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A proposito della formazione duale

di Maurizio Tiriticco

Ho sempre sostenuto che non è tanto la Moratti che vuole istituire ex novo una formazione duale quanto, invece, che è opportuno SUPERARE tutta una tradizione di formazione duale che di fatto e di diritto è sempre esistita e che con le innovazioni della maggioranza di centrosinistra non è stata liquidata affatto.

Si legga quanto è testualmente scritto nella Legge 30/2000 nell’articolo 1.

"Comma 1 – Il sistema educativo di istruzione e di formazione è finalizzato alla crescita e alla valorizzazione della persona umana, nel rispetto dei ritmi dell'età evolutiva, delle differenze e dell'identità di ciascuno, nel quadro della cooperazione tra scuola e genitori, in coerenza con le disposizioni in materia di autonomia delle istituzioni scolastiche e secondo i principi sanciti dalla Costituzione e dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo. La Repubblica assicura a tutti pari opportunità di raggiungere elevati livelli culturali e di sviluppare le conoscenze, le capacità e le competenze, generali e di settore, coerenti con le attitudini e le scelte personali, adeguate all'inserimento nella vita sociale e nel mondo del lavoro anche con riguardo alle specifiche realtà territoriali".

"Comma 2 – Il sistema educativo di istruzione si articola nella scuola dell'infanzia, nel ciclo primario, che assume la denominazione di scuola di base, e nel ciclo secondario, che assume la denominazione di scuola secondaria. Il sistema educativo di formazione si realizza secondo le modalità previste dalla legge 24 giugno 1997 n. 196 e dalla legge 17 maggio 1999 n.144."

Nel comma 2 si distinguono i due sistemi educativi (di istruzione e di formazione), si dichiara implicitamente che la legge 30 riguarda l’istruzione e, per quanto riguarda il sistema di formazione, si rinvia a quanto si afferma nelle Leggi 196/97 e 144/99.

Andiamo a vedere quali sono le materie a cui si riferiscono le leggi citate.

A) La legge 24 giugno 1997, n. 196 riguarda "Norme in materia di promozione dell'occupazione", norme che, quindi, hanno poco a vedere con l’istruzione.

All’articolo 17 si afferma che, "allo scopo di assicurare ai lavoratori adeguate opportunità di formazione ed elevazione professionale anche attraverso l'integrazione del sistema di formazione professionale con il sistema scolastico e con il mondo del lavoro e un più razionale utilizzo delle risorse vigenti, anche comunitarie, destinate alla formazione professionale e al fine di realizzare la semplificazione normativa e di pervenire ad una disciplina organica della materia, anche con riferimento ai profili formativi di speciali rapporti di lavoro quali l'apprendistato e il contratto di formazione e lavoro, il presente articolo definisce i seguenti principi e criteri generali, nel rispetto dei quali sono adottate norme di natura regolamentare costituenti la prima fase di un più generale, ampio processo di riforma della disciplina in materia".

Quando andiamo a leggere i predetti principi, rileviamo quanto segue:

"a) – valorizzazione della formazione professionale quale strumento per migliorare la qualità dell'offerta di lavoro, elevare le capacità competitive del sistema produttivo, in particolare con riferimento alle medie e piccole imprese e alle imprese artigiane e incrementare l'occupazione, attraverso attività di formazione professionale caratterizzate da moduli flessibili, adeguati alle diverse realtà produttive locali nonché di promozione e aggiornamento professionale degli imprenditori, dei lavoratori autonomi, dei soci di cooperative, secondo modalità adeguate alle loro rispettive specifiche esigenze;"

(omissis)

"e) attribuzione al Ministro del lavoro e della previdenza sociale di funzioni propositive ai fini della definizione, da parte del comitato di cui all'articolo 5, comma 5, dei criteri e delle modalità di certificazione delle competenze acquisite con la formazione professionale;".

Si evincono due conseguenze:

che la formazione professionale, in quanto sistema di formazione, non si propone come finalità la formazione dell’uomo nel suo insieme, ma solo la sua valorizzazione professionale nell’ottica delle esigenze del sistema produttivo. Ed il che – va sottolineato – non è di per sé negativo, ma conferisce alla formazione un ruolo diverso rispetto a quello che è conferito al sistema di istruzione.

Del resto, che la formazione professionale costituisse un canale separato e "diverso" da quello della istruzione era già legittimato dal nostro ordinamento.

Riporto testualmente uno stralcio della sentenza della Corte costituzionale n. 89 del 1977. In esso di afferma:

"Occorre, invero, considerare la portata della materia in argomento, avendo riguardo al concetto di istruzione professionale quale presente al legislatore all'atto del trasferimento alle Regioni delle funzioni relative, in adempimento del precetto costituzionale.

"Il nucleo essenziale di tale concetto emerge, con sufficiente chiarezza, dal dibattito sviluppatosi in sede dottrinale e nelle varie occasioni di progettazioni normative.

"In sostanza, deve ritenersi che l'istruzione in parola superi l'ambito del concetto comunemente accolto in precedenza, in quanto ora si caratterizza per la diretta finalizzazione all'acquisizione di nozioni necessarie sul piano operativo per l'immediato esercizio di attività tecnico-pratiche, anche se non riconducibili ai concetti tradizionali di arti e mestieri.

"E sotto tale profilo si distingue dalla istruzione in senso lato, attinente all'ordinamento scolastico e, tranne le limitate e transitorie competenze regionali ex art. 4 d.P.R. 1972, n. 10, di competenza statale; la quale, pur se impartisce conoscenze tecniche utili per l'esercizio di una o più professioni, ha come scopo la complessiva formazione della personalità.

"Tale, dunque, essendo la portata della materia ‘istruzione professionale’ di competenza regionale, è evidente come non possa considerarsi ad essa estranea la regolamentazione dei corsi ex lege 1971, n. 426; i quali, appunto, non risultano rivolti ad una formazione culturale di tipo generale, sibbene a fornire precisamente quelle cognizioni tecnico-pratiche (come le conoscenze merceologiche) necessarie per l'esercizio dell'attivita' di commerciante".

2) che il richiamo al Ministero del lavoro assume un suo significato preciso, e cioè che la funzione formativa di un Ministero del lavoro non ha nulla a che vedere con quella svolta da un Ministero dell’Istruzione.

B) La Legge 17 maggio 1999, n. 144 riguarda "Misure in materia di investimenti, delega al Governo per il riordino degli incentivi all'occupazione e della normativa che disciplina l'INAIL, nonché disposizioni per il riordino degli enti previdenziali".

E’ la legge che con l’articolo 68 istituisce l’obbligo formativo fino ai 18 anni di età e con l’articolo 69 istituisce l’Istruzione e Formazione Tecnica Superiore.

L’articolo 68 recita testualmente:

"Comma 1 – Al fine di potenziare la crescita culturale e professionale dei giovani, ferme restando le disposizioni vigenti per quanto riguarda l'adempimento e l'assolvimento dell'obbligo dell'istruzione, è progressivamente istituito, a decorrere dall'anno 1999-2000, l'obbligo di frequenza di attività formative fino al compimento del diciottesimo anno di età. Tale obbligo può essere assolto in percorsi anche integrati di istruzione e formazione: a) nel sistema di istruzione scolastica; b) nel sistema della formazione professionale di competenza regionale; c) nell'esercizio dell'apprendistato.

"Comma 2 – L'obbligo di cui al comma 1 si intende comunque assolto con il conseguimento di un diploma di scuola secondaria superiore o di una qualifica professionale. Le competenze certificate in esito a qualsiasi segmento della formazione scolastica, professionale e dell'apprendistato costituiscono crediti per il passaggio da un sistema all'altro".

(omissis)

L’articolo 69 recita testualmente:

"Per riqualificare e ampliare l'offerta formativa destinata ai giovani e agli adulti, occupati e non occupati, nell'ambito del sistema di formazione integrata superiore (FIS), è istituito il sistema della istruzione e formazione tecnica superiore (IFTS), al quale si accede di norma con il possesso del diploma di scuola secondaria superiore. Con decreto adottato di concerto dai Ministri della pubblica istruzione, del lavoro e della previdenza sociale e dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica, sentita la Conferenza unificata di cui al decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, sono definiti le condizioni di accesso ai corsi dell'IFTS per coloro che non sono in possesso del diploma di scuola secondaria superiore, gli standard dei diversi percorsi dell'IFTS, le modalità che favoriscono l'integrazione tra i sistemi formativi di cui all'articolo 68 e determinano i criteri per l'equipollenza dei rispettivi percorsi e titoli; con il medesimo decreto sono altresì definiti i crediti formativi che vi si acquisiscono e le modalità della loro certificazione e utilizzazione, a norma dell'articolo 142, comma 1, lettera c), del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (si tratta del decreto che riguarda il "Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della L. 15 marzo 1997, n. 59")".

(omissis)

Ne consegue che per la Legge 30/2000 il sistema di istruzione non ha proprio nulla a che vedere con il sistema di formazione, tant’è vero che le due leggi (la 196/97 e la 144/99) che sono richiamate per il sistema di formazione non sono assolutamente correlabili con il sistema di istruzione.

Se poi leggiamo quanto sancito dal nuovo articolo costituzionale 117, la separazione tra i due sistemi è ancora più netta, anche per quanto riguarda le competenze che sono ripartite tra Stato e Regioni. Ma – va ricordato – la legge costituzionale 3/2001 ha le sue lontane origini in tutta la riforma dello Stato di cui la maggioranza di centrosinistra – corifeo Bassanini – si è sempre fatta convinta promotrice.

In conclusione... perché ce la prendiamo tanto con Bertagna e con la Moratti?

E, soprattutto, come sarà possibile risalire un percorso che ormai con la legge costituzionale 3 sembra avere raggiunto il suo esito finale?

Chi mi sa rispondere?


 

Risponde Giorgio Allulli

Caro Maurizio,

mi sembra che hai colto nel segno. In effetti sia la legge 196/97 che la legge 30/2000 (meno invece a parere mio l’articolo 68 della legge 144/99 che ha istituito l’obbligo formativo) hanno mantenuto il modello tradizionale perseguito negli anni ‘80/90, dalla legge quadro 845/78 in poi, che vede la formazione professionale iniziale come un canale nettamente separato dalla scuola, con la "sola" funzione di collegare il percorso scolastico con l’inserimento del mondo del lavoro. Secondo questo modello la formazione professionale è il percorso in cui i ragazzi, che escono da scuola avendo completato la loro formazione di base, apprendono quelle competenze professionali che consentono loro di inserirsi nel mondo del lavoro; essa dunque per sua natura costituisce un percorso separato e terminale, che non consente il proseguimento verso l’alto, se non ritornando nella scuola.

Si tratta dunque, nonostante una ricerca di integrazione probabilmente avvertita ma contraddetta nei fatti dal modello perseguito, di una visione profondamente dualistica dei rapporti tra scuola e formazione. Questa visione è stata confermata anche dal d.lgs 112/98, che ha sancito la divisione tra istituti professionali "lunghi", che sono rimasti allo Stato, e IPS brevi, che dovevano passare alle Regioni, perdendo così l’occasione storica di introdurre un governo integrato di questa istituzione, che avrebbe probabilmente evitato tutto il pandemonio che sta avvenendo in questi giorni negli IPS in seguito alla modifica del titolo V della Costituzione. Lo stesso dibattito sui crediti e sulle passerelle, se ci fai caso, si è sviluppato tutto in funzione di dare la possibilità ai ragazzi in formazione di tornare a scuola, quasi a voler dare ai giovani una possibilità di riscatto, piuttosto che in funzione di creare la possibilità di proseguire verso l’alto a partire dallo stesso percorso formativo (unica eccezione l’apprendistato in obbligo formativo, che porta al conseguimento degli standard di accesso agli Ifts).

A mio modesto avviso è invece meno dualistico, al di là dei nominalismi, il progetto della Moratti, che programmaticamente disegna il sistema in modo da consentire ai ragazzi che accedono alla formazione professionale di proseguire il percorso verso l’alto dopo il conseguimento della qualifica professionale, accedendo al quarto anno di diploma, con la possibilità di proseguire alla formazione superiore od all’Università. Da un punto di vista sociale si tratta di un modello meno esclusivo, perché consente a tutti coloro che si indirizzano al percorso professionale di non andare su una specie di binario morto, ma su un binario che, anche se separato (ma non certo di più di quanto prevedesse la legge 30), può condurre anche molto lontano.

Qui vedo la soluzione del problema che tu ponevi: i percorsi possono essere anche diversi (e ormai la riforma costituzionale non lascia alternative), ma è necessario:

- che rispondano a standard nazionali rigorosi e certificati da commissioni esterne

- che conducano ai livelli superiori dell’istruzione e della formazione

- che la loro scelta sia libera da condizionamenti sociali, economici, di genere

- che prevedano possibilità, assistite, di ripensamento della scelta

Se vengono rispettate queste condizioni il problema del dualismo mi sembra meno grave, anche perché mi sembra anche giusto che ogni percorso abbia le proprie specificità.

Il progetto della Moratti (e la sua eventuale attuazione) permetterà di rispettare queste condizioni? Questo mi sembra il vero tema da affrontare per impostare il dibattito sulla riforma in termini più costruttivi di quanto sia stato fatto finora.


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