiche in oggetto.
Il programma dettagliato della giornata sarà fornito in tempo utile alle classi interessate.


Allegati

 “C’era una volta la guerra”

Eravamo d'estate quando è uscita la legge che obbligava gli alunni ebrei a lasciare la scuola. Io avevo finito la terza elementare, sarei dovuta andare in quarta. Non me l'hanno fatto capire subito per non darmi dei dispiaceri. Però verso l'autunno mamma un giorno m'ha detto, col tono di quella che racconta una cosa senza importanza: "Sai, il prossimo anno non puoi più andare nella tua scuola e andrai in un'altra scuola dove ci saranno tutti bambini ebrei". Per me è stata una doccia fredda: lasciare la maestra, lasciare i compagni. Così è stato. L'inizio è stato abbastanza difficile, però ho fatto amicizia coi nuovi compagni, poco per volta ho poi voluto bene alla maestra. Ad ogni modo io aspettavo con grandissima ansia il giorno in cui ci sarebbe stata la premiazione dei bambini alla scuola pubblica dov'ero andata. Perché io in terza avevo avuto il "premio di secondo grado". Avevo meritato un premio, perché ero brava a scuola, di secondo grado perché ce n'era una più brava di me. Ma ero contentissima. La premiazione avveniva a metà dell'anno dopo e io aspettavo il giorno in cui sarei andata a ritirare il mio premio e a rivedere la mia maestra e i miei compagni. Il giorno prima di quello della premiazione suonarono alla porta di casa. Driin… chi sarà? Mia mamma va ad aprire. Era la bidella della scuola Mignon, che portava un pacchetto contenente un libro, e ha detto - potrei descrivervela, piccola e grassa-: "La signora direttrice manda questo premio per la bambina Elena O.; non deve venire domani alla premiazione per non profanare le scuole del Regno d'Italia". E' stato il primo dispiacere folle della mia vita. Ho pianto, ho urlato e… quel libro oltretutto era anche brutto, un libro di mitologia greca, fascistissimo. E ho pianto e urlato. Allora la mia mamma ha cercato di consolarmi dicendomi: "Faremo una bella festa noi in casa, faremo la premiazione". Ha fatto venire tutte le zie che fingevano di essere le patronesse e tutti i cuginetti piccoli che erano piccolissimi e non capivano; ognuno ha avuto un piccolo premio, la mamma s'è messa al piano e così abbiamo fatto una gran bella festa a casa. Ma quello è stato il più grande dispiacere, il mio primo grande dispiacere.

Da “C’era una volta la guerra”, a cura di Sonia Brunetti e Fabio Levi. Silvio Zamorani editore, Torino 2002.

 

 

 

Così morì Emilia, che aveva tre anni; poiché ai tedeschi appariva palese la necessità storica di mettere a morte i bambini degli ebrei. Emilia, figlia dell’ingegner Aldo Levi di Milano, che era una bambina curiosa, ambiziosa, allegra e intelligente; alla quale, durante il viaggio nel vagone gremito, il padre e la madre erano riusciti a fare il bagno in un mastello di zinco, in acqua tiepida che il degenere macchinista tedesco aveva acconsentito a spillare dalla locomotiva che ci trascinava tutti alla morte. Scomparvero così, in un istante, a tradimento, le nostre donne, i nostri genitori, i nostri figli… Li vedemmo un po’ di tempo come una massa oscura all’altra estremità dalla banchina, poi non vedemmo più nulla.
da SE QUESTO È UN UOMO, Primo Levi, Opere, Einaudi 1947

 

 

Varsavia soffriva la fame

Varsavia soffriva la fame, ma Janusz Korczak riusciva sempre a trovare i viveri per i suoi bambini […]. Venne l'ordine di deportare tutti gli ebrei […].
Non si sa se avesse spiegato ai bambini del suo orfanotrofio a che cosa dovessero prepararsi e dove sarebbero stati condotti. Si sa soltanto che quando gli assassini assalirono la casa di Via Sienna 16 […], i duecento innocenti condannati a morte non piansero […]. Si stringevano al loro maestro […].
Fino ad oggi non si è saputo dove sia finito Korczak con i duecento orfani. Secondo ogni probabilità, nessuno di loro è sopravvissuto.

Giosuè Perle, La distruzione di Varsavia, diario trovato fra il materiale dell’archivio clandestino sepolto sotto le macerie del ghetto, in Ricorda cosa ti ha fatto Amalek, di Alberto Nierenstajn.

 

 

Nel ghetto di Varsavia

Agosto 1942
L'asilo infantile del dottor Janusz Korczak è ora vuoto. […]. Abbiamo visto i tedeschi circondare la casa. File di bambini che si tenevano per mano sono cominciati a uscire. C'erano tra loro creaturine di due o tre anni; i più grandi arrivavano forse a tredici. Ognuno portava in mano un fagotto e indossava un grembiule bianco. Camminavano a due a due, calmi, sorridendo, senza sospettare nemmeno lontanamente la loro sorte. Il corteo era chiuso dal dottor Korczak […]. La casa ora è vuota; le guardie puliscono le stanze dei bambini assassinati.

Mary Berg, “Il ghetto di Varsavia”. Diario 1939-1944

 

 

Lettera alla madre

"Carissima mamma, dopo la mia scappata [da casa] non ho potuto darti mie notizie per motivi che tu immagini. Ti do ora un dettagliato resoconto della mia avventura: partii cosi all'improvviso senza sapere io stesso che cosa stavo facendo. Camminai finché potevo, poi mi fermai a dormire in un fienile in località Osteria Matteazzi. Al mattino, svegliandomi con la fame, ripresi a camminare in direzione di Gombola, sfamandomi con le more. Arrivai a Gombola verso le nove e di lì cercai i partigiani, deciso a entrare a far parte di una qualche formazione. Riuscii a trovare patrioti che mi insegnarono la strada per andare al Comando che si trovava a Maranello di Gombola. Arrivai nella detta località stanco morto, ma mi feci coraggio e mi presentai. Dopo un po' mi si presentò l'occasione di entrare a far parte della formazione Marcello.
“Sei contenta? Presentandomi a Marcello fui assunto e siccome ho studiato fui dislocato al Comando e attualmente mi trovo stabile relativamente sicuro in una località sopra a Gombola.
“Cosi non devi impensierirti per me che sto da re. La salute è ottima; solo un po' precario il dormire. Per chiarire un increscioso incidente ti avverto che non ho detto quella cosa che mi hai fatto giurare. Cosi chiudo questa mia, raccomandandoti alto il morale, che ormai abbiamo finito. Affettuosamente ti bacia e ti pensa il tuo tesoro. Appena ricevuta la mia bruciala. Ancora ti saluto e ti abbraccio

Franco Cesana, era un ragazzo ebreo di quasi tredici anni. E’ il più giovane partigiano d’Italia caduto in battaglia.

Franco Cesana in: Formiggini Gina, Stella d’Italia Stella di David. Gli ebrei dal Risorgimento alla Resistenza

 

 

Eravamo tutti amici
Dalla testimonianza del dott. Paolo Rivoltella


Ricordo che andavamo tutti lì, in campo del Ghetto Novo, a giocare a calcio, cosa proibita, e da lì scappavamo per tutte le calli che ci davano un rifugio sicuro dalla grinfie dei vigili. Era bello, divertente, sì, divertente. E così anche la vita in città scorreva tranquillamente nonostante ci fosse come un senso di terrore che avvolgeva tutta Venezia. Si sentiva ogni tanto lo scoppio di una bomba a Marghera, se ci pensate, era a due passi dalle nostre case e aleggiava sempre quel misto di terrore e sconforto che si prova quando sai che sta accadendo qualcosa di tremendo, ma io, ragazzino, non me ne curavo più di tanto. Anche se mi rendevo conto che qualcuno dei miei amici, che aveva il padre in guerra, sentiva tutto questo molto, molto più di noi. Poi c’erano Angelo e Miriam, i figli dei nostri più cari amici, i Grassini, che avevano un fantastico monopattino, che io invidiavo da matti.
Io e Angelo eravamo due amici inseparabili e andavamo a scuola volentieri insieme a tutti i nostri amici del campo. Non ho mai pensato di separarmi da lui, solo perché era ebreo. Mai. Era un tipo vivace, simpaticissimo, e mi fabbricava le spade con cui, dopo la scuola, combattevamo fino a tardi. Eravamo dei veri guerrieri. Suo padre Raffaele e suo zio Guglielmo, detto Gelmo, erano proprietari di una macelleria, frequentata da tutto il quartiere, visto che Raffaele era gentile ed era molto bravo a trattare con la gente.
Era mattina e come ogni giorno stavo andando a scuola. Mi sedetti. Rimasi stupito di non trovare Angelo seduto al solito posto. Se fosse stato assente me lo avrebbe detto. Quel giorno non lo vidi e così non seppi nulla.
Il giorno dopo nulla… e l’altro ancora… lo vedevo in campo e giocavamo come al solito ai guerrieri e io continuavo a chiedergli perché non tornava in classe e lui mi rispondeva che aveva cambiato scuola, ormai frequentava quella ebraica. Pensavo lo facesse per professare la sua religione, normale!? Non solo lui ma anche tanti altri miei amici se ne erano andati così, di punto in bianco, in quella scuola dove studiavamo ebraico. Non riuscivo a capire, ma tanto lo vedevo comunque e giocavo sempre in campo con lui. Eppure una cosa non mi quadrava: aveva i miei stessi libri e le mie stesse materie; e allora perché non stava con me? Mio papà non mi illuminava di certo con delle spiegazioni. Ma, nonostante tutto, continuavamo ad andare alla sua macelleria, ma anche quella non funzionava più come una volta, e alcuni vecchi clienti avevano scelto di andarsene. Non sapevo perché.
Il pomeriggio dell’8 settembre io e mio padre, che eravamo alla stazione per lavoro, vedemmo ad un certo punto da un vaporetto spuntare un reparto tedesco che sparava a pelo d’acqua con una mitragliatrice piazzata sulla prua della barca. La situazione era peggiorata subito, in pochi giorni, e da lì capimmo che i nazisti facevano sul serio. Era iniziata una tragica pagina del libro della mia vita.
Mio padre e Raffaele sapevano. Sapevano da tanto e avevano programmato un piano che a quell’età non avevo capito. Era proprio per questo che da due settimane non vedevo più Angelo e Miriam. Mio padre aveva messo in giro la voce che se ne erano andati. Non li avevo neanche salutati. In realtà erano a casa loro, nascosti da chissà quale pericolo, per me non ne esistevano.
Mio padre si recava da loro giornalmente e filava tutto liscio. Era giunto il momento di partire. Ma penso proprio che il destino non sia mai andato incontro a loro positivamente, non li ha mai premiati. Avevano in mente proprio quel giorno, il 6 dicembre alle 5:00 della mattina di andarsene, ma proprio quella sera, con i registri in mano e tante vittime sulla coscienza, i fascisti e i nazisti cominciarono a rastrellare le case ebree senza tralasciarne nessuna. Arrivarono a casa loro dove intanto mio padre fingeva di essersi stabilito con i vari contratti d’affitto. Cercavano una famiglia ebrea, due nonni, un padre, una madre, due figli ed erano in quattro, armati fino ai denti, per prelevare delle persone innocenti, ridicolo no? Mio padre cercò di convincerli con la storia della partenza e fece vedere loro che aveva tutte le carte in regola per possedere quell’appartamento, ma non ci cedettero.
Una delle S.S. si avviò verso il lungo corridoio nella cui ultima stanza era rifugiata la famiglia che aveva avvolto i bambini nei materassi perché non si sentisse il loro pianto anche se in realtà erano i nonni che, coscienti della situazione, si disperavano di più. Stava per arrivare nella stanza quando, fu un vero miracolo!, le lampadine si fulminarono. Tirò un sospiro di sollievo nel vedere il Tedesco inciampare nel coperchio della cassa di imballaggio lasciato involontariamente lì, con il naso rotto e il sangue sgocciolante. Mio padre cercò di alleggerire il clima offrendogli le migliori cure e una grappa che risollevò il morale di tutti. Un maresciallo italiano, uno degli incaricati al rastrellamento, capita la situazione, convinse i tedeschi a lasciare la casa: lì non c’era altro che quel signore, in una notte non avevano concluso nulla! Mio padre era morto di paura. Se li avessero scoperti sarebbe stata anche la sua fine ma per fortuna quel brutto momento era passato. Era giunto invece il momento di partire. Si diresse nella stanza e trovò un disastro. Erano tutti così spaventati, sapevano di aver visto la morte. Riuscì a calmarli e a prepararli per la partenza che doveva avvenire immediatamente. Sentirono delle urla e dei colpi. Una corsa sulle scale. La porta che si era aperta e la vecchia domestica di Raffaele, affezionata alla famiglia, piangendo disperatamente raccontò cos’era successo quella notte. I genitori della madre di Angelo erano stati presi insieme a tutti quelli che avevano la sola colpa di essere Ebrei. Erano scioccati, sconvolti, ma non potevano ritardare la partenza, questione di secondi perché quelli della resistenza avevano i minuti contati. Non ci fu nulla da fare, nessuno voleva partire, volevano restare tutti uniti. Tanto che alla mattina si consegnarono al Foscarini, convinti di essere portati a lavorare e non di andare incontro alla morte. Solo dopo Raffaele capì di aver fatto l’errore. Avevano l’ultima possibilità di fuggire attraverso il campo Gloria e mio padre, deciso più che mai ad aiutarli, cercò di organizzare un’altra spedizione insieme a quelli della resistenza, facendoli passare per il cancello che dava sulle Fondamenta Nove. Lì non passava mai nessuno e con la laguna davanti avrebbero facilmente raggiunto un rifugio grazie alla barca del macello.
Ma i tedeschi avevano pensato a tutto. Avevano bloccato le vie d’uscita, il campo Gloria e le Fondamenta Nove. In qualche modo dovevano difendere la purezza della razza!
Sono stati deportati tutti quanti.
Ma ho rivisto Angelo e mi ricordo quel giorno come l’ultima fiammata che brucia tutto e non lascia che il ricordo di un limpido passato. Ormai che se ne era andato mi sentivo solo e infelice e per di più, per una promessa di mio padre a Raffaele, dovevamo vivere nel loro vecchio appartamento e custodire i loro beni insieme ad un prezioso cofanetto di gioielli. La casa era vuota, priva di vita.
Il giorno di Natale del ’43 è stato terribile.
Vado ad aprire… e vedo Angelo che mi fissa ma non mi sorride. Mi giro. Un signore in borghese con i baffetti mi chiede se in casa c’è mio padre. Lo vado a chiamare, chiarisce la questione con lui ed entrano nell’appartamento. Vengo a sapere che al campo di Fossoli vogliono far passare un felice Natale a quel povero bambino ebreo in una buona famiglia che lo potrà accogliere senza esitazioni.
Angelo non mi sfiorava nemmeno con lo sguardo. Se ne stava seduto lì, immobile, a fissare un punto della parete. Era lontano e io ero sordo ai suoi urli, cieco alla sua sofferenza, muto ai suoi sentimenti e lui guardava lontano lontano. Gli ho portato il suo monopattino, quello che invidiavo tanto, ma lui niente. Poi ci sedemmo a tavola e non mangiò nulla.
Mio padre cercò di corrompere il poliziotto a lasciare in casa il ragazzo ma quel signore con un sorriso spento disse che, se non avesse riportato indietro Angelo, avrebbero ucciso sua moglie e sua figlia prese in ostaggio per precauzione. Non c’era niente da fare. Angelo era già stato ucciso. Era già morto, chiuso e inespressivo. Non c’era più niente da fare già prima. Non mi salutò nemmeno.
Dopo pochi anni dalla fine della guerra, venni a conoscenza del ritorno di Guglielmo. Mi precipitai da lui per ridargli il cofanetto di gioielli che avevamo custodito. Ma non lo riconoscevo più. Lo zio di Angelo era come il nipote, un tipo vivacissimo, allegrissimo e con un gran senso dell’umorismo.
Ero rimasto scioccato. Non era più lui. Era come se gli avessero rubato l’anima così allegra e spensierata che era la sua linfa vitale ed ora era rimasto a secco.
Era sempre scuro e triste con lo sguardo perso nel vuoto e con la stessa espressione di Angelo, quando lo vidi l’ultima volta. Lo osservavo, era una sensazione strana, mio padre gli porse il cofanetto, ma lui rimase indifferente: non gli importava più nulla, ormai aveva perso tutto.
“E ora sono qui che racconto questa storia e dei ragazzi di III media che si assumeranno il compito di ricordare a se stessi e gli altri cos’è successo e cosa vuol dire veramente soffrire”.

Li hanno portati via. Testimonianze sulla deportazione
degli ebrei veneziani; a cura degli alunni del Convitto Foscarini
1943-1945.
The Steven H. and Alida Brill Scheuer Foundation
NEW YORK

 

 

Nostalgia della casa


E’ più di un anno che vivo al ghetto,
nella nera città di Terezin,
e quando penso alla mia casa
so bene di che si tratta.
O mia piccola casa, mia casetta,
perché m’hanno strappato da te,
perché m’hanno portato nella desolazione,
nell’abisso di un nulla senza ritorno?
Oh, come vorrei tornare
a casa mia, fiore di primavera!
Quando vivevo tra le sue mura
io non sapevo quanto l’amavo!
Ora ricordo quei tempi d’oro:
presto ritornerò, ecco, già corro.
Per le strade girano i reclusi
e in ogni volto che incontri
tu vedi che cos’è questo ghetto,
la paura e la miseria.
Squallore e fame, queste è la vita
che noi viviamo quaggiù,
ma nessuno si deve avvedere:
la terra gira e i tempi cambieranno.
Che arrivi dunque quel giorno
in cui ci rivedremo, mia piccola casa!
Ma intanto prezioso mi sei
perché mi posso sognare di te.


1943 Anonimo

  

Primo Levi “Se questo è un uomo”, Einaudi 1958



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