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A me interessa che apprendano veramente e che sappiamo vivere!

Leggendo “L’educazione impensabile” di Paolo Perticari e rileggendo il suo “Attesi e imprevisti”, mi sono detta per l’ennesima volta in tutti questi anni da maestra: “ a me interessa che apprendano e che sappiano/sappiamo vivere insieme un passaggio dentro e oltre la società che è stato dato a me e a loro di abitare per una vita” .

Allora, ancora una volta e sempre ogni giorno, mi sono detta che l’essenziale è armarli di capacità critica, di indagine, d’affetto per il mondo e le sue creature, tutte.

Bando allora alle asprezze della misurazione di ciò che fanno e di ciò che pensano, ben vengano invece le asprezze della fatica della ricerca e della rielaborazione personale insieme con gli altri e le altre, adulti o pari che siano, dentro la scuola; ben vengano le asprezze della cultura con la C maiuscola, senza alcun riguardo per standard minimi di qualsiasi natura e tipologia.

Ben venga una mia costante attenzione, se ce la faccio, ai loro processi cognitivi, affettivi, emozionali, in direzione del superamento di qualsiasi disagio e della mancanza di autostima.

Ben venga la convinzione che non esistono contenuti o difficoltà delle discipline che non possano essere superati dalla partecipazione appassionata di corpo, voce, intelligenza, gestualità, ascolto…purché appassionati e razionali insieme…

L’insegnante sa che gli stessi libri, la stessa letteratura, la stessa storia, la stessa grammatica, la stessa lettura, la stessa geometria…non sono gli stessi mai, così come il peso delle relazioni nei rapporti dialogici, perché il dato del coinvolgimento dei soggetti è determinante, così come lo è il grado di sensibilità, onestà, apertura, predisposizione al mettersi in crisi…

L’insegnante è qui e adesso, per fare di artigianato, improvvisazione, strategia, professionalità…un insieme vincente o perdente a seconda del proprio grado di convincimento che l’errore, la diversità, le differenze sono risorse che non vanno soltanto accettate, bensì volute, desiderate, abbracciate al fine di poter usare il confronto e la riflessione con l’altro, con le discipline, con le politiche scolastiche, come trampolini da cui tuffarsi con volo d’angelo reso perfetto e poi perfettibile da ciò che costantemente sembra imperfetto.

L’incontro con le/gli alunni oggi necessita di uno sguardo estremamente benevolo ma non per questo indulgente, nel senso di un approccio in cui le parti coinvolte si sentano assolutamente libere di smascherarsi nella consapevolezza dei ruoli e della inquietudine esistenziale che li accompagnerà nel tragitto tortuoso e impervio della conoscenza che mai si siede e si lascia anestetizzare dal pessimo alcol del presente che tutto mercifica con voti, giudizi benevoli o meno benevoli, sia in campo scolastico sia in quello ben più suadente della vita.

Sono ormai fortemente consapevole del percorso intrapreso, degli errori commessi come insegnante, di quelli che non voglio commettere più, ma non posso essere consapevole di ciò che dovrò fare e affrontare negli ultimi anni del mio amato/odiato lavoro per via degli imprevisti che so di dover accogliere e affrontare in esso come una spinta a migliorare e a cambiare senza tregua. E’ stato come un compagno che mi chiedeva da un lato la perfezione e dall’altro mi dava per questo il senso estremo della mia imperfezione dalla quale dovevo allontanarmi minuto dopo minuto se volevo andarci d’accordo e superare le crisi della quotidianità.

Ecco allora che ho imparato ad attendere i percorsi mentali dei miei alunni provenienti dalle diverse fasce sociali, dalle differenti impostazioni educative ricevute, da città piccole, medie, grandi, da Paesi lontani…Tuttavia non è stata un’attesa di accoglienza dolce e senza opposizioni, tutt’altro…è stata un’attesa densa di stimoli, di variazioni su tema, di conoscenze forti e cercate, indagate, sofferte per raggiungere, tutte/i, nel rispetto delle sensibilità individuali, risultati di tutto rispetto sia nelle discipline, sia nell’autonomia personale, sia nelle relazioni interpersonali.

Conoscenza e competenze sono un tutt’uno e non l’ho voluto mai dimenticare e vorrei che nessuno lo scordasse perché è in codesto nodo, intreccio, che si gioca la vita sociale delle persone che crescono accanto a noi insegnanti e da noi poi si dipartono per vie sconosciute che dovrebbero partire da un unico casello stradale, quello della pari opportunità non d’origine, perché non ci sono, ma di partenza, perché quelle le creiamo noi.

Le creiamo noi con la nostra partecipazione prima affettiva, poi intellettuale e culturale, nella assoluta convinzione che senza le nostre emozioni nulla avviene di significativo e di significante.

Le basi della lingua italiana, quelle della storia, della lingua straniera, della matematica e via dicendo sono nella strategia vincente di far scoprire l’amore per il sapere attraverso il sé che s’ingegna per scovare l’approccio giusto e nell’impossessarsi autonomamente dei modi per raggiungere un metodo personale d’indagine, fino alla gioia estrema che si legge negli occhi di chi lo trova. Sì, proprio gioia, quella gioia dell’imparare di cui nessuno vuole più parlare, come fosse una vergogna!

L’insegnante è lì per essere di sostegno, per fornire gli strumenti, per approfondire su richiesta, per raccontare e raccontarsi, per fare da modello di errori e superamento degli stessi nella sua modalità che non si contrappone ma affianca. L’insegnante deve poter dire io farei o non farei così, ma questo è il mio modo, non il tuo; deve poter dire tu potresti e forse dovresti arrivare fin qui, ma a te spetta il compito di volere e potere; l’insegnante deve “sapere” quel tanto che permetta di non invadere, di farsi piccolo e silenzioso di fronte alle scoperte, alle intuizioni, alle divergenze…quel tanto che non le/gli faccia perdere l’identità, il carattere e la personalità utili a essere e a servire da confronto, da repellente o attraente, a seconda della personalità, delle aspettative dei diversi alunni/e.

E in questo tocco di classe sta la vera politica, sta la vera risorsa, sta il vero futuro di ogni insegnante, di ogni alunna/o. Noi insegnanti comuni non abitiamo a Barbiana, lavoriamo nelle strade comuni che il destino ci ha dato di percorrere, ma anche in queste dobbiamo trovare il modo di “salvare” dalla banalità del male noi stessi e chi incontriamo per caso, e in questo per caso sta la vera abilità del nostro fare dell’essere comune che siamo un qualcosa che vale la pena che esista.

Autonomia di azione, di istituire relazioni, autonomia di apprendimento, di pensiero, di scoperta, revisione della stessa, autonomia del sé nella gestione del proprio tempo ottimale per apprendere dentro la scuola, che si fa palestra protetta di rapporti e di conoscenza…questa è l’unica ricetta per vivere nel futuro da persone politiche e da cittadini pensanti in una società che tutto vuole dirigere e appiattire.

1 giugno 2007

Claudia Fanti

 


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