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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
Direttore responsabile: Dario Cillo


 

Se vogliamo che cambi, diamole fiducia

 

Riordinando le idee dopo mesi di fuoco, acceso dalle continue notizie sulla malascuola, molte/i di noi pensano che si debba pur dire e fare qualcosa per richiamare l’attenzione di chi può decidere il cambiamento, per scuoterne la coscienza annebbiata dai clamori mediateci, per pretendere garbate e sensate azioni condivise volte al risanamento pedagogico, non soltanto volte a sanzionare e a giudicare in base ad eventi di nera cronaca scolastica.   

Improvvisamente la violenza sembra dilagare nelle aule, violenza generalmente ai danni di alunni indifesi. Qualche caso c’è anche di atti aggressivi verso professori finiti all’ospedale per aver subito essi stessi pestaggi…

D’altra parte la violenza fa parte dell’essere umano e delle relazioni che intercorrono serpeggiando fra persona e persona. O.K.

Tuttavia per ciò che riguarda la scuola, tralasciando i vari ambiti lavorativi di rapporti tra “minori” e “maggiori”di cui si potrebbe discorrere, pare essere evidente uno stato di angoscia, di chiusura, di solitudine, di abbandono dei docenti immersi nella quotidianità pulsante di contraddizioni.

Da una parte si chiede ad essi di sopperire alle lacune della società civile in ogni ambito, da quello degli stadi a quello della strada con i suoi pericoli e le sue regole, da quello dell’allarme pedofili a quello del rispetto e dell’integrazione nel senso più esteso del termine; dall’altra, ogni istante, Ministri in carica e media pontificano sull’inadeguatezza dei docenti!

Quelli più inesperti e più fragili (come a volte, naturalmente, lo sono i giovani alle prime armi) arrivano a scuola con la testa infarcita di teorie (splendide!), ma poi devono fare esperienza con una realtà che mette a dura prova la loro tenuta emotiva: classi numerose, inserimenti selvaggi, regole esistenti ( ma spesso non sostenute dall’istituzione che tutto perdona, perfino la violenza verbale e materiale, a famiglie esigenti, pretenziose di risultati, tanti e subito), Dirigenti timorosi di scontentare Territorio e bacino d’utenza…

Quelli più esperti si mordono le dita perché “in alto”nessuno ascolta il grido d’allarme che essi lanciano ogni santo giorno dai Collegi, dai Consigli d’Istituto, dai Consigli di Circolo…

E’ un grido che vorrebbe richiamare l’attenzione sulla necessità improrogabile ormai di tornare a parlare di scuola reale, di apprendimento-insegnamento, un grido accorato per far sì che si abbandoni la mania distruttiva di ragionare soltanto in termini di cifre e di malascuola, per imboccare finalmente la strada della pedagogia riflessiva, della ricerca metodologica, della didattica, abbandonando la follia collettiva dell’adesione a progetti che non sono sostenibili soprattutto in termini di tempo sottratto al momento dell’apprendimento delle discipline scolastiche vere e proprie.

Studenti e studentesse hanno bisogno di tempo per la riflessione, per il consolidamento degli apprendimenti, di imparare a studiare e a essere autonomi nella ricerca personale di strategie di apprendimento utili nel loro futuro…

La scuola deve cambiare nella direzione di un ripensamento della conduzione delle classi, dei programmi, dei rapporti con le famiglie; deve riappropriarsi del timone dell’insegnamento-apprendimento, ma per far questo abbisogna di sostegno prima di tutto sociale, politico, economico…non deve essere continuamente messa alla berlina: il danno potrebbe divenire irreversibile. Una società civile che non dà fiducia alla scuola, che la dileggia, che non ne vede le luci puntando il dito soltanto sulle ombre, è una società becera e malata che non ama i milioni di giovani che ogni giorno devono poter fidarsi di chi detiene l’onere e l’onore dell’insegnamento…

Togliamo fiducia ai giovani e li perderemo.

E’ un maledetto serpente che si mangia la coda!

Invece credo sia giusto dare una delega in bianco alla scuola “dimenticandola” per qualche tempo, lasciandola ricostruire un modo nuovo di esistere, fornendole per qualche anno vera autonomia nella scelta dell’organizzazione, della valutazione, della selezione dei programmi di ogni disciplina, autonomia nella gestione dei rapporti con le famiglie, nella scelta delle regole da rispettare per alunni e docenti con rigore nel pretendere osservanza delle stesse senza sconti e titubanze…

Doniamole autonomia nella scelta di seri aggiornamenti sulle discipline e sulle metodologie di conduzione delle classi… Autonomia però significa anche ricevere dalla società una delega per poterla esercitare, magari con un cospicuo impegno economico di tutti, con i sacrifici di tutti i cittadini impegnati a sostenere lo sforzo di un investimento sul sapere e sulla cultura.

Ma per far sì che la scuola divenga seriamente autonoma non la si potrà più costringere a essere vittima di se stessa con la continua sua povera ricerca di aiuti economici esterni, con la pretesa che essa possa tutto risolvere, anche ciò che in realtà le competerebbe soltanto in minima parte…

Darle autonomia decisionale significa anche accettare la scuola per ciò che essa è: una fucina di sapere-educazione e non di servizi, non di progettazioni una tantum per darsi lustro spendendo denaro inutile in esperti e iniziative disparate se pur degnissime nei contenuti…

Darle autonomia significa accettare che possa rivoluzionare al suo interno i modi e le forme del far scuola e dell’abitarla, perché essa possa costruire con ragazze e ragazzi, ormai provenienti da tutto il mondo, apprendimenti solidi e fondanti, senza perdersi nel bosco delle proposte provenienti dall’esterno…

Ragazze e ragazzi godono già di spezzatini di saperi e sapere al di là delle mura scolastiche! Non facciamo che anche all’interno vengano spezzati loro stessi e le discipline da interruzioni di dubbio valore didattico…Ragazze e ragazzi hanno bisogno contemporaneamente di ascolto e di regole condivise, ma perché ciò sia possibile, necessitano di tempo, di approfondimenti, di provare e riprovare, di condividere il sapere e la vita in una scuola capace di far muovere le loro menti con il lasciare a essi stessi il compito della rielaborazione, della scoperta, del successo intellettivo, del cercare le motivazioni all’indagine di tipo culturale…

La scuola dovrà abbandonare la consuetudine dei compiti a casa senza regole condivise e dello studio solitario senza  prima averlo impostato in modo sempre più raffinato nei successivi gradi di istruzione, per diventare invece un ambiente privo di competizioni negative, di punteggi, di sanzioni dell’ultima ora; dovrà diventare luogo della costruzione, dell’errore accettato come “normale”, del superamento dell’errore, della possibilità della ricaduta…dovrà diventare scuola dei patti, dei contratti stipulati fra persone di buona volontà in grado di riprendersi dopo aver sbagliato…

Una volta scrissi che nessuno studente all’inizio del percorso di studi va a scuola per fallire, per essere considerato un imbecille…qui sta il punto! Non c’è persona al mondo che lo voglia! Eppure noi crediamo che coloro i quali si ribellano, questo vogliano, che coloro i quali affermano “me ne frego della scuola”, siano sinceri, ma così non è: semplicemente essi non trovano la loro strada nella scuola strozzata da se stessa, nella scuola che non trova essa stessa la propria strada, quindi non gliela sa mostrare carica com’è di ostacoli alla realizzazione del successo formativo! Allora finiamola di mescolare la cultura gentiliana con quella del saper fare in un calderone di proposte che portano soltanto alla sensazione di non avere tempo per dare tempo all’apprendimento delle basi per poi poter volare!

6 marzo 2007

Claudia Fanti


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