SENATO DELLA REPUBBLICA
XIV  LEGISLATURA    
3ª SEDUTA PUBBLICA

Lunedì 18 giugno 2001
(dal resoconto stenografico)

Comunicazioni del Governo
Presidente del Consiglio dei ministri on. Silvio Berlusconi

Signor Presidente, onorevoli senatori, sette anni fa presentammo in quest'Aula il programma del nostro primo Governo; da allora molte cose sono cambiate e ciascuno di noi ha imparato molto dai fatti della vita e della politica.
Ma consentitemi di cominciare con una frase schietta, diretta, semplice. Noi siamo qui per lo stesso motivo di allora: vogliamo cambiare l'Italia. Lo faremo pacificamente, nell'ordine, nel libero dibattito democratico, guardando ai valori fondamentali della persona scolpiti nella Costituzione della nostra Repubblica, nel rispetto intransigente dei diritti civili di ciascuno, ma lo faremo. Lo faremo nella legalità, in piena integrazione nel sistema istituzionale vigente e nel rispetto di tutti i poteri costituzionali dello Stato, ma lo faremo. Lo faremo nell'ottimismo, che non c'è mai mancato, nello spirito di fiducia e di collaborazione con tutti coloro che mostrano buona volontà e anche in un clima sereno, ma lo faremo, perché il Paese, che noi tutti amiamo, ha il diritto di compiere e completare al meglio la lunga e difficile transizione che ha investito il sistema politico e costituzionale.
C'è un capitolo da chiudere definitivamente, ed è quello della vecchia politica, e c'è un capitolo tutto da scrivere, quello di un nuovo modo di fare politica. Vorrei cominciare da qui, evitando i riti ripetuti, i riti stanchi delle vecchie formule, i buoni propositi, le parole vuote, gli omaggi dovuti, l'inventario dei problemi o il libro dei sogni.
Vorrei, invece, nel momento in cui chiedo a voi la fiducia per l'atto fondante dell'investitura parlamentare, cogliere il senso complessivo di questa svolta necessaria. Vorrei parteciparvi lo spirito che ci muove e che ci guiderà nell'azione di Governo. Vorrei, anzi voglio, assumere qui davanti a voi, nel Senato della Repubblica, l'impegno ad essere il Presidente del Consiglio di tutti gli italiani.
L'identità di questo Governo e, se mi consentite, la sua peculiare posizione nella storia del Paese è chiara ormai a tutti. Dopo cinque anni la coalizione delle opposizioni è diventata maggioranza. Non era mai successo nei lunghi decenni, dal 1948 al 1994, anno dell'applicazione della nuova legge elettorale maggioritaria, e anche successivamente non si era mai prodotta la classica circostanza di tutte le democrazie europee: l'opposizione che si fa Governo, la maggioranza che diventa opposizione, per decisione degli elettori.
In alcuni momenti era accaduto addirittura il contrario e il vento trasformista umiliava le istituzioni con la minoranza che si faceva Governo e la vera maggioranza del Paese costretta all'opposizione nonostante il voto degli elettori.
Questo meccanismo salutare che lo scrutinio maggioritario ha reso possibile, questo insieme di stabilità nella legislatura e di ricambio costituzionale alla guida di Governo i politologi lo chiamano «alternanza». Per noi questa alternanza rappresenta l'ossigeno della democrazia, é l'antidoto naturale alle tentazioni consociative e ad una visione manovriera e cinica della politica nazionale. E' un primo grande cambiamento che fa dell'Italia, finalmente, una democrazia compiuta.
Da questo giudizio, credo inattaccabile, discende la prima questione di metodo che penso sia utile sottoporre alla vostra attenzione: il rapporto tra Governo e opposizione. Noi abbiamo e avremo sempre il massimo rispetto per i diritti e le prerogative della minoranza e per la sua funzione di controllo costituzionale degli atti dell'Esecutivo, funzione seria, sacra, insostituibile in una democrazia. Per questo le minoranze hanno uno statuto parlamentare, spazi riconosciuti, inviolabili e incomprimibili nelle istituzioni del Paese e il diritto di manifestare liberamente il loro pensiero, un diritto che si combina con gli effetti di una stampa libera di criticare e contestare la maggioranza e il suo Governo.
Sono i presupposti della dialettica democratica, la base del confronto che vogliamo aperto, forte, schietto ma sempre rispettoso dei ruoli che la Costituzione assegna a maggioranza e a opposizione.
Non ci spaventa la contrapposizione, soprattutto quando nasce dalle idee, dalle convinzioni e dalla passione politica. Auspichiamo soltanto che il confronto si svolga sempre in un clima di serenità e di correttezza istituzionale, senza ambiguità, alla luce del sole, senza confusione di ruoli, senza i sospetti e le ombre degli intrighi consociativi.
Ci mettiamo volentieri alle spalle polemiche, anche motivate e di rilievo, sui cinque anni trascorsi, sul modo in cui furono formate le due diverse maggioranze di centro-sinistra e sulla gestione della vita parlamentare, comprese le riforme costituzionali per così dire solitarie e la definizione di regole ad hoc nel campo dell'informazione. Ma ribadiamo con profonda convinzione che questo Governo e la sua maggioranza, nella loro autonomia e in quanto espressione diretta della sovranità popolare, hanno il diritto e il dovere civile di governare, cioè di attuare nei tempi programmati il loro programma di Governo.
Spero che questa convinzione sia ormai diffusa; voglio credere che sia diventata patrimonio comune, elemento centrale della cultura istituzionale del Paese, davvero, direi, patrimonio comune e condiviso da tutte le forze parlamentari.
Come ha detto il presidente Ciampi, la Repubblica progredisce nel segno dell'alternanza e noi siamo orgogliosi di aver dato un contributo determinante alla rifondazione della democrazia italiana su un impianto liberale e democratico, su basi moderne ed europee.
Signor Presidente, onorevoli senatori, la maggioranza che oggi si presenta alle Camere è convintamente, direi intrinsecamente, europeista. L'ho riaffermato proprio in questi giorni a Bruxelles e a Göteborg. Con la posizione assunta al vertice NATO e al Consiglio europeo il Governo ha evidenziato la continuità della linea di politica estera che intende rafforzare con un più incisivo impegno per la costruzione europea e per il suo futuro, così come per il consolidamento dell'Alleanza atlantica e del rapporto con gli Stati Uniti. Impegno europeo, anzitutto. E' intenzione del Governo portare avanti il programma di lavoro adottato con il trattato di Nizza, che presenteremo quanto prima al Parlamento per la ratifica.
Sono caduti ormai gli ostacoli all'allargamento dell'Unione europea e abbiamo di fronte a noi la responsabilità storica di unificare il continente nella democrazia e nella libertà, dopo i due totalitarismi nazista e comunista e dopo le divisioni del dopoguerra.
Il Consiglio europeo di Göteborg ha ribadito con forza che questo processo è irreversibile. In questo senso lavoreremo convintamente, certi di garantire così gli interessi nazionali.
Siamo inoltre – e lo siamo con un accento speciale – amici degli Stati Uniti d'America. In quell'amicizia indistruttibile stanno, infatti, le radici della nostra libertà e quell'alleanza tra pari che è il fondamento strategico della nostra sicurezza. I decenni passano, i Muri crollano e alla Guerra fredda si sostituisce il compito ben più esaltante di costruire un ordine mondiale policentrico, un equilibrio nuovo tra le aree sviluppate e quelle in via di sviluppo, in un'impegnativa battaglia contro i mali della povertà, delle grandi epidemie, dell'analfabetismo e della fame.
Si stagliano di fronte a noi grandi questioni strategiche. Miliardi di uomini premono con i loro bisogni, con le loro ansie di emancipazione dai vincoli del sottosviluppo, con le loro identità e le loro religioni, con i loro costumi e i loro valori e nel mercato, che ormai è globale, vengono messe in campo nuove occasioni di sviluppo, potenzialità immense di conoscenza e di ricerca, tendenze demografiche esplosive insieme a tutta quella rete di mobilità sociale, di migrazioni transfrontaliere, di evoluzione degli stili di vita e di lavoro di interi popoli.
Alla vigilia del G8, cioè del vertice mondiale che l'Italia avrà l'onore e la responsabilità di presiedere, bisogna ribadire una verità che noi teniamo per salda e sicura: non c'è questione dirimente della vita contemporanea, dalla tutela dell'ambiente alla conquista di una pace stabile e ben garantita in termini di sicurezza militare, che possa essere risolta senza il metodo della reciprocità e del negoziato tra gli americani e noi europei, nel rispetto di un alleato storico dell'Europa libera e nel quadro di una puntigliosa tutela della nostra indipendenza e del nostro orgoglio nazionale.
A Genova, il Governo coglierà l'occasione per un messaggio forte sui grandi temi della modernizzazione e della lotta alla povertà. La lotta contro l'emarginazione e la miseria, soprattutto nel tormentato continente africano, non è solo un dovere etico; significa anche espandere le frontiere della democrazia, prevenire i conflitti, attenuare i fenomeni migratori.
Sul problema del debito, 23 Paesi stanno beneficiando di una sostanziale riduzione. Essa si tradurrà nella cancellazione dei crediti commerciali e di aiuto per complessivi 54 miliardi di dollari. L'Italia andrà oltre le intese di Colonia, con la cancellazione del 100 per cento di tutti i crediti commerciali e di aiuto ai Paesi che avranno completato il negoziato. (Applausi dai Gruppi FI, AN, CCD-CDU:BF e LNP. I senatori Malabarba, Malentacchi e Tommaso Sodano espongono cartelli contro il vertice dei G8).
Ma condonare il debito non garantisce lo sviluppo. Il Governo si impegnerà perché nel G8 si pongano le basi per un patto di reciproca responsabilità. Spetta a quei Paesi adottare al loro interno politiche mirate al rispetto dei diritti civili ed alla riduzione della povertà; spetta ai Paesi più avanzati aprire i propri mercati e dare risorse aggiuntive ai Paesi poveri che conducano politiche corrette.
Ci adopereremo per fare in modo che la globalizzazione li aiuti ad uscire dall'emarginazione e a rimuovere gli ostacoli al loro sviluppo assicurando più risorse per la sanità e l'istruzione, più libertà di vendere i loro prodotti, più investimenti privati. Il Governo sta operando con gli altri membri del G8 in questa direzione e anche nella direzione cruciale della protezione dell'ambiente e della sicurezza alimentare.
Agli italiani e agli europei che dissentono, che si preparano a manifestare – in piena legittimità – a Genova, il Governo si rivolge con una sola voce, con una sola parola: siamo aperti al dialogo, purché il diritto costituzionale venga rispettato, perché il diritto di manifestare è indisponibile da parte di qualsiasi autorità.
Ma anche nel merito diciamo loro: riflettete, non sciupate una grande occasione. Come ho già detto a Göteborg, tutti debbono capire che i temi che vogliamo discutere nel G8 sono gli stessi che muovono e animano i cosiddetti contestatori. Anche nel Consiglio europeo ci siamo occupati proprio degli stessi temi e delle stesse esigenze. Forse il problema è che non c'è, o non c'è stata fino ad ora, una linea di comunicazione tra noi e loro per far comprendere che in gran parte i loro obiettivi sono anche i nostri, sono gli obiettivi di chi ha ricevuto, democraticamente, la responsabilità di governare.
È per questo che tenteremo di stabilire quella linea di comunicazione per creare con le organizzazioni della protesta un modo, un'occasione, uno strumento per comunicare. Ma il tutto deve svolgersi – lo ripeto – nella più rigorosa esclusione di ogni forma di violenza e nella più gelosa tutela dell'ordine pubblico. L'ala estremista del movimento contrario alla globalizzazione deve essere isolata e messa in condizioni di non nuocere. Auspichiamo che anche le opposizioni si facciano carico di evitare a Genova lo spettacolo drammatico a cui abbiamo assistito in molte città del mondo e, da ultimo, nella pacifica Göteborg.
Signor Presidente, onorevoli senatori, non farò un'esposizione – l'ho già detto – tecnica e dettagliata del contratto con gli italiani e del piano di Governo elaborato e reso pubblico nel corso del confronto elettorale; documenti che i senatori della maggioranza conoscono parola per parola per esserne stati divulgatori e che anche i senatori dell'opposizione conoscono per esserne stati critici puntuali.
Non ricorderò, per esigenze di tempo, tutti i singoli impegni che abbiamo chiamato «missioni» e tutte le misure e le opere a cui ci siamo impegnati per ammodernare lo Stato, la sua architettura istituzionale, le sue leggi, le sue infrastrutture e per far decollare il Mezzogiorno. Le abbiamo affidate alla testimonianza, che non mente e che non vola via, della carta stampata e del testo scritto. Se abbiamo fissato in una forma contrattuale le nostre intenzioni non è per una concessione alle regole spettacolari del confronto elettorale, ma per un'intima convinzione: il Paese ha storicamente sopportato un tale numero di rinvii e di elusioni del dovere di governare e di realizzare i programmi presentati agli elettori che una nuova delusione dovrebbe essere necessariamente seguita da un dignitoso ritiro dalla vita pubblica di chi non sia stato capace di mantenere gli impegni assunti con gli elettori, uniformando l'attività di Governo all'arte e alla cultura del fare.
Ma è qui, davanti al Parlamento della Nazione, che quelle missioni diventano piano di Governo, che quegli impegni, confortati dalla vostra fiducia, diventano programma e strumento dell'azione governativa. Consentitemi, dunque, di tracciare solo una sintesi delle questioni più rilevanti che ci accingiamo ad affrontare da ora alla fine della legislatura.
La prima questione concerne la riforma federalista dello Stato; la devoluzione di poteri effettivi di Governo alle regioni e della connessa responsabilità, anche fiscale. Il tema del federalismo è stato imposto all'attenzione generale nel corso degli ultimi dieci anni dentro e fuori dalle istituzioni. La battaglia federalista ha avuto il merito di porre il grande problema di decentrare poteri e responsabilità effettivi in un contesto di equilibrio territoriale tra Nord e Sud e di unità nazionale.
Il nostro federalismo, infatti, si fonda sui princìpi di autonomia e sussidiarietà. Secondo il principio di autonomia, il soggetto fondamentale dell'esperienza sociale, politica e istituzionale è rappresentato dalle comunità locali, amministrate dai loro enti rappresentativi. Insieme alle regioni e alle province, quindi, non possiamo non ricordare il ruolo particolare dei comuni, che sono il portato più significativo della ricchezza e della varietà della nostra storia.
Il principio di sussidiarietà, dal canto suo, consente invece non solo di valorizzare l'autonomia della società civile, delle famiglie, delle organizzazioni sociali e delle imprese, ma anche di tutelare l'autonomia delle comunità e delle organizzazioni più piccole nei confronti di quelle più grandi. Saranno questi princìpi, più che le dispute astratte sui diversi modelli di federalismo, a guidarci nell'opera di ammodernamento dello Stato e della sua architettura istituzionale.
In materia di sanità, d'istruzione e di sicurezza civile, con la necessaria gradualità ma in tempi certi e coniugando efficienza e solidarietà, intendiamo dunque imprimere una svolta federalista alla macchina dello Stato, ridisegnando di conseguenza intere sezioni architettoniche dell'edificio pubblico.
Abbiamo criticato la riforma costituzionale solitaria della vecchia maggioranza di centro-sinistra perché pensavamo e pensiamo che si debba fare di più e di meglio, ma faremo di tutto affinché gli adempimenti che a quella legge costituzionale conseguono – tra questi la consultazione popolare – non fermino il processo di riforma e il suo allargamento e non gettino il Paese in un'altra stagione di esercitazioni propagandistiche ed elettoralistiche.
In materia di federalismo – ripeto – dobbiamo fare di più e di meglio di quanto finora è stato fatto. Questa è la nostra stella polare, le tecnicalità seguiranno. Una riforma federalista, dopo la decisione di eleggere direttamente i sindaci e i presidenti delle province e delle regioni, implica naturalmente una ridefinizione dei poteri e della stessa procedura di legittimazione dell'autorità centrale; implica cioè un rafforzamento netto del potere dell'Esecutivo e del suo vertice. Pensiamo, in definitiva, al federalismo per valorizzare le energie locali e al tempo stesso ad un moderno presidenzialismo per garantire l'unità della Nazione. (Applausi dai Gruppi FI, AN, CCD-CDU:BF e LNP).
In un sistema istituzionale bilanciato devono in pari tempo aumentare i poteri di controllo del Parlamento, che può diventare un organo legislativo più agile e più operativo di quello attuale, fatte salve le antiche prerogative di una lunga e onorata tradizione repubblicana.
Su tutta questa materia furono raggiunte intese di massima, e anche imbastite misure specifiche, nel corso dei lavori di diverse Commissioni bicamerali costituite negli ultimi decenni e le diverse forze politiche hanno un loro profilo programmatico ormai sufficientemente preciso, sia quelle di maggioranza sia quelle di minoranza. Non sarà difficile – questo è almeno l'auspicio del Governo – trovare un'intesa di fondo per promuovere i cambiamenti necessari, nel rispetto delle necessità e dei tempi di un serio dialogo ma con la consapevolezza di un programma da attuare nelle sue linee fondamentali.
Il Governo, alla fine, chiederà al Parlamento di procedere conclusivamente verso l'orizzonte per noi irrinunciabile di uno Stato profondamente rinnovato. La società dell'informazione, della nuova economia, del pluralismo culturale, religioso e tecnico, richiede come esigenza primaria uno Stato che non sia più l'arcigno controllore dei doveri del cittadino, bensì il difensore autorevole e forte delle sue libertà e dei suoi diritti inalienabili. È ormai chiaro a tutti che gli straordinari progressi delle tecnologie informatiche e delle telecomunicazioni sono alla base di alcune profonde trasformazioni economiche e sociali che stanno modificando la nostra vita quotidiana e debbono essere governate per migliorare le nostre attività, le nostre capacità professionali, le nostre possibilità di informazione e di comunicazione.
L'esempio di molti Paesi, gli Stati Uniti ma anche di molti nostri partner europei, mostra i grandi vantaggi che si possono ottenere da efficaci politiche informatiche in termini di crescita economica, di creazione di posti di lavoro, di qualità dei servizi disponibili, di competitività generale. Con la creazione del Ministro senza portafoglio per l'innovazione e le tecnologie abbiamo inteso colmare una visibile carenza del passato: la mancanza di una visione, di una strategia nazionale complessiva e coerente che sappia tradursi in un piano d'azione e in progetti coordinati.
Partiamo certamente da una posizione di ritardo ma uno dei principali obiettivi di questo Governo è portare il nostro Paese in una posizione di leadership nell'era digitale. (Applausi dai Gruppi FI, CCD-CDU:BF e AN).
In questo grande sforzo di ammodernamento dell'Italia la pubblica amministrazione occupa certamente il primo posto. (Applausi dai Gruppi FI, AN, CCD-CDU: BF e LNP. Ilarità dal Gruppo DS-U). Ci dovete scusare ma non siamo ancora coordinati! (Applausi dai Gruppi FI, AN, CCD-CDU: BF e LNP).
Le recenti parole del Governatore della Banca d'Italia ancora una volta confermano che esiste un problema di efficienza e di efficacia dell'attività della pubblica amministrazione. Sono parole che il Governatore della Banca d'Italia ha pronunciato recentemente. Il nostro è dunque uno dei Paesi dove il settore pubblico meno contribuisce alla competitività dell'economia e quindi al suo sviluppo. L'obiettivo che il Governo si pone è trasformare la pubblica amministrazione da handicap a punto di forza per il nostro competere nell'economia mondiale.
Nell'orizzonte temporale di questa intera legislatura il Governo intende quindi impegnarsi a fare molti e importanti passi avanti per realizzare un nuovo modello di amministrazione pubblica: più efficiente, realmente al servizio dei cittadini e delle imprese, più snella e veloce, più accessibile, più trasparente.
Questo grande sforzo verrà condotto non solo utilizzando le moderne tecnologie ma anche con interventi riorganizzativi, riducendo il carico di compiti e di funzioni che gravano sull'amministrazione, ridisegnando i processi amministrativi per renderli funzionali ai destinatari finali, decentrando responsabilità e attività, creando nuovi e più moderni servizi, attuando uno strategico investimento di riqualificazione e miglioramento professionale dei dipendenti pubblici.
Il modo in cui le amministrazioni e gli uffici si organizzano non deve costituire un ostacolo per i cittadini e le imprese nella soluzione dei loro problemi; al contrario, anche attraverso l'effettiva interoperatività, deve garantire, in tempi molto più rapidi di quelli attuali, risposte e risultati. L'interconnessione informatica può assicurare un'amministrazione unica, a cui è possibile fare riferimento e con cui soddisfare ogni esigenza. Il Governo si impegnerà affinché, al termine di questa legislatura, la stragrande maggioranza dei servizi ai cittadini e alle imprese sia accessibile e disponibile in rete.
Un'altra area di primaria importanza, in questo sforzo di modernizzazione dell'Italia, è naturalmente la scuola, dalle classi iniziali all'università. Tutti gli studenti dovranno ricevere un'ottima formazione informatica di base; gli insegnanti dovranno usufruire di programmi di preparazione; tutte le scuole e gli istituti dovranno essere collegati a Internet.
Altri campi di intervento del Governo, con appositi programmi e incentivi, riguarderanno l'addestramento e la formazione professionale continua per chi è già nel mondo del lavoro e soprattutto per chi ne è al di fuori, per facilitarne le capacità di inserimento, e politiche che contrastino o evitino il cosiddetto digital divide, cioè la divisione tra chi può far parte e beneficiare dei vantaggi della società dell'informazione e chi invece ne rimane al di fuori.
In sostanza, si tratta di un grande disegno di modernizzazione del Paese che potrà essere realizzato attraverso la mobilitazione degli uomini e l'efficace riallocazione delle risorse.
C'è poi da mettere mano al complesso delle leggi. Oggi in Italia esiste un numero incalcolabile di leggi che non garantisce certezza del diritto e serenità a chi vuole operare nel pieno rispetto delle regole. Si tratta di rivisitare il codice civile, il codice penale, i codici delle procedure; si tratta di abrogare molte leggi, di riunire le normative delle varie materie in testi unici e di dare vita ad un nuovo codice fiscale abrogando le attuali oltre 3.000 leggi fiscali. È un immane lavoro a cui chiameremo i migliori fra i nostri giuristi, contando di completarlo entro la legislatura.
Signor Presidente, signori senatori, è nostra intenzione ridurre la pressione fiscale, esentando i redditi marginali e fermando gradualmente l'aliquota dell'imposta personale al di sopra di una certa soglia, a un terzo del reddito.
 È nostra intenzione aumentare rapidamente le pensioni più basse fino al livello minimo di un milione di lire. Non si tratta di bandiere elettorali né di parole d'ordine, ma di una necessità economica e, per certi versi, anche morale.
Da un lato, sgravando il reddito dal peso soverchio di un'imposta sentita come oppressiva e ingiusta, si stimola la fiducia nel sistema, la propensione a investire e a consumare, l'autonomia e la responsabilità individuale di fronte ad uno Stato che fa un passo indietro e non si propone più come controllore ingombrante della libera iniziativa dei cittadini. Dall'altro lato, aumentando il reddito di chi ha più bisogno, di chi è rimasto indietro nella scala sociale perché le circostanze della vita e l'età l'hanno reso più debole, si sposa un grado maggiore di libertà, un elemento indispensabile di coesione della società, di solidarietà fattiva ed efficace all'interno della comunità. L'economia sociale di mercato è poi questa e, come tutte le grandi idee, è qualcosa di semplice: più libertà e più solidarietà. (Vivi, prolungati applausi dai Gruppi FI, AN, CCD-CDU:BF e LNP).
La riforma dell'IRPEF e delle pensioni sociali minime non è naturalmente che uno degli elementi di una gestione innovativa della leva fiscale e della spesa pubblica, due obiettivi che perseguiremo nelle nuove condizioni istituzionali connotate dalla riunione dei Ministeri delle finanze, del bilancio e del tesoro.
Rilanceremo altresì la logica, già sperimentata con successo dal nostro primo Governo, dell'incentivazione al reinvestimento degli utili d'impresa. L'emersione della parte sommersa del nostro apparato produttivo e di servizi, anche attraverso una oculata riforma del mercato del lavoro nel senso di una accresciuta flessibilità del nostro sistema contrattuale, è da mesi materia di confronto, e in alcuni casi anche di scontro, tra le parti sociali.
Il Governo farà la sua parte per favorire soluzioni che estendano la logica del mercato e dello sviluppo, dunque della creazione di lavoro qualificato, soprattutto nel Mezzogiorno. È un'opera da intraprendere senza ledere unilateralmente alcuni diritti acquisiti di base, ma anche senza cedere ad una visione statica, conservatrice e corporativa delle giuste tutele sindacali che fanno parte imprescindibilmente di una sana economia di mercato. Per creare lavoro non effimero occorrono capitali e la decisione di investirli secondo le convenienze di un mercato regolato, ma libero. Non lo insegna un'astratta filosofia liberista, lo dimostra l'esperienza di milioni di imprenditori italiani.
Veniamo alla situazione dell'economia italiana e dei conti pubblici che è, per usare un eufemismo gentile, una situazione molto complicata. Non siamo qui per lagnarci di chi ci ha preceduto e per addebitargli ciò che non va, ma non possiamo nascondere al Parlamento e alla pubblica opinione alcuni dati di fatto da cui ripartiremo con ottimismo e con grande volontà per fare quel che pensiamo sia giusto fare.
La situazione economica internazionale è caratterizzata da grande incertezza. L'espansione congiunturale iniziata nel 1999 ha portato ad una crescita molto forte in Europa e, in misura minore, anche in Italia. Quella buona congiuntura si è però rapidamente dileguata, anche per l'incapacità di assecondarla, in particolare da noi, con misure attive di risanamento e di sviluppo. È in corso, come sapete, una verifica attenta dei conti pubblici, ma è fin d'ora chiaro che gravano su di noi ipoteche assai più pesanti di quelle che la gestione elettorale delle cifre lasciava intravedere fino al 13 maggio.
Noi intendiamo lavorare tenacemente perché i cittadini possano continuare a fare assegnamento sui benefici del sistema previdenziale, del sistema sanitario, del sistema assistenziale e perché una strategia espansiva porti ad un aumento consistente e duraturo dell'occupazione. L'Italia nell'ultimo decennio ha avuto uno sviluppo al di sotto della media europea. Ciò era dovuto anche alla difficoltà di rimuovere alcuni squilibri strutturali: molti di quegli squilibri non sono stati ancora superati.
Possiamo e dobbiamo rimuoverli, nel contesto di una politica che privilegi l'aumento della produzione e la competitività. Abbiamo le risorse di lavoro e le capacità imprenditoriali, dobbiamo farlo con l'ausilio delle parti sociali. La coesione è una delle condizioni dello sviluppo e della competitività.
Il governatore della Banca d'Italia, Antonio Fazio, ha espresso in più riprese il suo monito affinché si agisca sul fronte della spesa pubblica, sulla struttura dei mercati e sulla leva fiscale con l'obiettivo di selezionare meglio le spese improduttive del settore pubblico e rendere disponibili i capitali necessari al rinnovamento delle infrastrutture di base, a cominciare da quelle per i trasporti. La chiave di tutto, secondo la più alta istituzione finanziaria del Paese, che nella sua autonomia e indipendenza rappresenta anche un saldo punto di riferimento dentro e fuori l'Italia, è proprio nel recupero di competitività del nostro sistema sui mercati internazionali.
A questo scopo occorre attirare in Italia una quota maggiore di investimenti esteri ed affermare una politica dei redditi che ci salvaguardi dal rischio dell'inflazione. Pensiamo che la politica dei redditi debba essere volta a garantire la stabilità perché alcune fasce di lavoratori già occupati non perdano il posto di lavoro e perché si creino opportunità per le numerose schiere di giovani che si affacciano alle responsabilità della vita e che debbono avere fiducia nelle possibilità di sviluppo e di progresso civile del nostro Paese. Dobbiamo premiare il merito, la voglia di lavorare, di intraprendere, di progredire.
Il Governo è già al lavoro per la preparazione del Documento di programmazione economico-finanziaria, nel quale le azioni necessarie a procedere lungo queste linee di sviluppo assumeranno definizione e concretezza. Poniamo davanti a tutto il bene comune, il bene di un'Italia più moderna e più giusta, più operosa e più solidale, un'Italia che investe nel futuro, l'Italia dei padri, l'Italia dei figli.
Non c'è piano economico di successo senza che si rimettano in moto gli investimenti, pubblici e privati, per realizzare ambiziosi progetti infrastrutturali: ponti, metropolitane, strade, autostrade, nuove linee ferroviarie, nuove tipologie nel campo dell'alta velocità. Saranno le grandi opere individuate dal nostro piano decennale che arricchiranno e consolideranno il Paese e lo renderanno più vicino ai bisogni dei cittadini e allo stesso tempo creeranno lavoro, ricerca, cultura e altre utilità pubbliche e private.
Abbiamo le competenze giuste per realizzare questi grandi progetti e lo faremo anche innovando nella legislazione e chiamando il capitale privato a concorrere alla realizzazione, così come avviene nei più avanzati Paesi europei.
Le compatibilità ambientali saranno lo standard al quale ci atterremo; perché è finito il tempo in cui era vero che governare è asfaltare, ma respingiamo con forza la filosofia integralista secondo la quale la tutela dell'ambiente è incompatibile con la realizzazione di grandi opere pubbliche. L'Italia ha bisogno di un ambientalismo serio e responsabile che non pregiudichi la possibilità di progettare il futuro. (Applausi dai Gruppi FI, AN, CCD-CDU:BF, LNP e del senatore Agnelli).
Signor Presidente, onorevoli senatori, giustizia e sicurezza non sono soltanto i capitoli obbligati di un serio programma di Governo, sono anche e soprattutto i principali regolatori di tutta la vita pubblica. Si forma una comunità politica in quanto si ha chiaro che tutti i cittadini, chiunque essi siano e quale che sia la loro identità sociale, sono sottomessi alle stesse leggi, correttamente applicate da magistrati imparziali.
Di questi magistrati e giudici l'Italia è stata ed è ricca. Sette anni fa, in questa stessa Aula, feci il nome di due martiri e simboli assoluti di onestà e di devozione alla causa della legalità. I sette anni passati da allora hanno, se possibile, consolidato e allargato i confini della loro leggenda di uomini giusti. Parlo, come avrete capito, di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino. (Vivi, prolungati applausi. L'Assemblea si leva in piedi).
Ma è certo che si forma una comunità politica in quanto la libertà di ciascuno è limitata dal rispetto della libertà dell'altro. E questo rispetto è garantito dalla delega all'autorità pubblica del potere e della responsabilità nell'uso della forza. Senza giustizia e senza sicurezza, esterna e interna, non può esistere alcuno Stato degno di questo nome. Non è dunque per sollecitare o assecondare paure sociali diffuse di fronte ai fenomeni di criminalità che questa coalizione, oggi fattasi Governo, ha condotto alcune delle sue più convinte battaglie.
Abbiamo proposto e riconfermiamo una politica cosiddetta di prossimità nell'impiego delle Forze dell'ordine, che devono sempre più essere collegate al territorio, radicate nella realtà della vita civile, formate e informate con i mezzi più moderni e con le tecniche investigative più avanzate, e dunque provviste di organici adeguati e di mezzi adeguati.
Confermiamo i nostri impegni e continuiamo ad evidenziarli, dopo la discussione sul Documento di politica economica e finanziaria, nella stesura di bilancio per l'anno 2002.
La tutela della sicurezza per le famiglie e per le persone sole, in particolare per le persone anziane e deboli, che sono spesso oggetto di odiose prepotenze, non è una concessione all'idea di uno Stato repressivo e autoritario; al contrario, è l'espressione più limpida di un'idea liberale di ciò che è nei fatti la funzione del potere pubblico. Che cosa ne è della mia libertà e della mia stessa vita di cittadino libero se un altro può agevolmente limitare i miei movimenti, costringermi dentro casa in preda all'angoscia, colpirmi a suo piacimento senza la certezza che sarà punito da un'autorità giusta e imparziale?
Abbiamo anche sempre evitato di identificare erroneamente la questione della sicurezza interna con il problema dell'accoglienza e dell'integrazione di quote crescenti di immigrati nei confini del Paese. Lo faremo con una politica dell'immigrazione che soddisfi le esigenze dello sviluppo economico e sociale del Paese, disciplinando i flussi e combattendo gli ingressi clandestini nell'osservanza dei criteri del Trattato di Schengen e nel quadro di una forte politica della sicurezza in ambito europeo.
Signor Presidente, signori senatori, la politica di difesa a tutela della sicurezza esterna del Paese deve fare un salto di qualità legato alla formazione di Forze armate professionali. L'Italia ha ormai una politica europea e internazionale vincolata a impegni crescenti nel campo della sicurezza e del mantenimento della pace in aree centrali per l'equilibrio geopolitico che interessa noi e gli alleati. La politica di difesa ha bisogno di investimenti di qualità, di un processo di formazione che deve inevitabilmente integrare l'industria della sicurezza collettiva con le nuove acquisizioni della tecnologia militare e con i patti sottoscritti dal nostro Paese.
È uno di quei settori in cui l'innovazione, di fatto, dev'essere accompagnata da una continuità di princìpi e di valori. In nome di quei princìpi, senza alcun formalismo, credo di rappresentare tutta l'Assemblea se rivolgo un saluto ai nostri ragazzi in missione nel mondo (Generali applausi) e il nostro omaggio alle Forze armate italiane, alla loro storia e al loro presente al servizio del mantenimento della pace.
Devo dire che niente dimostra la nuova fiducia degli italiani in se stessi quanto il clima di commozione sincera che tutti avete visto pervadere le celebrazioni, fortemente volute dal Presidente della Repubblica, della festa della Repubblica nello scorso 2 giugno.
Sarebbe un elemento di forte modernizzazione della vita politica italiana se riuscissimo, una volta per tutte, su questo piano così delicato della vita collettiva, ad eliminare le barriere partigiane legate a vecchie posizioni ideologiche. Lo abbiamo fatto dai banchi dell'opposizione, lo abbiamo fatto lealmente, con impegno e convinzione; sempre, sui grandi temi di politica estera e di difesa nazionale, lo spirito e il voto sono stati, per così dire, bipartisan. Ci piacerebbe che così fosse anche adesso, a parti invertite, per riaffermare, ora come allora, l'imprescindibile valore degli interessi superiori dell'Italia. Non c'è schieramento di parte né contrapposizione politica che possa dividerci su un valore così alto che tutti ci impegna, maggioranza e opposizione.
Per le riforme strutturali della giustizia rinvio ai testi scritti, ampiamente conosciuti. Ci sono state polemiche su un preteso assoggettamento a indicazioni parlamentari del lavoro dei magistrati; in realtà noi pensiamo che l'attuale sistema non debba affatto essere rovesciato. Ci limitiamo a proporre integrazioni e innovazioni, che sono nella legittima potestà delle Assemblee legislative. L'obbligatorietà dell'azione penale e l'autonomia della magistratura sono princìpi del nostro ordinamento e, in quanto tali, da rispettarsi scrupolosamente; ma sono anche problemi da risolvere, in quanto questi princìpi sono realizzati solo in parte e talvolta in modo del tutto insoddisfacente: basti pensare all'alto numero di reati per cui non si procede e agli effetti perversi di una totale unificazione delle carriere e delle funzioni tra magistratura inquirente e magistratura giudicante.
Desidero qui ricordare che questi problemi furono affrontati già durante i lavori della Costituente, al punto che alcuni insigni giuristi di limpida fede democratica si preoccuparono di definire il ruolo e la potestà del Parlamento nella formulazione e nella verifica degli obiettivi nel campo della sicurezza e della giustizia, fatta salva l'autonomia dei magistrati. Se una maggioranza e un Governo si autolimitassero fino al punto di escludere dal novero dei problemi, che affronteranno con il concorso naturalmente di tutte le parti interessate nel rispetto di una sana dialettica parlamentare, le principali questioni di amministrazione della giustizia, vorrebbe dire che viviamo in una Repubblica dimezzata e che la fonte della sovranità legislativa si condanna ad inaridirsi e ad estinguersi. (Applausi dai Gruppi FI, AN, CCD-CDU:BF e LNP). Per quanto sta in noi, visto che anche dall'opposizione siamo stati parte attiva per la costruzione delle regole costituzionali del giusto processo, non sarà così e speriamo in una leale collaborazione di tutto il Parlamento.
Veniamo al tema della sanità, che è lo specchio del grado di civiltà di un Paese. Un Paese dove esistono lunghe liste di attesa per prestazioni specialistiche, dove si rischia di non trovare posto in rianimazione o in unità coronariche, dove non di rado i letti dei malati occupano i corridoi, non è un Paese civile. (Applausi dai Gruppi FI, AN, CCD-CDU:BF e LNP). La salute è uno dei diritti che uno Stato deve garantire ai suoi cittadini indipendentemente dalle loro condizioni sociali.
Non abbiamo nascosto le nostre critiche alla riforma della Sanità approvata dai precedenti Governi, critiche del resto condivise dalla maggior parte degli operatori del settore. Noi riteniamo che si debba applicare anche nel campo della Sanità il principio di sussidiarietà come criterio fondamentale per migliorare i servizi e avvicinarli ai bisogni dei cittadini, abbandonando la strada della centralizzazione e della burocratizzazione. Si dovrà fare dell'autonomia delle regioni il mezzo per accrescere il grado di efficacia e di personalizzazione delle prestazioni e per riorganizzare un sistema pubblico-privato che parta dalla centralità del cittadino e dalle sue necessità.
Per questo occorre affrontare il problema dei rapporti dei medici con le strutture sanitarie, riducendo in maniera significativa i vincoli attuali che demotivano fortemente una categoria che oggi si sente poco considerata e soggiogata alle regole burocratiche dell'amministrazione pubblica. Il medico non è soltanto un impiegato dello Stato, ma è un professionista a cui è affidata la missione di tutelare il bene costituzionalmente garantito della salute.
Occorrerà anche esaminare attentamente le cause da cui deriva il disavanzo che si è registrato negli ultimi anni e assumere di conseguenza le decisioni più appropriate. Lo faremo con l'obiettivo di soddisfare le esigenze dei cittadini, che dal Servizio sanitario nazionale richiedono più facile accesso, migliore qualità e personalizzazione, alta professionalità degli operatori, umanità nel trattamento ed equità nei confronti di tutti.
Altro tema centrale, la scuola.Stiamo vivendo una rivoluzione tecnologica destinata a cambiare profondamente la nostra società, la nostra economia, ma anche le nostre prospettive di benessere e le nostre stesse libertà. Credo sia un fatto straordinario di cui tutti sentiamo l'importanza, un'opportunità per tutti noi ma soprattutto per i giovani. Bisogna però entrare dentro questa opportunità, essendo capaci di goderne, di sfruttarla, di utilizzarla pienamente. Ciò non può avvenire senza una profonda riforma di tutto il nostro sistema di istruzione. La nostra scuola è lontana dall'avere i mezzi, i programmi, le capacità di formare dei giovani che possano in qualunque Paese del mondo trovare il modo di affermarsi, di realizzare se stessi, di contribuire al progresso generale, e ciò nonostante l'impegno e la dedizione di tanti insegnanti.
La new economy, la nuova economia, ha aumentato le sfide che mettono alla prova i sistemi educativi, ma la nostra scuola sembra subirla più che dominarla. Non c'è più tempo da perdere. Se l'Italia vuole davvero contare nel mondo integrato dell'economia dovrà investire, dovrà investire molto nel campo della formazione, dell'università, della ricerca. Investire nel capitale umano è il modo migliore non solo per rendere competitive le nazioni, per aumentarne la ricchezza, ma soprattutto per aiutare chi oggi non è in grado di trarre vantaggio dalla globalizzazione.
Nel nuovo millennio la nuova frontiera dell'uguaglianza, della giustizia sociale e della libertà si gioca e si giocherà in gran parte sul terreno della cultura e della formazione. Per queste ragioni intendiamo fare della scuola un tema preminente della nostra politica di Governo, procedendo anche in questo campo nella direzione della sussidiarietà, perché siamo convinti che dove c'è più autonomia della società civile, delle istituzioni, dei privati non c'è solo più democrazia, ma c'è anche maggiore qualità e maggiore efficienza.
Il nostro obiettivo è dunque quello di realizzare un sistema formativo di qualità e di libertà, una scuola correlata al mondo della cultura ma anche del lavoro, dell'impresa, della produzione, una scuola che sappia garantire ai nostri figli un avvenire sicuro.
A proposito delle riforme che troviamo già fatte, la nostra posizione è nota. Rifiutiamo la strutturazione in cicli, così come è stata disposta, della scuola elementare e media. (Applausi dai Gruppi FI, AN, CCD-CDU:BF e LNP).
Il Governo, a tale proposito, ritiene necessaria una compiuta e complessiva valutazione del problema degli ordinamenti scolastici in tutti i suoi aspetti, familiari, pedagogici, sociali. A questo fine l'attuazione della riforma va rinviata e del resto la Corte dei conti, formulando un rilievo sul regolamento che prevedeva l'avvio della riforma delle prime due classi dell'attuale scuola elementare a partire dal prossimo 1º settembre, ha comunque già di fatto reso impossibile l'avvio della riforma per tale data.
Siamo convinti invece che sarebbe dannoso interrompere in corsa la riforma universitaria detta «delle lauree brevi» e ci comporteremo di conseguenza, pur riservandoci di introdurre i correttivi e gli adeguamenti che si renderanno necessari.
Quanto ai finanziamenti per garantire la libertà scolastica e il diritto delle famiglie ad avere una scelta più ricca e una scuola migliorata dal meccanismo della concorrenza e dell'emulazione, non accetteremo una concezione dirigista e statalista di quel bene pur fondamentale che è la scuola pubblica.
Il tema dell'educazione è strettamente legato a quello della famiglia, uno dei pilastri più importanti della nostra azione di Governo. La famiglia, come noi la concepiamo, è l'ambito naturale in cui si prospettano i valori morali e civili fondamentali; è un grande elemento di coesione sociale e di solidarietà ed è anche la garanzia per il futuro del Paese. Per questo tutta la nostra politica, dalla fiscalità ai fondi pensione, dagli asili nido ai contratti di lavoro, sarà mirata a sostenere e a sviluppare la famiglia, come fondamento di un nuovo patto sociale, come fattore di solidarietà fra le generazioni, come sorgente di valori positivi e cellula primaria della società.
Nella strategia del Governo un ruolo di grande rilievo sarà riservato ovviamente alle attività e ai beni culturali. Questo Governo non pensa – ed è logico – di imporre una sua cultura e una sua visione dell'arte, della musica, del teatro e del cinema, ma intende favorire la più libera e multiforme espressione delle culture e dei fermenti presenti nella società italiana, contribuendo alla diffusione nel mondo delle nostre arti e della nostra cultura.
Nello stesso tempo, si impegna alla più severa ed efficace tutela del patrimonio culturale, artistico, archeologico e monumentale accumulato nei secoli. Nessun Paese al mondo potrebbe permettersi di lasciar deperire e di tenere inattive le straordinarie riserve e risorse che compongono l'impareggiabile patrimonio culturale ed artistico dell'Italia. Su questo capitale anzi intendiamo investire, convinti come siamo che questa sia la più grande risorsa del nostro Paese.
Pochi altri Paesi possono vantare il patrimonio di cultura dell'Italia e la straordinaria vitalità delle nostre comunità all'estero. Abbiamo dunque il dovere di valorizzare queste ricchezze.
Intendiamo rilanciare la nostra presenza culturale, diffondere la conoscenza e l'insegnamento dell'italiano, favorire l'internazionalizzazione delle nostre università, sostenere la cooperazione in campo scientifico e tecnologico. A questo scopo, il Governo si impegna a rivedere la legge sulla promozione della cultura italiana nel mondo. (Applausi dai Gruppi FI, AN, LNP e CCD-CDU:BF).
Con gli italiani che lavorano e vivono in altri Paesi l'Italia ha contratto un debito antico. La nomina del Ministro per gli italiani nel mondo è una testimonianza della volontà del Governo di attuare, nel più breve tempo possibile, la legge sul voto degli italiani all'estero. (Applausi dai Gruppi FI, AN, LNP e CCD-CDU:BF).
Signor Presidente, signori senatori, mi sono pubblicamente impegnato a presentare una legge di regolamentazione dei conflitti potenziali di interessi. La situazione nella quale mi trovo era peraltro ben nota a tutti gli oltre diciotto milioni di italiani che mi hanno votato. (Applausi dai Gruppi FI, AN, LNP e CCD-CDU:BF). Intendo, tuttavia, affrontarla con il massimo di oggettività e di efficacia possibili, ma ribadisco che la mia storia di imprenditore nel settore delle comunicazioni e la mia coscienza personale non autorizzano alcuno a sospettare, nella mia azione istituzionale, fini diversi da quelli del bene comune. (Applausi dai Gruppi FI, AN, LNP e CCD-CDU:BF. Commenti dai Gruppi DS-U, Mar-DL-U e Verdi-U).
Il mio impegno sarà inderogabilmente mantenuto. (Applausi dai Gruppi FI, AN, LNP e CCD-CDU:BF. Commenti dai Gruppi DS-U, Mar-DL-U e Verdi-U). Prima della sospensione estiva dei lavori parlamentari, le Camere avranno a disposizione il nuovo testo legislativo in materia, nella forma di un disegno di legge del Governo. (Applausi dai Gruppi FI, AN, LNP e CCD-CDU:BF. Commenti dai Gruppi DS-U, Mar-DL-U e Verdi-U).
Signor Presidente, signori senatori, ho ripercorso qui sommariamente i punti salienti del piano di Governo per una legislatura, che abbiamo presentato agli italiani e articolato nelle cinque grandi missioni per cambiare l'Italia e nelle cinque strategie per migliorare la vita dei cittadini. Lo richiamo idealmente nella sua interezza e nella sua originalità di fronte a voi, perché questo costituirà la guida del nostro agire quotidiano, perché questo costituirà l'impegno del Governo nella sua collegialità e di ogni Ministro nel settore di sua competenza.
Per dare concretezza al nostro impegno e per garantire, nell'attuazione del programma, il rispetto dei tempi che ci siamo assegnati, abbiamo nominato un Ministro che avrà proprio il compito di sorvegliare, di stimolare e di incalzare, giorno per giorno, l'attività di tutti noi per la puntuale esecuzione del contratto con gli italiani. (Commenti e ilarità dai Gruppi DS-U, Mar-DL-U e Verdi-U. Applausi dai Gruppi FI, AN, LNP e CCD-CDU:BF).
Chi è stato imprenditore sa che cos'è un contratto. Così, in questo modo, pensiamo di cambiare l'Italia, perché questa è la missione che gli elettori ci hanno assegnato, per l'Italia del 2010, per l'Italia del nuovo millennio.
Ho già affermato molte volte che il nostro non è un progetto ideologico.
BONAVITA. È un comizio. (Proteste dai Gruppi FI, AN, LNP e CCD-CDU:BF. Commenti dai Gruppi DS-U, Mar-DL-U e Verdi-U. Richiami del Presidente).
BERLUSCONI, presidente del Consiglio dei ministri. È un piano di Governo, non è un comizio, e lo realizzeremo, spero anche con il vostro consenso. (Vivi, prolungati applausi dai Gruppi FI, AN, LNP e CCD-CDU:BF. I senatori dei Gruppi FI, AN, LNP e CCD-CDU:BF si levano in piedi. Commenti dai Gruppi DS-U, Mar-DL-U e Verdi-U).
Questo nostro progetto è semplicemente ciò che è indispensabile e urgente fare per il bene dell'Italia e di tutti gli italiani se vogliamo far crescere il nostro benessere, la nostra sicurezza, la nostra libertà.
È, certo, una grande sfida; un compito tanto esaltante quanto difficile, ma dobbiamo provarci. Sento che l'Italia che ho in mente, di cui abbiamo parlato agli italiani nel corso della campagna elettorale, è quella che gli italiani vogliono. Per questo ci hanno dato fiducia, affidandoci la responsabilità di governare. E l'Italia che vogliamo è un Paese nel quale nessuno debba sentirsi un cittadino minore; un Paese dove nessuno debba sentirsi abbandonato nella malattia e nella povertà (Applausi dal Gruppo FI); un Paese dove tutti possano vivere lo Stato e le sue istituzioni come la propria casa e non come un nemico in agguato; un Paese dove tutti abbiano la possibilità di istruirsi, di lavorare, di realizzarsi, di dare il meglio di sé; un Paese libero, prospero e giusto dove per tutti sia possibile tenere aperta la porta alla speranza. Questo è l'impegno che ho preso, che abbiamo preso, e tutti insieme lavoreremo per mantenerlo. Sentiamo tutta la responsabilità di questo compito e – siatene certi – non deluderemo chi ci ha dato fiducia. Mi auguro di cuore che tutti gli italiani, nessuno escluso, possano sentirsi protagonisti di questo grande progetto per cambiare l'Italia. (Vivissimi, prolungati applausi dai Gruppi FI, AN, CCD-CDU:BF e LNP. Molte congratulazioni. I senatori dei Gruppi FI, AN, CCD-CDU:BF e LNP si levano in piedi. I senatori Malabarba, Malentacchi e Tommaso Sodano espongono nuovamente cartelli contro il vertice dei G8).