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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
Direttore responsabile: Dario Cillo


 

RIFLESSIONI A MARGINE DELLA QUOTIDIANITA’

PIU’ SAPERE, MENO REAZIONE CONCRETA ALLE AZIONI DISSENNATE

 

La situazione contestuale in cui viviamo è davvero paradossale: da un lato sembriamo evoluti e attrezzati culturalmente, quasi in massa; dall’altra siamo fragili vittime di chiunque abbia un sogno di potere e lo voglia concretizzare a modo proprio.

 

Il paradosso è lì sotto gli occhi di noi tutti, ma non riusciamo a scrollarci di dosso quella apatia, quella inerzia che si coniuga tanto bene con una cultura di tipo consumistico…Si accetta che ogni settore della vita sociale si plasmi come vuole una certa classe politica al potere e più del lamento in tutte le sue gradazioni e tonalità politiche-culturali non viene fatto. Anzi, chi avrebbe argomenti e capacità per far qualcosa di concreto, spesso fa i mea culpa e avvia strani ragionamenti contorti per trovare ciò che non andava nella precedente situazione politica-sociale. Cosa di indubbio valore…se non fosse che i ragionamenti e le argomentazioni cadono nel vuoto miseramente esponendoci ancor più alle bordate, allo smantellamento costante in direzione di una società dominata da chi più in gamba a barare è!

 

RIPENSARE A VITA E MORTE

 

Manca poi, in tutte le manifestazioni culturali “contro”, un vero e sostanziale ascolto verso l’umanità fatta di persone che si misurano con la quotidianità delle miserie della condizione umana. Sembra non interessare più nessuno riflettere sulla vita, sui grandi temi dell’esistenza, mentre la morte corre a bussare a ogni porta con la faccia della guerra in primis ma anche con quella della fame, degli incidenti, della malattia, dell’aids, dei suicidi, ecc…

Sembra che nessuno più si ponga il problema della pietas verso i propri simili e verso la natura in tutte le sue forme…sembra che l’unica vera ragione di vita sia l’economia e che il denaro sia il motore di ogni politica.

Sembra che nascita e morte, un tempo eventi da celebrare con gioia e dolore, siano dimenticate, oscurate dalla routine dell’informazione che pure quotidianamente ci “illumina” sulla vita vissuta da miliardi di persone…persone eventi gaudio e dolore infinito mescolati frullati dalla dinamica supersonica dei messaggi che fagocitano se stessi senza tregua e tempo per rielaborare. Mentre si smantella qualsiasi politica di solidarietà sociale, si muore dentro e fuori di noi, di ognuno di noi, piccola grande creatura senza identità alcuna, senza possibilità di vera comunione con gli altri. Il rito della celebrazione mondiale delle notizie ci travolge incurante delle sofferenze concrete, del tempo concreto dell’esistenza, la quale ha sete di un tempo per dire “io esisto”, ma non viene mai soddisfatta e svanisce nel nulla…L’esistenza di corpo e spirito è conchiusa in se stessa, al massimo aperta ai pochi che si conoscono e amano nel privato, ma chiusa e sconosciuta all’immensità dell’anima del mondo nel suo complesso.

 

E così si accetta di venir governati in un modo o nell’altro con la netta e malinconica sensazione di non valere niente se non quando si è usati per qualche scopo e, inoltre, in fretta. Una fretta che muore essa stessa senza lasciare alcun segno di aver prodotto qualcosa di duraturo e condiviso da molti, se non da tutti.

 

Le grandi domande sul nostro errare su questa Terra sono ferme molto più che non accadesse  in passato, in un passato lontanissimo in cui l’uomo, carne da macello, per i potenti, tentava, attraverso i riti e la ritualità di testimoniare la propria esistenza, nel lavoro, nell’arte, nell’artigianato, nella preghiera, nelle feste di paese, nelle processioni, nelle famiglie patriarcali, nelle pratiche di inumazione…

 

Ora si muore in ogni parte del mondo, più o meno avanzata, senza lasciare un segno, si muore come sono già morti senza alcuna possibilità di lasciare un’impronta architettonica di prestigio, gli edifici anonimi delle nostre città: essi sono funzionali alla vita quotidiana, costruiti in fretta, così come noi siamo partoriti in modo funzionale e veniamo allevati in modo funzionale al sistema senza vera libertà, senza alcuna libertà di incidere e lasciare il segno: al più, possiamo esternare opinioni che diventano vacuo  parlare inascoltato da chiunque abbia il potere di governarci: dal più piccolo funzionario al “sommo capo”.

 

OSSERVARE ATTENTAMENTE PER CAPIRE LE DOMANDE

 

Se si volesse osservare con rispetto vero una creatura che nasce e cresce nei primi anni di vita, si potrebbe scoprire che la sua potenza è pari a una esplosione nucleare, ha in sé una forza dirompente, succhia la vita ai propri genitori che la difendono e nutrono…commuove vedere la cura con cui in ogni parte del mondo l’esplosione (unica esplosione auspicabile!) della vita viene protetta nell’età dei vagiti e delle richieste espresse con il pianto…ma poi si guasta il meccanismo, si guasta assorbito dalla routine, dai pregiudizi della società adulta, dalla fretta con cui viene  imbrigliata tale energia, fatta morire anzitempo con la pretesa di collocarla subitaneamente in uno spazio economico, in uno spazio definito dall’efficiente o inefficiente organizzazione pensata dal potere.

 

Tutta la macchina decisionale si muove nella direzione di rendere “facile” e veloce l’entrata nel sistema insensibilmente devastante della produzione e del consumo…non è un tema nuovo questo, per nulla, eppure è già stato archiviato e non se ne dibatte più. Ciò che è stato pensato nel recente passato a tal proposito è già carne per i vermi. Invece, sarebbe molto saggio riaprire il dialogo fra uomini e donne di buona volontà e di buona creatività di pensiero anche appropriandosi in maniera critica e divergente dei dibattiti prigionieri del contingente su economia, strategie di intervento per sanare il debito pubblico, modalità dell’integrazione degli stranieri...

 

Sarebbe,  ora di ricominciare il dialogo interrotto su vita, morte, senso dell’esistenza, senso della nostra umanità, riprendendo a riflettere su dove sia possibile andare ora e adesso, su cosa valga e non valga, su quanto di noi sia giusto perdere o prendere nel rapporto con l’altro.

 

LA PREOCCUPAZIONE DELLE DONNE E DEGLI UOMINI DI SCUOLA

 

Molte/i di noi, persone che abitano la scuola e la desiderano anche pensare come maestra di vita, spesso assistono impotenti all’inganno, agli inganni perpetrati ai danni non della scuola in sé, bensì delle generazioni che si affacciano alla coscienza sociale con l’energia di cui dicevo prima…vedono disperdere, nei rivoli aridi della politica di chi decide, il mare di scelte autonome e forti che hanno dato frutti al di sopra e al di là di facili ricette che si pretendono gustose per tutte le situazioni e per tutti i rapporti anche di quelli di insegnamento/apprendimento.

 

Veniamo sommersi  da messaggi di esperti e opinionisti che dissertano di integrazione, organizzazione delle classi, destrutturazione del “vecchio”, apertura al “nuovo”e non li capiamo, non li sentiamo nostri, perché l’umanità giovane che siamo chiamati a istruire-educare è l’umanità di sempre che cerca risposte alle grandi domande che si pone e ha bisogno di tempo, di calma, di una paziente “accoglienza” totale, ha bisogno che l’umanità adulta che l’ accompagna sia posta nella condizione della serenità, della fiducia, del poter usare saggezza e sapienza in situazioni organizzative autodecise e scelte per “credo” sicuro e consolidato, ha bisogno che la vita non sia sabbia mobile, regno della incertezza senza appigli, bensì regno della domanda in cui, insieme, tutti, persone, si possa riflettere, rielaborare, incontrarsi in un tempo e in un luogo sicuri e protetti da un via vai di “ricette” senza senso.

 

LA SCUOLA VOLANO DI DEMOCRAZIA

 

Famiglie figli figlie insegnanti di qualsiasi provenienza e religione, di qualsiasi età, sesso, cultura…debbono poter scegliere la propria strada dopo avere messo alla prova se stessi in ambienti in cui sia rigorosamente richiesto il rispetto della vita di ognuno, della vita psichica, spirituale e materiale, nella consapevolezza della fragilità umana, della fine, del transitorio…

 

E così perderebbero di senso e cesserebbero le diatribe su valutazione e giudizio, su classe sì e classe no, su libri di testo riformati, scaricati da Internet, su ore opzionali e tutor, su curricoli e programmi, su classi islamiche o miste…Unico obiettivo valido sarebbe quello del potenziamento di ogni situazione positiva in atto con attenzione a rispettare le esigenze di chi  avesse già avviato esperienze positive di incontro con l’altro e per il superamento delle difficoltà incontrate sul percorso di lavoro avviato.

 

Un governo al passo con le sfide del tempo in cui viviamo, dovrebbe lasciare semplicemente autonomia di ricerca e offrire risorse per sostenere sperimentazioni e azioni dirette a sviluppare la crescita umana e cognitiva dei giovani, attente a riconoscere le energie intellettuali e spirituali di ogni singolo essere umano.

 

Una scuola rivoluzionaria, veramente nuova, dovrebbe essere concepita come la casa dei talenti, una casa in cui si vive per conoscere e conoscersi senza timore di venire esclusi o considerati di serie A…B…C…una casa in cui la valutazione delle competenze fosse  abbandonata e superata da una nuova pedagogia della possibilità costante e continua dell’autocorrezione per mezzo dell’apprendimento facilitato dalla condivisione dei passaggi e dei percorsi mentali di ogni persona coinvolta nell’affrontare un tema, un procedimento, un problema…Una scuola veramente nuova dovrebbe abbandonare ciò che è stato finora improduttivo e frenante e cioè la sequenza: ascolto della lezione, studio personale a casa, interrogazione e compito in classe, giudizio registrato…per giungere alla sequenza: porsi domande, cercare le risposte insieme con le compagne e i compagni, studiare a scuola strade possibili, dialogare insieme, misurarsi anche con un’applicazione individuale di ciò che si è appreso, giudizio discusso e valutato insieme coi pari e con l’insegnante, ripresa delle attività comuni nel caso non si fosse trovata la risposta corretta…tutto ciò verso l’obiettivo di una società libera, finalmente democratica e per niente consumistica.

27 luglio ‘04

Claudia Fanti


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