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Né sedotti dal relativismo nichilistico, né dispersi dietro falsi pastori di “verità”

di Gabriele Boselli

Le polemiche che da qualche tempo si sono accese sulla stampa di massa come su quella professionale intorno al relativismo non fanno perno come sarebbe desiderabile sull’idea di relazione (azione reciproca di una pluralità di soggetti configurabile a partire da un punto di vista) ma su quella di rapporto, ovvero privilegio aprioristico di un elemento della relazione assunto come riferimento ipostatico.

Si fa confusione fra relatività e relativismo. Rinviando ad altra occasione l’analisi dei concetti di relazione e rapporto esaminerò quest’ultima coppia concettuale: la relatività (che non è solo quella einsteniana ma un concetto che attraversa tutte le scienze del mondo fisico e dello spirito)  riconosce i valori di inerenza che si formano e si rigenerano continuamente nelle relazioni tra gli umani e fra questi e il mondo e ne individua il diverso grado di fondazionalità (mai assoluto, invero). Il secondo –nelle sue radicalizzazioni nichilistiche- insegna che non solo non vi sono valori  sciolti da soggetto e contesto ma che non ve ne sono per nulla e la struttura intellettuale dell’umanità e l’ etica della convivenza civile sono un caotico succedersi e incrociarsi di proposizioni con mero valore di teatro.I rischi di alienazione come distrazione da relazioni autentiche e dunque da ogni valida prospettiva sui valori di fondo della scienza e della convivenza civile per dedicarsi tutti a necessità materiali e fatuità, appaiono fortissimi nella società odierna, anche perché “pompati” in immense quantità dal sistema informativo globale. Nella scuola, oltre alla disaffezione/demotivazione/disagio, dispersione intellettuale degli alunni, si deve fare i conti anche -in rari casi che tuttavia fanno ombra ai maggioritari comportamenti virtuosi- con quella dei genitori, degli insegnanti, dei dirigenti, degli ispettori e dirigenti amministrativi nonché dell’ alta dirigenza.

Ogni tipo di conoscenza e di convivenza civile come atto di configurazione di un soggetto individuale o collettivo dipende dal soggetto attore e autore, dalla particolare conformazione della sua struttura categoriale generale e disciplinare; è inerente (e deve guadagnare inerenza) rispetto a ciò di cui tratta; è influita dal campo e dal tempo in cui  il soggetto e l’argomento della sua ricerca sono inseriti. Quando gli innumerevoli atti di convivenza (o di estraniazione) si addensano e si stabilizzano l’interna dinamica di relatività non vien meno ma semplicemente si articola storicamente e si complessifica.

Pedagogicamente non possiamo guidare alla conoscenza annunciando che sarà un viaggio in cui tutti i porti che crederemo di vedere sono nulla e nel nulla che li costituisce svaniranno; ogni porto col tempo si cancellerà ma per qualche anno avrà fornito alla comunità umana un approdo affidabile, un valido punto in cui sostare prima della navigazione ulteriore. Il valore di un atto è quello che si stabilisce nel mondo della vita e si consolida nella relazione con la comunità degli studiosi; anche se in seguito non verrà più condiviso, il suo valore permane come testimonianza di una configurazione generale o regionale del mondo che fondò validamente l’esistere.

Certo, uscire dal riconoscimento di attualità da parte del contingente non è non essere mai stati,  perdere di valore, entrare nel nulla: tutto ciò che è stato in qualche forma rimane e fonda, sostiene le esperienze successive.

La relatività degli atti di conoscenza e di convivenza civile non è un difetto o tantomeno una preclusione: è al contrario una caratteristica essenziale di ogni atto autentico. Esplicitare che un concetto o un comportamento è analizzato e gestito da un certo punto di vista, che questo punto di vista appartiene a qualcuno che ha una storia e un volto (che si volge a ), denunciare il contesto in cui avviene l’atto non è togliere valore ma attribuirgliene. Il valore non è solo nel gesto di dono, è anche nell’atto di ricevimento di un datum.

Additare la relatività come indicazione di coordinate del campo relazionale non è dunque insegnare il relativismo assoluto, dottrina e pratica che mortificano la convivenza, insegnando che ogni cosa sia in fondo nulla, che nulla abbia valore se non di autoaffermazione del suo detentore. Contro la tesi secondo cui la relatività contraddirebbe l’idea di verità (non certo la verità-in-sé ma la verità-per-noi), direi che sia proprio l’individuazione delle coordinate di relatività a fornire un qualche appoggio alla veritatività dell’atto educativo e delle sue sedimentazioni storiche. Relativamente a un soggetto, a un argomento, a una cultura e a un contesto, l’indagine fenomenologica (epochè-reimmersione nell’esperienza-categorizzazione di II ordine-teoresi e ritorno) può pervenire al maggior valore di verità onestamente configurabile nelle attuali contingenze dell’educare.

Porre i giovani di fronte al cruciale (incontro, estraniazione, dramma, gioia) problema del configurarsi delle relazioni entro l’orizzonte del mondo della vita e’ introdurre al conoscere il mondo e vivere felici secondo civiltà. E’ invitare a convito, a vita con…..

 

(1). Non accade solo nelle pubblicazioni per il largo pubblico: dopo il rigore epistemologico della parte generale delle Indicazioni ministeriali per la scuola primaria e la scuola secondaria di primo grado, le anticipazioni che si leggono per i programmi della scuola superiore fanno invece temere il peggio.


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