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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
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NON C’E’ INNOVAZIONE SENZA FORMAZIONE (obbligatoria!)

di Pasquale D’Avolio

Sta tornando prepotentemente alla ribalta negli ultimi tempi la questione dell’aggiornamento in servizio dei docenti, che  molti sostengono costituisca un diritto-dovere, ma che pochi si azzardano a definire come un vero e proprio “obbligo”.  Nella risposta a un lettore che chiedeva lumi sul diritto-dovere all’aggiornamento, su  ITALIAOGGI del 18 marzo, l’esperto Di Gironimo sostiene che il docente non è tenuto a partecipare alle iniziative di aggiornamento deliberate dal Collegio docenti, qualora non abbia votato a favore. A tal proposito richiama l’art. 24 del DPR 3/57. Ora a parte il fatto che l’art. 24 parla di tutt’altro, vale a dire della responsabilità “per violazione del diritto” del componente di “collegi amministrativi deliberanti” ..  e non si vede cosa c’entri con una delibera del Collegio Docenti,  è del tutto evidente che  una delibera del Collegio Docenti, seppure presa a maggioranza, vincoli tutti i componenti alla sua esecuzione. Sarebbe davvero singolare che siano tenuti  a partecipare solo coloro che hanno votato a favore, a meno che la stessa delibera non lo preveda espressamente. Qualora invece il Collegio deliberi che quella tale iniziativa è fondamentale e che ad essa debba partecipare l’intero Collegio, nessuno potrà sottrarsi. Lo stabilisce persino una recente Sentenza del Consiglio di Stato, così come riferisce l’Ispettore Cerini in un articolo apparso su “Notizie della Scuola” dedicato all’argomento

Una settimana fa nel corso del Seminario nazionale svoltosi a Bari nell’ambito delle iniziative del MPI sul tema “Indicazioni per l’integrazione”, il gruppo coordinato dall’ispettore Iosa, al quale ho partecipato, ha approvato un documento in cui si sollecita il Ministero a introdurre l’obbligatorietà come elemento decisivo per avviare davvero una nuova stagione nella scuola italiana. 
Infine ho sottomano l’ultimo Documento dell’ANDIS Piemonte sulla formazione dei docenti riguardo alle Indicazioni nazionali (“Perché i nostri alunni risultano i più somari d’Europa?” sul sito www.andispiemonte.it) che mi pare estremamente puntuale e chiaro nell’indicazione di un obbligo da introdurre se non per via contrattuale (vista la contrarietà delle OOSS) attraverso una precisa norma ad hoc. A dire il vero tale norma esiste già, per le innovazioni di carattere ordinamentale a livello nazionale, ma il Ministero non ha inteso applicarla finora. Si rischia di  perdere così una grande occasione per introdurre nella Scuola italiana quelle innovazioni di carattere metodologico-didattico, che sono le sole in grado di immettere elementi di qualità nel sistema.
Non servono infatti né i bei documenti né i buoni propositi che accompagnano di solito le recenti stagioni “riformistiche”, da Berlinguer a Fioroni. Sappiamo tutti come si siano arenate le riforme precedenti, sotto il fuoco incrociato di sindacati e forze restie a qualsiasi cambiamento. Il nodo fondamentale, è inutile nasconderselo, sta nella convinzione e nella partecipazione del corpo docente ai processi di cambiamento reale, quelli che investono la pratica didattica quotidiana.
Al di là delle frustrazioni e delle continue “giravolte” a cui abbiamo assistito negli ultimi anni, che hanno potuto ingenerare atteggiamenti di sfiducia e immobilismo anche nei più motivati, credo non si vada lontani dal vero affermando che la gran parte della categoria (docenti e dirigenti) non abbia poi tanto desiderio di cambiare. E perché dovrebbero cambiare? Tutto sommato a star fermi non si fa danno e soprattutto non si è costretti a impegnarsi  più di tanto. Se facessimo una indagine seria tra i docenti dei Licei, ad esempio, forse scopriremmo che l’impianto tradizionale dei programmi risalenti in gran parte a Gentile, nonché le modalità didattiche di trasmissione del sapere (la classica “lezione-compiti a casa-interrogazione-voto” ) vengono considerati tutto sommato validi ancora nel 2008! E allora l’affossamento  della riforma Berlinguer come quella della Moratti non hanno scomposto più di tanto le schiere dei docenti, a parte qualche drappello di “contestatori” dell’uno e dell’altra schieramento. Il gran movimento nell’ordine tecnico e professionale si spiega con l’interesse a parare i danni di una licealizzazione spinta, che ha messo in crisi questi istituti negli ultimi anni.
Tornando alle “Indicazioni” e al sostanziale immobilismo che si riscontra alla base (ora che poi è caduto il Governo e si attendono nuovi inquilini a palazzo Trastevere è ancora più giustificata l’”attesa”) è indubbio che molte colpe stiano nei vertici nazionali e regionali. Delle famose misure di accompagnamento previste nella Direttiva del 3 Agosto 2007 e dei 36 milioni previsti per la formazione, si sa che sono stati assegnati a novembre i fondi alle Direzioni regionali, che queste hanno costituito gruppi di lavoro e che, al di là di riunioni ristrette dei “prescelti” (dove sono avvenute, perché ad esempio in Friuli neanche questo è stato fatto) nulla è pervenuto alle scuole, anche nel “Rapporto di attività” del Ministero nel mese di gennaio si parla di seminari regionali, costituzione di reti, di “sondaggi telefonici” (sic!) alle scuole e via dicendo. Nel frattempo si sa solo che sono stati organizzati dei megaconvegni nazionali i cui esiti non sono ancora noti, ma si sa che sono costati fior di migliaia di euro. Le scuole, quelle più attente e motivate, hanno dovuto “arrangiarsi” da sole o chiamare esperti delle associazioni a proprie spese.
Detto questo occorre tuttavia che le associazioni professionali e disciplinari facciano sentire forte la loro voce affinché le innovazioni questa volta, qualunque sia l’esito elettorale, qualunque sia la sorte delle Indicazioni, non passino sulla testa dei docenti e che, se si vuole davvero cambiare questa scuola, l’investimento maggiore dovrà essere rivolto nella formazione e nell’aggiornamento dei docenti, di TUTTI I DOCENTI e non dei soliti volenterosi che poi si trovano a dover combattere una battaglia improba nei Collegi per spingere i colleghi a partecipare alla formazione.
Non si può non concordare con l’ANDIS piemontese che “problema centrale per la riqualificazione della nostra scuola (è)  la formazione degli insegnanti non come dato volontaristico e occasionale, bensì come dimensione irrinunciabile e costitutiva della professionalità docente, unitamente alla ridefinizione di un “tempo certo” di servizio”. Giustamente nel documento si fa notare come una gran parte dei docenti sia all’oscuro delle innovazioni sul piano della didattica provenienti dal cognitivismo e dal costruttivismo. Io direi che a una gran parte dei docenti della secondaria siano ignoti persino Dewey, Piaget e Bruner.  Altro che Gardner e Feuerstein o Goleman!  
Nelle "Nuove Indicazioni" la questione metodologico-didattica è trattata in un paragrafo alquanto contenuto, laddove si parla di “ambienti di apprendimento”. Ma è lì il vero cuore del problema e se non si parte da lì i nuovi curricoli o gli obiettivi di apprendimento non hanno alcun senso. Resta la vecchia didattica del libro di testo, della spiegazione in classe con connessi  rifiuto o “noia” da parte dei discenti per arrivare quindi all’abbandono.  
Certo la didattica non è tutto, lo sappiamo, ma, se si eccettua la scuola elementare, quanti corsi di formazione trattano tali argomenti? Si parla di laboratorialità, di “saper fare”, di contestualizzazione degli apprendimenti; ma quanti sono nelle condizioni di attuare un vero insegnamento laboratoriale?
Qui non si tratta di imporre una nuova didattica di Stato (come poteva apparire in fondo quella della scorsa legislatura), ma anche le "unità di apprendimento" potevano costituire un terreno fertile di confronto e di avanzamento per la classe insegnante. Quando nella primavera del 2003 fu proposto un Piano nazionale di formazione con un timido tentativo di renderlo obbligatorio (nota del 10 aprile 2003 contenente le Linee guida), i docenti, appoggiati dalle OOSS, insorsero e il Ministro dovette fare marcia indietro (Comunicazione di servizio del 5 giugno succcessivo). 
Sappiamo come si è riusciti a smontare la proposta di un Codice deontologico e di un nuovo stato giuridico, per paura che introducesse doveri non “contrattabili”; sappiamo come da almeno tre Contratti si parla di superare l’appiattimento della funzione docente e .. poi non c’è mai il modo di realizzare una carriera docente!.
Almeno su questo punto dell’aggiornamento obbligatorio nei modi da definire, il nuovo Ministro dovrà impegnarsi.

Purtroppo non c’è traccia di questo impegno nei documenti apparsi in questi giorni da parte del gruppo del “Buonsenso” o di quello che insiste sul “merito nella Scuola”


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