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Alzarsi la mattina…
(l’età della prima adolescenza e il nuovo obbligo d’istruzione)

di Giuseppe Toschi

 

“Ci vuole un buon motivo per alzarsi la mattina”.

Questa frase  oggi la potremmo trovare  sulle labbra di molti: di chi ha perso entusiasmo, di chi teme di non incontrare un senso in tutto quanto lo circonda,  di chi spera e si augura  che comunque durante il giorno qualcosa cambi.

  Per la scuola, oggi, questa frase si adatta  molto bene. E’ in attesa  che durante il giorno qualcosa cambi, che ci sia un evento, un buon motivo per alzarsi, un pensiero nuovo, che  dia il senso della necessità  del cambiamento.

  L’anno-ponte (il 2006-2007) sta rischiando di diventare “eterno”.  Quante volte abbiamo sostenuto che nel nostro Paese le cose provvisorie  possono diventare eterne per la pigrizia degli uomini o per timore del nuovo ?

Prendersi cura dei ragazzi…

  L’evento per cui vale la pena  di alzarsi la mattina. oggi esiste, c’è, ed è l’innalzamento dell’obbligo d’istruzione, non tanto e non solo perché è stato ripristinato un concetto (l’obbligo) o perché abbiamo portato fino ai 16 anni un  percorso formativo che riguarda tutti, ma perché ci siamo messi nella condizione di parlare di loro, della prima adolescenza , dell’età (la bella età) che corre dagli 11 ai 16 anni e di noi adulti (insegnanti, educatori, dirigenti, politici), di che cosa fare finalmente, una volta alzati.

   Sarebbe troppo facile  rimanere dentro le ingegnerie dei curricoli o del biennio unitario e non accorgersi che di fronte abbiamo ragazzi e ragazze, che frequentano una  scuola media ed un biennio, in cui i  loro bisogni educativi sono diventati davvero tanti, tra cui non dobbiamo dimenticare  nuovi percorsi di acculturazione sociale ed intellettuale.

L’adolescenza non è una condanna…

  E’ fin troppo facile parlare di “bullismo”, di atteggiamenti provocatori e aggressivi di alcuni ragazzi, di situazioni sociali e familiari disgregate. Tutte cose vere, che esistono  e che vanno affrontate con decisione, ma oggi a noi è richiesto ben altro.

  Di non partire dalla fine, ma dall’inizio; di non fare  la sintesi del passato,  ma di dare senso e creare senso.

   L’adolescenza non è una “condanna”, ma è una risorsa e così la dobbiamo intendere.

   A 11 anni i nostri ragazzi, i nostri adolescenti iniziano quel percorso intellettuale, sociale, sentimentale ed affettivo che li porta a cercare con più decisione le cose nuove, a credere nella libertà del fare e del pensare, a voler crescere (in fretta, in alcuni casi), a voler cambiare (anche quando si ha timore di farlo).

   A questa età ogni ragazzo o ragazza  sente il bisogno di uscire dal cono d’ombra in cui l’ha posto l’infanzia, per rendersi “socialmente visibile”, per crearsi quella visibilità sociale, che può passare anche dalla esibizione esagerata di sè o dall’uso smodato dei videofonini, che oramai contrassegnano l’evolversi di una giornata trascorsa insieme agli amici (vicini e lontani),  o degli sms, o dei msn, o della posta elettronica con annesse immagini o foto, ma anche dal bisogno di contornare  il loro percorso di crescita sperimentando se stessi nell’apprendimento di “pezzi di futuro”, di nuovi linguaggi (l’informatica, la musica, il teatro, la scrittura, il cinema, l’arte).

“Pezzi di futuro” e non l’intero passato (le antologie, il tema, le storie lunghe e interminabili, curricoli indifferenti all’usura del tempo.

Esperti di apprendimento…

“Apprendimento” e non giornate strapiene di informazioni e di noia. Ai ragazzi interessa  diventare “esperti” e  non scivolare sulle cose. Apprendimento come approfondimento (e infatti sanno molto di nuove tecnologie  e di nuovi linguaggi).

   L’età che corre dagli 11 ai 16 anni è oggi il buon motivo per cui vale la pena alzarsi la mattina, perché riguarda prima di tutto noi adulti e ciò che dobbiamo  o sappiamo ripensare in termini di educazione, formazione e istruzione, senza farci prendere dalla smania di fissare (a guisa di nuova purificazione per i ritardi formativi del Paese) standard o prove. Le cose sono ben più complesse.

  Il nuovo obbligo d’istruzione è la metafora del nuovo impegno che ci attende.

   Vogliamo partire dai ragazzi, dalla loro età, dalle loro storie e dalle loro psicologie o dai curricoli o addirittura confinare tutto nel biennio unitario ?

 E’ bene sapere che laddove e quando la Scuola ha ben  pensato  alla formazione delle persone, alle loro età e poi ai curricoli, ha avuto successo e ha dato il meglio di sè.

  La storia della Scuola dell’infanzia  e della scuola elementare  sono lì a dimostrarlo. La ricerca psicologica e la psicologia dell’apprendimento sono cresciute  quando hanno saputo dipanare l’osservazione dei comportamenti e la sperimentazione delle soluzioni. Piaget, Bruner , Vigotskij, Gardner o i nostri Sergio Neri e Clotilde Pontecorvo sono  esempi da cui non si può prescindere.

L’acculturazione sociale dei ragazzi: la responsabilità individuale

Se non vogliamo sfuggire alla necessità di riformare l’insegnamento e l’apprendimento per l’età dell’adolescenza, dobbiamo riprogettare con urgenza  anche l’acculturazione  sociale dei nostri adolescenti, a volte troppo distanti dal senso  di responsabilità personale, oppure in grande difficoltà nella gestione delle loro emozioni o incapaci di predittività del loro agire (quante  volte i nostri ragazzi non sanno immaginarsi il succedersi o gli effetti di azioni “pesanti” o anche futili?). Il loro presente è sempre più spesso escludente del futuro, pur in presenza di situazioni che rivelano  ricerca della libertà,  di un pensiero nuovo, di voglia di crescere o di cambiare. 

La nostra società e la nostra Scuola  si stanno concentrando troppo sulla  prevenzione dei fattori di rischio (le varie educazioni ) e molto poco sulla organizzazione dei fattori di protezione della vita individuale e sociale. Più sulle paure e molto poco sul pensiero critico.

Fa “audience” parlare di bullismo  e di una scuola che deve tornare a reprimere, anche se dietro tutto ciò  c’è  (forse) un solo percorso regolativi; ma non fa alcun rumore un  pensiero (lento, ma poderoso) che torni a  preparare i ragazzi  alla responsabilità personale, alla gestione e al controllo delle emozioni, alla progettualità e all’organizzazione del presente in funzione di assaporare “pezzi “ di futuro.

Riforma dell’insegnamento e del pensiero
(E.Morin, La testa ben fatta)

Per i ragazzi di questa età c’è bisogno (dopo un decennio di pensieri fuori dal reale) di una vera riforma dell’insegnamento e del pensiero, che non trascuri per niente i presupposti di una nuova acculturazione sociale, di cui si diceva prima e  che si fondi su elementi portanti di un “curricolo” 11/16 anni, con le finalità di :

-         puntare allo sviluppo di abilità progettuali, di pianificazione e di organizzazione, facilitando il lavoro in coppia (prima) e in gruppo (poi);

-         assicurare certezza alla conoscenza, aiutando i ragazzi a diventare “esperti” attraverso un vero apprendistato cognitivo, alleggerendo perciò il numero dei contenuti di studio e innalzando  i livelli d’istruzione e di approfondimento;  

-         predisporre l’ambiente scolastico quale luogo sociale dotato di risorse competenti e capaci di coinvolgere e produrre “visibilità sociale” all’agire  e allo studio dei ragazzi (il teatro, la musica, l’informatica, l’astronomia, la scrittura, il cinema , la produzione di videoclip,  l’arte);

-         sviluppare l’attitudine generale a porre e a risolvere problemi , a contestualizzare e a generalizzare i saperi.

         Lavorare a livello locale: ripartiamo dal “tre-più-due”

Un percorso formativo che riguardi  questa  età e il nuovo obbligo d’istruzione (tre-più-due)(qui sta per scuola madia + nuovo biennio) ha senso se si realizza a livello territoriale, se riesce a raccogliere le energie sopite e le rimette  in movimento con la costruzione di un progetto locale,  che sappia interloquire con il Ministero.   Anche per gli adulti, come per i ragazzi, la “libertà ha un senso”, per cui la ricerca  e le sperimentazioni devono uscire dagli stretti contorni autoreferenziali delle singole Scuole e muoversi su percorsi verticali (i dipartimenti  territoriali “trepiùdue” come luoghi di pensiero e di progettazione) per dipanare  curricoli essenziali, per riformare l’insegnamento in funzione del potenziamento dell’apprendimento (ragazzi esperti), per assicurare livelli di responsabilità individuale, che sappiano traguardare  il presente attraverso la sperimentazione di “pezzi di futuro”.

 


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