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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
Direttore responsabile: Dario Cillo


 

Per una politica scolastica contro il mobbing

 

Una buona scuola non si distingue perché non ci sono casi di mobbing, ma perché è dotata di una strategia pronta per l’uso nel caso di mobbing.

Alcuni suggerimenti:

       Stop al mobbing! Mettiamoci nell’ordine di idee che stiamo avviando un processo di evoluzione culturale dagli obiettivi specifici e realistici. Lì dove una chiara politica di rispetto già esiste ed ha efficaci mezzi di implementazione il processo sarà più semplice. Lì dove, invece, una politica di questo genere non esiste, il lavoro sarà più lungo, e richiede un impegno chiaro, a partire dalla dirigenza.

       Capiamoci: mobbing non equivale ad autorità.

       No alla violenza! Il mobbing è una forma di violenza psicologica devastante. Il fatto che non vi sia fisicità non significa che sia meno pericoloso. E’ compito della dirigenza esserne consapevole, ed agire prontamente, se non preventivamente.

       Iniziamo con il piede giusto! Tutti, nessuno escluso, devono essere coinvolti, e contribuire al processo sin dall’inizio.

       Indaghiamo! Siamo proprio sicuri che nella nostra scuola il mobbing non esista? Prepariamo un questionario, con la forza di accettare le risposte che verranno offerte e con la consapevolezza che questo non sia un punto di arrivo - una raccolta conclusiva di dati - ma solo di partenza. L’anonimato, in questa fase, potrebbe essere una buona mossa.

       Facciamo un po’ di conti… Quanti siamo a lavorare nella nostra scuola? Quanti ambiscono ad un trasferimento? Ci sono scuole da cui docenti e non docenti (e discenti) non vogliono andare via, o lo fanno con rimpianto…

       In qualità di dirigente: informati! Una volta che ti è chiaro cosa è il mobbing prendi l’impegno a contrastarlo chiaramente. Si può indicare un elenco di comportamenti inaccettabili ed agire, tanto quanto richiedere di agire, coerentemente.

       Ognuno deve avere un’idea su cosa è il mobbing. Ogni idea personale sarà leggermente differente, ma ciò non significa che non si possa trovare una sintonia. Ci sarà sempre lo scettico di turno, chi dirà che nelle altre scuole non si perde tempo a fare cose del genere, ma, di solito, lo spirito pionieristico ha il sopravvento – ed è bene coltivarlo -.

       Dignità sul luogo di lavoro - frase mutuata dalla politica unitaria della Comunità Europea, riguardo molestie e discriminazioni che affliggono la dignità di uomini e donne sul luogo di lavoro - potrebbe essere un documento su cui lavorare per cui nessuno dovrebbe sentirsi escluso -. Potrebbe essere efficacemente composto da una breve introduzione per spigare il perché della necessità di questa iniziativa, da paragrafi dedicati a spiegare, separatamente, la molestia sessuale, la discriminazione (sessuale, razziale, culturale, fisica…), il mobbing, il bullismo, corredandoli sia dall’indicazione dei comportamenti da evitare, sia dal modo in cui si intende agire per contrastarli o sanzionarli.

       I modi per contrastare e sanzionare i comportamenti lesivi della dignità personale devono essere chiari e diversificati a seconda dei casi. Prendiamo, ad esempio, il caso della mediazione. Mediare può essere corretto ed efficace in molti casi, ma, ricordiamolo, non funziona con il mobbing compulsivo o seriale. Il fenomeno può sedarsi per un breve periodo di tempo, dando all’individuo persecutore sia la possibilità di apparire conciliatore sia, purtroppo, di trovare vie più subdole di minaccia e persecuzione.

       Indaghiamo sull’individuo colpevole di mobbing. Sarebbe bene farlo in maniera professionale, per evitare la tattica, che gli è congeniale, di discreditare e creare conflitto tra coloro che potrebbero avere cattive informazioni sul suo conto.

       Attenzione! Se c’è un individuo colpevole di mobbing compulsivo, ci sarà anche una rete di adepti di cui si è servito nel tempo. Bisogna sapere cosa fare anche con loro.

       Sarebbe bene avere un punto di riferimento, assolutamente confidenziale e preparato, a cui rivolgersi per parlare di mobbing, indifferentemente come testimoni o come vittime.

       I due stadi. E’ bene che, nel caso di sospetto di mobbing ci siano due stadi nel corso dell’azione da intraprendere. Un primo stadio dovrebbe essere informale, un secondo formale.

       Nello stadio informale, il fatto che ci sia una figura, all’interno della scuola, a cui la potenziale vittima di mobbing possa rivolgersi, contrasta il senso di isolamento che le vittime di questo fenomeno sperimentano sin da principio.

o       In questo stadio si possono risolvere i casi di mobbing non compulsivo. Un incontro mediato tra la vittima ed il collega aggressivo potrebbe risultare efficace. L’aggressore potrebbe trarre beneficio da questo quanto il suo bersaglio perché, a sua volta, potrebbe essere vittima di un eccessivo carico di lavoro, o di mancanza di supporto, o di un’impreparazione personale…

o       In questo stadio si può rendere noto al fautore di mobbing compulsivo, che ci sono delle sanzioni per il suo comportamento e che la ripetizione dei suoi atti porterà a prendere dovuti provvedimenti disciplinari. Fare incontrare le parti è controproducente, per la profondità del trauma nella vittima. Bisogna ricordare che la vittima di mobbing chiederà di non intervenire contro il suo persecutore, quindi bisogna che sia chiaro che la dirigenza è obbligata: 1) a fare chiarezza sugli episodi di mobbing, prima informalmente, quindi, se necessario, in maniera formale; 2) a prendere i provvedimenti disciplinari relativi al caso, nei termini e nei modi previsti dallo specifico regolamento di Istituto.

       Nello stadio formale dovrebbero essere coinvolti strumenti investigativi e legali professionali.


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