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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
Direttore responsabile: Dario Cillo


 

La dispersione si annida…

nelle scelte pedagogiche di qualsiasi riforma che interpreti in modo “personale” la costituzione (v. art.3 e 33);

nella mancanza di ascolto di posizioni discordanti, anche se fossero minoritarie;

nel parlare per slogan di ciò che è giusto o sbagliato;

nell’imporre un unico modello organizzativo di scuola;

nel “tenere” di fatto gli insegnanti “legati” alle cattedre fino a 60-65 anni, non riconoscendo o fingendo di non sapere quale ruolo giochi l’energia fisica e psichica nel loro lavoro di “motivatori” di apprendimenti;

nel far cadere dall’alto strategie e scelte organizzative che privilegino una gestione centralistica e al tempo stesso individualista di singoli docenti;

nel far spendere ai docenti energie nell’organizzazione e in produzione cartacea (anche con il premio di pochi spiccioli per le ore prestate in commissioni e sottocommissioni) dimenticando che la funzione delle/degli insegnanti dovrebbe essere quella di ricercare professionalmente e intellettualmente strade possibili, creative, strategiche per motivare ogni studente, nella sua diversità, all’apprendimento;

nel mortificare progetti o approcci educativi che si sono rivelati vincenti facendo finta che non siano nemmeno esistiti;

nel considerare le famiglie come entità astratte, territori di propria proprietà, nel non percepirne e accettarne le differenze di pensiero e condizione;

nell’umiliare costantemente la scuola dei piccoli privandola di tempo e risorse;

nella mancanza di attenzione per il tempo di cui necessita la didattica della conversazione, dell’argomentazione, dell’ascolto, del confronto, della solidarietà…;

nelle imposizioni di modelli orario che non considerano i ritmi di “veglia” intellettiva e riposo delle persone in apprendimento;

nell’inculcare con ogni mezzo, nelle menti delle persone, che esistono materie nuove e altre vecchie e scontate che avrebbero tutto il tempo sufficiente per essere insegnate anche aggiungendone di “nuove”…;

nelle valutazioni pressanti delle competenze;

nel costringere, a causa di ritmi forzati di una didattica senza tempo per la rielaborazione, la rimozione delle emozioni, dell’affettività;

nella fretta in generale;

nella didattica modulare;

nei gruppi di livello, di compito, elettivi…

nel rischio dello smembramento delle classi a favore dei gruppi;

negli inserimenti selvaggi senza risorse;

nel numero alto di alunni per classe;

nelle scelte miopi che non prevedono risorse adeguate per sostenere i docenti e le famiglie nell’impegno verso i portatori di qualche disabilità e disagio;

nell’ “intrattenimento terapeutico” di alcuni bambini fuori dalla classe di appartenenza (e dai suoi percorsi didattici) con la “motivazione” della personalizzazione;

nella personalizzazione dei percorsi in tenera età, proprio quando nulla ancora è e deve essere certo;

nell’errore visto come mancanza di abilità e non come risorsa;

nell’accanimento valutativo a partire dalla scuola dell’infanzia;

nell’orientamento precoce;

nella classificazione anzitempo di “zone vocazionali o di rifiuto” dei bambini piccoli;

nella mania di tutto tenere sotto controllo per mezzo di organizzazione,  progettazione,  valutazione…

nella pretesa che uno sia meglio di due o tre o più (nel senso dell’eliminazione della contitolarità alla pari di docenti che si confrontano e “guardano” i loro alunni da diversi punti di vista senza pretendere di imporre un’unica visuale nei giudizi e nelle strategie d’attacco ai problemi, ma anche in riferimento al rischio di una futura didattica rivolta soprattutto ai singoli)…

nella lezione come trasmissione (più veloce senza ombra di dubbio) al posto di quella che lancia il sasso e fa circolare le idee finché non si tramutano in scoperte;

nella falsa bonomia della scuola supermarket: tu vuoi un prodotto al posto di un altro che non ti si confà immediatamente e io te lo do, così siamo tutti e due contenti…

nel ritenere la scuola meno importante (non tributandole la fiducia che in molti casi si è ampiamente meritata, quindi destinarle risorse insufficienti) di agenzie esterne e con queste pretendere di sostituirla per la cura del disagio con la conseguente deresponsabilizzazione del corpo docente;

nell’ignorare che il problema dell’insuccesso si può affrontare anche con l’apprendimento cooperativo dentro le classi, con l’intervento di metodologie e l’attenzione per la relazione;

nella confusione fra ruolo dei docenti e ruolo della famiglia;

nel caricare tutte le famiglie, anche quelle in difficoltà, di responsabilità in riferimento all’istruzione e alla valutazione delle/dei proprie/i figlie/i, costringendole a un gravoso confronto che in realtà potrebbe divenire una valutazione dolorosa di se stesse (un’istituzione che “non disperde” invece dovrebbe porsi come obiettivo il favorire nei giovani, indipendentemente dalla loro provenienza familiare, dalla “presenza” o meno di una famiglia, in un tempo scuola disteso e denso di sollecitazioni al fare da sé, la costruzione dell’autostima, dell’autonomia di studio, la costruzione di un linguaggio capace di comunicare pensiero, di una disponibilità alla ricerca e alla progettazione della propria esistenza assieme agli altri);

nei metodi che considerano più importante la trasmissione di contenuti a ripetizione che non le attività mirate a offrire gli strumenti di azione e pensiero, i quali consentano di appropriarsi dei contenuti anche autonomamente nel corso della vita;

nei programmi nazionali in cui ci sia attenzione per la quantità, quelli densi di obiettivi da raggiungere, i quali scordano che i contenuti si dimenticano, le strategie per appropriarsene alla bisogna no;

nel percepire il bambino e la bambina come futuri lavoratori, individualmente considerati portatori di competenze e non come soggetti in relazione di solidarietà con i pari della classe e come persone con un passato già strutturato nel destino familiare in previsione di un futuro assolutamente da inventare, futuro che non sia vittima del passato;

nella mancanza di continuità fra ordini di scuola;

nel non incentivare la ricerca didattica e metodologica fra docenti operanti nella realtà scolastica (in continuità fra diversi ordini di scuola) su come affrontare il disagio dentro le scuole;

nel tenere il corpo docente della scuola pubblica in una condizione di soggezione culturale e professionale senza dargli modo di esprimersi sui processi di riforma che  riguarderanno il suo lavoro e senza permettergli di essere protagonista primario responsabile dei processi di ricerca per il miglioramento del sistema;

nel fare spot continui diretti all’opinione pubblica influenzandola senza formarla a una presa di coscienza del reale valore dell’esperienza scolastica (se si devono spendere soldi per l’informazione, lo si faccia tenendo conto dei problemi, delle luci, ma anche delle ombre che ogni cambiamento porta con sé!);

nel far fare, nella pratica educativa, valutativa, didattica, organizzativa, ecc…, confusione fra i concetti di persona, essere umano, cittadino, lavoratore (orientato), individuo, soggetto, elemento parte di un tutto…e su questa indefinita percezione della identità di ragazze e ragazzi costruire una mole schiacciante di “indicazioni e raccomandazioni” che, invece, nelle intenzioni del legislatore dovrebbero formare una persona nella sua interezza;

nel pretendere di far “personalizzare” gli interventi didattici, prima di averli resi possibili ed efficaci, attraverso risorse per la ricerca, l'edilizia scolastica, la copertura finanziaria di materiali di facile consumo, materiali strutturati e non strutturati, dotazioni strumentarie adeguate alle progettazioni educative, anche a quelle con pretese “riformistiche” (ognuno sa quanto costa oggi qualsiasi cosa, ma poi qualcuno, là in alto, se ne scorda).

7 ottobre 2003

Claudia Fanti


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