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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
Direttore responsabile: Dario Cillo


 

Dichiarazioni Programmatiche del Presidente del Consiglio dei Ministri On. Prof. Romano Prodi al Senato

Signor Presidente del Senato,

onorevoli senatrici e onorevoli senatori,

l’inizio del cammino del governo che oggi si presenta a Voi per chiedere la fiducia, ha coinciso con il termine di un settennato presidenziale e l’elezione di un nuovo Presidente della Repubblica.

Sono certo di interpretare i Vostri sentimenti, e quelli di tutti gli italiani, se avverto innanzi tutto il bisogno di rivolgere un pensiero di gratitudine al Presidente Ciampi, per il modo esemplare con cui ha interpretato il Suo ruolo di garante di tutti;

per la sensibilità e misura con cui in ogni circostanza ha saputo farsi interprete del comune sentire degli italiani;

per la passione con cui ha alimentato il sentimento dell’unità nazionale;

per la forza con cui in ogni occasione ci ha ricordato come l’Italia sia parte viva dell’Unione Europea.

Grazie, Presidente Ciampi. Le italiane e gli italiani Le sono e Le saranno sempre legati da affetto e gratitudine.

Allo stesso tempo, voglio rivolgere un saluto deferente e un caldo augurio al nuovo Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano.

Al momento della Sua elezione tutti, anche chi non ha ritenuto di votarlo, hanno sentito il dovere e il piacere di testimoniarGli la stima e il rispetto che ha saputo meritare lungo un percorso personale e politico sempre ispirato ad autonomia di giudizio, grande equilibrio, attaccamento alle istituzioni repubblicane, passione e fiducia nella democrazia e nella libertà, senso dello Stato.

A Lei, Presidente Napolitano, gli italiani guardano con grande attesa certi che saprà rappresentare l’Italia ovunque con la dignità e lo stile ben noti a chi la conosce, e che tutti impareranno ben presto ad apprezzare.

Se mi è consentita infine una notazione personale, è per me motivo di grande orgoglio che il Presidente Ciampi e il Presidente Napolitano siano stati entrambi valorosi ministri del mio primo governo. Mi lega al primo il ricordo dell’azione svolta insieme affinché l’Italia fosse nel gruppo di testa dei paesi dell’euro. Mi lega al secondo anche il ricordo dell’azione svolta nelle istituzioni europee perseguendo, in ruoli diversi, la stessa idea di Europa.

Signor Presidente del Senato,

onorevoli senatrici e onorevoli senatori,

il governo che oggi si presenta a voi per chiedere la vostra fiducia, è quello che gli elettori italiani hanno voluto con il loro voto il 9 e 10 aprile scorsi, al termine di una campagna elettorale che noi tutti avremmo voluto migliore per la qualità del dibattito e che da tutti è stata combattuta con passione, anche se a tratti, con qualche asprezza verbale di troppo.

Tuttavia si è trattato pur sempre di una normale campagna elettorale, di una competizione che ogni paese democratico maturo, come il nostro, vive periodicamente.

Dico questo perché, facendo leva anche sulla esiguità del vantaggio che ha consegnato la vittoria alla coalizione da me guidata, si vuole dare talvolta una lettura drammatizzante della situazione scaturita dalle urne. Taluni coltivano l’immagine di una comunità nazionale lacerata, spaccata, irrimediabilmente divisa.

Non è così. Consentitemi di dire che chi si attardasse in questa lettura non renderebbe un servizio al Paese, e neppure ai propri elettori.

L’Italia è sicuramente un paese con tante diversità, e con distinzioni anche forti, che tendono a esprimersi all’interno di una contrapposizione bipolare che i cittadini hanno fatta propria, e di cui accettano le implicazioni con ammirevole maturità. Maturità di cui è prova anche l’altissima partecipazione al voto.

Ma distinzione non è eguale a divisione, se la politica non la rende intenzionalmente tale, se la politica non sceglie di viverla e propagandarla come tale.

Sicuramente non è e non sarà questa la scelta del governo e della maggioranza che lo sostiene, espressa dagli elettori che hanno dimostrato di apprezzare il nostro programma e la nostra proposta di governo.

E noi realizzeremo il nostro programma, con l’obiettivo di coinvolgere anche chi non ci ha dato il suo consenso, non certo con l’intento di punire chi l’ha negato.

Non ci sono nemici, né in quest’aula, né fuori. Ci sono solo, qui e fuori, italiani che amano l’Italia come l’amiamo noi, ma che legittimamente coltivano priorità e auspicano scelte diverse dalle nostre.

Non c’è un paese da pacificare. C’è, invece, un paese da mobilitare in tutte le sue componenti, con un costruttivo spirito di concordia.

Non può e non deve esservi spazio per comportamenti ispirati ad una volontà di rivincita, ad un esasperato desiderio di marcare ad ogni costo le differenze, alla voglia di segnare vistosamente un nuovo inizio, quasi che un cambio di maggioranza e di governo all’interno di una fisiologica e salutare alternanza tipica di una solida democrazia, dovesse significare una frattura nella storia del Paese.

Noi ricercheremo la concordia, il che non significa annullamento delle diversità, nè tantomeno il perseguimento di intese non limpide che stravolgerebbero il significato del voto.

Noi la ricercheremo per lo spirito con cui intendiamo operare. E vorremmo che lo stesso spirito animasse l’opposizione.

Noi siamo qui, di fronte a Voi, non solo per chiedere la Vostra fiducia, ma per dirvi che noi sentiamo il bisogno e il dovere di guardare al Parlamento come alla sede naturale del confronto democratico fra maggioranza e opposizione, tutte e due a pari titolo rappresentative di parti importanti del nostro popolo.

All’opposizione e ai suoi leader non faremo mai mancare il rispetto che la democrazia esige.

A loro chiedo la disponibilità ad una attenta considerazione di quello che verremo proponendo, misurandolo sulla rispondenza agli interessi generali del paese.

Lo chiedo perché io credo che a nessuno di noi sfugga la serietà della situazione internazionale e interna in cui ci troviamo ad operare.

Lo chiedo perché sono profondamente convinto che o usciamo dalle difficoltà e andiamo avanti tutti insieme, o andiamo irrimediabilmente indietro tutti insieme.

Signor Presidente del senato,

onorevoli senatrici e onorevoli senatori,

il mondo in cui viviamo è ancora carico di rischi, di tensioni e di paure: le varie forme di terrorismo, le guerre e le povertà. Tante, e purtroppo crescenti, sono le ragioni di forte preoccupazione, e troppo spesso di serio allarme. E fra queste segnalo anche il rischio della ripresa della proliferazione nucleare.

Occorre un forte e costante impegno nella lotta al terrorismo internazionale, che minaccia l’insieme delle società del mondo contemporaneo.

Nei confronti del terrorismo affermiamo la nostra ripulsa morale e politica.

Siamo fermamente convinti che la lotta al terrorismo vada condotta con strumenti politici, di intelligence, e di contrasto delle organizzazioni terroristiche e che vada condotta senza comprimere mai né le nostre libertà né i nostri diritti, nè tantomeno indulgendo alle suggestioni di fondamentalismi di segno opposto, che predicano crociate e, annullando ogni distinzione, propugnano scontri di civiltà.

E’ in primo luogo sul piano politico, sociale ed economico che dobbiamo battere il disegno del terrorismo, prosciugando il serbatoio degli adepti.

Nella politica globale per la lotta al terrorismo noi saremo partecipi convinti, con i nostri valori e le nostre risorse, anche militari, ogni qual volta esse siano legittimamente mobilitate dalle organizzazioni internazionali a cui apparteniamo.

In ogni evenienza risponderemo con prudenza, con equilibrio e, quando necessario, con fermezza.

Saremo guidati da scelte precise nella nostra politica estera:

Scegliamo l’Europa ed il processo di integrazione europea come ambito essenziale della politica italiana.

Scegliamo di mettere la vocazione di pace del popolo italiano e l’articolo 11 della Costituzione al centro delle decisioni in materia di sicurezza.

Scegliamo il multilateralismo, inteso come condivisione delle decisioni e costruzione di regole comuni.

Scegliamo una politica preventiva di pace che persegua attivamente l’obiettivo di equità e giustizia sul piano internazionale, favorendo la prevenzione dei conflitti e il prosciugamento dei bacini dell’odio.

Scegliamo la legalità come chiave per affrontare i conflitti e per la costruzione di un ordine internazionale fondato sul diritto.

Scegliamo di mettere al centro dell’azione dell’Italia la promozione della democrazia, dei diritti umani, politici, sociali ed economici, a cominciare dai diritti delle donne.

E’ per questi valori e questa visione del mondo che, così come in alcuni casi abbiamo ritenuta legittima e doverosa la partecipazione militare dell’Italia a importanti missioni di pace, delle quali andiamo orgogliosi, non abbiamo invece condiviso la guerra in Iraq e la partecipazione dell’Italia.

Consideriamo la guerra in Iraq e l’occupazione del Paese un grave errore. Essa non ha risolto, anzi ha complicato, il problema della sicurezza. Il terrorismo ha trovato in Iraq una nuova base e nuovi pretesti per azioni terroristiche interne ed esterne ai conflitti iracheni. Quella guerra, come ha ammesso recentemente l’ambasciatore americano a Bagdad, ha scoperchiato un vaso di Pandora che rischia di far deflagrare l’intera regione.

E’ perciò intenzione del governo proporre al Parlamento il rientro dei nostri soldati, anche se siamo orgogliosi della prova di abilità professionale, di coraggio e di umanità che essi hanno dato e stanno dando.

Abbiamo purtroppo dovuto piangere numerosi caduti. Noi tutti siamo vicini alle loro famiglie, noi tutti siamo riconoscenti per il sacrificio che i loro cari hanno fatto.

Il rientro del contingente italiano avverrà nei tempi tecnici necessari, definendone anche in consultazione con tutte le parti interessate le modalità affinché le condizioni di sicurezza siano garantite.

Ho già accennato che l’Europa e il processo di integrazione europea rappresentano l’ambito essenziale della politica italiana. L’Europa è la carta sulla quale l’Italia, uscita distrutta dalla guerra, ha scommesso il proprio avvenire. Fino a quando ha fatto questa scommessa ha vinto.

Ma anche l’Europa conosce una fase di crisi, che noi non sottovalutiamo. E l’Europa ha bisogno di noi. Ha bisogno di un’Italia che si rimetta nel solco della sua grande tradizione.

Dobbiamo dare subito un nuovo slancio al processo di integrazione, attraverso iniziative ed azioni concrete che diano risposte tangibili alle attese di centinaia di milioni di europei.

Penso alla necessità di dotare l’unione monetaria di un vero governo economico e sociale, allo sviluppo di una nuova politica comune dell’energia, al sostegno alla ricerca e all’innovazione tecnologica, all’immigrazione, alla sicurezza, al ruolo dell’Europa nel mondo e, in particolare, in tutta la regione a noi vicina, a Est e a Sud.

Si tratta di azioni che possiamo attuare subito, con una più forte volontà politica e sfruttando pienamente i trattati in vigore. Sapendo però che buone e nuove politiche necessitano di buone e nuove istituzioni.

Per questo dobbiamo rilanciare il processo costituzionale, perché la nostra Europa ha un forte bisogno di una nuova Costituzione. Il mio Governo lavorerà con determinazione, assieme agli altri governi impegnati in tal senso e alle istituzioni europee, per trovare una soluzione all’altezza delle sfide che l’Europa deve affrontare.

Una soluzione che va trovata prima delle elezioni europee del 2009, per permettere a tutti i cittadini di far sentire la propria voce.

Il Governo è impegnato a fare tutto quanto è in suo potere affinché l’Europa diventi un soggetto forte e unito nello scenario internazionale.

Anche per consolidare e arricchire, su un piano di mutuo rispetto e di reciproca dignità, la storica alleanza con gli Stati Uniti d’America: finalità cui mi sono sempre ispirato nella mia azione anche a livello europeo, tanta è l’importanza che attribuisco alla saldezza di questo legame.

E infine per contribuire a rafforzare l’autorità delle Nazioni Unite e la stabilità dell’ordine mondiale.

E’ nostra convinzione che interesse nazionale e interesse europeo siano una cosa sola. E’ nostra convinzione che l’Italia conti, anche nei rapporti con il grande alleato, solo se conta in Europa. E noi lavoreremo per ricollocare l’Italia tra i paesi guida dell’Europa.

L’Italia non guarderà solo all’Europa. Il Governo si farà parte attiva per rilanciare una politica per il mediterraneo che avrà come obiettivo di fondo la costruzione di una grande area, in cui pace e prosperità possano affermarsi. Lo faremo attraverso una azione politica mirata e supportata dall’intensificarsi degli scambi commerciali e culturali. Penso alla banca del Mediterraneo, penso ad università comuni fra paesi della sponda nord e della sponda sud.

Anche il più lontano continente latino americano, che però ci è più vicino per la considerevole quantità di nostri concittadini che la vivono, ha bisogno di rinsaldare il legame con il nostro paese. È quello che faremo cercando di cogliere le grandi trasformazioni che stanno caratterizzando tutti i paesi di quell’area.

Infine la nostra responsabilità verso i paesi poveri dovrà concentrarsi prevalentemente sul continente africano in questi anni troppo spesso dimenticato L’Africa è sulle nostre spalle, sulle spalle dell’Italia e dell’Europa.

Complessivamente accompagneremo la politica estera del Governo con un grande sforzo per affermare la cultura italiana nel mondo, una cultura di pace e di grandi tradizioni e valori universali e indivisibili.

Lo strumento che utilizzeremo e valorizzeremo per questo scopo è la capillare rete consolare ed il rapporto con le regioni.

Signor Presidente del Senato,

onorevoli senatrici e onorevoli senatori,

il mondo del XXI secolo non è solo però un mondo carico di rischi e di paure. E’ anche un mondo carico di straordinarie opportunità, nel quale un terzo dell’umanità si è svegliato, è uscito dall’isolamento e ha trovato la strada di un formidabile sviluppo economico. Nel quale, tra la Cina e l’India, oltre due miliardi di persone stanno scoprendo e provando che la povertà e la miseria non sono una maledizione eterna.

Un mondo che sta imparando a conoscere il valore della tutela dell’ambiente. Un mondo al quale i progressi della scienza, della medicina, delle biotecnologie schiudono nuovi orizzonti e nuove speranze di vita.

E, tra rischi e opportunità, l’Italia vive un momento di grande difficoltà e incertezza.

La nostra gente sembra più occupata a difendere il benessere residuo che a costruire per sé e per la collettività nuove occasioni di sviluppo e di crescita, mentre si allarga l’area delle vecchie e nuove povertà.

I nostri giovani sembrano costretti a una vita segnata dalla provvisorietà, dall’incertezza sul proprio futuro professionale e di vita.

Il nostro sistema produttivo sta perdendo colpi, si stanno erodendo le nostre quote di mercato nel commercio mondiale. Scivoliamo indietro in tutti gli indicatori più importanti.

Le ragioni per cui questo avviene sono profonde. Il mondo è cambiato, sono cambiati i modi di produrre, e sono cambiati i fattori indispensabili per accrescere la competitività del sistema Italia.

Oggi vince chi riesce a restare sulle frontiere della innovazione. Una innovazione fatta di ricerca, di scuola, di università, di mercati aperti all’ingresso di nuovi protagonisti, e che trova la propria condizione di successo in una grande capacità organizzativa.

Anche le infrastrutture rappresentano un fattore critico di successo per la competitività del Paese. Proseguiremo nell’azione che già in precedenza i governi di centrosinistra avevano avviato, completando cioè gli assi Nord-Sud ed Est-Ovest che interconnettono l’Italia alla grande rete infrastrutturale europea.

Effettueremo, compatibilmente con le risorse disponibili investimenti infrastrutturali mirati, in una logica di sistema integrato, piuttosto che di singole grandi opere.

E in questa grande partita globale, noi rischiamo di restare ai margini. Ma restare ai margini non significa star fermi, che già sarebbe grave. Significa andare indietro, inesorabilmente.

Io non uso a cuor leggero la parola declino. Ma neppure posso ignorare che negli ultimi anni tutti gli indicatori sono peggiorati, a cominciare da un tasso di produttività ormai prossimo allo zero.

Oggi è necessario dare spazio all’azione di governo per affrontare i problemi e cogliere le opportunità che ci si presentano.

È allora, anziché rinfacciarsi responsabilità, mi preme che tra la maggioranza e l’opposizione si convenga sulle criticità che caratterizzano oggi il tessuto economico e sociale del Paese. Solo partendo da tale condivisione potremo, ciascuno facendo la propria parte, far ripartire la nostra Italia, per rimetterla in corsa nella sfida mondiale, per vincere la scommessa del futuro.

Siamo tutti chiamati a un impegno straordinario: dobbiamo far ripartire l’Italia se vogliamo dare risposte adeguate ai tanti problemi che affliggono la nostra società. E dobbiamo farlo con assoluta urgenza. Anche perché lo stesso, imprescindibile e duraturo risanamento delle finanze pubbliche non è possibile se non torniamo a crescere stabilmente.

Cogliamo oggi segni incoraggianti di una ripresa congiunturale. Ma è un fatto che, a causa di problemi strutturali che si sono accumulati nel tempo, siamo in grado solo di approfittare parzialmente di un ciclo espansivo dell’economia mondiale, mentre siamo tra i paesi più vulnerabili e penalizzati quando l’espansione si arresta. E quindi è assolutamente necessario che usiamo al meglio il tempo che abbiamo davanti, attivando politiche che, da un lato consentano di beneficiare interamente degli effetti positivi della congiuntura, dall’altro comincino a rimuovere quei limiti strutturali che agiscono da freno.

Il nostro Paese ha bisogno di una forte scossa, così come il nostro sistema produttivo. Il governo ritiene di avere politiche appropriate a questo fine.

Ma occorre prima di tutto una forte scossa sul piano etico.

C’è una crisi etica che investe la nostra società. E quanto è accaduto nel mondo del calcio, uno dei beni collettivi a cui gli italiani tengono di più, ci dimostra, purtroppo, che si è abbondantemente superato il livello di guardia. Ne è una conferma clamorosa un livello di evasione fiscale che non ha eguali nel mondo sviluppato, e che il mio governo combatterà con la massima decisione e determinazione non solo per recuperare ciò che è dovuto alla collettività ma anche per ragioni di equità e giustizia.

Noi intendiamo ripristinare anche in questo campo la cultura della legalità e della responsabilità civica.

Nella nostra società purtroppo si è prodotto un clima di tolleranza ed assuefazione a comportamenti eticamente riprovevoli, se non addirittura illegali, a conflitti di interesse clamorosi, ad arricchimenti improvvisi e sfacciati, addirittura premiati da norme fiscali, allo svuotamento e aggiramento di ogni regola, alla prevaricazione del più forte.

Si è prodotto un clima di generale irresponsabilità, di perdita del senso dello Stato e del confine tra pubblico e privato, di intrecci fra controllori e controllati.

Tutto questo è assolutamente preoccupante: dobbiamo dare un segnale forte di discontinuità. Altrimenti non riusciremo a rimotivare una società che in larga misura è vittima di questi comportamenti.

Un problema di regole, perchè crediamo che la politica sia innanzitutto determinazione di regole. Per proteggere i più deboli, per far prevalere il merito, per impedire che vincano solo e sempre i più furbi.

E nella sfera delle regole considero essenziale che si ponga mano a una normativa che disciplini i conflitti di interesse in linea con quanto esiste nelle altre democrazie avanzate, una normativa scevra da intenti punitivi ma ben più rigorosa di quella in vigore.

Occorrono regole ma anche regolatori. E’ perciò intenzione del governo che oggi si presenta a Voi di ridisegnare il sistema delle autorità che operano nel campo economico e finanziario, passando da una suddivisione delle competenze basato su settori o su soggetti sottoposti a controllo o vigilanza, a un’altra fondata invece sugli obiettivi e le finalità del controllo stesso.

Noi pensiamo a un sistema più snello e più razionale sulla base di quattro autorità, trasformando in agenzie le autorità che sono attualmente incaricate di vigilare sui lavori pubblici e sull’informatizzazione della pubblica amministrazione.

Per quanto riguarda la vigilanza sul pluralismo dell’informazione, punto centrale in una moderna democrazia sono possibili due scelte. O attribuire questa responsabilità all’Antritrust, considerando che anche il pluralismo dell’informazione possa essere tutelato con i normali strumenti attraverso i quali si garantiscono la libera concorrenza e l’apertura dei mercati. Oppure istituire una autorità ad hoc, in considerazione della natura particolare di quel bene pubblico che è rappresentato da una libera informazione. Su questo il governo maturerà la sua scelta e si confronterà con il Parlamento.

Ma per rimotivare la società e dare un segnale forte di cambiamento di clima sul piano etico, non sono sufficienti regole o regolatori. E’ mia convinzione che occorrano anche degli esempi.

E io credo che un esempio debba venire innanzi tutto dal mondo delle istituzioni e della politica.

Penso che dovremo compiere un grande sforzo determinato sensibilmente, e in modo non estemporaneo, le spese per il funzionamento delle istituzioni, di tutte le istituzioni a qualsiasi livello, le spese per il funzionamento dei partiti e per le campagne elettorali.

E, per quanto mi compete, è mia intenzione ridurre di almeno la metà le scorte per il personale politico e di governo. La cui proliferazione delle scorte era infatti al di là di ogni necessità reale e sottrae risorse finanziarie e umane che dovrebbero essere destinate alla tutela della sicurezza dei cittadini. Terremo conto ovviamente di particolari situazioni di rischio. Ma in linea di principio le scorte e le automobili di rappresentanza non possono essere uno status symbol ma una risposta a reali necessità.

Più in generale vorrei dire che il cosiddetto Palazzo dovrebbe avvertire l’esigenza di una salutare autolimitazione, rinunciando a invadere ogni ambito a cominciare da quello dell’informazione e della comunicazione, evitando commistioni e ingerenze nella sfera economica incompatibili con una moderna economia di mercato.

Noi abbiamo come compito primario quello di ribadire l’importanza delle regole, e soprattutto il loro rispetto.

Credetemi, avremo tutti da guadagnare da un ritorno alla sobrietà della politica e del potere.

Quando rifletto su questi temi il mio pensiero va innanzi tutto alla necessità di offrire un esempio ai giovani. È infatti ai giovani che dobbiamo soprattutto pensare.

La nostra società e la nostra economia stentano anche perché non valorizziamo e impegniamo pienamente le grandi risorse dei giovani e delle donne. Ma, pensando ai giovani, mi chiedo come sia possibile appellarci alla loro freschezza, alle loro energie, alle loro capacità, alla loro voglia di fare, se la loro vita avviene in un contesto che demotiva e scoraggia, perché premia la furbizia invece del merito, la disinvoltura sul piano etico invece del rispetto delle regole. E come è possibile vederli partecipi e creativi se essi arrivano su un mercato del lavoro che li condanna in misura crescente a una condizione di permanente provvisorietà.

L’Italia non ha scommesso sui giovani: eppure solo scommettendo su di loro – come il nostro governo intende fare – potrà riprendere il cammino dello sviluppo. I nostri giovani hanno oggi meno speranze di quante ne avessimo noi alla loro età. Eppure potrebbero avere davanti a loro orizzonti sempre più ampi. Eppure, nei pochi casi in cui vengono date loro delle occasioni, esprimono al meglio tutte le loro qualità.

Certo, la società ed il mondo del lavoro hanno oggi bisogno di flessibilità. Ma la flessibilità, interpretata come precarizzazione, non ha aumentato la capacità competitiva del sistema ma lo ha impoverito. In realtà, la società italiana ha bisogno di meno precarietà ai livelli medio-bassi di impiego, mentre necessita di una cospicua iniezione di competizione agli altri livelli, ma soprattutto a quelli medio-alti.

Una competizione che premi il talento individuale e la capacità di lavoro, la creatività e la capacità di leadership. In una parola: il merito. Una competizione orientata anche a ricostruire la mobilità sociale perché in questi anni la mobilità sociale in Italia si è arrestata.

Una società senza mobilità, in cui i figli ereditano la stessa professione dei padri, non è una società che cresce. Una società retta da gerarchie sociali consolidate che demotiva le energie nuove, perpetua disuguaglianze inaccettabili. E’ quello che avviene oggi in Italia, diventata una delle società meno mobili d’Europa e del mondo. Una società che nega il futuro ai suoi giovani, nega il futuro a se stessa.

Noi qui intendiamo agire con una gamma di interventi. Intendiamo sottoporre a revisione la legge 30 per attuare una politica del lavoro capace di armonizzare flessibilità e stabilità riducendo fortemente l’area della inaccettabile precarietà. Lo si farà all’interno di una analisi complessiva della normativa che regola il mercato del lavoro, cercando di giungere, attraverso la strumento della concertazione con le parti sociali, alla definizione di un nuovo quadro organico. E, attuando una riduzione dell’eccessivo carico contributivo sul lavoro dipendente, su cui tornerò più avanti, attenueremo anche di molto la convenienza dei contratti atipici.

Agiremo poi per aprire spazi significativi ai giovani nell’università e nella ricerca perché l’Italia ha bisogno di giovani che insegnino e facciano ricerca con stabilità e libertà.

In Italia le donne partecipano al mercato del lavoro in misura molto minore rispetto agli altri paesi industrializzati, sono penalizzate nei salari e nelle carriere e poco rappresentate nelle istituzioni e nelle sedi decisionali, nonostante il loro livello di scolarità sia in linea con le medie europee.

Ebbene, questa discriminazione priva il Paese di una grande ricchezza. I punti chiave da risolvere sono l’accesso al mercato del lavoro, la permanenza nel mondo del lavoro dopo la maternità, e le prospettive di carriera e di realizzazione professionale, una loro più estesa partecipazione alle decisioni politiche e istituzionali.

Affrontare in maniera decisa il rapporto tra impegno familiare e lavoro, garantire alle donne e alle imprese una rete di servizi e normative per sostenere la conciliabilità delle funzioni familiari e lavorative, significa rimuovere forse il principale ostacolo alla natalità. E non ho bisogno di ricordarvi quanto basso sia il tasso di natalità nel nostro Paese, come la denatalità sia divenuto un fenomeno allarmante, con il risultato che siamo anche il paese più vecchio d’Europa.

La famiglia ha bisogno di sicurezza, e quindi va sostenuta nella sua vita quotidiana con un respiro di lungo periodo. E’ finora mancata, invece, una politica efficace e ad ampio raggio. E’ questo il modo non strumentale con cui la politica riconosce e sostiene una idea forte di famiglia.

Il mio governo intende perciò mettere la famiglia, così come è definita nella nostra Costituzione, al centro della propria azione nella sfera sociale. Ed è per questo notivo che anche nella costituzione del Governo abbiamo voluto dare uno spazio così largo ai problemi delle famiglie e della lotta contro la disparità e le discriminazioni.

Vogliamo un fisco amico della famiglia, vogliamo una società amica della famiglia. Noi sosteniamo il diritto di ogni persona a costruire il proprio percorso di vita, e il ruolo delle famiglie come il luogo di esercizio delle solidarietà intergenerazionali, della cura e degli affetti.

Riconoscendo il valore sociale della maternità e della paternità, intendiamo dotare ogni bambino di un reddito che aiuti la famiglia fino al raggiungimento della maggiore età, e che tenga presente le esigenze delle famiglie numerose.

Ed è una politica che varrà per tutti non solo per i lavoratori dipendenti ma anche per i lavoratori autonomi e per coloro che non hanno una occupazione.

A causa della precarietà del lavoro, le giovani coppie devono differire la scelta di farsi una loro famiglia, il sogno di farsi una casa perché il sistema bancario non concede mutui proprio per la precarietà dell’occupazione. Agiremo perciò per ridurre l’area del precariato e per istituire un fondo di garanzie per i mutui alle giovani coppie.

Per noi tuttavia i sostegni economici non si sostituiscono ai servizi. Porremo perciò a noi stessi e agli enti locali l’obiettivo di raddoppiare nell’arco della legislatura il numero degli asili nido, per andare incontro a una domanda oggi largamente insoddisfatta.

Ma ciò vale per tutti gli ambiti dei servizi alla persona. E’ questo il modo di garantire i diritti di cittadinanza a tutti, in particolare alle persone in maggiore difficoltà, spesso non autosufficienti: agli anziani, ai disabili, ai malati, a tutti coloro che vivono con disagio il loro inserimento nella società.

Intendiamo per esempio attuare un programma di sviluppo della assistenza sociale e sanitaria integrata, facendo affluire in un fondo nazionale per la non-autosufficienza tutte le risorse già oggi impegnate nel settore, predisponendo un percorso di graduale incremento delle risorse pubbliche, ma facendo anche leva sulla grande risorsa del terzo settore.

Sono, tutti questi, impegni congiunti con le regioni. Ma a noi spetta regolare il sistema dei livelli assistenziali di prestazioni, per garantire i diritti dei cittadini in qualsiasi parte del paese essi abitino.

Anche l’immigrazione è una risorsa umana non pienamente utilizzata. Interi settori dell’economia italiana sarebbero già paralizzati senza il contributo di lavoratori stranieri. I timori degli italiani per la competizione sul lavoro e per l’accesso ai servizi sociali non possono essere ignorati, e noi non li ignoriamo, ma possono essere superati con una immigrazione ordinata e controllata numericamente, che non leda i diritti di nessuno.

Sistemi assurdi di accesso e il mancato governo di questo fenomeno favoriscono la clandestinità e impediscono la stabilizzazione e l’inserimento degli immigrati nella società.

La legge in vigore si è dimostrata insieme demagogica e inefficace.

La nostra politica sull’immigrazione non si baserà né sull’emarginazione, né tantomeno sulla criminalizzazione.

Il nostro operato si baserà piuttosto su accoglienza, convivenza e garanzia.

E, insieme, sui doveri.

Il tetto numerico va mantenuto perché il processo va governato. Ma dobbiamo rivedere la politica delle quote, per una immigrazione di qualità che accolga senza creare clandestinità.

Insieme alla selezione dei flussi (favorendo anche immigrazione di livello elevato), occorre incoraggiare e favorire la piena integrazione, fino alla cittadinanza. Chi vive e lavora nel nostro Paese deve sapere che, se lo vuole, anche per lui ci sarà un posto di cittadino, nel completo rispetto dei diritti e dei doveri.

L’acquisizione della cittadinanza italiana deve poter essere un traguardo certo, dopo un congruo numero di anni di permanenza, perché la cittadinanza è anche il più efficace strumento di integrazione di cui la democrazia dispone.

Ed è anche un potente fattore di sicurezza. Chi sceglierà di investire il proprio futuro e quello dei propri figli nel nostro Paese, chi saprà che qui avrà ogni possibilità di integrarsi e realizzare le sue aspirazioni.

Chi identificherà la sua convenienza nel successo della sua nuova patria, sarà sicuramente un cittadino fedele alle nostre istituzioni, rispettoso dei nostri ordinamenti, impegnato a tutelare la comune convivenza come condizione per realizzare il proprio percorso di vita e garantire un futuro ai figli.

Signor Presidente del Senato,

onorevoli senatrici e onorevoli senatori,

La coesione sociale è un elemento fondante della qualità civile di una società, un patrimonio che è stato faticosamente costruito e che in anni recenti è stato in parte consumato. Noi dobbiamo ricostruirlo, ma in un’ottica nuova.

L’insieme dei servizi sociali, la sanità, la scuola, la previdenza, la stessa distribuzione dei redditi non sono, in quest’ottica, solo il risultato di politiche di redistribuzione, ma parte integrante di un progetto di sviluppo civile, sociale ed economico del paese. Su un altro piano, è fattore di coesione anche l’attenzione a diritti o condizioni nuove che meritano di essere comprese e giustamente tutelate.

Per noi la coesione sociale è un fattore di sviluppo. Non possiamo pensare di competere riducendo il livello delle tutele e dei servizi sociali né aumentando gli squilibri dei redditi. Al contrario, dobbiamo valorizzare fattori di equilibrio e coesione della nostra società, per favorirne la crescita.

I due settori più importanti sono la sanità e la scuola.

La sanità non è solo un costo: è un grande settore che occupa centinaia di migliaia di persone qualificate, che produce tecnologia e innovazione. Finchè continueremo a considerarla un costo, l’ottica dominante resterà quella dei tagli.

Se invece la percepiremo come un settore importante della nostra società, fermo restando l’impegno ad un razionale ed efficiente impiego delle risorse, potremo dedicare la nostra attenzione allo sviluppo e alla valorizzazione delle competenze e delle grandi potenzialità.

Il nostro impegno prioritario è comunque di garantire ai cittadini gli stessi standard di prestazioni, ovunque risiedano.

Per il futuro dell’Italia e per il suo sviluppo l’istruzione rappresenta l’elemento chiave. Non si torna a crescere senza investire mezzi ed energie intellettuali nella ricerca, nella innovazione, e nella scuola.

Dobbiamo investire in conoscenza diffusa, in qualità ed efficacia dei percorsi formativi, cominciando dalle scuole per l’infanzia fino ai livelli più alti, restituendo valore e dignità ai percorsi formativi tecnici, e creando centri di eccellenza.

Siamo consapevoli che la scuola è una macchina complessa che ha bisogno di un progetto condiviso e di lungo periodo per dispiegare l’efficacia della sua azione educativa. Dopo dieci anni di riforme e controriforme, è giunto il momento di mettere ordine, fare il punto, cambiare ciò che palesemente non funziona o ciò che appare sbagliato, e dare stabilità. Valorizzando appieno l’autonomia degli istituti e il ruolo degli insegnanti.

Sbagliata appare la liquidazione della formazione tecnico-professionale. Abbiamo invece bisogno di valorizzarla ed estenderla attraverso percorsi universitari brevi, attraverso istituzioni che diventino le scuole tecniche del XXI secolo.

Ho già notato che si stanno intensificando in queste settimane segnali di uscita dalla stagnazione. Ebbene, la ripresa economica sta evidenziando una mancanza di operai e tecnici specializzati in molti dei settori industriali che caratterizzano il sistema produttivo italiano. Solo la formazione e specializzazione professionale possono riportare equilibrio tra domanda e offerta di lavoro limitando i nuovi flussi migratori.

I nostri giovani devono ereditare e accrescere la cultura industriale del Paese. Il sistema scolastico e formativo è lo strumento che deve portare a questo obiettivo riavvicinandosi al mondo della produzione. E’ necessario ricostituire quel binomio scuola tecnica-impresa che è stato alla base della crescita industriale del paese.

Dobbiamo poi concentrarci sulla ricerca, perché la competitività economica del Paese richiede un grande salto in avanti in tutti i settori della ricerca e della innovazione tecnologica. Con appena l’1,1 per cento del Pil destinato a ricerca e sviluppo l’Italia è agli ultimi posti in Europa e nell’Osce. Così si va solo indietro.

E allora occorre un forte impegno nelle politiche per la ricerca, con interventi mirati su specifici programmi nelle aree di netta priorità, con il credito di imposta automatico sulle spese di ricerca, con il riconoscimento di agevolazioni per le assunzioni di ricercatori, con una politica attiva di trasferimento tecnologico.

Faremo delle università italiane un polo di attrazione per la formazione dei giovani e dei ricercatori, cui occorre garantire stabilità e libertà di ricerca. Stimoleremo decisamente le lauree in discipline scientifico-tecnologiche, anche in relazione alla creazione o al rilancio di distretti tecnologici collegati con le università, gli enti di ricerca e le realtà produttive del Paese.

Come dicevo, abbiamo risorse umane, energie, intelligenze, competenze da mobilitare in uno spirito di coesione perché il nostro Paese torni a crescere. Ma dobbiamo misurarci con la realtà dei nostri conti pubblici.

I conti pubblici sono sintesi delle politiche di un Paese. Molti anni di bassa crescita, di forte dinamica della spesa pubblica hanno prodotto due conseguenze che ora debbono essere immediatamente affrontate: si è esaurito l’avanzo primario costituitosi negli anni Novanta e, per la prima volta dopo il 1995, il rapporto tra debito pubblico e Prodotto interno lordo nel 2005 ha ripreso a salire.

Certo, la correzione è indispensabile per assolvere ai nostri impegni europei, secondo linee concordate anche dal precedente governo.

Certo, essa è necessaria per stroncare al più presto incipienti segni di sfiducia dei mercati internazionali, ormai detentori di oltre la metà dei titoli emessi da emittenti pubblici italiani, e inquietanti riferimenti a paesi insolventi.

Ma più ancora che per questi motivi, la correzione è indispensabile perché la ripresa in atto, invece di essere resa effimera dal rapido scontrarsi con un vincolo finanziario, si possa distendere in un processo di crescita duratura.

Non vi è più spazio per correzioni affidate a manovre straordinarie; non vi sono possibili miracoli di ingegneria finanziaria. Sarà invece giocoforza intervenire sulle tendenze dei grandi capitoli della spesa pubblica centrale e periferica, stabilire un serio equilibrio tra potere di spesa e responsabilità della copertura, modificare la composizione della spesa e dell’entrata per rafforzare la capacità dei bilanci pubblici di promuovere la crescita.

Questo sforzo andrà compiuto a inizio legislatura, guardando avanti, sapendo che la fiducia di chi investe e consuma in Italia, sia esso italiano o straniero, può nascere solo da un condizione di finanza sana.

In ogni parte e regione dell’economia nazionale, pubblica o privata, vi sono settori, imprese, uffici, reparti dinamici e ben governati, dunque generatori di ricchezza, e altri che invece di produrre ricchezza la consumano.

La finanza pubblica e quella privata debbono rafforzare o riacquistare la capacità di distinguere, e di indirizzare il risparmio verso le destinazioni che promuovono la crescita.

La stessa riduzione della differenza tra quanto il lavoratore riceve e quanto esso costa all’impresa, il cosiddetto cuneo fiscale di cui parlerò fra un attimo, dovrà essere selettiva e sarà articolata secondo questi principi.

Una cosa è chiara: non possiamo adottare una politica dei due tempi, prima il risanamento e poi la crescita, perché lo stato delle cose non ce lo consente. Le risorse aggiuntive di cui abbiamo bisogno per rilanciare il paese non possono che essere generate dalla crescita economica e dalla riduzione entro limiti fisiologici di quel male patologico che si chiama evasione fiscale. Entrambe queste fonti devono essere riattivate, e questo processo non darà risultati nel brevissimo termine.

Nell’immediato dobbiamo di necessità cominciare a lavorare con le risorse che abbiamo, cercando di allocarle meglio e farle rendere di più.

Noi intendiamo dunque ridurre sensibilmente, in una misura quantificabile in cinque punti nel primo anno di legislatura, l’eccessivo carico contributivo sul lavoro dipendente. Una riduzione che, andando a beneficio sia delle imprese che dei lavoratori, sarà capace di agganciarci con maggiore slancio alla ripresa europea, di avviare un nuovo ciclo di investimenti, e di stimolare una ripresa dei consumi. Una riduzione che, attenuando di molto la convenienza dei contratti atipici, contribuirà come ho già avuto modo di notare a contrarre l’area del precariato.

La crescita del Paese non può non essere guidata dal nostro sistema produttivo.

Siamo e dobbiamo restare un grande paese industriale, e quindi dobbiamo tornare a fare politica industriale. Lo faremo concentrandosi su quattro elementi:

primo, il trasferimento tecnologico per aumentare il tasso di innovazione;

secondo, la crescita dimensionale dell’impresa con interventi fiscali e normativi che favoriscano fusioni e acquisizioni e il consolidamento delle filiere che ora sono in crisi:

terzo, l’internazionalizzazione, con sostegni concreti alle imprese che esportano e che affrontano nuovi mercati;

quarto, la nascita e lo sviluppo di imprese in nuovi settori, anche con grandi progetti di ricerca cofinanziati dal settore pubblico.

E’ urgente entrare al più presto nei settori da cui siamo quasi totalmente fuori: le scienze della vita, la nanotecnologia, le nuove tecnologie di comunicazione e tutta l’innovazione in campo energetico, in cui la partita è ancora aperta.

A supportare la crescente economia contribuiranno anche le politiche per il mercato e le liberalizzazioni.

Dobbiamo garantire a famiglie ed imprese servizi di qualità e competitività, liberando così importanti riserve da destinare alla crescita.

A questo rinnovato sforzo dell’Italia è necessario che concorrano tutte le aree del territorio nazionale, ciascuna secondo le proprie specificità e le proprie vocazioni territoriali e produttive. Ciascuna sviluppando al meglio le proprie potenzialità. Come è necessario concorrano tutti i diversi settori e apparati del Paese, dalla Pubblica Amministrazione agli enti locali, dall’articolato sistema dei servizi alle attività terziarie, alle grandi reti di comunicazione.

Il Governo avrà perciò il compito di ristabilire un equilibrio istituzionale tra Stato, Regioni, Città Metropolitane, Province, Comuni e Comunità Montane, per affrontare unitariamente le sfide del riordino istituzionale e del rilancio economico.

Sarà anche compito del Governo coordinare e distribuire con oculatezza le risorse a disposizione nei prossimi anni. Sarà suo compito, soprattutto, ricondurre a strategie integrate le azioni di tutti gli attori, dagli operatori economici alle amministrazioni, dai governi territoriali alle forze sociali. Per mettere in asse le vocazioni, le specificità e le differenze che caratterizzano le grandi aree territoriali del Paese.

E’ giunto infatti il momento di formulare una grande strategia nazionale in cui le differenze tra Nord e Sud siano ricondotte ad unità massimizzando le opportunità di ciascuna.

E’ in questo quadro che il Governo sente come un dovere nazionale assicurare al Nord la possibilità di crescere e svilupparsi nell’interesse dell’intera collettività. Il Nord è certamente la parte più avanzata del Paese, quella che ha maggiori risorse.

A questa area abbiamo molto da chiedere, e molto da dare.

Al Nord chiediamo di contribuire, come solo può fare, a rimettere in corsa la nostra economia per riportare l’Italia nel gruppo dei Paesi più forti e più dinamici. E’ quello che il Nord ha già fatto per due volte nella storia italiana, prima con il processo di industrializzazione e poi con la grande politica dei distretti industriali.

Oggi il Paese ha di nuovo bisogno di un Nord forte e vitale che ne traini la riscossa, tornando a impegnarsi con il dinamismo e l’ottimismo di cui ha già dato altre volte prova con successo.

Al Nord sappiamo però di dover dare molto, affinché possa riuscirvi.

Ha bisogno di un sistema-Paese che lo sostenga. Ha bisogno di regole chiare e semplici, di infrastrutture moderne ed efficienti, di ricerca, di formazione.

Vogliamo, e opereremo in questo senso, che questa parte dell’Italia e i tanti cittadini che vi vivono e vi operano, sentano lo Stato non come un avversario ma come un sostegno. L’avversario non è lo Stato, semmai è la competizione globale con le sue sfide e i suoi rischi.

E nella competizione globale non si sta senza avere alle spalle uno Stato che faccia della sua efficienza un elemento di diminuzione dei costi, e della sua capacità di assicurare le infrastrutture necessarie un elemento essenziale della capacità di competere.

Questa è la sfida, ed è una sfida che il Nord sente con particolare intensità.

Al Nord dobbiamo una risposta, e la dobbiamo in tempi rapidi.

L’altra grande area strategica del nostro Paese, tradizionalmente considerata come area debole, e che tuttavia può offrire grandi opportunità, è il Mezzogiorno.

Al Mezzogiorno e alla sua popolazione dobbiamo molto. E lo dobbiamo non solo per ragioni di equità e di giustizia sociale, non solo perché è giusto che abbia le risorse e le opportunità necessarie per poter partecipare a pieno titolo allo sviluppo del Paese. Ma perché, nella competizione globale in cui siamo immersi, il Mezzogiorno è una grande risorsa e una grande opportunità per l’Italia.

Al Mezzogiorno occorre un nuovo progetto condiviso e fatto proprio da tutta la nazione che sappia cogliere la straordinaria opportunità derivante dalla sua collocazione geografica, che fa di questa area una grande piattaforma di interconnessione tra l’Europa e l’Asia. Grazie alla sua posizione, infatti, il Mezzogiorno può e deve diventare lo snodo commerciale e di trasformazione per i prodotti che provengono dall’Asia e che sono destinati all’Europa.

Occorrono grandi investimenti infrastrutturali nei porti, nelle strade, nelle reti ferroviarie. Occorre creare adeguate autostrade del mare che consentano di smistare per questa via le merci destinate alle diverse parti del continente, muovendo dai porti del Mezzogiorno a quelli del Nord Italia a quelli dell’Europa. E occorrono professionalità e strutture di servizio adeguati alle dimensioni di un progetto che può avere prospettive grandiose.

Come ho già detto, solo una grande capacità organizzativa può farci realizzare ciò. La stessa capacità organizzativa da cui dipende il rilancio di un altro importante settore di attività del Mezzogiorno: il turismo è tutte le attività legate alla valorizzazione del consistente patrimonio artistico e culturale.

Certo, il Mezzogiorno ha bisogno di risorse e le nostre risorse sono limitate. Ma non può essere concepito come un peso per il resto del Paese. Non è così, esso presenta una grande opportunità che sta a noi cogliere dentro un grande progetto di sviluppo integrato dell’Italia. Il governo sarà fortemente impegnato su questo terreno e ricercherà la collaborazione di tutte le forze sociali e produttive, e degli enti locali.

Come sarà impegnato a intensificare la lotta alla criminalità, e specialmente alla criminalità organizzata. Fino a che così tanta parte del territorio italiano sarà attanagliato dal cancro della malavita organizzata è pressoché impossibile attrarre investimenti stranieri nella misura che sarebbe necessario.

Dunque, lotta senza quartiere alla criminalità organizzata, sapendo che non si tratta solo di difendere la legalità e la maestà della legge, che pure sono valori assoluti in uno Stato di diritto, né solo di rispondere alla domanda angosciosa che mi sono sentito rivolgere dai giovani di Locri: “Fra un mese, vi ricorderete ancora di noi?”. Ma sapendo anche che, in assenza di una continua, assidua, determinata azione di contrasto non saremo in grado di sostenere e sviluppare la nostra economia e accrescere la nostra capacità di attrarre investimenti.

La tutela della sicurezza è peraltro un valore essenziale per tutti i cittadini, e lo è tanto più oggi di fronte a nuovi pericoli e minacce che spaventano e preoccupano. Anche sul fronte della sicurezza, imporre il rispetto reale della legalità è un valore assoluto. Non lasceremo nulla di intentato per difendere il dominio della legge in ogni parte del Paese.

Alle donne e agli uomini delle forze di polizia, come ai carabinieri che con essi garantiscono la nostra sicurezza, chiederemo sforzi straordinari. Essi hanno saputo conseguire successi, anche nella lotta al terrorismo, per cui li ringraziamo. Noi cercheremo di sostenerli con ogni mezzo possibile, consapevoli che da loro, dalla loro professionalità e dedizione, dipende non solo la nostra tranquillità ma anche la nostra capacità di crescita.

In questi anni sono state compiute scelte, in un settore fondamentale del nostro ordinamento quale quello della magistratura ordinaria, che hanno creato un clima di tensione, talvolta di forte tensione. Mi riferisco in particolare a riforme pensate e attuate troppo spesso con uno spirito punitivo e comunque con atteggiamenti non adeguatamente collaborativi.

Noi vogliamo ridare serenità ai giudici italiani. Vogliamo che essi possano operare con imparzialità e professionalità, circondati dal rispetto e sempre tutelati nella loro indipendenza.

Ma noi siamo consapevoli, come tutti gli italiani, che la nostra giustizia è troppo lenta, che troppo spesso non è assicurato con l’efficienza e la tempestività che la società moderna richiede il servizio che essa deve assicurare, per garantire quel valore fondamentale che è il riconoscimento delle ragioni di chi ha ragione, e la condanna di chi ha torto.

E sappiamo pure molto bene che la lentezza della giustizia è anche un freno alla competitività stessa del Paese.

Per questo, mentre opereremo per ridare serenità e tranquillità ai nostri magistrati e per tutelarne e garantirne l’indipendenza, chiederemo ad essi di compiere ogni sforzo per migliorare sostanzialmente l’efficienza della macchina giudiziaria. Per questo, mentre faremo tutto il possibile affinché vengano soddisfatte le giuste richieste di maggiori mezzi e migliori strutture, chiederemo tempi più rapidi, processi più veloci e , in definitiva, una giustizia più giusta proprio perchè più rapida.

Sarà compito del Ministro della Giustizia seguire con attenzione questo aspetto essenziale e di riferirne periodicamente al Governo e, se il Parlamento vorrà, al Parlamento. Con l’obiettivo molto ambizioso, certo me ne rendo conto, di dimezzare nei cinque anni il numero di cause pendenti.

Il Governo intende proporre al Parlamento di studiare un provvedimento diretto ad alleggerire l’attuale insostenibile situazione delle carceri.

E lo dovremo studiare con la profondità e la drammaticità che l’attuale situazione ci impone. Già da anni, anche dalle sedi più elevate, questo tema è proposto alla nostra attenzione. Oggi, all’inizio di una nuova legislatura è nostro obbligo offrire una risposta.

Così come dobbiamo offrire una risposta al rinnovamento delle istituzioni che il nostro paese si attende.

Non la risposta sbagliata e dirompente di riforme della costituzione a cui la maggioranza si opporrà compatta nel prossimo referendum, ma una risposta di aggiornamento della nostra costituzione e di riforma della legge elettorale attraverso la ricerca di una costruttiva e larga collaborazione fra tutte le forze politiche del Paese.

Ho richiamato in questo mio intervento il trattato costituzionale dell’UE e poi la nostra costituzione. Entrambi valgono come attestazione della nostra identità condivisa e della nostra civiltà, si fondano sui valori universali e indivisibili della dignità della persona umana, della libertà, dell’uguaglianza, della solidarietà e della pace.

Memorie e sintesi di valori umani e spirituali profondi, di storie e ispirazioni ideali diverse di cui è ben viva la traccia dell’umanesimo e la radice cristiana. Di questi valori, di questa nostra identità noi andiamo orgogliosi e intendiamo viverli nella forma del dialogo dell’accoglienza e del riconoscimento delle altre ispirazioni, secondo quello che noi riteniamo essere il moderno progetto di una cittadinanza democratica. Un progetto avverso a tutte le forme di discriminazione, di violenza, di odio. Un progetto che la nostra carta costituzionale affida al moderno principio di laicità dello Stato. Tale concetto implica non indifferenza dello stato dinanzi alle religioni, ma garanzia dello stato per la salvaguardia della libertà di religione in regime di pluralismo confessionale e culturale.

Con la principale di queste confessioni, la chiesa cattolica, lo stato italiano ha elaborato negli anni un proficuo processo di collaborazione ben definito da quell’insuperato riconoscimento del rapporto tra stato e chiesa “ciascuno nel proprio ordine indipendenti e sovrani”, e perciò steso capaci di “reciproca collaborazione per la promozione dell’uomo e il bene del Paese”.

In questo spirito quattro anni or sono abbiamo tutti salutato nell’aula della Camera quell’infaticabile Profeta della pace che è stato papa Giovanni Paolo II. Oggi con lo stesso spirito vorrei fare giungere gli stessi sentimenti al suo successore papa Benedetto XVI.

Nello stesso momento e con lo stesso spirito saluto anche tutte le altre Chiese.

Le chiese evangeliche, le ortodosse, le comunità ebraiche a cui va la mia e nostra solidarietà per i recenti tristi atti di intolleranza di cui sono state fatte oggetto, e le comunità mussulmane e tutte le altre comunità religiose del nostro paese.

In un comune senso di cittadinanza democratica a tutti offro e a tutti chiedo collaborazione per far crescere il bene comune come bene di tutti.

Signor Presidente del Senato,

onorevoli senatrici e onorevoli senatori,

nel preparare il discorso con cui vi ho presentato il Governo che ho l’onore di presiedere, ho fatto la scelta di non sottoporvi un arido elenco di provvedimenti ma di esporvi piuttosto le grandi linee della azione che ci accingiamo a svolgere, il nostro approccio ai problemi che abbiamo di fronte, se volete – se la parola non è eccessiva- la nostra strategia.

Io spero innanzi tutto di essere riuscito a comunicarvi il senso di urgenza che avvertiamo e con cui ci accingiamo a operare.

La nostra società ha in sé le energie e le competenze per far ripartire l’ Italia. La nostra società ha le risorse potenziali che contano nel mondo d’oggi: lavoratori straordinari e imprenditori, piccoli e medi, che sono il nostro biglietto da visita nel mondo.

I nostri successi sono stati il frutto di ingredienti semplici: imprenditori coraggiosi, apertura alla concorrenza e ai mercati internazionali, grande attenzione alle risorse umane e ai lavoratori, legame con il territorio e le sue tradizioni produttive, scommessa sulla innovazione.

Questa è la ricetta che dobbiamo promuovere e sostenere, per rilanciare le nostre poche grandi imprese e per far diventare grandi quelle di media dimensione. E’ una sfida che ancora possiamo vincere. Ma i tempi si sono fatti molto stretti. Non dobbiamo ingannare noi stessi, illuderci che in qualche modo possiamo farcela senza un lavoro duro, serio, continuo, giorno dopo giorno.

E’ così che noi ci accingiamo a operare, con l’impegno di governare per la durata della legislatura perché solo stabilità e continuità possono portarci a centrare gli obbiettivi che ci poniamo.

Noi riteniamo di avervi presentato un programma serio, un progetto all’altezza dei problemi che abbiamo di fronte. Non c’è in noi nessuna presunzione di autosufficienza intellettuale. Non ci sarà alcuna proposta, da qualsiasi parte provenga, che non verrà esaminata con attenzione.

Pur nella distinzione dei ruoli, c’è spazio per il costruttivo apporto di tutti. Perché tutti qui dentro, ne ho la certezza, abbiamo a cuore il futuro dei nostri concittadini e della nostra Italia. Perché tutti qui dentro, ne sono sicuro, vogliamo che l’Italia torni a vincere.

Noi lavoreremo perché un nuovo dinamismo percorra tutto il Paese e uno spirito di coesione sostenga il suo cammino. Come sugli antichi sentieri dell’Europa, il cammino di Santiago e la via Francigena, l’Italia non solo guarda alla meta ma vive la bellezza del percorso, del dialogo, dell’incontro che lo arricchisce.

Noi ci siamo messi a servizio del suo cammino con tutte le nostre forze.

Ed è su questi propositi e su questo programma, onorevoli senatrici e onorevoli senatori, che chiedo a nome del Governo la vostra fiducia.

Grazie della vostra attenzione.


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