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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
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La Riforma continua

di STEFANO STEFANEL
Dirigente scolastico – Istituto comprensivo di Pagnacco

Perché la scuola italiana vive da dieci anni una stagione di riforme

        La scuola italiana vive una stagione continua di riforme a partire dalla metà degli anni novanta del secolo scorso. In quel periodo l’Italia è stata bruscamente messa di fronte alla perdita di competitività del suo Sistema scolastico e produttivo per il confronto con gli altri Paesi del Mondo globalizzato. Inoltre si è cominciato a certificare il suo sistema dell’istruzione e a metterlo in rapporto con i sistemi dell’istruzione dei paesi più progrediti. Le rilevazioni internazionali hanno prodotto importanti rapporti (Rapporto Faure, Libro verde - Nell’educazione un tesoro di Jacques Delors, Libro bianco - Insegnare ad apprendere di Edith Cresson, ecc.) e autorevoli rilevazioni (Ocse/Pisa, Iea, ecc.) e tutti questi documenti hanno evidenziato la debolezza del sistema scolastico italiano. La scuola italiana si è scoperta valutata negativamente a livello internazionale, mentre riteneva di essere un sistema di eccellenza.

        Il decisore politico in questi dieci anni da un lato si è trovato nella necessità di rispondere ai preoccupanti segnali internazionali, dall’altro a dover fare i conti con un sistema scolastico nazionale che si riteneva eccellente e che dunque non prevedeva alcuna riforma strutturale applicata al suo corpo organico. Questa antinomia ha portato a dieci anni di riforme tutte osteggiate dai lavoratori della scuola e tutte solo parzialmente riuscite, visto che il consenso nei confronti del decisore politico diminuiva con l’avanzare del processo riformatore.

Perché le riforme iniziano ma non arrivano mai alla fine

         Nessun processo di riforma è riuscito a concludersi, vista la forza della classe docente rappresentata dai sindacati. In Italia il decisore politico non è finora riuscito a completare un processo di riforma perché la classe docente ha sempre opposto al testo di legge le sue competenze professionali. La scuola italiana vive quello che alcuni studiosi hanno chiamato “eccesso di competenze”, cioè il rifiuto di ogni innovazione in nome della propria raggiunta eccellenza didattico-pedagogica-organizzativa. Si è assistito negli anni scorsi alla contestazione nei confronti di tutti i Ministri dell’Istruzione di entrambi gli schieramenti politici, in nome di un’idea di scuola intoccabile per via legislativa.

        La scuola italiana nel suo complesso non  ha alcun interesse verso gli esiti delle rilevazioni internazionali, che vengono perlopiù utilizzati per studi scientifici e per dissertazioni accademiche che poco o nulla producono in termini di azioni concrete. E’ paradossale constatare che molti insegnanti amano citare la debolezza della scuola egli Stati Uniti prendendo come punto di riferimento l’indagine Ocse-Pisa del 2003, ma non si soffermano mai sul dato che riguarda l’Italia e che pone la nostra scuola nella stessa ricerca in posizione inferiore a quella degli Stat Uniti.

v     Quali riforme:

Ø     l’autonomia di Luigi Berlinguer

Ø     il riordino dei cicli di Tullio De Mauro

Ø     la Riforma di Letizia Moratti

Ø     il “cacciavite” di Giuseppe Fioroni

 

        Tutte le riforme degli ultimi dieci anni hanno avuto un carattere comune: la parzialità e l’incompletezza. La Riforma Moratti ha cercato di raggiungere tutti i settori della sistema dell’istruzione senza riuscirci. Così le riforme e le vecchie norme convivono con una serie di sovrapposizioni e contraddizioni che producono non poca inefficienza nel sistema.

        L’autonomia scolastica del Ministro Berlinguer è stata seguita solo da alcuni atti legislativi di riordino, spingendo da un lato l’autonomia delle scuole e dall’altro frenandola attraverso il mantenimento di vecchie norme (paradossali quelle sugli organi collegiali) o introducendo norme anti autonomia (come il rafforzamento dei Centri Servizi Amministrativi).

        Il riordino dei cicli del Ministro De Mauro è stato “spazzato via” dalla tornata elettorale del 2001, che ha annullato anche il dibattito sull’uscita dal sistema dell’istruzione italiana a 18 anni invece che a 19.

        La Riforma Moratti ha avuto un iter così travagliato e pubblico che anche gli atti più palesemente illegali (bocciatura della legge da parte di collegi docenti) sono sembrati solo il normale esito di un confronto politico sulla scuola. La scuola nel suo complesso ha “bocciato” strumenti di derivazione europea (Tutor e Portfolio) senza neppure sperimentarli, nella certezza – propria di chi possiede  un “eccesso di competenze” – che non serviva sperimentare ciò che era in contrasto con l’idea di scuola della maggioranza dei docenti e delle organizzazioni sindacali.

        L’attuale riforma realizzata tramite direttive, note di indirizzo, circolari e articoli della legge finanziaria non permette di vedere esiti certi essendo una via di mezzo tra la pura restaurazione (il ventilato ritorno alle vecchie schede di valutazione) e l’innovazione più spericolata (l’innalzamento dell’obbligo scolastico a 16 anni).

v     La modifica del Titolo V della Costituzione (l’art. 117 e la scuola)

        La modifica del titolo V della Costituzione avvenuto nel 2001 costituisce di fatto un’altra riforma della scuola non ancora attuata. Il legislatore costituzionale ha attribuito allo Stato e alle Regioni competenze concorrenti sull’istruzione e alle Regioni competenze esclusive su “istruzione e formazione professionale”. Inoltre nella Costituzione riformata è stato inserito un accenno all’autonomia scolastica che deve essere fatta “salva”, anche se non si dice da parte di chi. Tutto questo prefigura nuovi interventi che introdurranno principi federali in un ordinamento ancora centralistico.

v     Il rapporto tra leggi e contratti

La scuola italiana in questi ultimi anni si è organizzata in questo modo:

Ø      le leggi indicano i diritti dell’utenza con una particolare attenzione al successo formativo, al diritto all’apprendere, alla presenza della famiglia nell’itinerario formativo degli studenti, ecc.;

Ø      i contratti tutelano i diritti dei lavoratori senza avere alcuna cura di quelli dell’utenza.

        Poiché la contrattazione collettiva di fatto può modificare la legge, almeno sul lato della sua applicazione, ci si trova spesso davanti a diritti contrapposti tutti pienamente legittimi. Si pensi al problema delle supplenze, dove il diritto dei docenti a veder seguita una procedura di chiamata garantista non tutela il diritto degli alunni di avere sempre il docente in classe e di cambiarlo il meno possibile durante l’anno scolastico.

Quali problemi e quali vantaggi ha portato al sistema scolastico italiano questo riformismo continuo

        Schematicamente indicherei solo un grande vantaggio e un grande svantaggio di questo riformismo continuo. Con questa sommaria partitura darei dunque solo lo sfondo entro cui inserire l’analisi del sistema scolastico italiano:

Ø      vantaggio: le riforme continue hanno costretto la scuola italiana ad un costante dibattito, all’autoanalisi, alla ricerca, all’innovazione; di fatto le riforme hanno scosso la scuola dal suo “nobile letargo” costringendola sul terreno dell’analisi e del confronto, altrimenti inattuabile, visto che il sistema si riteneva eccellente;

Ø      svantaggio: le riforme continue hanno messo la scuola di fronte ad un’inefficienza del sistema molto pesante, con la presenza di norme contraddittorie, procedure farraginose, incertezza costante, assenza di chiari standard e di precisi livelli essenziali di prestazioni da fornire; tutto questo sempre attuato senza alcuna attenzione a non determinare sovrapposizioni legislative capaci di creare problemi applicativi.

Il sistema scolastico italiano e gli altri sistemi europei

         Il confronto tra il sistema scolastico italiano e gli altri sistemi europei ha carattere culturale e non sostanziale. Viene insomma vissuto come un qualcosa di accademico che poco o nulla di interessante è in grado di dire nei confronti della scuola italiana. In Italia ci si confronta con la scuola europea attraverso interventi di nicchia, come certo è quello di oggi: importanti per la loro profondità, ma senza alcuna possibilità di incidere sul sistema scolastico italiano, ingessato nella sua certezza di essere il migliore possibile.

        L’impermeabilità della scuola italiana alle sollecitazioni che vengono dall’estero è generalizzata e così sia le buone pratiche della scuola italiana che quelle pessime si fermano quasi sempre sull’uscio dell’istituto in cui sono state prodotte. Manca alla scuola italiana l’interesse per il confronto internazionale e ciò è dovuto alla totale ostilità del sistema scolastico italiano verso qualsiasi forma di valutazione. Non  è un caso che il sistema italiano preveda una valutazione degli alunni lasciata ai soli docenti della classe, la totale assenza di valutazione dei docenti, la mancanza di una valutazione dell’efficienza e dell’efficacia delle singole scuole autonome e degli altri uffici scolastici statali (Csa, Usr, Dipartimenti ministeriali), la valutazione dei dirigenti attuata da tre anni in forma sperimentale e attraverso l’insostenibile accordo tra valutato e valutatore sugli obiettivi da raggiungere e sui risultati raggiunti.

v     L’Italia e gli obiettivi di Lisbona

        In conclusione direi che l’attuale specchio della scuola italiana è il suo rapporto con gli Obiettivi di Lisbona 2000. Che il nostro Governo avesse firmato l’impegno italiano al raggiungimento entro il 2010 degli Obiettivi comunitari lo si è saputo nel mondo della scuola a partire dal 2005. Fino ad ora nulla è stato fatto per raggiungere quegli obiettivi su cui in Italia non si parla e che sono solo una dotta citazione di contorno, come quella che faccio qui io ora.

Testo dell’intervento al Convegno Sistemi scolastici europei a confronto, Aquileia, 28 ottobre 2006. (Interreg III. Organizzazione: Direzioni didattiche di Aquileia e Cervignano del Friuli e dagli Istituti comprensivi di Maiano e Aiello del Friuli).


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