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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
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Corte Suprema di Cassazione, Sezione Prima Civile, sentenza n. 3154/2003

(Presidente: R. De Musis; Relatore: A. Spirito)


La Corte osserva

Nel respingere l'opposizione proposta da A. S. avverso il provvedimento prefettizio di espulsione del 18 ottobre 2001, il Tribunale di Lamezia Terme, premesso di aver "richiamato il verbale di audizione dello straniero sentito in data 20.10.2001 presso il Centro di permanenza temporanea e assistenza di Lamezia Terme ... ", ha spiegato: che l'appartenenza ad una delle categorie indicate dall' art. 1 della legge n. 1423 del 27 dicembre 1956 (appartenenza che, ai sensi dell'art. 13, secondo comma, lett. C del D.Lgs. n. 286 del 25 luglio 1998 costituisce presupposto dell'espulsione prevista dal Prefetto) non va accertata dall'A.G., bensì dalla stessa P.A., costituendo tale accertamento il presupposto dell'esercizio dei poteri ad essa attribuiti; che tale autonoma valutazione è palesemente fondata sulla condanna penale irrogata e scontata dall'interessato; che, anche se l'espulsione fosse stata fondata sul presupposto di cui alla lettera B del secondo comma dell'art. 13 del citato D.Lgs. (l'essersi trattenuto lo straniero nel territorio dello Stato senza aver richiesto il permesso di soggiorno nel termine prescritto, salvo che il ritardo sia dipeso da forza maggiore, ovvero quando il permesso di soggiorno è stato revocato o annullato, ovvero è scaduto da più di sessanta giorni e non ne è stato chiesto il rinnovo), circostanza comunque esclusa, sarebbero inidonee ai fini probatori le dichiarazioni non provenienti da soggetti che per la loro qualità siano in condizioni di garantire l'obiettività del dichiarato (con particolare riguardo alla determinazione della data di arrivo in Italia ed alla situazione familiare).

Avverso il provvedimento del Tribunale di Lamezia Terme l'A. S. propone ora ricorso per cassazione, svolto in cinque motivi. Si difende con controricorso l'Avvocatura Generale dello Stato per la Prefettura di Catanzaro.



Motivi della decisione


Con il primo motivo il ricorrente, dopo avere elencato le tre ipotesi dell' art. 1 della legge n. 1423 del 1956 (richiamate dall'art. 13, comma secondo, lett. C del D.Lgs. n. 286 del 1998), sostiene che da nessuna di quelle si evince che l'esistenza di una condanna penale costituisca presupposto dell'espulsione disposta dal Prefetto e che da nessun elemento di fatto può dedursi che egli fosse dedito a traffici delittuosi o che vivesse abitualmente con i proventi di attività delittuose.


Con il secondo motivo viene censurata l'omessa motivazione in relazione a quel punto del provvedimento impugnato in cui, pur dandosi atto che l'atto amministrativo non era fondato sul presupposto di cui alla lettera B del secondo comma dell'art. 13 del D.Lgs. n. 286 del 1998, viene affermata l'inidoneità ai fini probatori delle dichiarazioni prodotte dallo straniero.

Con il terzo motivo si lamenta la violazione dell'art. 28, terzo comma, del D.Lgs. n. 286 del 1998 e della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, nonché l'omessa motivazione circa la contrarietà dell'espulsione dello straniero al primario interesse dei suoi figli minori presenti sul territorio italiano.

Con il quarto motivo viene censurata l'omessa motivazione in ordine alla richiesta di riduzione da cinque a tre anni del periodo di divieto di rientro in Italia.


Nel quinto motivo - il cui esame è preliminare rispetto a quello di tutti gli altri - si lamenta la violazione dell' art. 13, comma 9°, del D.Lgs. n. 286 del 1998 e si censura il provvedimento impugnato per aver deciso senza previamente sentire l'interessato (benché questi avesse chiesto al personale del Centro di accoglienza di essere accompagnato all'udienza fissata per essere ascoltato). Si sostiene, altresì, che a nulla può valere la circostanza che lo stesso sia stato sentito più di venti giorni prima dell'udienza presso il suddetto Centro, senza la presenza del difensore e dell'interprete. Decidere senza prima fissare l'udienza di comparizione delle parti avrebbe comportato l'impossibilità per il ricorrente di far valere l'illegittimità del provvedimento di espulsione.

Il motivo è fondato e va accolto.

Il comma nono dell'art. 13 del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, stabilisce (nel testo precedente alle modifiche apportate dalla legge 30 luglio 2002, n. 189, applicabile alla fattispecie nella qualità di disposizione normativa processuale) che il giudice accoglie o rigetta il ricorso proposto contro il provvedimento prefettizio d'espulsione, decidendo con unico provvedimento adottato, in ogni caso, entro dieci giorni dalla data di deposito del ricorso, "sentito l'interessato, nei modi di cui agli articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile".

Questa S.C. ha ripetutamente affermato la necessità che sia sentito l'interessato (tra le varie, cfr. Cass. 16 luglio 2002, n. 10303; 5 dicembre 2001, n. 15413; 9 novembre 2001, n. 13865; 17 novembre 2000, n. 14902), desumibile sia dalla trascritta disposizione normativa, sia (dato il carattere indubbiamente contenzioso del procedimento) dallo stesso principio del contraddittorio che impone (art. 4 del D. Lgs. 13 aprile 1999, n. 113, che introduce l'art. 13 bis nel D. Lgs. n. 286 del 1998) la notifica, a cura della cancelleria, del ricorso e del decreto di fissazione dell'udienza in camera di consiglio all'autorità emittente. Decreto che, peraltro, va comunicato allo straniero per ragioni di coerenza con il modello procedimentale richiamato (gli artt. 737 e segg. c.p.c. impongono l'audizione degli interessati), nonché per fatto che l'art. 3, comma primo, del D.P.R. 31 agosto 1999, n. 394, dispone che "le comunicazioni dei provvedimenti dell'autorità giudiziaria relative ai procedimenti giurisdizionali previsti dal testo unico e dal presente regolamento sono effettuate con avviso di cancelleria al difensore nominato dallo straniero o a quello incaricato di ufficio".

La audizione prescritta nei su descritti termini e modi di legge non può ritenersi soddisfatta da alcun altro atto equivalente, tanto meno dall'audizione avvenuta ad opera dell'autorità amministrativa presso il Centro di accoglienza.

La violazione dell'obbligo di audizione dell'espulso comporta la cassazione del provvedimento impugnato, con effetto assorbente rispetto agli altri motivi, il cui esame va rimesso, sentito l'interessato, al giudice di rinvio, che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.
La Corte cassa il provvedimento impugnato e rinvia al Tribunale di Lamezia Terme, nella persona di diverso magistrato, il quale provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

Depositata in Cancelleria il 4 marzo 2003


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