Discutere i contenuti essenziali per la formazione di base

di Roberto Maragliano

Accademia dei Lincei
Roma, 20 marzo 1998

"La nostra scuola sta vivendo una crisi di identità. L’enciclopedia culturale messa a punto da Gentile, soltanto aggiornata e mai ridisegnata negli anni a seguire, a livello della sua originaria concezione, mostra con grande evidenza le sue incongruenze rispetto agli orizzonti attuali della cultura e della società".

Una quarantina di uomini della cultura e della società ricevettero, quindici mesi addietro, una lettera del Ministro Berlinguer, che iniziava con questa frase e proseguiva invitandoli a costituirsi in commissione di studio al fine di individuare, cito ancora:

L’elenco dei compiti non si fermava qui.

Altre domande poneva il Presidente di quella che venne chiamata "Commissione dei saggi".

E’ bene ricordarle:

E così concludeva:

Non spetta a chi di quella commissione è stato coordinatore dire se essa abbia svolto bene i compiti che le erano stati affidati.

Ricordo solo che la documentazione completa di quel lavoro, protratto per quattro mesi, è stata resa immediatamente di dominio pubblico, ed è da tempo disponibile in varie versioni (a stampa, col n. 78 "Studi e Documenti degli Annali della Pubblica Istruzione"; in rete, presso numerosi siti; su floppy disk, allegato al fascicolo citato). Ognuno è dunque in grado di farsene un’opinione circostanziata.

La eco suscitata dall’iniziativa non si è spenta, anche fuori dei confini nazionali. Anzi è andata via via crescendo di intensità.

Di qui la recente decisione del Ministro di aprire una nuova fase di elaborazione, più mirata e operativa.

Il documento che oggi viene presentato è la prima battuta di questa nuova fase di confronto, destinata ad avere una prima conclusione nel giro di quattro-cinque mesi.

Ai sei esperti che vi hanno lavorato è stato affidato un compito, lo ripeto, più circostanziato:

Nel misurarsi con il nuovo documento, e nel constatare come esso sia figlio dell’ultima sezione della sintesi proposta a conclusione dei lavori della commissione madre, sarà opportuno tener conto, allora, di alcuni criteri metodologici:

Quello che sottoponiamo alla vostra attenzione di operatori scolastici e di uomini di cultura interessati ad incrementare la qualità della formazione dei nostri giovani è dunque una base di discussione, e, nello stesso tempo, un metodo di collaborazione. Si tratta, tutti assieme, di porre l’obiettivo di dar forma e coerenza alla domanda sociale di formazione.

Lo diceva già il Ministro nella lettera alla Commissione madre:

A titolo personale, propongo un solo esempio, che mi auguro possa avere un valore metodologico generale, e non locale, appunto.

Non sono in gioco, qui, le sorti della storia letteraria, che del resto già ora è fuori degli orizzonti della formazione che precede il triennio secondario, ma andrà certamente ridefinita e ricontestualizzata (con il concorso di tutti, non solo degli specialisti del settore) la funzione irrinunciabile della lingua letteraria all’interno di un orizzonte semiotico assai più complesso e frastagliato rispetto a quello su cui si interrogava Gentile, e successivamente gli estensori delle diverse versioni dei programmi delle scuole elementare e medie.

Gli interrogativi che dobbiamo porci ora, e che il documento implicitamente suggerisce, sono dunque:

E’ evidente che le risposte andranno cercate non solo dentro ma anche fuori di quello specifico campo disciplinare. E sono risposte che non possono ignorare l’emergere di altri paradigmi rispetto a quello, fin qui giustamente centrale ma ingiustamente esclusivo, della scrittura.

Qui il discorso ulteriormente si complica. Chiedo scusa per la digressione che mi è necessario proporre.

Uno di noi, Giovanni Reale, intervenendo tempo fa su una polemica suscitata dalla notizia (se mi permettete, falsa e tendenziosa) di una scuola intenzionata ad espungere dai suoi orizzonti Dante e Petrarca e Boccaccio, propose il seguente ragionamento: l’alfabetismo funge da paradigma della tradizione scolastica occidentale; ma, col tempo, nel nostro edificio scolastico questo paradigma si è andato svuotando, atrofizzando, ingessando, e cedendo spazio ad un altro paradigma, quello sottostante alle culture orali (intese in senso lato, quindi anche in senso metaforico), soprattutto, è evidente, alle culture non scolastiche, quelle dei media; il conflitto che ne viene, tra un fantasma interno alla scuola e un corpo vivo fuori di essa vede inevitabilmente soccombere la scuola; a meno che...

A meno che, vorrei aggiungere io, non si riesca nel duplice intento di ridare senso alla scrittura (parlo dell’oggetto e della metafora) e valorizzare la carica epistemologicamente energetica dell’oralità (come ambito di oggetti e come metafora complessiva). A meno che non si voglia lavorare a fare di questi nuclei teoretici e pratici non tanto due ambiti contrapposti quanto le figure di un dialogo aperto. Testo / ipertesto; sapere centrato / sapere reticolare; pensiero analitico / pensiero connettivo: non due roccaforti, il bene da una parte, il male dall’altro, ma due estetiche, due etiche, due politiche che si confrontano nel mondo, e che sarebbe bene accogliere assieme, riconoscendo loro pari dignità formativa, dentro i dieci anni iniziali della nostra scuola; non due filosofie in opposizione, una delle quali deve vincere sull’altra, ma i poli di tensione di uno spazio programmaticamente aperto.

Letto in questa chiave, ma altre sono possibili, e mi auguro che il confronto lo dimostri, la proposta di un documento sui "fondamentali" del sapere, del saper fare, del saper essere si anima, guadagna in densità, dà luogo a nuovi scenari epistemologici, quegli stessi scenari ai quali l’introduzione delle tecnologie digitali offre risorse di elaborazione, costruzione, problematizzazione.

L’auspicio è che, dopo una fase di discussione "aperta", senza vincoli, scandita da numerosi incontri / confronti tra esponenti di saperi diversi, ci si possa riconoscere in un testo pre-programmatico e lo si voglia adottare come garanzia di quel tessuto culturale unitario senza il quale nessuna impresa di trasformazione della scuola può garantirsi consenso e successo.