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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
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FILOSOFIA E CULTURA DELLA NUOVA CLASSE DIRIGENTE DELLA SCUOLA (*)

di Pasquale Picone

All’incirca nell’ultimo decennio si è andata profilando una nuova cultura della classe dirigente della scuola. Per classe dirigente non devono necessariamente essere intesi solo il ruolo apicale del dirigente scolastico o altri ruoli a questo superiori. In tale concetto rientra innanzitutto la fascia dei ruoli intermedi che si sono oramai attivati in tutte le scuole (Collaboratori del dirigente, Funzioni Strumentali, Coordinatori del Consiglio di Classe, ecc). Nella misura in cui la riflessione sulla leadership educativa attiene alla gestione del gruppo-classe, è, per estensione, lo stesso ruolo del docente, in quanto professionista della formazione di una determinata fascia di età, a rientrare nella configurazione di classe dirigente della scuola.

Questa nuova cultura si presenta sotto forma di sedimentazioni e curvature di contenuti provenienti da settori un tempo lontani dalla formazione filosofica, come ad esempio le teorie delle organizzazioni e del management. Ma anche da paradigmi oramai trasversali sia alle scienze umane che della natura, come la teoria della complessità e il pensiero sistemico. Adottando uno schema semplificato, si può dire che, alle due aree precedenti, se ne aggiunge un’altra, più vicina alle competenze filosofiche, che indicherei nel “counseling filosofico” e nelle “pratiche filosofiche”.

Ai fini dell’economia della presente comunicazione, vorrei selezionare qualche riferimento alla corrente delle pratiche filosofiche. Come è noto, questa corrente si rifà, tra l’altro, alle proposte di P. Hadot basate su di un rilancio di alcuni insegnamenti dello stoicismo, che vedevano nella pratica di vita e nella condotta personale l’espressione autentica dell’ispirazione filosofica. Quello stoicismo sostanziale, tradotto, al di là delle specificità concettuali delle tradizioni di provenienza, dal Mahatma Gandhi in una mirabile e straordinaria forma moderna. Tendo a coglierne, come nucleo centrale, il buon uso e il cambiamento delle rappresentazioni. In buona sostanza, sono le rappresentazioni che determinano i comportamenti personali.

Ai fini dei successivi punti, vorrei associare qui il concetto di apprendimento delle attuali scienze dell’educazione. Là dove lo definiscono come “modifica del comportamento”.

Ora, credo che si tratti di sviluppare una rappresentazione complessiva della condizione attuale del sistema scolastico con realismo ed autenticità. Evitando razionalizzazioni, rimozioni e scotomi cognitivi sin troppo consueti nel mondo scolastico. Ai fini di un simile vertice di osservazione realistica propongo di partire dai fenomeni di criticità organizzativa.

Nucleo di criticità considerevolmente diffuso, nella generalità della scuola italiana negli ultimi anni, è il burnout dei docenti, documentato da indagini scientificamente condotte, che ne attestano il rischio per i docenti da due a tre volte superiore ad ogni altro comparto del pubblico impiego, compresi i medici (Acanfora 2002; Lodolo D’Oria 2005; Picone 2002).

Quasi come variabile dipendente dalla precedente condizione va considerato un altro nucleo di criticità, emerso dai dati di una delle indagini PISA: il 38% degli studenti italiani quindicenni ha una percezione negativa del contesto scolastico (Bottani 2002, pp. 231-232). Ulteriore elemento di criticità è il fenomeno, sotto gli occhi di tutti, del bullismo, verso cui è diretta una recentissima direttiva del Ministro della P. I. (Dir. Min. 5 febbraio 2007: Linee di indirizzo generali ed azioni a livello nazionale per la prevenzione e la lotta al bullismo), che ha anche istituito un sito web ed un numero verde per le segnalazioni di tali casi.

L’ex ministro della P. I. Berlinguer, in un contributo di bilancio della sua esperienza istituzionale, coglie un altro elemento di criticità in quello che definisce come doppio fallimento della scuola attuale. Un servizio scolastico che, in relazione all’utenza, non riesce né a sostenere ed integrare i casi di svantaggio culturale di provenienza, né a rinforzare le eccellenze (Berlinguer 2001). Confermando che tuttora la scuola si presenta come sistema di compressione delle risorse umane sulla medietà, la dispersione e il fallimento scolastico. Gli studiosi avevano già da tempo messo a fuoco un simile fenomeno. Schematizzato dalla curva a campana della distribuzione delle prestazioni degli allievi che arrivano il primo giorno di scuola del primo anno. La stessa distribuzione rimane inalterata per tutta la durata dei cinque anni del corso di studi di liceo (Tassi 1993).

E’ importante mettere a tema fenomeni e variabili, sui quali è invalsa una rimozione abbastanza diffusa, perché, come il dirigente scolastico non può limitarsi a diramare ordini ma deve porsi come il mentore dello sviluppo professionale dei docenti, così il docente non può più limitarsi alla sola trasmissione dei contenuti della sua disciplina ma deve porsi come guida (leader) per lo sviluppo degli allievi. Ad ambedue i ruoli vengono chieste competenze relazionali sulla gestione delle dinamiche dei gruppi: dei docenti all’uno; del gruppo-classe all’altro.

Né la progettazione su singoli aspetti dell’attività scolastica, né la modellizzazione organizzativa, soprattutto con orientamento innovativo, possono prescindere da un’analisi sistemica, organica e complessiva della singola organizzazione scolastica. Gli studiosi continuano a formulare diverse osservazioni sul fatto che la gran parte della progettualità della scuola risulta di tipo “aggiuntivo” e raramente di tipo trasformativo, innovativo, atto a costituire memoria, esperienza, ricerca e modifica, cioè innovazione (cfr. la rimozione diffusa dell’art. 6 del DPR 275/99 sull’autonomia di ricerca, sperimentazione e sviluppo).

Un inquadramento persuasivo di tale condizione è stato fornito, ad esempio con riferimento alle strategie di gestione del sistema sicurezza e tutela della salute, da S. Garzi (2006) con la teorizzazione dei modelli “omeostatico”, “morfogenetico” e di “regolazione socio-culturale”. Il primo “considera gli adempimenti come un obbligo a cui far fronte con il minor livello possibile di investimento di risorse, utilizzando la norma come schermo dietro il quale celarsi” (Garzi 2006, p. 3). Il modello morfogenetico “se apre parzialmente alle esigenze di rendicontazione e professionalizzazione, può produrre una progressiva esclusione dell’’utenza’ che finisce per chiedere un sempre maggior numero di tutelanti e l’aumento di controlli” (Garzi 2006, p.4). In tale modello si tende a delegare agli esperti, spesso esterni, evitando di calare nelle attività organizzative specifiche (la didattica), onde sollecitare la interiorizzazione e l’autonomia dei comportamenti di tutti i soggetti istituzionali. A differenza dei primi due, il modello di regolazione socio-culturale considera i processi “non come un elemento di disturbo, quanto, piuttosto, un’opportunità in grado di promuovere il recupero dell’intelligenza complessiva del sistema” (Garzi, p. 5).

E’ mia profonda convinzione che i modelli proposti da Garzi sono applicabili alle strategie per la comprensione e la possibile gestione di tutti i processi specifici dell’organizzazione scolastica: dalla sicurezza e tutela della salute, all’apprendimento delle singole discipline, allo sviluppo delle competenze relazionali, all’analisi e alla gestione delle dinamiche organizzative, sino alla diffusione della didattica multimediale. Nell’analisi dei tre scenari della realtà scolastica, proposta da Garzi, non si fa fatica a riconosce che quello più diffuso, almeno in alcune aree del nostro Paese, è il primo. In linea con la tesi dell’applicabilità di tale analisi a tutti i processi dell’organizzazione formativa, vi è pure la constatazione che, un simile triplice ventaglio di scenari, lo si può osservare già a partire dalla vita del singolo gruppo-classe.

Si tratta di disporre di una visione reversibile tra parte e tutto nella prospettiva, appunto, olografica, dove la parte contiene il tutto e viceversa.

L’unità fondamentale dell’istituto scolastico è costituita dalla relazione docente-gruppo/classe.

Questo microcosmo si interfaccia, da un lato, con le competenze didattiche e tecnico-professionali del Consiglio di Classe. Tali competenze disciplinari nei termini di strutture organizzative, afferiscono ai Dipartimenti Disciplinari che, convenzionalmente, possono essere considerati come costituenti le righe del modello organizzativo a matrice, discusso dai teorici delle organizzazioni (Mintzberg 1996; Morgan 1999). L’altra interfaccia, spesso trascurata dall’organizzazione scolastica, è la storia che il singolo gruppo-classe genera nei cinque anni di permanenza nel Liceo, ovverossia la Sezione, i singoli corsi. Le diverse Sezioni o corsi, con le storie, le dinamiche, le micro-società, costituite dai cinque gruppi-classe che le compongono, vanno considerate come colonne del predetto schema a matrice.

Tale impostazione richiede una concezione della leadership e una strategia di deleghe autentiche e di gran lunga più sostanziale di ciò che si è tentato di fare sinora con i Coordinatori di Classe, responsabili di Dipartimento e Funzioni Strumentali. Peraltro, come funzioni elettive dal Collegio Docenti, anziché parte di un sistema premiante ripartito in diverse fasce alle quali si accede per concorso.

Ciò si può realizzare, nelle singole scuole, con un rilancio della formazione permanente sulla nuova professionalità docente, della comunità di pratiche, del senso di appartenenza, della motivazione e ri-motivazione continua degli studenti, del benessere organizzativo, di una vera e sistematica partecipazione dei genitori, di una funzionale interfaccia di rete e di territorio.

I precedenti obiettivi richiedono una forte consapevolezza della gradualità e della necessità di tempi intermedi e lunghi per implementare innovazioni organizzative che, a loro volta, sono effetti di innovazioni, cambiamenti e ri-orientamenti che accadono sul piano delle mentalità e delle rappresentazioni. Come ci ha insegnato la scuola di metodologia storica francese delle Annales, le mentalità costituiscono le strutture storiche di più “lunga durata”. E tuttavia le competenze e la formazione filosofica diventano preziose per il lavoro sulle rappresentazioni.

D’altro canto una prospettiva di conseling filosofico ricava la sua consistenza da diversi contributi scientifici, a partire da quelli prodotti da Autori specificamente centrati sul settore scuola. In particolar modo, il gruppo della “Clinica della Formazione” che ha operato presso l’Università di Milano Bicocca e l’IRRE Lombardia, i cui nomi di spicco, tra gli altri, sono Riccardo Massa e Luciano Cerioli (Massa-Cerioli, a cura di, 1999). Tali posizioni si arricchiscono dei contributi di teoria generale delle organizzazioni, privilegiando la curvatura adattativa, di tali teorizzazioni, alle specificità dell’organizzazione formativa, della Comunità educativa. Sino ad uno specifico approccio psicoanalitico alle organizzazioni, espresso prevalentemente da Kets De Vries sull’organizzazione nevrotica e irrazionale, e da G. P. Quaglino sulla psicodinamica della vita organizzativa.

Una tesi di fondo, che veicola il raccordo tra teoria generale delle organizzazioni e specificità dell’organizzazione scolastica, è che se la conclusione unanime degli Autori di management è che qualsiasi struttura, per realizzare una buona organizzazione, si deve trasformare in learning organization, allora tanto più la scuola, che ha nell’apprendimento la sua ragion d’essere, il suo DNA, si deve porre come learning organization. Puntando a realizzare la Comunità Formativa come una micro-knowledge society, concretizzando al suo interno gli obiettivi di Lisbona per il 2010. Tanto più quanto l’efficacia dei processi di apprendimento degli studenti viene oramai concepita come variabile dipendente dalla qualità della relazione con i docenti.

Il contributo sulle intelligenze multiple di H. Gardner (1987), sull’intelligenza emotiva di Goleman (1996), insieme alla rivoluzione dei processi cognitivi, avvenuta sotto la spinta anche della multimedialità (Antinucci 2001; Picone 2002 a), hanno reso le concezioni della scuola tradizionale non più persuasive.

Altra tesi di fondo, che sostiene la tendenza a privilegiare l’approccio psicodinamico, deriva, in primo luogo, dalla necessità ineludibile della conoscenza profonda e continua dell’oggetto-soggetto verso il quale, e con il quale, si attivano i processi di insegnamento-apprendimento. Nel caso dei Licei e Istituti di II grado, si tratta dei processi mentali specifici dell’adolescente. Per gli altri ordini di scuola, a scalare, si tratta dei processi specifici della pre-adolescenza, della terza e seconda infanzia. In secondo luogo, l’altrettanta ineludibile necessità, per i professionisti della formazione, dell’analisi e gestione delle dinamiche organizzative, insieme allo sviluppo continuo delle competenze relazionali. Su questo punto c’è molto da lavorare, nei termini della messa a tema delle dinamiche dei gruppi-classe e di come tali dinamiche si riversano nello spazio mentale del docente. Determinando i transfert specifici del setting scolastico. I docenti, a loro volta, senza eleborarne la portata disfunzionale, riversano tali transfert verso il dirigente scolastico.

Sui transfert non elaborati si addensano, oltre i controtransfert più noti, riferiti a come inconsciamente i docenti percepiscono gli allievi, anche una serie di rappresentazioni profonde, più difficilmente accessibili. Il docente, nella sua pratica di insegnamento ri-attiva un parallelismo con alcuni processi primari dello sviluppo –tipici del rapporto bambino/genitori- non solo verso il dirigente scolastico. Si tratta di un parallelismo che attiene alla costruzione dell’identità professionale e personale.

L’idealizzazione inconscia, l’identificazione, il conflitto e l’ambivalenza rispetto ai modelli di riferimento, in questo caso i docenti universitari e di specializzazione -che hanno contribuito alla formazione in ingresso-, rappresentano alcuni di tali processi nell’iter formativo del docente.

Il campo semantico della formazione, di qualunque formazione, implica concettualizzazioni sull’identità, il ruolo, le funzioni e i compiti.

Per converso, se provassimo ad adottare il punto di vista dei processi formativi che presiedono all’accesso al ruolo didattico, dovremmo chiederci se non si riattivino gli stessi processi di base in quella che, a tutti gli effetti, è un’acquisizione di nuovo ruolo, all’interno di una organizzazione formativa qual è la scuola.

L’idealizzazione inconscia, l’identificazione, il conflitto e l’ambivalenza rispetto al modello di riferimento, si riattivano, nello specializzato SSIS che accede al ruolo di docente, nei confronti dei fondatori: Socrate, Platone, Aristotele e di tutti gli Autori successivi che, per chiara fama, gli ricordano -adesso che è il suo turno di trasmetterne le idee alle nuove generazioni-, per così dire, in analogia con quanto dicevano i pensatori del Rinascimento, di “essere un nano sulle spalle di giganti”.

Nella misura in cui i precedenti processi primari non sono continuamente messi a tema, resi consapevoli, essi andranno ad alimentare un’Ombra del ruolo di docente che, chiaramente, colluderà con le Ombre corrispondenti degli allievi, che “usano” lui come uno dei modelli di riferimento. I tal senso, la sostanza ambivalente dei circoli delle dinamiche formative viene generalmente rimossa, negata, proiettata e scissa. Con l’esito estremo di stare, anziché sulle spalle dei giganti, sotto i loro tacchi.

Simili circoli collusivi del docente limiteranno, più o meno pesantemente, l’efficienza e l’efficacia delle sue funzioni. La relazione con gli allievi risulterà fredda e formalistica, depauperandone la componente empatica. La leadership formativa, nel senso etimologico di guida di un’esperienza, si sposterà verso una rigida e noiosa ripetitività, venendo gradualmente a mancare uno dei nuclei significativi presenti in ogni esperienza di formazione: la trasmissione dell’autenticità, della passione e della pistis verso le proprie scelte, la propria vocazione, la fiducia nel potere trasformativo e migliorativo della conoscenza.

 

(*) Comunicazione per la sessione parallela su “Scuola e università” del XXXVI Congresso Nazionale SFI-Società Filosofica Italiana, Verona, 26-29 aprile 2007.


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