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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
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Il Maestro (in tre persone, prevalente, unico, solo?)

di Gabriele Boselli, consigliere CNPI

 

Contingenze di una figura perenne

Rileggevo in questi giorni l’ultima opera di Giovanni Gentile, “Genesi e struttura della società”, scritta nel 1944, al crepuscolo del suo mondo. Io sono socialista e, fossi vissuto in quel tempo, sarei stato insieme ai compagni che combattevano la parte che l’autore del fondazionale “Sommario di Pedagogia come scienza filosofica” aveva deciso di non rinnegare; eppure in molte pagine con-sentivo con Lui perchè forse anche il mio mondo è prossimo al termine dei valori in cui si era formato.
Certo sono tempi travagliati. Non solo nella scuola ma in tutti i servizi sociali e per chiunque svolga un lavoro come dipendente. La globalizzazione e la fluidità senza controllo statale dei processi economici mettono in grado le varie oligarchie di omogeneizzare ovunque il costo dei servizi sociali e del lavoro: ciò comporta possibilità di sottrazione di risorse ai servizi (il “salario indiretto”, come lo chiamava Ugo La Malfa (1) ai tempi del primo centro-sinistra), un relativo miglioramento nei paesi arretrati e un peggioramento di quelli che sinora avevano strappato migliori condizioni. Lo Stato, un po’ in tutto il mondo, viene sostituito nei servizi da network privati o ristretto a ciò che è strettamente funzionale alle imprese economiche. Sanità, giustizia, scuola pagano i costi maggiori. Non sono fenomeni sistemici ineluttabili e irreversibili, ma per ora la tendenza è questa e con varia perniciosità dura ormai da un ventennio (Luhman e Schorr, Fabrizio Ravaglioli).
In questo contesto, l’art 4 del dl 137/2008 ha suscitato comprensibili allarmi e certo sollecita una discussione sul valore e gli inconvenienti del cosiddetto “ritorno” al maestro unico. La storia insegna che non ci sono mai puri e semplici ritorni; si può migliorare o peggiorare, mai tornare allo stesso punto, poiché le condizioni cambiano e cambia il profilo delle professioni e l’identità delle persone.
Mi augurerei invece che si “tornasse” semplicemente all’attenzione al Maestro con la maiuscola, quello di cui scrivono Gentile e Lombardo-Radice; se non resta solo, non è unicamente figura del passato ma anche. spero, di un augurabile futuro. Occorre tracciare un profilo ideale del Maestro compatibile con la legge 53/04 (tuttora in vigore pur con gli accresciuti limiti posti dal citato articolo 4) e con le esigenze minime di una composizione sociale dell’utenza che è profondamente cambiata dal 1990. Gli insegnanti davvero Maestri forse reggerebbero lo stress psicologico, pur insegnando bene solo le discipline in cui sono effettivamente preparati. Ma senza il supporto di qualche collega una parte rilevante non potrebbe sostenere in solitudine il confronto con la più dura realtà (stranieri, disagio, stress famigliare da precarietà economica, handicap) delle classi di oggi, specialmente negli ultimi tre anni della scuola elementare.
Notevoli le conseguenze anche di ordine socio-politico che deriverebbero da una pura e semplice sottrazione di risorse umane; debole peraltro l’efficacia di eventuali “compensi” di ordine tecnico. La scuola è oggi destinataria di un’ampia richiesta di produzione di educazione, di conoscenze e di competenze. Le esigenze espresse dalla società crescono, le risorse di ogni tipo vengono progressivamente erose. Se fra i consiglieri di viale Trastevere c’è qualche economista (di pedagogisti dopo Bertagna e Fiorin, che io sappia, più nessuno) consideri che fino a un certo punto alla riduzione degli investimenti corrisponde un proporzionale calo dei rendimenti quali-quantitativi delle istituzioni; ma al di sotto di una certa soglia l’organizzazione collassa, “va in stallo” come un aereo che vola troppo piano, senza che la densità dinamica dell’aria gli possa più offrire un sostentamento minimo.

Non si può agire come se spendere nell’istruzione equivalesse a sprecare (2). Occorre invece, a mio avviso, ripensare alle strutture dell’istruzione come a luoghi di investimento sociale per la formazione integrale di tutto l’uomo; costituirvi un punto di forza nella coscienza di un soggetto intero proteso all’Intero e, lasciando perdere l’infatuazione ipermoderna per la “competenza”, condurre la nave nelle direzione indicata dalla stella principale: conoscere.
Sarebbe comunque opportuno non parlare di “ritorni” né di ”maestro unico” ma di diversa articolazione della didattica su figure di alto rilievo culturale e pedagogico. La linea più efficace potrebbe essere quella di stabilire, in base alle esigenze della scuola - compatibili con quelle di un Tesoro che non consideri l’istruzione qualcosa di secondario - il numero di insegnanti di cui un circolo o un istituto può disporre, lasciando che siano le scuole a scegliere, in un quadro scientificamente garantito dal corpo ispettivo, l’organizzazione dell’insegnamento.

Essenziale è il conoscere di una persona (non sola). E il suo additare l’Intero

Uno dei limiti della l. 148/90, da me a suo tempo criticati, era in una sorta di marginalizzazione e deresponsabilizazione della persona del Maestro nella formazione della coscienza e del conoscere dell’alunno. La coscienza si forma nell’interazione pedagogica con altre coscienze. La conoscenza è la forza dell’intelligenza umana storicamente formatasi che porta una coscienza a entrare in una relazione più razionale (inquadrata dall’attività “legislatrice” del sapere costituito) con il mondo, intendendo ancora per mondo l’insieme delle relazioni che la coscienza trascendentale dell’umanità intrattiene con le sue rappresentazioni culturalmente consolidate. La scuola può/deve offrire un orizzonte epistemologico e storico insieme (Dario Antiseri), affidabile almeno quanto fallibile e incerto, per l’intelligenza dell’essere attraverso le vie dell’esistere pedagogico: offrire dunque conoscenze e saperi (conoscenze in atto) di qualcuno, essenziali in quanto lasciano essere anziché trasmettere statuti di ciò che la cultura dà per essente; conoscenze e saperi offerti da qualcuno a qualcun altro, da volto a volto. Se il conoscere che si impara a scuola non fosse in primo luogo interpretativo dell’essenziale sarebbe chiacchiera, addestramento alle competenze, introduzione al culto del Nulla, alla rassegnazione, alle prestazioni anonime e dunque insensate.
I ragazzi hanno bisogno di un volto che - insieme ad altri volti - racconti dell’Intero; hanno bisogno di segni essenziali di indicazione; non possono essere lasciati nel nichilismo della frammentualità ma nemmeno nella rarefazione del conoscere che conseguirebbe a una forte diminuzione del numero dei docenti. Gli insegnanti e chiunque abbia un ruolo educativo devono aver modo di detenere uno spazio proprio, per dire qualcosa di proprio nella relazione con gli altri, per essere se stessi anche grazie ai colleghi consentendo agli alunni di attuare il loro essere nella pienezza dell’ambiente pedagogico.


(1) Trent’anni fa la storia andava in un altro senso. Il mondo del lavoro aveva buoni motivi per sperare: il fisco cominciava a funzionare (Sylos Labini, Reviglio); nasceva il servizio sanitario nazionale (legge Mariotti) per attuare, oltre la costellazione mutualistica e caritativa, il diritto alla salute; nasceva la scuola materna statale (l. Codignola) per dare a tutti i bambini dai tre anni un’educazione e un’istruzione tra le migliori del mondo; nasceva lo statuto dei lavoratori (l. Brodolini) per ridurre il diritto di sfruttamento dei lavoratori, prima assolutamente incondizionato. Si chiudevano le istituzioni totali per malati di mente e per i soggetti con deficit gravi. Chiudevano le classi differenziali e iniziava l’integrazione.
In tutta Europa lo Stato -si parlava ormai di Stati Uniti D’Europa- diveniva una garanzia contro la legge della giungla; attraverso politiche fiscali certo incomplete ma comunque positive riduceva iniquità e sperequazioni.I lavoratori, dai braccianti agricoli agli intellettuali, soprattutto nutrivano speranza in un domani migliore.
Oggi le riforme hanno cambiato direzione. Ora il sistema informativo globale invita le masse –diseredate della Terra e del Cielo- a compatirsi nel presente (parole d’ordine declino, deriva, etc.), a non aver fiducia nel futuro, a temerlo.

(2) Questo potrebbe fra l’altro –anche in termini economici- costare moltissimo a lungo termine. La dequalificazione della scuola pubblica negli Stati Uniti conseguente alle “reaganomics” ha costretto ad aprire sempre nuove carceri: quasi l’1% dei cittadini statunitensi è oggi in carcere e un carcerato costa molto più di uno scolaro. Senza tener conto delle passività (e delle sofferenze) prodotte da chi in carcere non c’è ma delinque liberamente; questi ultimi sono almeno il triplo di quelli rinchiusi.

Riferimenti bibliografici

G. Gentile, Genesi e struttura della società (1944) letto in Mondadori, Milano, 1954
Luhman e Schorr Il sistema educativo, Armando, Roma, 1985
F.Ravaglioli Il sistema della formazione. Una analisi istituzionale, Armando, Roma, 1998
D. Antiseri Ragioni della razionalità, voll. 2, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2005


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