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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
- ISSN 1973-252X
Direttore responsabile: Dario Cillo


 

RIFLETTENDO…
 sulla rilevazione degli apprendimenti 2009/10 dell’I.N.Val.S.I.

 di CARLO DE NITTI

 

PREMESSA

Queste righe si collocano in una prospettiva di continuità con Osservando… messo in linea nella seconda metà di maggio dopo le prove di rilevazione degli apprendimenti effettuate dall’Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema di Istruzione e formazione in modo censuario nelle classi seconde e quinte delle scuole primarie (6 ed 11 maggio 2010) e nelle classi prime delle scuole secondarie di primo grado (13 maggio 2010) in cui chi scrive è stato osservatore per conto dell’I.N.Val.S.I. in due scuole della città di Bari.

Poche settimane fa l’Istituto ha restituito alle scuole i dati di quelle prove elaborati: in qualunque modo le prove siano state sostenute dai bambini e quali che siano stati i risultati di ogni scuola, a parere di chi scrive, per tutti gli operatori della scuola (docenti e dirigenti) ed i fruitori del servizio scolastico (alunni e genitori) è tempo di riflettere sulle prove stesse al fine di agire per le attività propedeutiche alle prove di quest’anno che, per la prima volta, vedranno coinvolto l’intero sistema scolastico, anche nel segmento secondario superiore.

 

IL DILEMMA DEL DIRIGENTE: CHE FARE CON I DATI I.N.Val.S.I.?

            Il momento di riflessione coinvolge, in primo luogo, i dirigenti scolastici, ai quali sono stati resi palesi i dati delle singole classi delle scuole che dirigono, affiancati a quelli del dato medio dell’istituzione scolastica che dirigono nel suo complesso, a quelli della Regione e della macroarea geografica in cui operano ed, infine, a quelli nazionali. E’ a loro che spetta, in primo luogo, decidere quale destino far avere a questi dati statistici:

  1. “cassettizzare”[1] il materiale scaricato dal sito www.invalsi.it; in questo caso, i dati non sono conosciuti da nessuno e non producono alcuna modificazione dello status quo;
  2. socializzare i dati allo staff dei propri collaboratori e cercare dirigisticamente idee che migliorino le performances dei propri alunni;
  3. partecipare i dati a tutti i docenti mediante una serie di incontri miranti ad individuare, in modo condiviso, strategie che facciano implementare le positività venute alla luce, organizzando incontri formativi con esperti esterni per accrescere la professionalità dei docenti nel preparare i discenti ad affrontare le prove previste.

E’ naturale che il comportamento maggiormente foriero di positività per la scuola da parte del dirigente scolastico è quello descritto al terzo punto del precedente capoverso, perché solo mediante esso la sua condotta innesca un processo che conduce, al termine di un percorso, ad un miglioramento della qualità della scuola sia sotto forma di servizio reso agli utenti sia come apprendimenti conseguiti dai discenti in due discipline/linguaggi fondamentali dell’essere cittadino oggi che sono la lingua italiana e la matematica.

Come si è detto in Osservando … , le prove sono, da un lato, il punto di arrivo di un percorso che va progettato ex ante mediante un’azione didattica confacente all’obiettivo da conseguire, dall’altro, il punto di partenza, per un verifica della propria azione educativa da parte dei docenti nella loro dimensione collegiale del Collegio dei docenti, previa una riflessione ad hoc nei Dipartimenti Disciplinari.

Questo prescinde dall’esito – lusinghiero o meno - conseguito dalla singola scuola nell’a. s.  2009/10: è un discorso di tipo metodologico, metadidattico, svincolato dal contesto di appartenenza dell’istituzione scolastica. La rilevazione degli apprendimenti in italiano e matematica fornisce ai dirigenti scolastici ed a tutte le comunità professionali e scolastiche l’eccellente occasione e l’idoneo strumento ermeneutico per conoscere al meglio i propri alunni e progettare un’azione didattica curriculare e laboratoriale personalizzata, com’è nella filosofia del processo riformatore in atto, fornendo diagnosi e prognosi precise ed efficaci.

Quale momento migliore se non quello in cui tutte le istituzioni scolastiche autonome deliberano – con la partecipazione di tutte le componenti presenti al proprio interno -  il Piano dell’Offerta Formativa, così come definito nel D.P.R. n° 275 dell’8.03.1999, per ripensare tutti insieme, eventualmente, il curriculo di scuola, considerando le opportunità di ricaduta didattica offerte dalle rilevazioni I.N.Val.S.I.?

 

RILEVAZIONE DEGLI APPRENDIMENTI E PERSONALIZZAZIONE PER LA QUALITA’ DELL’ISTRUZIONE

            A chi scrive pare che la chiave di volta per rispondere a questa domanda sia nell’implementazione della qualità del servizio scolastico realizzato dai docenti nella direzione della personalizzazione della pratica educativa e didattica, che non può non avere una ricaduta decisiva sulla quantità e sulla qualità degli apprendimenti[2].

            A partire dagli anni ‘90, la ricerca della qualità del sistema scolastico ha costituito un argomento costante affrontato dagli studiosi di problematiche pedagogiche e dal dibattito politico sulla scuola. Ciò ha avuto molteplici cause, ritrovabili anche nei radicali cambiamenti dovuti al processo di unificazione europea ed alla crisi economico-politica internazionale, che ha determinato l’esigenza che la scuola agisca non più come corpo separato ed autoreferenziale o, come l’ha definito Luisa Ribolzi, ingessato, ma secondo principi di efficacia ed efficienza formative. Al fine di evitare che i trasferimenti di risorse verso la scuola non avessero un ritorno in termini positivi di innalzamento culturale e di formazione dei bambini, dei ragazzi e dei giovani, in primo luogo come persone che vivono immersi in un sistema produttivo ed in un’organizzazione sociale.

            Tutti noi, uomini e donne di scuola, dobbiamo essere pienamente consapevoli che soltanto se e quando il sistema scolastico riesce a generare nei discenti competenze da impiegare nella concretezza dei processi di sviluppo economico e sociale, si giustificano le risorse finanziarie investite in esso per l’istruzione e per la formazione delle giovani generazioni. La massimizzazione dell’efficacia formativa può avvenire soltanto mettendo al centro l’alunno/a come persona nella sua integralità e costruendo intorno a lui/lei un ambiente di apprendimento in sintonia.

            Non a caso, la personalizzazione è la filosofia della progettualità formativa che permea tutto il processo riformatore in atto[3]: personalizzare l’insegnamento significa ‘curvarlo’ sulle necessità, sui bisogni e sulle esigenze di apprendimento di ogni singolo allievo; significa, quindi, non progettare curricoli validi erga omnes - in ciò molto simili ai Programmi Ministeriali che sono stati ‘messi in quiescenza’ con l’autonomia delle istituzioni scolastiche - ma costruire Piani di studio personalizzati, declinati sulle potenzialità effettive degli alunni ‘in carne ed ossa’, affidati alle ‘cure’ della singola scuola, in sinergia con le famiglie per rendere possibile il successo formativo di tutti, per ridurre/rimuovere gli insuccessi e per promuovere le eccellenze. Il ruolo della famiglia e le sue scelte educative sono fondamentali per indirizzare le strategie della scuola nella lettura del proprio contesto e nell’organizzazione di spazi, di tempi e di servizi.

            E’ dalle ‘cose’ e dai problemi che emerge la necessità di personalizzare l’insegnamento per consentire ad ogni persona-alunno di conseguire la propria eccellenza, sviluppando al meglio i propri talenti, attraverso piani di studio personalizzati. Soltanto attraverso la personalizzazione dell’insegnamento è possibile per i discenti e per le loro famiglie essere protagonisti diretti della vita dell’istituzione scuola all’interno di un governo nazionale del sistema scolastico e non esserne coinvolti soltanto come destinatari, secondo la filosofia della sussidiarietà

 

IL RUOLO DEL COLLEGIO DEI DOCENTI E DEL CONSIGLIO D’ISTITUTO

            Fondamentale, in questa prospettiva, il ruolo che deve giocare il Collegio dei docenti di ogni istituzione scolastica autonoma, quale organo tecnico professionale con competenze decisionali in materia di didattica, non a caso voluto dal Legislatore in posizione equiordinata con il Consiglio di Circolo o di Istituto (che è l’organo di indirizzo ‘politico’) ed il Dirigente Scolastico.

            La caratteristica precipua del collegio dei docenti è quella di esprimere deliberazioni di carattere tecnico professionale, anche affidandosi allo studio ed alle valutazione di gruppi organizzati al suo interno, come lo sono i dipartimenti disciplinari, che concorrono liberamente alla formazione di una volontà comune (maggioritaria o, addirittura, unanime) che si esprime in un atto unitario.

            L’esame analitico e puntuale, al limite della capziosità, quindi, di tutti i risultati delle prove somministrate dall’I.N.Val.S.I. da parte dei Dipartimenti disciplinari linguistico-letterario e scientifico-tecnologico da riportare in sede referente al Collegio è atto prodromico alle valutazioni che l’intera assise dei docenti dovrà esprimere per assumere quelle deliberazioni che rendano maggiormente efficace l’azione formativa della scuola, facendole superare le secche dell’autoreferenzialità da porre in essere in ogni consiglio di classe, l’organo della programmazione della didattica disciplinare.

            E’opinione radicata in chi scrive che le valutazioni dei Dipartimenti disciplinari prima e del Collegio poi saranno tanto più idonee a far emergere problemi ed a prospettare soluzioni quanto più il Dirigente Scolastico svolgerà un’azione di convinta promozione della necessità ineludibile del perseguimento della qualità nella istituzione scolastica non per un formale ossequio alla normativa in vigore o, eventualmente, in via di emanazione ma per una elementare volontà di esercitare la professionalità docente e dirigente in modo consono alle esigenze del tempo in cui si opera.

            Parimenti è ancora centrale il ruolo del dirigente scolastico nel mettere a parte dei risultati delle prove il Consiglio d’istituto con il coinvolgimento dei genitori dei discenti nel processo di miglioramento della qualità affinché la scuola si possa configurare come una vera e propria “organizzazione che apprende”.

 

SCUOLA COME AMBIENTE DI APPRENDIMENTO ORGANIZZATIVO

            L’istituzione scolastica autonoma deve strutturarsi come un ambiente intenzionalmente organizzato per l’apprendimento: tanto come luogo finalizzato ad esso per i discenti, quale che sia la loro età anagrafica, quanto tutto il sistema organizzativo che apprende dalla propria storia.

            L’apprendimento è la cifra precipua della scuola che, come organizzazione/istituzione, agisce in vista di determinati fini: in primo luogo, deve imparare ad imparare (learning to learning) per crescere e rispondere ad i continui mutamenti culturali, sociali ed economici che caratterizzano il tempo presente. Ogni azione/decisione che viene compiuta/ assunta nella scuola deve essere oggetto di apprendimento in quanto finalizzata ad accrescere il patrimonio di competenze dell’organizzazione in relazione alle nuove azioni ed ai nuovi comportamenti.

L’apprendimento consiste nel determinare una modificazione non episodica e non estemporanea nel modo di pensare, di sentire e di agire di qualcuno. Quando chi opera in un’organizzazione apprende, il suo apprendimento valica la dimensione personale e diventa parte della memoria collettiva di tutta l’organizzazione, che, a sua volta, deve strutturarsi in modo tale da rendere possibile l’apertura di ogni persona a tutte le altre e la condivisione degli apprendimenti.

            Ogni scuola, e chi la dirige, devono fare dell’apprendimento la propria mission, implementando in chi opera – la più importante delle risorse a disposizione dell’istituzione – la motivazione a migliorare e migliorarsi, ponendosi sempre nuovi obiettivi di sviluppo da conseguire: difficili sì, perché fungano da stimolo ed esigano impegno, non  impossibili affinché non scoraggino dalla sfida del miglioramento.

            In quest’ottica, fondamentale è il clima positivo di condivisione e di solidarietà che il dirigente scolastico riesce con la sua azione a creare affinché tutti possano operare sinergicamente per il bene comune. Per ognuno, sentirsi parte di un gruppo coeso ed efficace, è fattore migliorativo della motivazione all’apprendimento ed all’azione non routinaria. In un gruppo di lavoro, nulla è più motivante della responsabilizzazione di persone e/o gruppi finalizzata alla decisione (un esempio scolastico tipico sono i dipartimenti disciplinari e le commissioni) – l’empowerment della tradizione anglosassone – che, estendendo la leadership, favorisce la condivisione degli obiettivi, la fiducia reciproca, la soddisfazione personale e lo stare bene con se stessi e con gli altri, facendo crescere l’organizzazione.

 

SVILUPPO PROFESSIONALE DEI DOCENTI E DEL DIRIGENTE

            Tutto questo favorisce lo sviluppo professionale dei docenti che ricade in modo determinante sugli apprendimenti dei discenti: la promozione delle competenze – metodologiche, didattiche, disciplinari, relazionali ed organizzative – deve essere affrontata nella prospettiva dell’attuale articolazione/ diversificazione delle loro funzioni. Essi non devono essere recettori passivi di iniziative episodiche, segmentate ed eterodirette, ma devono diventare sempre di più protagonisti attivi e decisivi del proprio sviluppo professionale. In questo senso, la più recente produzione normativa intende puntare su strategie di apprendimento innovative, quali l’organizzazione in rete delle attività formative, il potenziamento dei processi di autoformazione, l’avvio di progetti di ricerca/azione, la valorizzazione dell’e-learning integrato. Quest’ultima strategia consente di superare molte annose difficoltà di comunicazione, realizzando un congruo abbattimento dei costi e dei tempi, la socializzazione/condivisione immediata delle best practices ed anche il superamento delle condizioni di isolamento geografico.

            Anche lo stile del dirigente scolastico, nell’ottica dello sviluppo professionale dei docenti e dell’apprendimento organizzativo deve essere mirato all’integrazione dell’istituzione scolastica con la comunità territoriale nella quale è inserita, a cui vantaggio costruire sinergicamente piste formative personalizzate, efficaci e condivise, sulle quali fare convergere le risorse (umane, finanziarie e strumentali) scolastiche ed ambientali.

            L’utilizzo delle prove somministrate dall’I.N.Val.S.I.  per far crescere la qualità della scuola attraverso il miglioramento degli apprendimenti e, quindi, degli esiti dei percorsi formativi – sia sotto forma di output sia di outcome - è un’ottima occasione per il dirigente scolastico per rendere ragione della sua funzione di leader educativo.



[1] La ‘cassettizzazione’, ovvero il mettere nei cassetti qualsivoglia documento turbativo di una ben consolidata prassi scolastica, è stata per anni pratica ricorrente e diffusa di fronte al turbinio delle modificazioni della routine tradizionale, intervenute a partire dagli anni ’70.

[2] Fermo restando che l’apprendimento non è l’esito meccanicisticamente predeterminato dell’insegnamento: è un processo non lineare, ad entropia negativa. Fare incontrare insegnamento ed apprendimento significa mediare tra i concetti epistemologicamente coerenti del primo e gli schemi del pensiero che apprende del secondo. L’apprendimento consiste nella creazione/ ri-creazione di un nuovo mondo da parte di chi apprende:  ecco perché gli apprendimenti  non possono essere standardizzati ma devono, per forza di cose, essere personalizzati, per essere rispondenti il più possibile ai vissuti,  ai bisogni ed alle esigenze della singola persona.

[3] Esso introduce, implementandolo, la filosofia della persona, così come elaborata nel corso del ‘900 da filosofi e pedagogisti quali Mounier, Maritain, Ricoeur, Stefanini, Flores d’Arcais, Laeng, Santomauro ed altri.


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