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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
- ISSN 1973-252X
Direttore responsabile: Dario Cillo


 

La riforma tra scuola virtuale e scuola reale.

E la scuola virtuosa?

 

1. Premessa sul virtuale.

 

Un definizione di riforma

Modifica volta a dare un nuovo e migliore assetto a qualcosa, in particolare in ambito politico, sociale, economico; il cambiamento stesso; rinnovamento, innovazione.

 

Le parole dei riformisti

 

Una "riforma epocale", senza alcuna "impronta ideologica". Così  il ministro dell'Istruzione, Universita' e Ricerca Mariastella Gelmini ha definito la riforma degli istituti superiori che ha visto oggi il via libera definitivo da parte del Consiglio dei ministri. Una riforma epocale, ha evidenziato il ministro che "ha visto un lavoro molto intenso e l'impegno di tante persone" ha aggiunto ringraziando "tutti coloro che hanno partecipato alla messa a punto di questa riforma. Una riforma che non ha assolutamente una impronta ideologica. Per quanto riguarda i licei -ha spiegato il ministro- pur apportando emendamenti e alcune modifiche abbiamo utilizzato la riforma Moratti mentre per l'istruzione tecnica abbiamo cercato di mantenere quanto realizzato dal precedente governo.

 

Meno quantità, più qualità.

 

Il Parere del Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione- Estratto

 

Parere sullo schema di regolamento concernente il riordino dei licei
Segreteria del Consiglio Nazionale della P.I. - Adunanza del 7 ottobre 2009

La didattica laboratoriale. I laboratori manifestano un ampio ed articolato repertorio di spazi contrassegnati da finalità formative generali e da finalità formative specifiche. Sono generali le finalità che si identificano con le competenze di natura trasversale; sono specifiche quelle che coincidono con i linguaggi ed i codici disciplinari.

Nello schema di decreto in esame manca la previsione di laboratori con finalità generali, mentre solo nei licei artistici, musicali e tecnologici sono previsti quelli con finalità specifiche.

Eppure, il laboratorio, in quanto luogo di ricerca e di indagine critica, nel postulare la piena pariteticità dell’intera gamma dei codici della comunicazione, si propone quale centro propulsore per la diffusione e l’attuazione di modelli didattici funzionali ad un apprendimento per competenze.

Sarebbe, pertanto, quanto mai opportuno dotare le istituzioni scolastiche delle risorse professionali ed economiche necessarie per realizzare in laboratorio e con la metodologia della ricerca percorsi di studio centrati sulla flessibilità organizzativa, ed indirizzati sia alla “ricostruzione, integrazione e conservazione delle conoscenze”, sia all’osservazione ed alla scoperta di aspetti culturali, sia alla padronanza delle strutture sintattiche e logiche delle materie d’insegnamento.

In tale prospettiva, sarebbe oltremodo utile il potenziamento di insegnamenti come il diritto, la matematica, il latino e la storia che, per le interconnessioni che genererebbe sul piano dell’organizzazione razionale dei contenuti, consentirebbe di elevare il tasso di consapevolezza critica degli studenti.

Lo schema di regolamento si limita, invece, a generici impegni quale quello di assegnare alle istituzioni scolastiche un contingente di organico con il quale “potenziare gli insegnamenti obbligatori” e/o “attivare ulteriori insegnamenti finalizzati al raggiungimento degli obiettivi previsti dal Piano dell’offerta formativa mediante la diversificazione e personalizzazione dei piani di studio”, “fermi restando gli obiettivi finanziari di cui all’art. 64 della legge n. 133 del 2008 e subordinatamente alla preventiva verifica da parte del Miur di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze circa la sussistenza di economie aggiuntive”.

Di qui una chiara e netta discrasia tra le misure di accompagnamento e gli obiettivi di qualità fissati con il nuovo assetto ordinamentale dei licei, tanto più che alle istituzioni scolastiche autonome non si riconosce un organico d’istituto e si interviene, invece, sul tempo scuola riducendolo.

Eppure, il tempo scuola è un fattore di ‘qualità’ dal momento che tempi più distesi nella didattica agevolano la progettazione formativa articolata e centrata sui bisogni dello studente, così come la compresenza di distinte figure professionali in laboratorio è una condizione essenziale per fondare “sulla pratica del plurale” il piacere della scoperta.

2. Considerazioni dal reale. 

 

L’interpretazione che i protagonisti della riforma attribuiscono al proprio operato è esaltante, così come gli intenti dichiarati nelle linee programmatiche del Regolamento concernente il riordino dei licei. Ad esempio, si può leggere:

 

Il profilo culturale, educativo e professionale dei Licei 

   

“I percorsi liceali forniscono allo studente  gli strumenti culturali e metodologici per una

comprensione approfondita della realtà, affinché egli si ponga, con atteggiamento razionale,

creativo, progettuale e critico, di fronte alle situazioni, ai fenomeni e ai problemi, ed acquisisca

conoscenze, abilità e competenze sia adeguate al proseguimento degli studi di ordine superiore,

all’inserimento nella vita sociale e nel mondo del lavoro, sia coerenti con le capacità e le scelte

personali”. (art. 2 comma 2 del regolamento recante “Revisione dell’assetto ordinamentale,

organizzativo e didattico dei licei…”).  

 

Per raggiungere questi risultati occorre il concorso e la piena valorizzazione di tutti gli aspetti del

lavoro scolastico:  

•  lo studio  delle discipline in una prospettiva  sistematica, storica e critica;   

•  la pratica dei metodi di indagine propri dei diversi ambiti disciplinari;

•  l’esercizio di lettura, analisi, traduzione di testi letterari, filosofici, storici, scientifici,

saggistici e di interpretazione di opere d’arte;

•  l’uso costante  del laboratorio per l’insegnamento delle discipline scientifiche;    

•  la pratica dell’argomentazione e del confronto;

•  la cura di una modalità espositiva  scritta ed orale corretta, pertinente, efficace e personale;

•  l‘uso degli strumenti multimediali a supporto dello studio e della ricerca.  

 

Il profilo e le attività definite sono condivisibili e auspicabili nella necessaria riforma dell’organizzazione scolastica, che attualmente presenta palesi sfasature rispetto al contesto a cui è funzionale.

Ma, al di là delle buone intenzioni dichiarate e della bella vetrina adornata, bisogna porre almeno due basilari interrogativi:

 

  1. Come è possibile realizzare una riforma epocale, senza oneri aggiuntivi per le spese dello stato, ma addirittura con significativi tagli sulle risorse finora attivate (o, meglio, sopravvissute alle precedenti potature)?

 

  1. Qual è il quadro unitario della riforma , tanto epocale che deve essere promulgata a puntate da quasi due anni a questa parte, forse per evitare sconvolgimenti emozionali agli impreparati utenti?

 

 

1. Come è possibile realizzare una riforma epocale, senza oneri aggiuntivi per le spese dello stato, ma addirittura con significativi tagli sulle risorse finora attivate (o, meglio, sopravvissute alle precedenti potature)?

 

La riforma indica alle risorse umane della scuola (lavoratori, studenti, famiglie) cosa fare, cosa imparare, cosa attendere. Ma, purtroppo, non indica il come e affida, per sottointeso, il compito di realizzarne i complessi obiettivi esclusivamente a coloro che affrontano la quotidianità della prassi scolastica, senza averli coinvolti nel processo di elaborazione della riforma, se non per consultazioni relative ad ambiti applicativi (variazioni ai quadri orario o a modalità di insegnamento).

 

I problemi sono numerosi e gravi, ma non si risolvono in un’attività di progettazione fine a se stessa e pesantemente condizionata da una politica di riduzione della spesa pubblica; la scuola viene presentata come una voragine di sprechi, popolata da personale fannullone ed incompetente, perciò deve necessariamente venire ridimensionata nei suoi consumi, data la generale crisi economica.

 

E’ opportuno avviare un ragionamento articolato, e partecipato, sulla questione, riportando almeno tre esempi di incongruenza fra le direttive della riforma e la pratica della realtà scolastica.

 

  1. I tagli dei fondi destinati alle supplenze.

Senza negare sprechi dovuti a disfunzioni, disservizi ed abusi, bisogna, però, ricordare che fra i tagli ritenuti inevitabili, e già effettivi, rientra quello della retribuzione delle supplenze per periodi brevi, il cui onere è passato dallo Stato ai fondi del singolo Istituto, che, nella maggior parte dei casi, a stento riescono a coprire i costi dell’amministrazione ordinaria (materiali di cancelleria, manutenzione macchine, riparazioni strutture…), per cui se il Dirigente non può pagare il supplente e non ha personale interno disponibile, o suddivide gli alunni in più classi (scuole dell’infanzia e primarie) o le lascia scoperte. Naturalmente, il personale fannullone ed incompetente, non comprendendo che si tratta di sistemi innovativi per incentivare l’autonomia gestionale degli studenti e la resistenza psico-fisica di insegnanti che si trovano in classe anche 32 bambini, per partito preso, cerca solo pretesti per demolire una visione illuminata del risparmio.

                                      

  1. I laboratori fra costi e necessità.

Un altro esempio di incongruenza fra virtuale e reale riguarda l’impiego costante del laboratorio e degli strumenti multimediali, che viene esplicitamente sollecitato dalla predetta riforma e presuppone:

§   l’allestimento e la manutenzione di strutture molto costose, in numero adeguato per scuole, che, a seguito della politica economica degli accorpamenti, tendono ad accogliere mediamente 900 alunni;

§   la formazione del personale tecnico e docente, che deve imparare e tenersi costantemente aggiornato.

 

Ma se, già allo stato attuale, mancano i fondi per attività didattiche e laboratoriali indicate come fondamentali, così come quelli per le supplenze, nella prospettiva delle ulteriori riduzioni previste dalla riforma, nessuno potrà realizzare i magnifici programmi, che rimangono la pubblicità delle belle intenzioni dei bravi legiferanti, incompresi e bistrattati da personale fannullone, incompetente e pure polemico.

 

3. L’educazione all’analisi della società della telecomunicazione, delle immagini e del virtuale.

Nel Profilo d’uscita, fra gli obiettivi del Liceo delle scienze umane viene indicato:

 

•  possedere gli strumenti necessari per utilizzare, in maniera consapevole e critica, le principali metodologie relazionali e comunicative, comprese quelle relative alla media education.

 

Il quadro orario generale non prevede discipline direttamente afferenti alla media-education (linguaggi non verbali e multimediali, previsto nel Liceo delle scienze sociali,  scompare); tale apprendimento viene destinato agli insegnamenti facoltativi o opzionali? Ma non dovrebbe essere più caratterizzante? La società contemporanea è dominata dalle tecnologie informatiche e della telecomunicazione, nonché dalla trascuratezza nei confronti dell’analisi e della conoscenza di strumenti e linguaggi ormai fortemente presenti e condizionanti la realtà; tali tecnologie possono attivare modelli relazionali alternativi, o addirittura antagonisti, a quelli della scuola e, per la loro vastissima diffusione nell’immaginario degli adolescenti, dovrebbero essere materia di studio e conoscenza, non solo per il liceo delle scienze umane. Sino a qualche anno fa, la problematica caratterizzante l’espressione scritta era quella che gli studenti scrivevano come parlavano, adesso è quella che scrivono come vedono, ovvero con una costruzione sintattica e logica frammentata e inconclusa: riproducono il linguaggio analogico delle immagini nell’ambito della scrittura. Il fenomeno potrebbe costituire interessante, e pragmatico, ambito di indagine per i sociologi, ma, nel contempo, pone una problema nuovo agli insegnanti, in quanto non si risolve con la correzione e il consolidamento di competenze espressive già strutturate, seppur instabilmente.

La questione, di cui la scuola riflette solo alcuni dei suoi aspetti, si inquadra nelle analisi che, nella scala evolutiva dell’uomo, intravedono la definizione di una vera e propria forma mentis, in cui, a causa della sovraesposizione a stimoli visivi, le competenze logico-analitiche stanno involvendo, mentre le aree ancestrali della percezione sono caricate a dismisura da flussi emozionali disordinati, scomposti e violenti. Le competenze che si stanno perdendo sono proprio quelle sui cui la scuola principalmente istruisce la sua attività. L’obiettivo è incommensurabile: arginare la repentina, e sembra inarrestabile, regressione di abilità sedimentatesi nel corso di millenni e, almeno finora, indicative del livello di progressione della razza umana.

La decodifica della realtà, ormai, passa attraverso competenze relative a tipologie di testi non solo verbali, la cui analisi sarebbe pertinente all’insegnamento della media-education, che viene, però, intesa dai riformisti come una metodologia e, quindi, non come disciplina. Pertanto, non definendo una professionalità autonoma, sarà spalmata nei programmi dell’insegnamento di materie affini (italiano, psicologia, sociologia, filosofia, storia, ma anche geografia, latino, lingue straniere, musica, arte e, perché no?, matematica, che contempla l’informatica), accrescendo il capitale umano di tuttologia mediante tempestivi corsi di formazione, possibilmente on-line, perfezionando così, in economia, le competenze richieste. La cabina di regia della riforma, data l’esperienza dei suoi componenti, è consapevole della questione e delle conseguenze che, nel corso degli anni, mano mano che le attuali giovani generazioni assumeranno nella società responsabilità dirette (minime o massime che siano), incideranno sempre più pragmaticamente sulla capacità di organizzazione e di esecuzione dei compiti e dei lavori, nel vissuto individuale e collettivo. Ma allora perché i riformisti non possono cedere rispetto alla definizione della media-education come una professionalità specifica di insegnamento? Per coerenza con la visione illuminata del risparmio, stroncando così le altre analoghe, prevedibili richieste di proliferazioni disciplinari, considerate superflue, dispersive e dispendiose? Per convinzione che l’istruzione e la formazione degli studenti così contemplata siano coerentemente funzionali al quadro futuro della società? Per la sensazione di smarrimento e di impotenza rispetto a problematiche così complesse in una generale situazione di crisi? Per quale altro ipotizzabile motivo???   

 

L’amministrazione statale ribadisce che le spese per la scuola sono eccessive e che bisogna coraggiosamente avviare la vera politica del risparmio, per evitare di incorrere in situazioni insostenibili; viene considerato irrinunciabile tagliare gli investimenti sulla formazione delle giovani generazioni - ovvero i nostri figli, gli eredi delle magnifiche e progressive sorti del futuro - che già pongono condizioni molto problematiche per la scuola. 

Ma quale credibilità, quale autorevolezza può avere una fonte, che proclama la necessità di sacrificare le risorse per la scuola, a vantaggio di urgenze sociali più pressanti, ma non interviene, ad esempio, nei confronti delle cassa-integrazioni concesse ad aziende che chiudono in Italia, per aprire all’estero?

Quale credibilità, quale autorevolezza rispetto a richieste di risparmio che considerano sacrificabili gli apprendimenti e la formazione delle giovani generazioni, dei nostri figli, rispetto, ad esempio, alle spese profuse per opere faraoniche irrealizzate e, forse, irrealizzabili, per i sistemi di appalto delle grandi opere pubbliche perennemente sotto indagini della magistratura, per l’uso privato di aerei di stato, per i contributi stanziati per le vacanze di giovani ed anziani?

 

Sicuramente la scuola non può riqualificarsi con una politica di ulteriori tagli sulle risorse che rappresentano gli investimenti per il futuro, né senza mettere in discussione, in un quadro unitario di riforma, anche i problemi concreti, quali l’ingestibilità di istituti o contesti drammaticamente svantaggiati, ove la scuola diventa un contenitore o una discarica di tensioni psico-sociali e non luogo di cultura, o le questioni aperte, quali la valutazione e l’autovalutazione dei processi di apprendimento, compresa l’efficacia del lavoro dei docenti. Si tratta di fatti ed argomenti disturbanti, che alimentano scontri impopolari, ma rappresentano alcuni dei veri problemi della scuola, rimandati ad altri imprecisati momenti di analisi ed evidentemente non considerati parte integrante di un quadro di riforma complessivo, presentato in forma discontinua.

 

  2. Qual è il quadro unitario della riforma, tanto epocale che deve essere promulgata a puntate da quasi due anni a questa parte, forse per evitare sconvolgimenti emozionali agli impreparati utenti?

 

La riforma viene trasmessa a puntate.

Nel febbraio 2010, periodo di iscrizioni per le scuole superiori, sono stati appena resi noti i profili in uscita dei licei e i quadri orario, mesi dopo la pubblicazione del Regolamento; ancora misteriosi rimangono i programmi, la definizione delle classi di concorso per gli insegnamenti sulla base delle mutazioni disciplinari o degli indirizzi di scuola, alcune attribuzioni dei percorsi di studio agli istituti, le modalità di formazione e reclutamento dei docenti. L’orientamento per le famiglie sarà necessariamente approssimativo.

E’ inevitabile chiedersi perché la riforma non è stata varata, dopo aver sviluppato e chiarito tutte le sue implicazioni.

Si tratta di ineluttabili necessità logistiche di bruciare le tappe, perché senza la riforma adesso il sistema scuola è talmente compromesso da poter crollare nell’imminenza?

Si tratta di una precisa scelta di presentare un pezzo per volta dell’intero impianto, perché i riformisti vogliono proprio presentarlo in maniera frammentata o perché non sono riusciti ancora a completarlo?

Se il fine primo della riforma è la riqualificazione della scuola, e non solo una politica di tagli, non avrebbe, a rigor di logica, dovuto essere pubblicizzata una volta completa in tutte le sue componenti?

 

Interrogativi, dubbi, perplessità non vogliono ostacolare, per spirito di contraddizione, l’impegno dei riformisti a potenziare la qualità della scuola pubblica, ma mettere in evidenza il profondo scollamento fra le linee programmatiche delle menti legiferanti (la cabina di regina della riforma), sicuramente animate dai più nobili proponimenti, e la concretezza delle problematiche e delle risorse, sicuramente controverse e disarticolate. Assicurare agli studenti profili in uscita del qualificante livello ipotizzato nella riforma prevede competenze del magico e del soprannaturale per gli addetti ai lavori, soprattutto perché i profili in entrata sono, sempre più spesso, definiti su caratteri diametralmente opposti.

 

La scuola rispecchia la società: stimoli, distonie, dissesti. Motivo per cui, senza una linea programmatica elaborata sull’analisi delle dinamiche reali che coinvolgono – ma, ahimè, anche sconvolgono, involvono - i partecipanti della scuola, nessuna riforma potrà avere un’incidenza pragmaticamente qualificante, nessuna riforma potrà garantire la piena funzionalità della scuola a formare persone in grado di sostenere un futuro prevedibilmente destabilizzante. Manca, cioè, una teoria programmatica, credibile sulla base di analisi del concreto, su cui impostare le strategie operative.

 

Bisogna avvicinare la scuola virtuale a quella reale, ascoltando la viva voce di tutte le risorse della scuola: non sono sufficienti gli ineccepibili curricula dei registi della riforma. Gli organi collegiali (personale, studenti, famiglie) devono essere consultati relativamente alla loro esperienza e alla loro valutazione sul presente e alle loro aspettative sul futuro della scuola; ogni istituto, anche in forma di rappresentanze significative di realtà socio-territoriali caratterizzanti, dovrebbe essere invitato ad esprimersi, sulla base di modalità e parametri incentrati sui nodi focali comuni, che i dirigenti ministeriali, votati all’efficientismo aziendale, saprebbero indubbiamente elaborare su criteri di essenzialità, praticità ed economicità. 

 

D’altronde, sulla base del quadro emergente dall’analisi, anche le componenti della scuola devono mettersi in discussione, soprattutto rispetto al ginepraio della questione (auto) valutazione, che rappresenta l’essenza stessa della scuola ed una questione destinata, per sua natura, a rimanere sempre aperta, sempre in discussione:

  • sapere, capire se ha istruito e formato persone in grado di interagire propositivamente nel contesto di inserimento;
  • monitorare e rielaborare interventi e strumenti sulla base dei risultati, della risposte e delle modificazioni del contesto di cui è funzione. Ad esempio, un artigiano può valutare il prodotto del suo lavoro sulla base di parametri oggettivamente e rapidamente misurabili, quali la funzionalità, la resistenza, il gradimento del mercato, mentre valutare l’apprendimento e le competenze di persone in formazione, in particolare rispetto alle capacità e ai metodi impiegati, è difficilissimo: lo stesso insegnante può misurare risultati diversissimi nella stessa materia per la stessa classe. E’ un processo che, per la complessità delle sue implicazioni, non trova una risoluzione definitiva in parametri immutabili ed infallibili, ma sicuramente incoerenze e disfunzioni manifeste possono essere corrette; le risorse della scuola devono prendersene l’impegno e la responsabilità.

 

A tutti sta a cuore l’istruzione dei giovani, studenti e figli, perché essi rappresentano il futuro e il loro futuro passa attraverso gli insegnamenti della scuola, un’istituzione antichissima, che accompagna l’evolversi della civiltà umana, fin dal suo definirsi nella forme via via più complesse. Quello che caratterizza la riforma è, di fatto, un’ulteriore riduzione degli investimenti, che non può assolutamente migliorare la qualità dell’istruzione, già ampiamente messa in discussione nell’immaginario collettivo, come nell’esempio dei due articoli di seguito riportati. Senza investimenti, non c’è sviluppo; l’opportunità di tagli così gravosi dovrebbe essere inequivocabilmente motivata alla luce di un piano di risparmio - a quanto si dice inevitabile - che non lasci adito a dubbi sulle priorità attribuite all’interesse pubblico.

 

Ida Maffei,

una madre e lavoratrice nella scuola

 

 

LA SCUOLA NELL’IMMAGINARIO COLLETTIVO: DUE ARTICOLI.

 

Fonte: 5/2/2010 La Stampa

 

La scuola in saldo e la riforma che non c'è.  

di Pietro Ratto

 

Meno ore in classe? Un altro passo verso il baratro, dopotutto. Un’altra concessione alle esigenze di alunni sempre meno interessati a conoscere e sempre più orientati a incassare, a buon mercato, punteggi e titoli di studio. Da una decina d’anni la scuola italiana si è progressivamente allineata alla logica aziendale dello standard americano, adottando politiche da supermercato. Ha fatto di tutto per trasformarsi in un grande magazzino di saperi minimi a basso prezzo, trattando con i ragazzi e le loro famiglie esattamente come si fa con una clientela più o meno affezionata.

La cosiddetta Scuola dell’Autonomia ha cominciato a considerare gli studenti come una preziosissima risorsa economica. Più studenti ci sono, più progetti possono essere attivati; più progetti attivati, più finanziamenti dal Ministero. Più soldi, più laboratori, strutture, ecc. Improvvisamente i Dirigenti Scolastici (non chiamateli più Presidi, per carità. La loro missione è quella del Manager, quella del professionista col cellulare appeso all’orecchio, che costantemente s’ingegna a produrre utili per la sua Azienda), si sono accorti della necessità di attirare il maggior numero di clienti-studenti (con corsi di judo e snowboard, cineforum, viaggi d’istruzione sempre più turistici, sempre meno didattici, ecc), in modo da formare il maggior numero possibile di classi e assicurare, così, il lavoro ai propri insegnanti.

Abbiamo cominciato a finire in presidenza noi docenti, invece che i nostri alunni. Abbiamo iniziato ad essere redarguiti dal Manager per le troppe insufficienze. Abbiamo appreso con una certa difficoltà che il Ministero aveva stabilito una soglia minima di alunni per ogni classe. Se bocci troppo c’è il rischio che la smembrino e tu perda il posto di lavoro. Tutto qui!

La qualità dell’insegnamento? E cosa conta, ormai? La nuova scuola della riforma punta alla quantità, prevede classi di trenta alunni quando è difficile far lezione a venticinque. Non si occupa delle dimensioni e della fatiscenza delle aule. Un’idea per il Ministro: perché non soppalcarle? Che affare raggiungere la soglia dei quaranta studenti, disponendoli su due piani!

Abbiamo iniziato a corteggiare i ragazzi, a promuoverli senza che lo meritassero, per poter mantenere le nostre famiglie. Abbiamo subìto comportamenti sempre più indisciplinati, rimanendo letteralmente disarmati. Molti di noi hanno chiesto almeno la reintroduzione del vecchio voto di condotta, che poteva ancora far «paura». L’unica, recente concessione è stata una valutazione disciplinare che fa media con gli altri voti, che premia anche i più bulli. Sai che pacchia beccarsi un sei o un sette, che non fa che incidere positivamente su una sfilza di quattro e cinque in pagella! Niente meno che l’ennesima iniziativa promozionale rivolta ai nostri clienti.

Ci sono difficoltà di trasporti? Il vostro bimbo torna a casa troppo tardi ed è costretto a saltare la merenda? La scuola provvede con le ore di cinquanta minuti! I genitori vorrebbero tanto andare in montagna tutti i week end? La scuola risponde con la settimana corta! I nostri clienti non hanno voglia di studiare? La scuola si affretta a concedere qualsiasi forma di recupero possibile. Vuoi mica bocciare qualcuno e rischiare di perdere la cattedra? Vuoi mica dare un cinque e vederti arrivare a casa un ricorso?

I nuovi tagli alla scuola rientrano in questa perfetta logica aziendale. La stessa logica che insegna ai nostri giovani a farsi i conti in tasca e a non far niente per niente. Quella stessa filosofia che ha introdotto nelle nostre aule il lessico bancario dei crediti e dei debiti. Spendere meno per incassare di più. La nuova riforma non riforma nulla, va esattamente nello stesso senso delle altre. La quinta e la sesta ora di lezione sono pesanti? Meglio eliminarle, piuttosto che insegnare ai nostri giovani a concentrarsi meglio e di più. Metti che poi, magari, prendano il vizio e comincino a farlo spesso. Metti che imparino poi a concentrarsi su una società che fa buchi da tutte le parti, su una politica che è solo una vetrina per ottenere potere e ricchezza. Su una cultura che è diventata il regno della banalità. Metti, addirittura, che imparino a pensare! No, no. Meglio tagliare ore a scuola e mandarli a casa prima, a giocare sul computer, a stamparsi davanti alla tv.

Meglio formare generazioni di vitelloni superficiali e ignoranti.

Facilmente comprabili, perfettamente manipolabili.

 

 

Fonte: Benedetti Giulio, Pagina 25, (20 gennaio 2010) - Corriere della Sera

Scuola - L’indagine compiuta assieme all’Accademia della Crusca. Analizzate 6 mila prove dell’esame del 2007

«Metà studenti da bocciare in italiano»

L’Invalsi: nei temi della maturità errori di ortografia e periodi senza senso

ROMA — Alla fine del percorso scolastico, dopo 13 anni di lezioni ed esercitazioni, la prova scritta di italiano rappresenta un problema per la metà degli studenti. Errori di ortografia, uso inappropriato della punteggiatura, periodi senza senso: sono sbagli che ricorrono con preoccupante frequenza negli elaborati della maturità 2007, sottoposti al vaglio dell’accademia della Crusca e dell’Invalsi (l’Istituto per la valutazione). La prova di italiano, la più importante nella tradizione scolastica, alla quale viene attribuito un significato culturale fondamentale, non gode di ottima salute. La sua cartella clinica è la spia di difficoltà che riguardano la capacità di organizzare gli argomenti, di padroneggiare la sintassi. Dalla correzione dei temi da parte dei commissari della maturità tutto questo però non appare. Un velo di comprensione e buonismo riduce a una quota minima la percentuale delle prove insufficienti. «Ho qui un tema della maturità 2007 — dice la professoressa Elena Ugolini, dell’Invalsi— è pieno di errori gravissimi di ortografia come "dopo guerra" o "degl’anni", di errori di punteggiatura, dell’organizzazione logica della frase che evidenziano un livello linguistico di terza elementare. Mi domando che cosa è stato insegnato a questo ragazzo in 13 anni di scuola». «Non si tratta di povertà di pensiero—continua —, ma di non possesso di strumenti essenziali: un ragazzo così che futuro può avere. La scuola si deve interrogare». Le difficoltà dei nostri diciottenni sono venute alla luce con un’indagine condotta dall’Accademia della Crusca e dall’Istituto di valutazione su 6.000 prove scritte di italiano della maturità 2007. Gli elaborati già valutati dai membri interni sono stati sottoposti ad altre due correzioni. Una «libera », affidata a dei professori che si sono attenuti a criteri soggettivi, l’altra basata su criteri guida elaborati dall’Accademia della Crusca al fine di accertare la padronanza della lingua italiana. Ed ecco il risultato. I commissari hanno assegnato un punteggio basso, cioè meno di 10 (per ciascuna delle tre prove scritte il punteggio va da 1 a 15, ndr) al 20 per cento dei ragazzi. Per i correttori «liberi» invece i temi insufficienti erano il 52 per cento. Ancora più severo il giudizio dei correttori che hanno misurato la padronanza linguistica degli studenti con i criteri indicati dalla Crusca: bocciato il 58 per cento dei temi. Per gli esaminatori ufficiali il 25 per cento dei temi meritava un punteggio alto, da 13 a 15. Per i correttori liberi e quelli che hanno utilizzato i criteri della Crusca i temi ben scritti erano rispettivamente il 12 e il 14 per cento. La prima cosa che salta agli occhi è la differenza tra il primo giudizio, quello ufficiale, e le due successive valutazioni, in qualche modo coincidenti. Alla maturità un po’ più di oggettività nei punteggi non farebbe male. Ma il dato più preoccupante che l’indagine Crusca- Invalsi fa emergere è quello della padronanza della lingua e delle capacità espressive acquisite al termine di un intero ciclo di istruzione.

 Poi, ciascuno può osservare, riflettere, considerare, obiettare, approvare, rassegnare…

 


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