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Lettera agli Insegnanti italiani di James Hillman

 

Caro signor Hillman,

mi verrebbe voglia di chiamarla confidenzialmente (come tra l'altro effettivamente faccio nelle mura domestiche) "papi", perché lei per me è assunto a dignità di "mito", ma non lo faccio perché non conosco la sua capacità di ironia ed autoironia.

Non voglio essere offensiva, mi creda, perché io la stimo veramente per il grande dono che ha sviluppato, il poter esprimere qualsiasi concetto in forma poetica, toccando la profondità dell'anima. Mi sono sentita vecchia e saggia leggendo il suo "La forza del carattere", così la mia anima ha cantato libera nel suo "Il potere" spezzando le catene del business e dell'umana religione sincretistica contemporanea.

Anche nel leggere la sua lettera agli insegnanti, lo dico senza nessuna intenzione di deferenza, mi sentivo come una allieva di fronte al proprio maestro. Posso dirle, per quanto questo la possa interessare, che istintivamente condivido ogni sua parola, ma una parte di me si ribella all'idea che chi non è impegnato ogni giorno sul fronte della scuola, per quanto il suo punto di vista possa essere obiettivo e pacato non può, o meglio non dovrebbe, concludere con affermazioni, teoricamente efficaci e toccanti, ma poco aderenti alla realtà effettuale.

Cercherò di spiegarle il mio punto di vista, cioè di un insegnante che è costretta ad operare con il fucile puntato alla nuca da un'istituzione che, per anni di becere speculazioni politiche e di abbandono, ha reificato se stessa assurgendo ad unico polo educatore di una realtà sociale in completo degrado. La canna del fucile puntato mi dice che se voglio conservare il mio posto di lavoro (a cui devo il mantenimento mio e dei miei figli) non devo mai, e dico mai, ventilare nella mente (lasciamo perdere il cuore perché quello non esiste e bisogna congelarlo né tanto meno l'anima perché di questa "cosa" ne può parlare solo chi è accreditato da Santa Madre Chiesa - non dimentichi che siamo una Nazione cattolica per Statuto e convenzione sociale !) il gusto che è proprio del voler imparare: il provare con la propria fantasia, creatività e intelligenza ciò che la scienza, tradizione ed autorità ci ha detto essere "ufficialmente" vero e accettabile.

Le faccio un esempio concreto: ogni giorno mi trovo a dover insegnare ai miei allievi la presunta "scientificità" di discipline che si spacciano come scientifiche e cioè le cosiddette scienze sociali. Ogni mattina mi chiedo come farò a fingere di fronte ai miei allievi che gli argomenti di cui riferisco, hanno la loro giustificazione in un presunto statuto epistemologico dato come risolto una volta per sempre. Infatti sia in psicologia che in sociologia sono dati come realtà oggettiva e inoppugnabile che:

la metodologia di ricerca è suscettibile di aggiustamenti, ma è pur sempre verificabile ed empirica

i presupposti di matrice darwinista ed evoluzionista, miscelati con il positivismo imperante, sono le fondamenta su cui si erge il meraviglioso castello di sabbia che pretende di analizzare l'uomo e il suo vivere sociale.

Dato per scontato tutto questo, e mi creda è l'equivalente del recitare "l'atto di fede" imposto dal Concilio di Trento contro l'eresia galoppante travestita ora da marxista, ora da new agers o ancora da no-global, si passa alle parte più penosa e frustrante che è la programmazione per obiettivi. E qui condivido completamente la sua analisi, anche se aggiungerei un'ulteriore elaborazione, qualora le sia sfuggita: si programma tenendo presente il raggiungimento delle "famose 3 C" (i giochi di parole ovviamente sarebbero banali e volgari).

La programmazione modulare, cioè la revisione del modello anglosassone giunto retroattivamente in Italia, presuppone il definire moduli didattici che sono trasversali e verticali, quindi per ogni argomento io, senza mai il supporto dello staff che dovrebbe operare con me, il Consiglio di classe, dovrei partorire un leviatano tale da abbracciare tutte le possibili connessioni pluridisciplinari in senso diacronico e sincronico e, contemporaneamente favorire lo sviluppo, a partire dai prerequisiti già accertati, di conoscenza, capacità e competenza. Si rende conto? La pubblica Istruzione che non ha mai investito nulla nella qualificazione professionale dei propri operatori pretende da me quello che neppure una equipe medica potrebbe fare negli USA nelle strutture private nel campo della microchirurgia.

E poi, se io, nel mio isolamento culturale e coltivando il mito della mia diversità, che forse da psicanalista potrebbe definire megalomane, tento almeno di sviluppare o far germogliare, il pensiero divergente nei ragazzi vengo subito accusata di sovversività e esoterismo! Perché credo che la società della divinità "Economia" voglia esseri omologati e massificati, pronti a consumare tutto, fagocitando dal prodotto da supermercato alla cosiddetta cultura.

Qual è il modello di Uomo che abbiamo in mente ? Che cosa vogliamo che diventi la nostra società per i nostri figli? Come ci immaginiamo, quando malgrado la chirurgia plastica, noi saremo dei fossili di fronte alle nuove generazioni?

Il futuro per molti è solo un presente edulcorato o una palingenesi catastrofica. Così, proprio qualche giorno fa, un mio alunno, mentre si discuteva in classe del provocatorio articolo scritto da U. Galimberti sul giornale "La Repubblica", "Gli adolescenti analfabeti delle emozioni" mi ha detto con tono serio e preoccupato: "Scusi ma se voi avete protestato per tutto e per tutti, avete sognato per tutto e per tutti, sapevate la risposta giusta per tutto e per tutti, mi spiega allora, a noi che cosa rimane da fare?"

Prima di concludere ho ancora due questioni da porLe.

La prima: lei sostiene che " l'insegnare e l'imparare non devono essere confusi con l'educazione e possono persino essere impediti dall'educazione ".In quanto enunciato di principio lo condivido, poiché oltre le esperienze di vent'anni di insegnamento, potrei ricordare i miei anni da alunna, in cui contestando la cultura reazionaria della scuola, mi forgiavo contro le istituzioni borghesi e i valori di cui tutta la società della repressione era intrisa. Ma quegli anni sono passati da tempo e i miei alunni oggi, mi guardano con curiosità, come fossi una specie in via d'estinzione, perché mi dicono che intorno a loro c'è il vuoto nelle loro relazioni tra pari, nel dialogo con la famiglia, nei loro sogni e sorridono quando propongo loro di coltivare una Nuova Utopia, in quanto per loro il termine ha solo l'accezione negativa, propria della civiltà del consumo in cui viviamo. In certi momenti ho l'impressione di essere io l'adolescente che coltiva il suo sogno, allontanandosi dalla terra per qualche anno luce! Così si confondono i ruoli, e io finisco per essere la loro tuttologa, quell'adulto con cui confrontarsi, dibattere di tutto, ma che non ha il coraggio di opporsi a loro, perché non posso e voglio invadere un ruolo genitoriale che non mi compete, e perché io stessa vivo la confusione di che cosa sto facendo , del perché lo faccio, e che cosa invece dovrei fare.

Una volta innescato questo meccanismo, a cui non so sfuggire, allora diventa difficilissimo continuare il ruolo che mi è stato dato, e finisco per essere consulente anche dei genitori, che scoprono molto di sconosciuto dei loro figli nei colloqui settimanali con me. Non sto puntando il dito contro la famiglia assolutamente, ma dico che in questa rappresentazione dell'Homo consumisticus, tutti i ruoli sono confusi, ma da questa confusione non nasce una libertà maggiore d'interpretazione, poiché la recita è sempre più ripetitiva e si conclude comunque in un'orgia di nuovi bisogni indotti.

Seconda questione: mi ha colpito molto la seguente affermazione " …..In questo modo l'educazione separa l'insegnare e l'imparare. Pure la storia dell'autodidatta mostra che i due elementi potenziali nella natura umana sono funzioni complementari". Sono perfettamente d'accordo però le sfugge un elemento oggi non trascurabile, che tra l'altro Lei ha rimarcato nella lettera più avanti, e cioè che la massificazione dei modelli culturali ostacola di fatto la ricerca di un percorso culturale personale per chi oggi è un adolescente insoddisfatto dell'omologazione. Certo, si potrebbe ribadire che gli ostacoli fortificano l'animo e temprano il carattere, ma come fanno i nostri ragazzi a valutare gli ostacoli se sono stati educati alla semplificazione, da quando neonati gli abbiamo somministrato gli alimenti omogeneizzati, fino allo spuntare del dente del giudizio?

Mi piacerebbe concludere con una proposta e una risposta, dalla quale traspaia una soffice ventata di ottimismo, ma anche in questo momento non posso fare a meno di pensare che mentre noi adulti siamo così assorti dalle nostre arabe fenici, miraggi creati per far crescere il senso di umana impotenza, i nostri ragazzi si recano avviliti nelle tribù -discoteche, per celebrare il loro rito di passaggio, svuotandosi l'anima con un cocktail di " estasy".

Cuneo,26 -11-02 

Con rispetto e ammirazione La saluto
Patrizia Candido


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