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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
Direttore responsabile: Dario Cillo


 

Tempo scuola, flessibilità, autonomia (*)

di Maurizio Tiriticco

 

Una Costituzione di marca sovietica?

Con l’attuale legge di riforma e con il varo del suo primo decreto applicativo, la prima osservazione da fare è che il tempo scuola , quale noi siamo abituati a conoscere e a praticare, è fortemente messo in discussione! Perché?

Vediamone le ragioni e, permettetemi, in apertura, alcune considerazioni tra l’amaro e l’ironico!

Ho sempre avuto molti dubbi, da quando nel 1947 fu varata la Costituzione repubblicana, circa la sua originalità, il suo innesto sulla nostra storia e la nostra cultura! Nonostante ci fosse stato l’illustre contributo di insigni uomini politici e costituzionalisti, da De Gasperi a Togliatti, a De Nicola, Einaudi, Mortati, Terracini, ho sempre temuto che in essa ci fosse… è difficile a dirsi… lo zampino di Mosca!!!

Ed il che, finalmente, mi è stato confermato dal nostro Presidente del Consiglio dei ministri che a “Porta a porta” di qualche sera fa ha detto testualmente che la nostra Costituzione “è stata scritta sotto l’influsso del pensiero sovietico”!

Ben venga allora, una sua revisione, una sua rivisitazione in termini assolutamente nuovi e, soprattutto, liberali! O… liberisti? Una riscrittura si è già verificata, con il novellato Titolo V, ma in funzione della prospettiva federalistica e della attribuzione di maggiori poteri alle Regioni e alle comunità locali! Il che non ha nulla a che fare con il liberismo classico!

Però, in fatto di scuola, si è voluto andare oltre, o meglio, tornare indietro, e si è voluto prefigurare un’altra Costituzione, per un altro Paese, per un Paese che non c’è e che non vogliamo!

 

Dell’eguaglianza e della differenza

 

Ma, veniamo al dunque!

Se andiamo a leggere le Indicazioni nazionali per i Piani di studio personalizzati per la scuola primaria e secondaria di primo grado, Indicazioni allegate al decreto legislativo 59, leggiamo testualmente. I corsivi sono miei.

(La scuola primaria) assicura obbligatoriamente a tutti i fanciulli le condizioni culturali, relazionali, didattiche e organizzative idonee a <<rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale>> che, limitando di fatto la libertà e la giustizia dei cittadini, <<impediscono il pieno sviluppo della persona umana>> indipendentemente dal sesso, dalla razza, dalla lingua, dalla religione, dalle opinioni politiche e dalle condizioni personali e sociali (art. 3 della Costituzione).

(La scuola secondaria di primo grado) mira a <<rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale>> che, limitando di fatto la libertà, <<impediscono il pieno sviluppo della persona umana>> indipendentemente dal sesso, dalla razza, dalla lingua, dalla religione, dalle opinioni politiche e dalle condizioni personali e sociali (art. 3 della Costituzione).

Dall’uso attento dei caporali, ci accorgiamo che l’estensore del testo ha operato dei tagli! Ma, perché l’articolo 3 della Costituzione non è stato citato nella sua interezza? Leggiamolo allora nel suo testo originale. I corsivi sono miei.

“E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

In ambedue le versioni delle Indicazioni la parola eguaglianza è stata cancellata! Per la scuola primaria è stata sostituita con il termine giustizia che, per come è collocato, non ha alcun significato plausibile: certi ostacoli non limitano la giustizia dei cittadini, semmai rendono difficile l’esercizio della giustizia per i cittadini! Per la scuola secondaria di primo grado la parola eguaglianza non è stata sostituita affatto!

A mio avviso, la soppressione del concetto di eguaglianza non è stata casuale, ma è conforme con la vocazione politica degli uomini dell’attuale maggioranza e con la loro visione della società, del servizio pubblico, dell’istruzione.

Il loro pensiero in effetti è questo: l’eguaglianza è una “cosa”di sinistra! E’ l’intrusione in una Carta liberale – o liberista? – del pensiero sovietico! Secondo la nostra destra, il concetto di eguaglianza, forse, era funzionale ad una società di reietti che si battevano per il pane, ma non ad una società tecnologicamente avanzata come la nostra in cui acquista sempre più valore un nuovo concetto, quello della differenziazione!

 

Della differenziazione, ovvero della personalizzazione

 

Tutti nasciamo eguali – sembrano dire i pensatori della destra – e se, poi, ciascuno assumerà un ruolo diverso nella società, ciò deriva dalla sua libera e personale scelta! E’ la teoria del liberismo più sfrontato! Quella per il quale le occasioni di successo sociale ci sono per tutti, e ciascuno nella sua libertà decisionale sceglie – se è capace di scegliere! – quelle che più ritiene opportune!

Così, ciascuno è causa della sua fortuna, come in egual misura ciascuno è causa della sua disgrazia! C’è chi si dà da fare e riesce, e chi non si dà da fare e rimane emarginato! E’ la teoria dell’uomo che si fa da sé! Dell’uomo che è imprenditore di se stesso! E, non a caso, l’imprenditorialità è la terza delle tre I che dovrebbero caratterizzare la politica scolastica del centro-destra! Ed allora, in forza della teoria del saperci fare, la ricchezza e la povertà sono soltanto l’esito dell’impegno o del disimpegno di ciascuno di noi! E i condizionamenti sociali costituiscono solo uno sfondo! Anzi, non esistono neanche come condizionamenti!

Dalla teoria della differenziazione a quella della personalizzazione il passo è breve! Siccome ciascuno è responsabile in assoluto delle sue scelte – sempre secondo la cultura della destra, o per lo meno di questa destra nostrana! – ciascuno ha diritto di scegliere ciò che gli è più congeniale, in nome della sua “libera scelta”!

Si tratta di una deduzione logica che, per quanto riguarda soprattutto l’istruzione del primo ciclo, può provocare conseguenze assolutamente deleterie!

 

I saperi essenziali di base come patrimonio comune

 

Ma vediamo il perché! Tutto l’impianto della riforma di questo governo di centro-destra si fonda su questo principio: è la famiglia che sceglie il percorso formativo del figlio in ordine alle sue personali potenzialità, capacità, attitudini, vocazioni! E’ la famiglia che “dice” alla scuola quello che la scuola “deve fare”!

Ciò costituisce un adagio costante delle esternazioni della Moratti: secondo il ministro, fino ad oggi alunni e famiglie sono stati a servizio delle imposizioni della scuola e dei programmi ministeriali: di una scuola, cioè, eguale per tutti e quindi ingiusta perché non rispettosa delle differenti esigenze e vocazioni di ciascuno; ora, invece – sempre secondo la Moratti – è la scuola che deve essere a servizio delle esigenze degli alunni; una scuola, quindi, che deve essere diseguale per tutti, perché a ciascuno deve dare in funzione delle sue personali ed ineludibili richieste! Si tratta di una lettura del personalismo cattolico veramente singolare! Se non, addirittura, di una sua mistificazione!?

E – sempre secondo la Moratti e la sua maggioranza – la scuola che questo governo ha ereditato è la scuola che ha prodotto e produce soltanto tassi bassissimi di conoscenze e competenze rispetto a quanto accade nei Paesi europei più avanzati. Ma la Moratti non dice che la nostra scuola obbligatoria è quella che da anni si è maggiormente preoccupata di ridurre quei tassi di dispersione che, invece, in certi altri Paesi sono più alti che da noi!

E vanno fatte altre considerazioni: a) che la nostra scuola obbligatoria ottonale è molto più giovane (la legge istitutiva è del ’62!) delle analoghe scuole dei Paesi europei più avanzati, nei quali opera da più anni; b) che in questi Paesi le istituzioni locali e il sistema dei servizi diffusi sul territorio svolgono una azione di decondizionamento che aiuta la scuola, mentre da noi questo compito è affidato quasi esclusivamente alla scuola; c) che, se la nostra scuola dell’obbligo avesse seguito fin dagli anni Sessanta la strada della personalizzazione, il divario con certi Paesi in fatto di conoscenze di base essenziali sarebbe ancora più ampio di quanto le ricerche testimoniano; d) e che è per questo insieme di ragioni che in altri Paesi i tempi scuola sono più brevi che da noi, e che un insegnante europeo mediamente ha a che fare con un numero di alunni più alto che da noi!

Le affermazioni della Moratti sono deboli e la verità è un’altra! Che la nostra scuola del primo ciclo, anche se deve assolutamente migliorare in qualità, non può abbandonare un percorso che da anni ormai ha avviato e persegue. Si tratta del percorso che intraprese dopo la denuncia di Don Milani (la Lettera a una professoressa è del ’67) e dopo il movimento del ‘68, esattamente dagli anni dei “decreti delegati” (’74), dei “nuovi” programmi della scuola media (’79), dei “nuovi” programmi della scuola elementare (’85). E’ la strada che ha permesso di elevare la cultura generale del Paese e di battere pressoché totalmente l’analfabetismo, anche se certe ricerche denunciano che un analfabetismo di ritorno minaccia di colpire almeno un terzo della nostra popolazione!

 

Personalizzazione vs dispersione?

 

In altre parole, non possiamo assolutamente dire che abbiamo già vinto una battaglia civile e culturale, in forza della quale sarebbe oggi possibile che famiglie ed alunni possano scegliere liberamente il corso degli studi e il tempo scuola. E ciò vale soprattutto per quanto concerne il primo ciclo, che dovrebbe assicurare a tutti i cittadini di raggiungere i livelli essenziali di quelle conoscenze e competenze di base che sono a tutti comuni e che tutti debbono possedere in egual misura!

Non è assolutamente vero che nel nostro contesto socioeconomico e culturale, ancora estremamente fragile, una famiglia e un bambino possano scegliere in assoluta libertà questo o quel percorso formativo! Non possono farlo perché i condizionamenti che vietano di fatto questa presunta libertà sono ancora molto forti e pesano ancora su un gran numero di famiglie! Per non dire, poi, che oggi nel nostro Paese ed in tutte le società ad alto sviluppo è molto difficile definire che cosa sia esattamente la “famiglia”! Per non dire, ancora, della presenza sempre più massiccia nel nostro Paese di altre etnie, di altri modelli di famiglia e di riferimenti socioculturali! Sono tutte realtà con cui i nostri insegnanti si debbono misurare quotidianamente.

Il compito della società e delle istituzioni, oggi, deve essere più decisivo che mai nella lotta contro i condizionamenti socioeconomici e culturali. Non è con la personalizzazione che si combatte e si abbatte la dispersione. Se personalizzare significa dare a ciascuno ciò che chiede, la dispersione è destinata ad aumentare!

E, se questa battaglia deve proseguire per essere vinta, non possiamo permettere che le famiglie abbiano un diritto prevalente di scelta – come vuole il decreto 59 – in ordine a contenuti ed obiettivi di insegnamento su cui lo Stato e il suo sistema di istruzione debbono svolgere un ruolo primario!

E’ la scuola che legge e decodifica le esigenze degli alunni e che costruisce i percorsi più idonei perché questi, a livello di primo ciclo, possano raggiungere quelle competenze che debbono essere a tutti comuni per accedere con consapevolezza alle scelte ulteriori.

E’ soltanto a livello di secondo ciclo che può parlarsi di opzioni, di scelte differenziate, perché diversi e complessi sono i saperi, le competenze, i profili professionali che una società avanzata propone, e che diventano sempre più numerosi, ricchi, articolati: l’incremento della ricerca scientifica e delle applicazioni tecnologiche esprime un valore aggiunto sempre nuovo ai saperi, un valore che è assai difficile prevedere e misurare con esattezza!

A livello di primo ciclo, la scelta di una parte del tempo scuola affidata alle famiglie, per di più accompagnata da una drastica riduzione del tempo scuola obbligatorio forte, provocherebbe almeno due guasti! Da un lato le famiglie verrebbero illuse di avere competenze e responsabilità nel campo della istruzione e della formazione dei loro figli, che invece è di competenza primaria della scuola. Da un altro lato si frantumerebbero quei saperi essenziali che, invece, debbono essere patrimonio comune di tutti i cittadini che escono da una scuola obbligatoria di primo ciclo.

 

In difesa della Costituzione

 

Quanto detto non significa che le famiglie non debbano essere ascoltate dalla scuola! E’ dagli anni Settanta che fanno parte integrante degli organi collegiali che la governano! Ed è giusto che tale processo vada avanti e che, con l’autonomia, le famiglie e le istituzioni territoriali ritrovino nuovi spazi, più agibili e più incisivi per il miglioramento della qualità della scuola!

Mai, però, in funzione di una confusione di ruoli! Del resto la riscrittura del Titolo V della Costituzione, operata con la Legge 3/01, chiama in causa direttamente una maggiore partecipazione delle istituzioni e dei cittadini nelle loro istanze sociali e associative. Quell’articolo 3 della Costituzione del ’47, così manomesso dagli estensori delle Indicazioni nazionali, non viene affatto messo in discussione dal Titolo V, anzi viene convenientemente arricchito ed integrato! Nell’articolo 118 viene introdotto il principio di differenziazione, ma questo viene coniugato con quelli di sussidiarietà e di adeguatezza. E nel 119 si afferma che è compito dello Stato “promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona”.

Nella misura in cui, nella prospettiva federalista, si amplia l’area della democrazia e della partecipazione delle comunità e dei cittadini, si fanno anche più rigorose le prerogative del potere centrale nella “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale” (articolo 117, lettera m).

Ciò significa che non siamo il paese delle meraviglie! E che non ci possiamo permettere di dare a ciascuno quello che ciascuno può chiedere, ma che ancora – e chissà per quanto tempo ancora! – dobbiamo dare a ciascuno quello di cui ha effettivo bisogno! Non possiamo confondere i diritti di tutti con i capricci di pochi!

In tale scenario costituzionale, la scuola non può essere un servizio alla persona tout court, di carattere privatistico, ma una istituzione sociale impegnata a formare un cittadino preparato e responsabile. Le indicazioni della Carta costituzionale non sono un optional. Non possiamo essere d’accordo sulle finalità che la Legge 53/03 assegna al sistema di istruzione, laddove letteralmente si legge: “Sono promossi il conseguimento di una formazione spirituale e morale, anche ispirata ai principi della Costituzione, e lo sviluppo della coscienza storica e di appartenenza alla comunità locale, alla comunità nazionale ed alla civiltà europea”. Mi preoccupa il richiamo alla formazione spirituale e morale, stante l’estrema incertezza contenutistica e valoriale di concetti che attengono più alla ricerca filosofica che all’esercizio dell’insegnare e dell’apprendere. E mi preoccupa quell’anche, che ho reso in corsivo, perché sembra significare che la Costituzione costituisca una semplice variabile in un processo di sviluppo/crescita e apprendimento, ora e qui, in un’Italia repubblicana.

Non vorrei – e non vorremmo – che quella scelta che ha ispirato i programmi del rinnovamento nel ’79 e nell’85 (sarebbe opportuno ricordare anche il ’91, l’anno degli Orientamenti della scuola dell’infanzia!), centrata su un preciso asse storico-scientifico, per quanto attiene alle conoscenze, e civico-costituzionale, per quanto attiene ai valori, venisse a poco a poco attenuato e svilito con il procedere della riforma!

 

Per una riscrittura delle Indicazioni nazionali

 

Mi preoccupa – e penso preoccupi qualunque uomo di scuola! – il fatto che, se si va ad una lettura comparata delle Indicazioni nazionali con i programmi del ’79 e dell’85, nonché con gli Orientamenti del ’91, emergono con chiarezza differenze enormi, in ordine alle finalità, ai contenuti, agli obiettivi, ai metodi che vengono descritti e suggeriti alle scuole!

Alla compattezza ed alla solidità culturale e pedagogica dei primi documenti si contrappone l’estrema pochezza delle Indicazioni. Siamo tutti d’accordo sul fatto che, in un momento storico in cui così rapidamente si evolvono vicende e concetti, è opportuna una rivisitazione e una riscrittura di quei documenti, ma sulla linea della continuità, non su quella del capovolgimento! Tanto più che il capovolgimento è di una estrema equivocità.

Quei documenti avevano a monte – ed hanno ancora – i fondamenti della ricerca educativa più avanzata, anche a livello internazionale! Le teorie del curricolo e della programmazione avevano ed hanno origini lontane, suffragate da sperimentazioni e riflessioni di tutto rilievo.

Nessuno nega che una lettura ed una applicazione approssimate di tali indicazioni abbiano portato a volte a pratiche troppo tecnicistiche, tanto da provocare addirittura il movimento dei Postprogrammatori! D’altra parte, però, nessuno può negare che è da quelle teorie che abbiamo imparato a rendere più flessibili ed efficaci i percorsi formativi delle nostre scuole. E’ con l’individualizzazione degli insegnamenti che abbiamo imparato ad analizzare la cosiddetta situazione iniziale, i livelli di partenza degli alunni, per curvare e modulare i contenuti e gli obiettivi dei programmi nazionali alle concrete realtà socioculturali con cui si operava. Sono anni che non esiste più quella scuola rigida ed impositiva che la Moratti sostiene di avere ereditato!

A fronte dello spessore culturale (l’asse storico-scientifico e costituzionale) e pedagogico-didattico (la programmazione curricolare) dei programmi di allora, non corrisponde nelle Indicazioni nazionali un impianto egualmente credibile e scientificamente giustificato! Si dà per morto l’approccio curricolare, si introduce il concetto di Unità di apprendimento che dovrebbe sostituire quello di Unità didattica e, forse, quello di Modulo; ogni tanto si accenna ad un fantomatico ologramma, ma non se ne dà alcun conto né alcun referente scientifico!

Per non dire poi del rapporto che dovrebbe correre tra Unità di apprendimento e Piani di studio personalizzati (un piano per ciascun alunno!?), un rapporto che si dà per scontato ma che, forse, è solo nella mente dell’ignoto estensore delle Indicazioni!

Per non dire delle acrobazie a cui dovrebbero ricorrere gli insegnanti quando dovranno estrapolare, dedurre, inventare, dalle due colonnine delle conoscenze (che poi conoscenze non sono, ma contenuti!) e delle abilità disciplinari, gli obiettivi formativi al fine di aiutare (ma che brutto verbo in materia di apprendimento!) lo studente a costruire le sue personali competenze!

Ma vi è anche un altro punto dolente di tutta l’operazione Indicazioni! I programmi di allora sono tutti debitamente firmati da disciplinaristi, pedagogisti, esperti a diverso titolo, nominati dal ministro pro tempore con formale decreto numerato, datato, argomentato e mirato. E sono programmi sanzionati formalmente: o decreti ministeriali o dpr! Non è dato conoscere quale sia il valore scientifico delle Indicazioni né la loro legittimità formale! Sono semplicemente allegate al decreto! Molti provvedimenti legislativi contengono allegati, ma si tratta di allegati tecnici! Le Indicazioni non possono essere considerate un allegato tecnico, in quanto costituiscono – o dovrebbero costituire – parte viva di quelle norme generali sull’istruzione e di quei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, di cui all’articolo 117 della Costituzione.

Ed ancora: si afferma candidamente nel decreto (articoli 12, 13 e 14) che l’assetto pedagogico, didattico ed organizzativo di cui ai quattro allegati (scuola dell’infanzia, scuola primaria, scuola secondaria di primo grado, profilo di uscita del 14enne) viene adottato in via transitoria fino all’emanazione dei relativi regolamenti governativi!

Quale livello di certezza concettuale e di sicurezza operativa viene dato agli insegnanti che debbono attuare la riforma, quando viene candidamente detto loro che debbono lavorare sulla base di Indicazioni che hanno un carattere transitorio e provvisorio?

Ma è una scelta seria questa adottata dal Miur?

Per tutta questa serie di ragioni, che afferiscono alla Costituzione, alla scientificità della ricerca educativa, alla legittimità formale, ritengo che sia opportuno chiedere con forza che venga istituita una commissione ad hoc, largamente rappresentativa della cultura e della pedagogia nazionali, a cui sia affidato il compito di riscrivere le Indicazioni nazionali! Tra i tanti tavoli che il ministro ha allestito, ne crei uno che attenda seriamente a scrivere le norme generali sull’istruzione per quanto attiene i primi tre gradi di scuola, tenendo conto sia dei principi fondamentali che connotano la nostra Repubblica (art. Cos. 117) sia dei livelli essenziali delle prestazioni che la scuola di base deve garantire per salvaguardare i diritti civili e sociali dei cittadini (art. Cos. 117).

 

L’autonomia come garanzia per l’innovazione

 

L’ultima edizione della circolare 29 che accompagna il decreto 59 contiene una premessa che non figurava in una precedente redazione, ancora non ufficiale. Si tratta di una serie articolata di considerazioni sull’autonomia e si afferma esplicitamente – anche se con un pessimo ghirigoro sintattico – che “con specifico riguardo all’autonomia scolastica si evidenzia che il nuovo Titolo V della Costituzione attribuisce alla stessa, nell’ambito e in funzione delle finalità del sistema scolastico nazionale, un riconoscimento di rango primario”.

Indubbiamente, la pressione dei sindacati e dell’associazionismo del personale della scuola nonché delle manifestazioni degli ultimi giorni ha spinto l’amministrazione a considerare che l’autonomia non è un optional!

Si riconosce che spetta “alle istituzioni scolastiche autonome il compito di dare efficace attuazione ai principi fondamentali ed alle norme generali definiti nel sistema di istruzione, secondo modalità e criteri ispirati alla più ampia flessibilità, conformemente alle disposizioni di cui agli articoli 4 e 5 del DPR 275/99 sull’autonomia didattica e organizzativa”. Fatto sta che i principi fondamentali e le norme generali, di cui al decreto 59, hanno ancora carattere transitorio! E sono questi, semmai, che hanno un carattere di optional!

E’ in questa situazione di estrema carenza normativa che la scuola potrebbe correre il rischio di essere esposta a più intrusioni eterogenee e contrapposte: da un lato le famiglie che potrebbero rivendicare il loro ruolo di scelta prevalente in ordine agli spezzatini di orario che il decreto propone; dall’altro l’amministrazione che vorrà monitorare e verificare come procede il processo riformatore; da un altro ancora la difficoltà di dover realizzare sic et simpliciter Indicazioni nazionali assai impasticciate!

A mio avviso – ma penso ad avviso di tutti – occorre richiamarsi con forza all’autonomia delle istituzioni scolastiche, che è norma costituzionale, quindi norma più che primaria!

Occorre che le Istituzioni Scolastiche Autonome, le ISA, eventualmente anche collegate in reti ed in consorzi (art. 7 del DPR 275/99), propongano in prima battuta al territorio, anche nel contesto/scenario della programmazione territoriale (art. 3, comma 2, del DPR 275/99; art. 138 del D. Lgs. 112/98, che conferisce alle Regioni la funzione della programmazione dell’offerta formativa e della rete scolastica), quei percorsi formativi per i quali dispongano delle risorse e in forza dei quali garantiscano quell’apprendimento efficace e quel successo formativo che debbono perseguire per norma.

Le famiglie sceglieranno certamente, ma sulla base di precise offerte avanzate dalle istituzioni scolastiche nella loro autonomia. Afferma Silvio Criscuoli, DG per gli Ordinamenti del Miur, in L’avvio della riforma su un recente numero di “Scuola e Didattica”: “Le Indicazioni nazionali riconoscono alle famiglie ed agli alunni il diritto di usufruire di una quota oraria facoltativa/opzionale; questo non significa però che le famiglie siano legittimate a richiedere un qualsiasi incremento orario da 1 fino a 99 ore (primaria) e a 198 (secondaria di 1° grado). Sarebbe questa una visione errata dell’esercizio del diritto, che non tiene conto del fatto che la scelta non si esercita su quantità orarie vuote, ma su insegnamenti o attività strutturate anche sotto il profilo orario”.

Inoltre, le famiglie dovrebbero essere consapevoli che, se non scegliessero altro oltre le quote orarie obbligatorie (che sono 891 annue per ambedue i gradi di scuola, a fronte delle 1000 ore circa dei previdenti ordinamenti), sarebbe difficile garantire ai loro figli quel livello di preparazione che giustamente si attendono dalla scuola pubblica. Dovrebbero essere consapevoli che sarebbe molto difficile per qualsiasi istituzione scolastica – soprattutto per quanto riguarda la “nuova” scuola media –conciliare l’aumento delle materie con una drastica riduzione degli orari di insegnamento/apprendimento. E’ noto che con l’orario obbligatorio sono penalizzate in termini orari anche discipline fondamentali, come lettere, matematica, scienze, tecnologia, lingue straniere. Per non dire che l’informatica – una delle famose tre I – e l’Educazione alla Convivenza Civile vengono considerate attività trasversali, anche se nelle Indicazioni si danno precisi riferimenti in ordine a contenuti e ad obiettivi specifici di apprendimento.

In conclusione, in forza del fatto che è l’autonomia ad avere un preciso fondamento costituzionale a fronte di Indicazioni che hanno un carattere transitorio, a mio vedere è necessario che dirigenti ed insegnanti, singolarmente e nei loro organi collegiali, assumano iniziative decise, responsabili, forti sotto il profilo educativo e didattico, dando vita a proposte che tanto più saranno inattaccabili quanto più saranno motivate e finalizzate sotto il profilo istituzionale e formativo.

Iniziative in tal senso potranno realizzare due importanti obiettivi: quello di dare risposte costruttive alle attese del territorio e degli alunni, e quello di dare indicazioni precise all’amministrazione per un ripensamento sui nodi problematici della innovazione e per una riscrittura delle Indicazioni nazionali.


intervento al seminario della UIL Scuola, Come cambierà la nostra scuola?, Ascoli Piceno, Cartiera papale, 12 marzo 2004


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