Due novità, un dubbio
A proposito di autonomia e nuovo contratto

Franco Raimondo Barbabella
Preside del Liceo Majorana di Orvieto

Scrivo questa nota a caldo, dopo una prima lettura dei testi, con il rischio quindi di un giudizio approssimativo.

L’approvazione definitiva del Regolamento dell’autonomia delle scuole e la firma del nuovo contratto di lavoro del personale sono per la scuola italiana indubbiamente due grosse novità: l’uno traccia la cornice della nuova scuola, più autonoma, responsabile delle decisioni e dei risultati, legata al territorio; l’altro definisce le condizioni di lavoro del personale nel quadriennio 1998/2001, il periodo di avvio concreto del processo di autonomia.

Entrambi vanno contestualizzati nel processo più ampio di trasformazione in corso, segnato da provvedimenti già approvati (la razionalizzazione, la dirigenza ai capi di istituto, lo statuto delle studentesse e degli studenti, il Nuovo Esame di Stato, l’elevamento dell’obbligo) e da provvedimenti ancora in discussione (la riforma degli organi collegiali, la riforma del bilancio, la riforma dei cicli, la riforma degli IRRSAE, ecc.).

Se letti in questo modo, essi ci consentono di intravedere alcune linee di una direzione di marcia altrimenti piuttosto oscura.

Tali linee potrebbero essere così schematizzate:

Verrebbe da dire: bene, ottimo, era ora!

E così in effetti hanno reagito in molti: le parole trionfanti del governo hanno avuto un’eco vasta e sostanzialmente concorde sui mass media. L’opinione pubblica ha avuto l’impressione che finalmente si stiano davvero affrontando i nodi strutturali della scuola italiana, a partire dal funzionamento e dagli stipendi.

Passata però la fase di lancio pubblicitario, incomincia ad emergere un bisogno di riflessione critica che, per quanto mi riguarda, non ha tuttavia nulla a che vedere con le posizioni pregiudizialmente contrarie di chi rifiuta integralmente il nuovo quadro concettuale. Sono di quelli che stanno con Pericle, non con Licurgo!

I punti critici, in rapida sintesi, mi sembrano i seguenti:

E’ proprio il nuovo contratto dunque che rischia di gettare un’ombra fitta sullo stesso processo di autonomia: come si può pensare ad un’autorigenerazione del sistema se il personale, tutto il personale, non viene rimotivato in modo molto forte e molto rapido, cosicché si possa affrontare di slancio il periodo di transizione, che è, come sempre, il più delicato?

Le tabelle degli aumenti, contrariamente a quanto fatto pensare da un sapiente battage pubblicitario, parlano da sole e cozzano irrimediabilmente contro quest’esigenza di rimotivazione:

Saremo comunque ancora i peggio pagati d’Europa!

Il meccanismo che si riesce a leggere sembra fondato su questo ragionamento: le riforme sono necessarie ed urgenti; i soldi a disposizione sono di più che nel passato ma assolutamente insufficienti ad affrontare tutte le necessità; allora, per il momento paghiamo solo il recupero dell’inflazione a tutti, poi attuiamo nel giro di alcuni anni un primo sistema di incentivi, infine vediamo che cosa succede; nel frattempo facciamo sedimentare le novità ed abituiamo il personale all’idea della differenziazione.

Ecco allora che non deve sembrare strano se anche ai più bendisposti può venire un dubbio: che si tratti ancora una volta di una rivoluzione all’italiana, in cui all’apparenza di un gran rumore di cambiamento corrisponde una sostanza di immodificata continuità? Forse il dubbio è eccessivo, ma è certamente legittima la considerazione che ad un impianto concettuale non disprezzabile rischia di corrispondere una prassi assolutamente inadeguata, che potrebbe di fatto sterilizzare le novità e provocare ulteriori ritardi e confusioni. Peraltro tutti già viviamo le conseguenze di un sistema burocratico quasi impazzito che sta affossando le scuole con una montagna di carte, per prestazioni spesso assurde, intempestive e ripetitive.

Si sarebbe potuto fare diversamente? Probabilmente si, ad esempio facendo del contratto uno strumento davvero decisivo dell’autonomia, una grande occasione non per inviare segnali e rompere tabù, ma per lanciare, al contrario, una vera e propria sfida di rinnovamento: stipendi significativamente più alti per tutti, allineati ai paesi europei più avanzati, e forti incentivi per funzioni e incarichi aggiuntivi, in cambio di prestazioni per tutti più elevate, e certamente anche differenziate, da valutare rigorosamente in termini di qualità dei risultati, prevedendo contestualmente forme di uscita per coloro che non risultano all’altezza delle prestazioni ritenute essenziali (essenziali, e non minime!).

Nella situazione che si sta delineando si rischia invece di voler fare le nozze con i fichi secchi. E così le nozze possono fallire ancor prima di essere celebrate.

Viene da chiedersi: ma si vuole davvero qualificare la scuola pubblica?



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