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Come pregano i bambini

di Paola Zilianti
Coordinatrice pedagogica nella scuola d’infanzia del Comune di Prato

 

Dal Rapporto Bertagna – Capitolo scuola dell’infanzia, pag.44:

"...Nel gioco i bambini contemporaneamente pensano, imparano, sentono, esprimono, producono, agiscono, progettano, si relazionano con gli altri, diventano autonomi, pregano."

Per chi sostiene, come me, l’idea di scuola laica, quel ...pregano, costituisce un elemento di disturbo e di provocazione.

Difficilmente mi è capitato di vedere bambini che giocando, pregano in senso tradizionale, anche se conosco il carattere religioso, nell’accezione più ampia del termine, dei loro comportamenti.

Nessuno, ha ricordato a Bertagna che proprio attraverso il gioco, le cui finalità sono state definite con tanto zelo nel documento, il bambino sfiora "l’immutabile"

che è rito, ripetizione, evocazione e coglie il senso religioso del suo fare.

Sono i gesti, gli atteggiamenti, le parole, sperimentate in forma ludica nelle esperienze emotivamente coinvolgenti, che attivano nel bambino la percezione mistica della vita.

Il piacere della ritualità conferisce fiducia e forza e mette in sintonia con il "mondo" attraverso una percezione di benessere nel quale c’è già la dimensione intrinseca della preghiera.

L’intenzionalità, agita da insegnanti e bambini nei ritmi delle attività più significative della scuola, diventa una sorta di "celebrazione" del fare.

Un bambino che dopo aver posto a dimora un seme, si meraviglia della pianta appena nata, entra in contatto emotivo con la natura, sente di farne intimamente parte e ne avverte, con senso di stupore, tutta la grandezza e il mistero.

Così nello scoprire e nel vivere l’avvicendarsi delle stagioni, c’è una ripetizione di riti, di suggestione della memoria, di fantasie e di sentimenti che trascendono la realtà.

Nel gioco del "far finta", quando vengono messi in scena i ruoli della vita, è sottile la percezione tra lo stare dentro e sopra "l’esistente".

Un semplice tavolo ed un pezzo di stoffa possono essere gli oggetti stimolo per una serie di attività "teatrali": ora si mettono in scena i ruoli familiari agiti a tavola e i piaceri culinari, ora se ne fa un nascondiglio o una casa, se si sta sotto, ora un letto dove, eccezionalmente, partorire.

Viene da pensare allora che questo tavolo, attorno al quale, ruotano attività altamente condivise e partecipate dal gruppo, rappresenti una sorta di altare dove si celebra con senso sacro la vita.

Se si analizza il momento "del cerchio", scopriremo che una serie di regole condivise tra insegnanti e bambini , evocano la dimensione del rito collettivo.

Seduti in cerchio in ore stabilite della giornate con dei compiti precisi dentro uno spazio fisico riconosciuto, aggregante e contenente, si esprimono sentimenti con il canto, la lettura, il gioco, le esternazioni personali e si avverte la sicurezza e il valore della ricomposizione delle parti (i soggetti) nel tutto (il gruppo).

Se penso dunque, a dei bambini che pregano, non li penso a recitare una orazione di un qualsiasi credo religioso, ma amo pensarli intuitivi, intenzionali, creativi, immaginativi, partecipi, sensibili e soprattutto appagati.

Niente di tutto ciò riesco neppure a intravedere nella scuola disegnata dal primo documento Bertagna (datato 28 novembre 2001), né tanto meno nel secondo documento (datato 14 dicembre 2001) nel quale i bambini sono descritti così: "… devono imparare il difficile mestiere dell’alunno abituandosi a stare in gruppo, a seguire le indicazioni dei maestri, a sviluppare relazioni positive e non conflittuali con gli altri, a maturare sotto il profilo della capacità operativa e manuale e di quella che oggi viene chiamata l’intelligenza emotiva." . Permettete prenda il posto del disturbo e della provocazione, una sincera indignazione per tanta ignoranza e (perché non usare le parole per quello che significano?) crudeltà.


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