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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
Direttore responsabile: Dario Cillo

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SENATO DELLA REPUBBLICA
XIV  LEGISLATURA
Resoconto stenografico
Seduta n. 348
5 marzo 2003

Discussione del disegno di legge:
(3387) Delega al Governo per la definizione delle norme generali sull'istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale

ASCIUTTI, Relatore per la maggioranza.

Signor Presidente, signora Ministro, onorevoli senatori, il disegno di legge n. 1306-B, recante delega al Governo per la definizione delle norme generali sull'istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale, già approvato dal Senato lo scorso novembre, torna all'esame di questo ramo del Parlamento a seguito di un limitato numero di modifiche apportate dalla Camera dei deputati. (...).
I primi sei articoli del provvedimento sono stati infatti approvati dall'altro ramo del Parlamento nell'identico testo licenziato dal Senato. Solo all'articolo 7, recante le disposizioni finali e attuative, sono state apportate alcune modifiche, in parte di natura meramente tecnica, come ad esempio lo slittamento del triennio finanziario di riferimento dal 2002-2004 al 2003-2005. Anche la sostituzione dell'espressione «entro il limite massimo» con l'altra «nella misura massima», di cui al comma 5 dell'articolo 7, appare di carattere meramente lessicale.
La sostituzione del comma 7 con tre nuovi commi, che assumono rispettivamente la numerazione 7, 8 e 9, riveste invece maggior rilievo. I nuovi commi impongono infatti che ciascuno degli schemi dei decreti legislativi attuativi della riforma sia corredato da relazione tecnica, ai sensi dell'articolo 11-ter della legge n. 468 del 1978. Quelli comportanti nuovi o maggiori oneri potranno inoltre essere emanati solo successivamente all'entrata in vigore di provvedimenti legislativi che stanziano le occorrenti risorse finanziarie. Il testo licenziato dal Senato prevedeva invece che i decreti comportanti oneri aggiuntivi avessero comunque attuazione nell'ambito dei finanziamenti annualmente iscritti nella legge finanziaria. (...) Il comma 9, infine, stabilisce che il parere parlamentare sugli schemi dei decreti legislativi sia reso dalle Commissioni competenti per materia e da quelle competenti per le conseguenze di carattere finanziario.
Si tratta nel complesso di modifiche di limitato spessore che completano il percorso già avviato dal Senato. Nel corso dell'esame in sede referente da parte della Commissione istruzione esse sono state ampiamente esaminate e dibattute.
La Commissione ha altresì esaminato circa una ventina di ulteriori proposte di modifica presentate dall'opposizione. Nessuna di queste è stata tuttavia accolta nella convinzione che occorresse quanto prima porre termine allo stato di incertezza che da troppo tempo agita ormai il mondo della scuola. Pur riconoscendo all'opposizione un impegno costruttivo e non ostruzionistico, la maggioranza si sente chiamata ad approvare sollecitamente la riforma in tempi utili affinché i decreti legislativi di attuazione possano essere emanati nell'arco della legislatura.
Con questo spirito, raccomando all'Aula la tempestiva approvazione del disegno di legge, nel testo licenziato dalla Camera dei deputati.

SOLIANI, relatrice di minoranza.

Signor Presidente, signora Ministro, signora Sottosegretaria, colleghi, torna nell'Aula del Senato, cinque mesi dopo la prima approvazione, il disegno di legge delega per la definizione delle norme generali sull'istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale.
Lo attendevamo. Noi conoscevamo – e l'avevamo denunciata in quest'Aula – l'inconsistenza finanziaria del provvedimento e su questo punto avevamo avanzato invano, qui in Senato, una pregiudiziale di costituzionalità ai sensi dell'articolo 81 della Costituzione.
La maggioranza non ha inteso ragioni e riceve ora dalla Camera dei deputati un testo meglio definito nelle sue implicazioni finanziarie che, nel correggere formalmente i passaggi procedurali per l'esercizio di alcune delle deleghe, finisce tuttavia per evidenziare ulteriormente i profili di illegittimità e di scopertura finanziaria dell'intera riforma.
In particolare, le modifiche introdotte alla Camera riguardano le modalità di attuazione delle due norme di delega che, nelle intenzioni del Governo, dovrebbero costituire il pilastro portante della riforma: la delega in materia di norme generali sull'istruzione e di livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e di formazione professionale (articolo 1) e la delega in materia di disciplina dell'alternanza scuola-lavoro (articolo 4).
A questo proposito, la Camera ha espressamente previsto che i decreti legislativi relativi a tali norme siano corredati da relazione tecnica, come peraltro già imposto dall'articolo 11-ter, comma 2, della legge n. 468 del 1978 in materia di contabilità dello Stato. Ma soprattutto ha disposto che, ove tali decreti recassero nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, essi siano emanati solo dopo l'approvazione di appositi provvedimenti di spesa che stanzino le necessarie risorse.
Questa formulazione, che pure nasconde dietro l'eventualità di maggiori spese quella che evidentemente è già una certezza considerata la natura degli interventi oggetto della delega, giova comunque ad evidenziare come quelle disposizioni siano a tutt'oggi prive di qualunque forma di copertura finanziaria.
Con una norma di dubbia legittimità costituzionale, si rinvia infatti al legislatore futuro la responsabilità politica di far fronte agli oneri che deriveranno dall'attuazione delle attuali deleghe. Lo stesso legislatore futuro dovrà a tal fine stabilire nuove entrate o minori spese che, a loro volta, incideranno sulle politiche fiscali o sulle politiche di spesa pubblica in forme e in misura che oggi non sono conoscibili da nessuno, né dal Parlamento né dal Governo.
Questa impostazione configura un'inaccettabile negazione del principio di responsabilità politica alla base di ogni sistema giuridico moderno, secondo cui ogni decisione recante un costo o un onere per la collettività deve essere accompagnata da una corrispondente assunzione di responsabilità certa e contestuale (e non soltanto indeterminata ed eventuale) circa le politiche da attuare per far fronte a tali oneri.
Diversamente, il Parlamento risulterebbe semplicemente privato della possibilità di conoscere e valutare la complessiva portata politica e finanziaria delle riforme sottoposte alla sua approvazione, con la conseguenza di vedere umiliate e compresse le sue prerogative istituzionali, ridotte alla mera ratifica di norme manifesto, prive di alcun contenuto giuridico rilevante.
Peraltro, la mancanza di una quantificazione certa degli oneri finanziari della riforma ed il rinvio, per la loro determinazione e copertura, a una nuova decisione politica e legislativa del Parlamento negano e stravolgono anche lo stesso istituto della delega legislativa, come delineato dall'articolo 76 della Costituzione, configurando un ulteriore profilo di illegittimità costituzionale della cosiddetta riforma Moratti.
D'altra parte, a mettere in luce tali aspetti problematici, se non addirittura allarmanti della legge di delega in materia scolastica, proponendo in concreto degli interventi correttivi praticabili, erano state le proposte emendative presentate dall'Ulivo già in prima lettura e ribadite, per quanto possibile, anche in terza lettura, per i soli aspetti di copertura finanziaria. Sotto quest'ultimo aspetto le nostre proposte indicano un'immediata forma di copertura finanziaria, nell'incremento uniforme delle aliquote sui redditi da capitale, in misura idonea a generare il gettito atteso per la riforma.
Pur intendendo tale copertura come destinata a finanziare gli interventi di riforma scolastica che noi sosteniamo in alternativa a quelli della riforma Moratti, abbiamo tuttavia ritenuto di riproporre questa copertura anche con riferimento a norme di delega contenute nella riforma in approvazione, proprio allo scopo di ribadire l'esigenza di una vera e realistica disposizione di copertura finanziaria, del tutto omessa dal Governo.
In definitiva, si tratta della conferma di ciò che l'opposizione ha sempre sostenuto, vale a dire che l'intero disegno, che si presume riformatore, è inchiodato alla partenza, rimanendo inattuabile; che il suo futuro è condizionato dalle disponibilità via via definite dal Tesoro; che l'iter, sempre tormentato sul piano delle risorse, è destinato ad aggravarsi; che, dopo l'eventuale sua approvazione definitiva, che il ministro Moratti saluterà come una conquista, la barra del timone passerà definitivamente nelle mani del ministro Tremonti. È il sigillo dell'impotenza di questa legge e del ministro Moratti, e questo è ciò che più conta per il sistema scolastico italiano e per il Paese.
Il ritorno al Senato di questo disegno di legge non è solo tecnico, assume un rilievo tutto politico. L'articolo 7 infatti nega, in sostanza, ciò che è contenuto nei precedenti. Il rinvio ad altri provvedimenti di spesa se, da un lato, manifesta di nuovo problemi di costituzionalità, confermando peraltro lo stile del Governo che presenta disegni di riforma senza prevederne la copertura finanziaria, dall'altro, getta uno sguardo di grande preoccupazione sui prossimi ventiquattro mesi nei quali potranno essere emanati i decreti attuativi.
L'interrogativo è uno solo: ci saranno le risorse? È realistico prevederle? La risposta non può che essere negativa, sia perché non sono ipotizzati nelle previsioni del Governo aumenti di entrate, sia perché le rigidità di bilancio sono destinate ad aumentare entro il Patto di stabilità.
L'articolo 7, modificato al comma 7, rende del tutto vuoti i precedenti articoli, quelli che riguardano il corpo vivo della scuola, la sua attività, le sue strutture portanti; quelli indicati al comma 3 dell'articolo 1: la riforma degli ordinamenti; la valorizzazione della formazione professionale; il Servizio nazionale di valutazione; le nuove tecnologie; lo sviluppo dell'attività motoria e delle competenze ludico-sportive degli studenti; la formazione iniziale e continua; l'autoaggiornamento del personale docente e la sua valorizzazione; il personale ATA; gli interventi contro la dispersione scolastica; l'istruzione e la formazione tecnica superiore e l'educazione degli adulti; gli interventi per l'edilizia scolastica.
Senza risorse certe, ogni provvedimento resta soltanto una dichiarazione d'intenti. Quando il ministro Moratti parla alle famiglie e al Paese della sua supposta riforma, dovrebbe anche aggiungere che non un centesimo di euro è stato di fatto stanziato per realizzarla.
Non si tratta di dettagli, le risorse sono un elemento portante degli interventi dei Governi, i quali poggiano su due pilastri fondamentali: il merito delle scelte, che in questo caso riguardano il presente e il futuro della scuola italiana, e le risorse finanziarie che vanificano o potenziano il merito delle scelte, le realizzano o no. La differenza non è irrilevante.
La legge torna, signora Ministro, nella sua verità. Torna nuda, esposta senza scampo al destino di rimanere puro annuncio, manifesto, comunicazione massmediatica; in definitiva, solo propaganda. E dire che lei aveva parlato al Paese, nei mesi scorsi, di almeno 10 miliardi di euro necessari per la sua riforma, sostenuti peraltro da un ordine del giorno del senatore Valditara approvato da quest'Aula. Annunci: la verità è nei fatti, non nelle parole.
La verità è nella più grande riduzione di risorse che la scuola italiana ricordi, operata da questo Governo con le sue leggi finanziarie. Una contrazione di risorse che corrisponde, per il triennio 2003-2005, a un complessivo definanziamento pari ad almeno 2,1 miliardi di euro (circa 4 mila miliardi di vecchie lire) dell'intero sistema delle politiche scolastiche.
Questa è la prima certezza che la scuola riscontra e che appartiene a quest'anno e mezzo di Governo: una gestione che la impoverisce e ne mette a rischio la qualità, mentre la perdurante incertezza sul contratto del personale accresce la demotivazione degli insegnanti.
La seconda certezza è l'assoluta indeterminatezza circa la concreta attuazione del presente disegno di legge: una scuola senza futuro, senza prospettiva europea. Quel che resta della fattibilità di questo provvedimento, allo stato delle cose, è scritto al comma 5 dell'articolo 7, con il quale la Camera dei deputati conferma la misura massima delle risorse per l'attuazione dell'anticipo della frequenza della scuola dell'infanzia e della scuola primaria statale, secondo criteri di gradualità e sperimentazione, compatibilmente con la disponibilità dei posti e delle risorse finanziarie dei Comuni.
Sappiamo bene tutti quale sia questa disponibilità, in seguito alle scelte del Governo con i provvedimenti e le leggi finanziarie. Questo è tutto ciò che oggi il Governo si è impegnato a fare. Qui comincia e qui finisce «la riforma».
La terza certezza è ciò che per espressa volontà di questo disegno di legge viene tolto alla scuola italiana: gli effetti della legge 20 gennaio 1999, n. 9, e tutte le potenzialità della legge 10 febbraio 2000, n. 30, che vengono abrogate.
Questa è la responsabilità che si è assunto il Governo bloccando le riforme del centro-sinistra: nessun approdo ad un'altra sponda per la riforma, siamo invece in vista del deserto.
L'abrogazione della citata legge n. 9 del 1999, sull'elevamento dell'obbligo di istruzione, fa cessare la garanzia del diritto a frequentare iniziative formative volte al conseguimento di una qualifica professionale per coloro che non riescono a raggiungere un titolo di studio; scompaiono le misure attive sull'ultimo anno dell'obbligo volte a contrastare il fenomeno della dispersione scolastica; si perde il credito formativo per chi non consegue un diploma o una qualifica; si minano le basi giuridiche del Fondo per l'offerta formativa delle istituzioni scolastiche autonome, del Fondo per il sostegno all'handicap per la parte relativa all'integrazione oltre il livello dell'obbligo, del raccordo con l'articolo 68 della legge 17 maggio 1999, n. 144.
Con l'abrogazione della legge n. 30 del 2000, diventa problematico il raccordo con la legge n. 144 del 1999, scompare la deroga per le Province autonome di Trento e di Bolzano sulla disciplina dell'obbligo scolastico, diventa impossibile individuare i titoli universitari e curricolari richiesti in deroga alla normativa vigente per l'accesso alle professioni, tra cui l'attività docente.
Questo l'esito più pesante e più certo del provvedimento al nostro esame: l'abbassamento dell'obbligo scolastico, mentre ovunque, negli altri Paesi, viene innalzato.
Signora Ministro, solo un approccio ideologico, unito alla fretta, può spiegare un provvedimento che genera un tale scompenso, una tale devastazione per l'intero sistema. Resta, invece, l'approccio culturale con il quale il Governo guarda al sistema scolastico e formativo: l'istruzione come avventura individuale; la scuola a domanda individuale, fornitrice di deboli prestazioni senza progetto; la codificazione della differenziazione sociale; l'incremento delle disuguaglianze territoriali per effetto della devoluzione che intanto continua il suo iter parlamentare.
La scuola, le famiglie, il Paese hanno bisogno di stabilità. L'azione del Governo consegna invece la scuola ad una permanente instabilità, ogni attesa è già delusa. Questo passaggio al Senato lo conferma: nulla è certo in questo provvedimento. Per il Governo che accada o no quel che si scrive è la stessa cosa, e il malessere e la rabbia aumentano.
La scuola chiede reali interlocutori: la via maestra dell'autonomia esce, da questo provvedimento, del tutto mortificata. Ben altra può essere la forza di un sistema delle istituzioni scolastiche autonome, protagoniste della vita del Paese, inserite in un contesto di ricerca, di innovazione, di qualificazione. L'autonomia esce mortificata dall'assenza di risorse.
È il Paese che resta bloccato. Bloccato nella sua dinamica sociale, nel suo bisogno di quella mobilità che solo un sistema di istruzione e formazione aperto, non rigido, integrato può assicurare.
L'Italia ha di fronte a sé, nella comparazione europea e internazionale, tutto intero il problema dell'efficacia del sistema di istruzione. La dipendenza dell'iter scolastico dalle condizioni socio-familiari di partenza dei ragazzi irrigidisce l'intero Paese e gli preclude ogni possibilità di crescita.
Una società più fluida ha bisogno non dell'ingessamento del sistema scolastico, che questo provvedimento rischia di introdurre, ma di una scuola che sia potente strumento di mobilità e progressione sociale. I ragazzi italiani oggi hanno bisogno di ben altro rispetto a ciò che ci consegna questo provvedimento.
Queste, onorevoli colleghi, le forti implicazioni politiche, le contraddizioni che accompagnano il ritorno del disegno di legge in quest'Aula. Ne è consapevole anche la maggioranza, preoccupata del fatto che il Governo si sia inerpicato su una strada difficilissima. In realtà, in questo articolo 7 vi è la prova della caduta di credibilità del Governo: non fa quel che dice di voler fare.
Il dibattito svoltosi alla Camera dei deputati ha messo in luce un altro fatto, del resto previsto. Dopo giorni di dibattito il testo torna modificato solo all'articolo 7; tutto il resto è identico, come se il dibattito e il contributo dell'opposizione fossero inutili. Un'altra prova che il confronto parlamentare non è apprezzato dal Governo e dalla maggioranza.
Non parli più, signora Ministro, di sue intenzioni bipartisan: è in Parlamento che si verifica se le intenzioni hanno un rilievo politico oppure no. Le parole impegnano sempre, in politica: debbono avere riscontro nei fatti.
Il testo torna al Senato «accompagnato» dai 37 ordini del giorno accolti dal Governo alla Camera, a loro volta corrispondenti a circa l'80 per cento degli ordini del giorno presentati in quella sede sia dalla maggioranza che dall'opposizione: riguardano tutto, sono stati approvati di fretta, spesso sono in vistosa e stridente contraddizione tra loro. Segno che la riforma non convince nessuno: né l'opposizione né la maggioranza, la quale, evidentemente, deve accontentarsi di esprimere il suo dissenso attraverso gli ordini del giorno.
Dalla Camera esce dunque una doppia «riforma»: quella del disegno di legge e quella, diversa, caotica e incoerente disegnata dagli ordini del giorno.
Oggi il ritiro del provvedimento da parte del Governo sarebbe la cosa più seria e più utile per la scuola italiana e per lo stesso Governo. Chiudiamo una fase, riapriamo il discorso.
In ogni caso, signora Ministro, l'Ulivo e il centro-sinistra chiedono che il discorso si apra davvero sui contenuti dei decreti delegati, perché è lì che si decideranno, se si decideranno, gli interventi concreti. Vogliamo discutere davvero, in un confronto aperto, sia i provvedimenti finanziari sia i decreti delegati, affinché siano trovate le soluzioni migliori possibili nelle condizioni date.
Perché questo è l'impegno del centro-sinistra: dare alla scuola e al Paese la prospettiva di futuro che il Governo sta loro negando, attraverso un grande progetto di investimento e di innovazione che pensi la scuola come perno della coesione e dell'inclusione sociale e dell'unità culturale e civile della Nazione, che scelga l'istruzione, l'università, la ricerca come motore del Paese, che indichi la conoscenza come la priorità di un Governo che, come ha portato l'Italia in Europa con l'euro, in Europa la vuole mantenere con la formazione delle persone e in particolare delle nuove generazioni.
Un progetto di speranza che accompagni la scuola italiana e il Paese nel tempo difficile del governo della destra, che non li lasci soli nelle crescenti difficoltà, che riduca, per quanto possibile, il danno che è loro arrecato, che dia un diverso approdo alle attese della scuola e dell'Italia.


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