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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
- ISSN 1973-252X
Direttore responsabile: Dario Cillo


 

 

SCUOLE DI MONTAGNA ADDIO?*

di Pasquale D'Avolio

 

Quando si pensa alla scuola di montagna vengono in mente le immagini romantiche di un tempo: piccoli edifici immersi nel verde (o più spesso innevati), aule riscaldate  con una stufa a legna accesa in un angolo, alimentata con le legna portate  dagli alunni; maestri che risiedevano magari per l'intera settimana  in appartamentini ricavati nell'edificio e che raggiungevano la scuola a piedi o con gli sci. Secondo una legge degli anni 30 i Comuni dovevano provvedere all'alloggio dei maestri; alle famiglie competeva il riscaldamento e spesso anche il vitto. Molte di queste sedi sono ancora lì, trasformati magari in centri culturali o in alloggi per turisti. [i]    

Nel frattempo la diminuzione della popolazione montana e il decremento massiccio della natalità hanno messo a dura prova la sopravvivenza di queste comunità e conseguentemente delle Scuole di montagna: nel giro di pochi anni i plessi o punti di erogazione del servizio, nonostante le deroghe previste per la formazione delle classi, sono diminuite sensibilmente con l’accentramento nel fondo valle della popolazione scolastica  In Italia i comuni  di montagna  sono 4201, sono abitati da circa 10.8000.000 residenti, un numero considerevole che va però suddiviso tra le migliaia di frazioni o centri abitati, il che rende nei fatti insostenibile la sopravvivenza di plessi decentrati. Anche laddove le scuole resistono, il rapporto alunni-classe è decisamente squilibrato rispetto a quello delle città e così si pongono inevitabilmente problemi di costo su cui si è cominciato a riflettere. Mancano a tutt’oggi dati certi sul numero di scuole ubicate in montagna (quella vera intendo!) e sul numero di pluriclassi, che a seguito dei parametri fissati dal DPR 81/2009 per la formazione delle classi sono aumentate in maniera sensibile, interessando anche i paesi di fondovalle. Scuole di montagna addio? Se ciò dovesse avvenire a perderci non sarebbero solo gli abitanti delle “terre alte” ma l’intero sistema scolastico nazionale per le ragioni che dirò successivamente. Si tratta di capovolgere il concetto di montagna ( e quindi di scuole di montagna) come “problema” e di considerarla piuttosto come una “risorsa”

 

UNA SCUOLA PER IL TERRITORIO. Il Progetto ministeriale del 1996

Prima di parlare di costi  è importante soffermarsi sul valore non solo economico o sociale quanto culturale che rappresentano le scuole di montagna. Molto si è scritto a tal proposito, anche se il tutto potrebbe essere ricondotto a un puro discorso di autodifesa dei montanari nei confronti di coloro che insistono prevalentemente sulla efficienza e l’economicità del servizio scolastico. Non è solo un problema di “equità” o di pari opportunità per tutti i cittadini italiani, richiamandoci all’art. 3 della Costituzione o all’art. 44 (tutela e salvaguardia delle zone montane). Sono alle nostre spalle gli anni dell’inurbamento spinto fino alla vera e propria “desertificazione” di intere zone della montagna o della campagna italiana e non solo italiana: i prezzi pagati a questo “meccanismo di sviluppo” nei decenni trascorsi sono presenti a ciascuno di noi e in tempi di green economy abbiamo preso atto che va rivisto e valorizzato quanto le “terre alte” possono dare alla stessa economia nazionale in termini di sviluppo sostenibile [ii] . Ma il prezzo maggiore lo si è pagato in termini di perdita delle differenziazioni culturali  e di omologazione, senza rifarsi alle note riflessioni pasoliniane. Le Scuole di montagna hanno saputo difendere questo patrimonio culturale e sociale fino a quando è stato consentito loro di permanere sul territorio. Lo sgretolamento del tessuto sociale e civile della montagna italiana  non potrà essere recuperato che in parte e il mantenimento del presidio scolastico nei limiti consentito non tanto dalle risorse finanziarie ma delle condizioni complessive del servizio stesso appare come una necessità non tanto e non solo per gli abitanti della montagna, ma per l’intero paese.

Alcuni anni fa fu predisposto dal Ministero dell’Istruzione e dell’Agricoltura un Progetto specifico per le Scuole di montagna denominato “PROGETTO  DI   SVILUPPO  GLOBALE  DELLA  MONTAGNA   ITALIANA” ( Legge n. 97/1994  e  D.I. n. 176 del 15.3.1997). Iniziative straordinarie per gli Istituti comprensivi in montagna per la crescita della Comunità, che coinvolse in prima battuta 26 Istituti Comprensivi appositamente finanziati, ma che si è arrestato negli anni successivi, come siamo abituati ormai a vedere le cose in Italia. E ciò nonostante il bilancio tracciato al termine della prima esperienza fosse molto lusinghiero. L’elemento interessante del Progetto era che la Scuola diventava un volano per la crescita della intera comunità, ben sapendo il valore e i limiti di tale intervento se concentrato solo sull’istruzione.  .

“Puntare tutto sulla scuola, e solo sulla scuola, non basta: occorre muoversi in direzione dello sviluppo globale di ciascuna area montana omogenea (Comunità Montana), facendo perno sulle esigenze formative e scolastiche di tutta la popolazione (alunni, genitori ed adulti) e sostenendo uno sviluppo il più possibile autopropulsivo anche nel  settore economico, nella tutela e promozione delle risorse naturalistiche legate all'ambiente montano, nei servizi sociali e sanitari, nella tutela della cultura e delle tradizioni locali” La Scuola quindi come fattore di sviluppo culturale complessivo e agente principale della individuazione delle risorse locali, centro di animazione e di gemellaggi, centro sociale di educazione degli adulti e per la formazione continua, inclusa la formazione professionale. Ma l’affermazione più impegnativa era la seguente : Il territorio montano non va più considerato uno svantaggio a causa delle distanze dai grandi centri, dei trasporti difficili e del ricambio continuo di insegnanti. Questa ottica negativa va ribaltata. Partendo da un'acquisizione di carattere culturale, che la montagna è ambiente ecologicamente privilegiato e che, pertanto, essa è in grado di proporsi come fattore di qualità della vita anche per le comunità abitanti le pianure e le stesse città,

Il progetto come si diceva ebbe vita breve ma l’esperienza di quel Progetto attuata dalle 26 scuole “privilegiate” può costituire un utile punto di riferimento per una riconsiderazione del problema delle scuole di montagna, piccole ma anche “grandi” scuole

 

LE PICCOLE-GRANDI SCUOLE

Ma dove risiede il valore e la forza delle scuole di montagna e quale “modello” possono costituire per il resto del paese? Essa risiede principalmente nella forza della relazione  con la comunità locale innanzitutto e nel legame con l’habitat naturale che purtroppo è precluso alle scuole di città e soprattutto delle periferie urbane. Come si esprime una Dirigente scolastica di montagna “Il tutto è inserito in un contesto di riferimento fatto di senso di appartenenza, di legame con il territorio, di forte solidarietà sociale, di situazioni socio- emotive”[iii]. La Scuola non è l’edificio o le aule con i banchi, separate dal contesto sociale. I maestri non sono solo gli operatori scolastici  inviati a volte da lontano e che, quando sono animati da una forte motivazione pedagogico-didattica, finiscono per diventare a loro volta degli alunni che imparano dalla gente del posto, che non disdegnano di far entrare  altri “maestri” come gli anziani, gli agricoltori, gli artigiani di montagna a far lezione per gli alunni e per sé stessi. Ma è soprattutto l’ambiente circostante a fungere da “aula aperta” come si esprimono le Nuove Indicazioni del 2007. Un operatore turistico della Carnia ha diffuso un bellissimo dépliant propagandistico dal titolo “Una maestra chiamata montagna”, dove si mostra praticamente come attraverso escursioni, visite alle malghe o alle botteghe si possano apprendere cose che altrove bisogna mostrare attraverso materiale audiovisivo o riproduzioni in laboratorio.

Mi piace qui citare uno straordinario Progetto realizzato nel mio Istituto Comprensivo di montagna (Paularo, in Friuli)  in cui gli alunni per alcuni anni hanno seguito un corso di educazione ambientale attraverso lezioni in aula ed escursioni in montagna. L’aspetto più interessante è che i ragazzi non solo hanno appreso le caratteristiche geomorfologiche, la flora e la fauna della propria vallata, ma hanno messo a disposizione di eventuali visitatori esterni (per lo più scolaresche) queste loro conoscenze, proponendosi come “guide ecologiche ” per i ragazzi della loro età. Le attività scolastiche hanno ricevuto il sostegno, oltre che dell’Amministrazione comunale, della Provincia, del CAI e del corpo forestale, inserendosi nel Progetto Eco-museo del Comune di Paularo. Se dovessi poi citare la mole di lavori di ricerca, le pubblicazioni a stampa, le iniziative volte alla valorizzazione del patrimonio culturale attuate da maestri e bambini delle scuole di montagna verrebbe fuori un vero “archivio” della memoria collettiva. Senza la Scuola ciò non sarebbe stato possibile.

Ma anche le innovazioni tecnologiche hanno un terreno privilegiato nella montagna (nonostante l’handicap della banda larga), dove il problema delle distanze e dell’isolamento spingono a volte le scuole a ingegnarsi per approntare progetti di teledidattica, presenti in molte zone di montagna dal Piemonte alla Toscana al Friuli.

Di pratiche innovative nelle Scuole di montagna si occupa da anni la Fondazione Sanpaolo di Torino, che indice annualmente un Concorso denominato “Centomontagne”: un archivio di “buone pratiche” al quale possono attingere tutte le Scuole del paese, di montagna e no.

 

I CONTI …… NON DEVONO TORNARE?

Ma c’è il problema dei costi. Indubbiamente il costo-alunni in montagna è decisamente superiore rispetto a quello della città. I casi riportati dall’indagine di TUTTOSCUOLA con esempi eclatanti[iv] fanno riflettere, ma il discorso non può essere generalizzato e soprattutto bisogna tener presente il dato complessivo. Come viene affermato nel Documento sulle scuole di montagna elaborato a Sestino (AR) nel 2009 “Le piccole scuole non rappresentano un costo aggiuntivo se si esce dalla logica economicistica e si guarda ai costi sociali e culturali che la scomparsa delle sedi più decentrate può comportare senza tener conto anche dei costi reali degli altri servizi legati alla scuola e che sparirebbero con la scuola L’abbandono dei paesi, specie decentrati e di montagna, da parte delle famiglie giovani, che si trasferiscono in città o in pianura, comporta un costo oltre sociale, anche economico per garantire gli essenziali diritti di assistenza alla popolazione anziana. Privare un paese della Scuola significa indurre allo spopolamento e alla presa in carico da parte delle istituzioni dei servizi di assistenza che la permanenza dei giovani può garantire a minor costo”. Pertanto diversamente da quanto si affermava nello stesso documento di Sestino con un paragrafo paradossale, alla fine “I CONTI TORNANO”.

Si può tuttavia pensare a un intervento aggiuntivo da parte degli Enti locali, dalla Regione ai Comuni, o addirittura delle famiglie per salvaguardare dei presidi scolastici la cui valenza appaia degna di una salavaguardia, al di là dei parametri? Nell’art. 64 della L. 133/2008, il tema veniva toccato, laddove si affermava al comma 4 f-ter)nel caso di chiusura o accorpamento degli istituti scolastici aventi sede nei piccoli comuni, lo Stato, le regioni e gli enti locali possono prevedere specifiche misure finalizzate alla riduzione del disagio degli utenti” Evidentemente qui si partiva già dalla chiusura o accorpamento e le misure erano volte e ridurre il disagio nei trasferimenti degli alunni. Ma si potrebbe verificare il caso che l’intervento sia finalizzato proprio ad evitare la chiusura, sempre tenendo presenti comunque gli interessi degli alunni, ai quali non gioverebbe il mantenimento comunque sia del servizio in loco, specie quando i numeri siano insostenibili da un punto di vista educativo e didattico. Mi riferisco in sostanza a casi in cui i parametri per la formazione delle classi porterebbero più che alla chiusura del plesso a un diffondersi di “pluriclassi”, cosa che si sta già verificando in molte realtà, soprattutto a seguito del DPR 81/2009 (limite massimo portato a 19 invece dei 13 precedenti). In casi del genere ad esempio si sa che la Regione Piemonte ha previsto interventi a favore delle Comunità montane nel cui territorio esistono Scuole di montagna con queste “criticità”, così da integrare gli organici con personale assunti “a progetto”. E laddove ad esempio non si voglia chiudere un plesso di Scuola dell’infanzia sottodimensionato, perché non pensare a un orario solo mattutino con personale dello Stato (attualmente l’organico prevede 2 insegnanti nelle sedi con 40 ore settimanali) integrando le ore pomeridiane con personale pagato dal Comune con un piccolo contributo delle famiglie? Parlo di situazioni particolari in cui lo spostamento di bambini di 3/5 anni a Km di distanza risultasse improponibile; esistono diverse soluzioni in questi casi, dal volontariato alle parrocchie fino all’assunzione di personale temporaneo. In fondo la gran parte dei Comuni si sobbarca le spese per i “centri estivi” o per altri servizi all’infanzia. Il contributo da parte delle famiglie aveva provocato forti reazioni quando ai tempi della Riforma Moratti si paventava un contributo delle famiglie o degli EELL per l’orario opzionale-aggiuntivo, che poi in effetti non partì per mancanza di organico statale. L’intervento finanziario delle famiglie per l’istruzione in Italia non ha grande considerazione, il che non sempre è un dato positivo. Se andiamo a guardare le statistiche internazionali, i consumi delle famiglie italiane per l’istruzione sono tra i più bassi in assoluto, ma magari siamo ai primi posti per altri consumi voluttuari.

E’ vero che non si può cominciare dai più “deboli”, dalla montagna. A costo di attirarmi le maggiori reprimende, chi scrive non troverebbe scandaloso che il tempo pieno, laddove è semplicemente “tempo lungo” a vantaggio delle famiglie, comportasse un intervento integrativo da parte degli EELL, i quali potrebbe avvalersi della “fiscalità generale o del sostegno delle stesse famiglie.

Con l’attuazione del Titolo V e il passaggio di competenze alle Regioni si tratterà di trovare le soluzioni più adeguate al contesto con il sostegno e la partecipazione dei Comuni montani, a cui l’UNCEM (l’Associazione che li rappresenta a livello nazionale e locale) potrebbe offrire il supporto tecnico-organizzativo.    

 

* da “Rivista dell’istruzione” n. 4/2010 Direttore G. Cerini, Maggioli Editore

[i] Di tali scuole ne esistono ancora in molte valli alpine e non solo in Italia. Qualche anno fa ebbe un certo successo un film  “Essere ed avere” del regista francese Nicholas Philibert, il quale descrive appunto la realtà di una piccola realtà scolastica in un angolo della Francia

[ii] Si legga a tal proposito il prezioso volume edito l’anno scorso da Il Mulino-Ariel : La sfida dei territori nella Green economy, a cura di Enrico Borghi con prefazione di Enrico Letta

[iii] Carla MAROTTA: “Scuola di montagna” in Voci della Scuola 2010, Tecnodid

[iv] Considerando che mediamente una piccola scuola strutturata su 3 classi si avvale di 4-5 insegnanti e di una unità di personale ausiliario, si può stimare che per il solo personale statale i costi per stipendi e accessori, oneri riflessi compresi, si aggirino mediamente intorno ai 180-200 mila euro all’anno, con un costo medio per alunno intorno ai 7 mila euro all’anno. Se la scuola, come a volte capita, è organizzata a tempo pieno il costo pro capite sale a 9,5 mila euro l’anno. Circa il doppio di una scuola standard con 20 alunni per classe”. Dal Dossier di TUTTOSCUOLA “Risparmi e qualità” sul sito www.tuttoscuola.it

 


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