Sulla cultura generale

Lucia Marchetti, Mauro Mattioli e Lino Palmeri

 SENSATE ESPERIENZE

Discussione del Giugno 1996 avvenuta in preparazione di un Convegno sul triennio che poi non si è fatto.
Ora, dopo la presentazione del documento dei Saggi, pare contenere alcuni utili spunti di riflessione anche per la scuola obbligatoria.

 

Mauro Io partirei dalla domanda: a quali quesiti deve dare delle risposte l’asse culturale della scuola secondaria riformata? per esempio uno non evitabile è come strutturare il rapporto tra l’area comune e gli indirizzi....

Lino ricordo che a Deiva ( luogo di una precedente redazione) qualcuno aveva messo in guardia dall’usare ancora questa terminologia....

Lucia... allora forse potremmo dire: quale dovrebbe essere il patrimonio comune, generale di tutti gli studenti italiani ?. Non userei tanto la parola ASSE per definire la cultura generale, perché l’asse culturale è anche dell’indirizzo e quindi, riformulando si potrebbe dire: come strutturare il rapporto fra cultura generale e indirizzi.

Mauro mi sembra un quesito non evitabile, ma ancora un po’ insidioso perché l’idea che veniva fuori dalle tante discussioni fatte nella mia scuola era che l’indirizzo consegnasse delle tecniche e l’area comune la formazione umana, mentre viene da osservare come aspetti di formazione umana vengano dati dall’indirizzo piuttosto che dall’area comune, mentre l’area comune tende a dare saperi e non molto di più, mentre per quanto riguarda la crescita e la trasformazione umana della persona è molto più decisivo l’indirizzo, tant’è vero che poi risultano tipi antropologici abbastanza diversi a seconda degli indirizzi.

Lino questo è anche molto legato alla struttura dell’attuale sistema scolastico: cioè nella differenziazione forte che c’è tra gli indirizzi, fra gli istituti si assommano tutte le differenze. A me pare che questa differenziazione sia riproposta senza troppe modifiche dalle attuali forze politiche: ora non possiamo parlare di cultura generale senza fare riferimento a questo stato di cose.

Lucia Mi pare che ora noi dovremmo fare uno sforzo per definire questo tema della cultura generale.
Abbiamo sempre detto che la formazione è il risultato del contributo fra l’asse culturale dell’area comune e dell’area di indirizzo, cioè noi non abbiamo mai distinto la formazione fra queste due. Ma che cosa intendiamo per formazione? La crescita culturale, quello che si chiama l’indipendenza del pensiero, l’autonomia dello/a studente. Questa viene sia dall’area comune sia dall’indirizzo. Non so se riprenderei la distinzione (suggerita da Mauro) fra Sapere Saper fare e Saper essere, anche quella forse un po’ vecchia. Adesso mi pare che si parli di più di SOGGETTIVITA’ e di IDENTITA’, comunque direi che non si può disgiungere nella formazione il dato del sapere dal senso che questo sapere ha per la persona.

Lino sì, e anche il concetto di CULTURA non come sapere codificato da trasmettere, ma come rapporto dialettico tra la persona che cresce e il sapere codificato. Quindi il problema è come intendere la cultura formativa nella scuola. Insomma noi dovremmo insistere sul superamento di un’idea che tenderà ad emergere fra gli accademici della serietà della scuola fondata sulla trasmissione del sapere codificato. Anche l’espressione MEDIATORE mi pare insoddisfacente. Io vedrei un rapporto più complesso che faccia centro innanzitutto sulla persona che cresce, quindi la mediazione del docente sta proprio nello stabilire questa correlazione, non unidirezionale, fra il sapere costituito e il soggetto in crescita. Insomma la domanda è quale concetto di cultura formativa?

Lucia un punto che abbiamo acquisito è che ci deve essere un rapporto tra il sapere che si trasmette e la persona. Questo sapere deve avere anche un senso per la persona che lo deve manipolare. Quindi da parte del docente si devono conoscere i processi di pensiero e lo stadio antropologico di questo/a studente che vive, come l’insegnante, un tempo, un presente che è fortemente connotato da valori culturali. Per me il problema è: un gruppo umano ha il bisogno di trasmettere parte del proprio patrimonio culturale alla nuova generazione, pena l’annientamento. La questione è molto difficile perché rimanda a un ulteriore problema che è: di che gruppo umano stiamo parlando? in un mondo che si sta così velocemente trasformando, nel quale per esempio le identità nazionali sono piuttosto in crisi? Io, al contrario penso che sia un bisogno naturale, non tanto in senso biologico, quanto dell’UMANO, sapere da dove viene, qual è la propria archeologia, la propria tradizione. Penso che questa non sia un’esigenza artificiosa, ma che sia connaturato con la storia dell’individuo il bisogno di sapere che cosa è successo prima di lui. Questo punto va chiarito altrimenti non vale nemmeno la pena di mettersi a discutere su quale asse culturale. Perché se noi concludessimo che stiamo andando verso una società multiculturale in cui non c’è il gruppo, ma c’è l’individuo e c’è un’infinita possibilità di incontri, allora la risposta, a quale patrimonio, avrebbe un’altra connotazione.

Lino I due punti vanno integrati: per un verso c’è un’esigenza relativa al gruppo umano di trasmissione di un’esperienza pregressa, e per un altro verso c’è l’esigenza che questa esperienza pregressa abbia un valore formativo quindi, da questo punto di vista, la priorità della soggettività della persona che si costruisce rielaborando quanto le si vuole trasmettere. A me pare che i due concetti non si escludano, ma vanno di volta in volta ridefiniti a seconda della prospettiva in cui ci si mette.

Lucia Un altro problema che bisogna affrontare preliminarmente (riprendo da Mauro) è che, invece, hai la sensazione che le nuove generazioni non abbiano un grande interesse a comprendere la tradizione culturale. Insomma il problema è: un gruppo umano adulto deve decidere che cosa della propria tradizione culturale vuole trasmettere alle nuove generazioni. Siccome le nuove generazioni non dimostrano un interesse chiaro in questo senso, ci si pone poi il problema di come farlo passare e interagire con i giovani. Io quindi penso che al centro non ci sia solo la persona che cresce: è un centro bifocale, uno è la persona-che-cresce, l’altro è un gruppo-umano-che-vuole-trasmettere-la-propria-tradizione.

Mauro Forse perché insegni in un liceo prima ti esprimevi con un certo ottimismo rispetto al rapporto della grande maggioranza delle giovani generazioni con la tradizione culturale. Ma se facessi un sondaggio nella mia scuola non avrei dubbi che l’area ritenuta più noiosa e meno interessante è quella che fa riferimento alla nostra tradizione culturale. La situazione ha l’aria di essere indotta: l’impressione che ho è che oggi i giovani sono sostanzialmente canalizzati o nei licei o negli istituti tecnici o nei professionali e ho l’impressione che sia senso comune che l’appropriazione della tradizione culturale fa parte della tradizione scolastica delle élites e dintorni, e non fa parte o fa parte sempre meno della formazione scolastica di quelle che élites non sono.

Lucia sì, perché se parliamo di cultura generale, noi pensiamo a una cultura PROPRIO GENERALE....

Lino Siamo d’accordo, ma c’è u terzo elemento da integrare. E’ vero che sono gli adulti che devono e che di fatto possono definire quale cultura, quale tradizione, però bisogna anche chiedersi: in rapporto a che cosa questa scelta va fatta? La persona che cresce, come anche l’adulto, vive nel PRESENTE e in questo trovo sta la ragione dell’estraneità del giovane nei confronti della cultura, anche del liceale, perché questa cultura è disarticolata rispetto all’esperienza che lo studente fa nel presente e, direi di più, disarticolata rispetto al presente! Insomma io trovo che quanto diceva Mauro tempo fa sulla marginalità della scuola sia anche dovuto a questa estraneità della scuola rispetto a un presente, quindi all’esperienza che gli studenti fanno nel presente che, essendo lo sviluppo sempre più rapido, sempre più si allontana rispetto a quella tradizione che l’adulto decide di trasmettere. A me sembra importante mettere in evidenza che la scuola, certo servendosi di un patrimonio elaborato nel passato e rielaborato nel presente, deve permettere alle nuove generazioni di vivere oggi e domani, nel presente e nel futuro prossimo. Per poter fare questo bisogna evitare che lo studente viva e senta la sua vita scolastica così estranea all’esperienza che in altro modo fa del tempo in cui vive. Io sento vivissima questa esigenza, l’ho già espressa in più situazioni; a volte i ragazzi, anche i migliori, conoscono e amano quel passato che la tradizione scolastica presenta loro, ma non riescono a coglierne il rapporto con il loro vivere nel presente. Io stesso ho vissuto penosamente lo scarso rapporto con il presente, questo faticoso tentare di capire qualcosa del presente, un capire che non mi è stato per nulla agevolato dalla scuola. E questo è, secondo me, uno dei motivi per cui si crea una sorta di estraniazione fra la scuola e lo studente. Insomma se gli studenti non riescono a cogliere il senso e il valore che quel passato che gli vogliamo far conoscere è in qualche modo legato al presente in cui vivono e che di quel passato possono servirsi per intendere il presente e in qualche modo orientarsi in un presente sempre più difficile da capire, per forza la scuola fallisce e si emargina, e quello che trasmettiamo resta sempre più inutile, un belletto.

Mauro E’ una tua tesi che conosco e che sostieni da tempo. Si potrebbe sintetizzare: la cultura non si trasmette, ma sulla cultura si fa ricerca investendola di valori soggettivi. Sono d’accordo, ma mi piacerebbe andare un po’ più in là. E’ vero che la scuola non aiuta i giovani a comprendere il presente, che è tuttavia più un presente esistenziale che un presente storico...mi sembra che ci sia da parte tua un ottimismo di fondo, in ogni caso mi sembra che tu non metta in discussione quali sono le cose da trasmettere.....

Lino A discutere cosa trasmettere non ci siamo ancora arrivati, abbiamo un po’ affrontato il problema del come; abbiamo detto che i gruppi umani hanno bisogno di trasmettere cultura e che questa trasmissione per avere valore formativo deve avere significatività per la persona che cresce. Abbiamo espresso due esigenze. Ora dobbiamo affrontare il come e il che cosa.

Mauro Se noi radicalizziamo la tua tesi, può essere benissimo che le nuove generazioni giungano alla conclusione che nulla della tradizione è per loro interessante.....

Lucia...infatti io non sono d’accordo che il perno è solo la persona che cresce...

Mauro A me sembra che la tesi di Lino sia fortemente ottimistica in quanto lui dà per scontato che l’influenza dell’investimento di senso dei recettori ha come risultato quello di rinforzare forme, per esempio la ricerca, e le scelte, Boccaccio piuttosto che Dante...il che contrasta un po’ con la mia recente esperienza di come gli studenti riducono all’ovvio, semplificano, applicano categorie semplificatorie al passato, riducono il diverso all’uguale (es. i ricchi e i poveri). Io ho una percezione un po’ tragica della resistenza che i recettori possono opporre alla trasmissione della tradizione.

Lino Questo tanto più avviene quanto più il presente vissuto dallo studente resta fuori della scuola, strutturalmente. In realtà lo studente non è condotto a problematizzare il presente quanto piuttosto ad affrontare i problemi del passato e si spera che un po’ alla volta arriverà poi ad affrontare il presente... che invece rimane sempre fuori! La comprensione del passato è condizionata dal e funzionale al ‘presente’

Lucia...ma è inevitabile che la scuola di massa banalizzi...Tutti siamo connotati!
(Digressione) Ho fatto una discussione con i miei studenti sulla generazione del 2000 e sul rapporto fra la loro generazione e quella dei loro genitori - che è poi la nostra. Loro dicono "voi eravate unidirezionali, o avevate la politica -solo- o il successo o altro. Loro invece dicono NO, noi vogliamo avere tanti punti di realizzazione, la musica, il lavoro, l’amore, l’amicizia, il viaggio. Voi eravate monotoni, a noi invece interessa tutto....
Ma per tornare a quanto diceva Mauro, io penso che sia verissimo l’azzeramento della articolazione dell’esperienza passata da parte dei giovani, ma questo è sempre stato: ogni epoca storica ha interpretato il passato a seconda delle esigenze del presente (cfr.Gadamer). Forse c’è un dato generazionale di semplificazione, ma non penso che questo sia il problema principale. Come diceva Lino il difetto principale è che nella scuola non si affrontano i problemi, si affrontano i problemi delle discipline che, in un certo senso sono già delle risoluzioni di problemi, delle interpretazioni; citando da Popper: " nella realtà non si incontrano problemi economici, sociologici, psicologici, fisici, chimici, ma semplicemente dei problemi ".

Mauro Seguendo questo ragionamento arriviamo a un quesito più radicale: a quali bisogni dovrebbe rispondere un’eventuale trasmissione della trasmissione culturale? Come possiamo rispondere? O si va su un’antropologia piatta, astorica dei bisogni, oppure si ragiona sui bisogni della società di oggi a cui, in senso lato qualunque acculturazione va incontro. Dobbiamo trovare dei criteri per riempire di contenuto questo discorso, presumibilmente ci sono alcuni grossi tipi di bisogni diffusi di tipo culturale e dovremmo cercare di individuarli. A questo proposito trovo interessante lo stimolo che viene da Gardner sulle intelligenze: a quali intelligenze abbiamo tutti diritto? Mi sembra che ci possa aiutare a pensare.

Lino Rivolgendoci a forze di governo dobbiamo muoverci su temi che possano essere in buona parte condivisi. Credo per esempio che non si possa trascurare il piano di quali aree culturali, quali discipline, il discorso che abbiamo sempre fatto di un certo equilibrio fra le aree. Di quello che abbiamo detto finora a me parrebbe però necessario salvaguardare qualche spazio a come intendere poi l’inserimento o la funzione di queste aree culturali in rapporto all’insegnamento-apprendimento...

Mauro...sì, solo che ci facilita molto arrivare a questo partendo dall’altro quesito, che peraltro è radicale, perché io ho partecipato per anni a sfibranti dibattiti sulla divisione strutturale tra le discipline...perché qualunque materia ha una valenza culturale! Abbiamo bisogno di selettori che ci consentano di capire se c’è un’area di sapere fondamentale. Questi criteri selettori non possono che essere tratti da bisogni comuni di sopravvivenza per persone che vivono nella società di oggi. Ruoli che non possiamo non esercitare. Penso a ciò che dice Habermas nella Teoria dell’agire comunicativo; lui distingue i mondi della vita in cui non possiamo non vivere; me l’ha ricordato quello che tu dicevi dei tuoi ragazzi. Uno di questi è quello di lavoratori, ma un altro -a pari titolo- è quello di clienti di grandi burocrazie pubbliche, un altro ancora è quello di consumatori; siccome non possiamo non vivere in questi mondi in qualche modo diamo delle risposte con gli strumenti che abbiamo. Mi sembra che questo ci potrebbe aiutare a decidere, a scegliere. Per esempio io, per questa via, sono arrivato a convincermi della essenzialità di alcune conoscenze e alcuni tipi di intelligenza afferenti in senso lato alle scienze naturali: sei in grado di capire alcune cose del tuo corpo, della tua salute, di come ti comporti come consumatore, sei in grado di capire cos’è una scintigrafia, quale può essere grosso modo una situazione di pericolo di inquinamento della zona in cui abiti, ecc....o disponi di selettori di questo tipo o non hai un criterio per decidere quale settore del sapere privilegiare. A me pare che questi selettori si possano trarre dagli ambiti di vita in cui tutti siamo obbligati a vivere.

Lucia Teniamo l’indicazione di Habermas senz’altro come utile. Penso allora a un altro suggerimento per i selettori che viene da Taylor nella Teoria della modernità: dice che tre sono gli elementi con cui ognuno di noi deve fare i conti, uno è l’individualità, il secondo è la burocratizzazione, quella che Weber chiama ‘gabbia d’acciaio’ cioè il vivere in una società fortemente organizzata e strutturata, e il terzo è il tema della politica. Aggiungerei al tuo discorso proprio quest’ultimo tema, della politica e quindi della LIBERTA’. A me apre che lo sfondo dei nostri selettori sia determinato dal bisogno di libertà. In fondo perché vogliamo una scuola diversa? perché pensiamo che sia possibile, per le nuove generazioni, ampliare il potere di agire nel mondo e di agire con se stessi: quanti dei nostri studenti sono battuti dalla incapacità di dominare le proprie emozioni, i rapporti con i genitori... A me pare che questa scuola, ma la scuola in generale non produca cittadini liberi, liberi in tutti i sensi, nel senso dell’agire con se stessi, con gli altri, nella burocrazia, nella politica, ma anche nella libertà di godere dei piaceri estetici, del sapere....
Vorrei aggiungere, citando da Bruner, ma anche da Gardner, che la libertà è anche saper dominare i saperi: non è più sufficiente che lo/a studente sappia Manzoni o Ariosto se non possiede gli elementi che organizzano questo sapere. Quindi è necessario che gli studenti siano portati a ragionare sui saperi da un punto di vista teorico. La cornice teorica dà un senso ai contenuti. Continuamente con gli studenti faccio il punto della disciplina, perché in quel momento storico si sta occupando di questo o di quest’altro, altrimenti -se tu allo studente non dai la mappa- lo imbrogli, lo depisti. In questo senso a me pare che tutte le cose che stiamo dicendo poggino sulla rete della libertà. Libertà nel vivere con gli altri, fiducia nel potere del pensiero di cambiare le cose. Gli studenti, invece, hanno la sensazione di non potere nulla. Dare loro la possibilità di agire dentro la scuola e di potere veramente trasformare qualcosa sarebbe molto importante.

Mauro Sono d’accordo su tutto. Stiamo molto attenti a non sottolineare troppo: " la scuola non riesce ", perché non possiamo ragionare come se la scuola fosse l’agenzia formativa principale. Non lo è nei fatti, deve reggere la concorrenza.

Lucia Io sono un po’ più prudente di te sul tema della marginalità della scuola: la scuola è uno dei momenti che occupa una parte molto grande della loro vita e tu vedi che gli studenti cambiano moltissimo quando a scuola fanno cose significative. Per questo a me pare che la scuola abbia ancora molte potenzialità.

Mauro Un altro quesito che non si può non affrontare: in che rapporto porsi con le agenzie culturali concorrenti? La famiglia, i media, il tempo libero? Nella mia esperienza personale la scuola faceva finta che le agenzie concorrenti non ci fossero. Non sono sicuro che fosse del tutto sbagliato, però era un fare finta. Ragionare su un’agenzia concorrente mi può essere utile per capire a quali bisogni è stata così intelligente da trovare risposte. Per me è interessante ragionarci su per capire i bisogni, anche se non condivido le risposte.

Lucia penso che si possa procedere per tante vie, una è quella dell’identificazione del soggetto, ma ce ne sono altre che riguardano il conoscere i mondi.

Lino Proprio questo volevo dire anch’io. Quando si fa riferimento alla persona che cresce la si pensa inserita in una realtà più ampia. Tu parlavi di Habermas e tu della politica e della libertà, ecco quando io parlo della necessità che il PRESENTE sia presente nella scuola, ho dentro me l’idea che gli studenti dovrebbero essere gradualmente portati a conoscere la realtà del mondo geopolitico, così come si presenta oggi. Se tutto quello che insegniamo loro non è funzionale a offrire una sorta di bussola che almeno superficialmente colleghi questo presente al passato....

Lucia Se il criterio è quello della politica nel senso più classico, agli studenti bisogna dare le capacità teoriche di comprendere i sistemi organizzativi politici, presenti e passati. Non puoi fare la geografia, devi partire dalle cose, dai problemi.., non dalle discipline.

Lino Si può partire da ambiti geografici, ma per fare del geopolitica, della geostoria...

Mauro Tendo a fare l’esegeta di Lino. La domanda che lo studente si pone quando gli proponi qualcosa del presente è: che cosa centra con me? il loro è un presente esistenziale, conoscere come è fatto il mondo nella sua inesauribile varietà, che è quel piacere che proviamo quando viaggiamo: questo non è un bisogno degli studenti, anche tu mi pare lo dia per scontato.

Lino Certo, sono due prospettive che si intersecano. C’è un agio e c’è un dovere che devono convivere nella scuola e io penso che in qualche modo si riescano ad integrare, se vuoi questo è il mio ottimismo. E’ una prospettiva realistica. Si deve poter sperimentare che la scuola è dalla parte dello studente, questo crea le condizioni perché poi lo studente si accolli delle responsabilità. Quindi non bisogna cadere nell’equivoco della scuola facile, allegrona, che soddisfa i bisogni, no anche li limita. Per tornare al punto di partenza: che cosa dobbiamo trasmettere da una generazione all’altra? e come? Certamente c’è una tradizione che si è costituita attraverso i tempi, ma che è di oggi, che è ricostruita nell’oggi e si prospetta come presente.

Lucia Finora abbiamo parlato della formazione risultato di particolare e generale, non della formazione generale.

Mauro Individuiamo le domande: quali problemi teorici e pratici riguardano ogni essere umano? Per esempio se penso che ogni individuo deve necessariamente far parte di una famiglia, questo implica alcuni SAPERI obbligati. Quali materie possono produrre questi saper fare? stante che la scuola non è l’unica agenzia in questo campo.....

Lucia per muoversi all’interno di una rete sociale non parlerei tanto di discipline quanto di AREE DEPUTATE: per esempio potrebbe essere che un arco di discipline storico-sociali, non meglio definite, si devono prevedere nella cultura generale, in quanto non si tratta di un problema meramente sociologico, ma nel caso della famiglia ci sono implicazioni psicologiche, economiche, storiche, ecc.. Allora potrebbe esserci un’area -che chiamiamo storico-sociale- che tiene conto di questi aspetti e affronta nel corso del triennio l’aspetto del vivere in un nucleo sociale.

Lino è emerso l’eterno problema da cui non si scappa. Le soluzioni sono due: o si scelgono alcune discipline fondamentali in modo più o meno arbitrario, o si accetta l’insegnamento integrato intorno a problemi. Questa seconda strada, dopo tanti tentativi, è stata accantonata come poco scientifica, ma sta riaffiorando. Altre soluzioni non mi pare che ce ne siano.

Mauro Infatti questo potrebbe ovviare alle difficoltà della frammentazione lamentata per i Brocca. Noi ci siamo consumati in opere di ingegneria fra le discipline. Anche a me pare che gli insegnamenti integrati siano la soluzione più ragionevole, evitando gli eccessi, e tenendo anche conto che questo va a sbattere contro uno scoglio pesante: gli insegnanti.

Lucia E’ uno scoglio difficile. Un’altra via potrebbe essere quella della monografia, cioè di una disciplina che approfondisce verso spiagge limitrofe. Tuttavia a me pare fondamentale dare la padronanza epistemologica di una disciplina.

Mauro Se si fa un lavoro radicale e fine sui selettori di cui si parlava all’inizio si può riuscire ad individuare facilmente per le discipline il passaggio dalla teoria scientifica di riferimento alla disciplina pedagogica.

Lucia E’ un’operazione che dovrebbe fare la comunità scientifica per tutte le discipline. Mi pare che stiamo dicendo che la scelta di che cosa dei saperi trasmettere dipende da una conoscenza scientifica dello stato della disciplina, da un lato, coniugata con la conoscenza pedagogica, quindi di quali aspetti di quella disciplina sono comprensibili per quella età dello studente. MA ANCHE che sono indispensabili apprendere.

Lino Tra le esigenze che sembrano emergere mi pare da tener presente la necessità di distinguere e insieme correlare:

Mi sembra pertanto che - se la cultura è (come accennavo all’inizio) un "sistema che mette in comunicazione dialettizzandole un’esperienza esistenziale e un sapere costituito" (Morin) - occorrerà avviare lo studente ad intendere che cosa vuol dire guardare il mondo secondo l’una o l’altra prospettiva disciplinare, a riflettere cioè sui saperi, valorizzando nel rapporto fra passato, presente e futuro, la centralità del presente e la sua relazione col passato per potersi aprire al futuro ".



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