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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
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Una nuova governance della scuola tra democrazia, progettazione e partecipazione

di Silvio Minnetti

Integrazione di funzioni e di competenze, progettazione condivisa nel quadro della partecipazione: è questo lo scenario atteso dai dirigenti scolastici e dalle altre componenti responsabili del governo democratico della scuola. La prima risposta viene dal documento del Ministro Fioroni del 3 aprile 2007 “ Verso le indicazioni nazionali” : “ gli insegnanti e i dirigenti non sono ridotti al ruolo di tecnici dell’istruzione o di manager dell’organizzazione, ma sono riconosciuti e responsabilizzati come educatori ed i genitori non sono percepiti, a loro volta, semplicemente come clienti o utenti, ma come partner di un’impresa condivisa.

Il processo di decentramento di competenze e di responsabilità dallo Stato alle Regioni, Province, Comuni ed alle scuole autonome ha ampliato la funzione del dirigente scolastico ma oggi è necessaria una nuova proposta di formazione dei dirigenti delle istituzioni scolastiche e pubbliche rispetto alla categoria di pura managerialità.

Si chiede di partire dal territorio, dai suoi bisogni e dalle attese sociali. Il Dirigente, pertanto, è chiamato alla sfida di una scuola sempre più agenzia di promozione dello sviluppo sociale, culturale ed economico della comunità locale, attraverso un’offerta meno generalista e più centrata sull’apprendimento1.Le nuove competenze richieste dalla competizione internazionale impongono infatti una visione culturale più ampia rispetto alle questioni puramente organizzative e sindacali. Il federalismo scolastico, nato dalla riforma del Titolo V della Costituzione, chiede a tutti equilibrio tra autonomia, unità del sistema educativo- formativo, creatività, mentre viene superato il modello gerarchico nell’organizzazione pubblica.

Quale governance è richiesta allora ai fini di un sistema formativo integrato? Quali comportamenti sono richiesti come buone prassi ai nuovi dirigenti scolastici selezionati in un lungo concorso ordinario ( 2004-2007) per fondare un modello di leadership educativa sul territorio? La classe dirigente italiana non ha, come rilevato dalla ricerca del prof. C. Carboni dell’Università Politecnica delle Marche, le caratteristiche del merito, della giovane età e della creatività, ma ora il sistema impone una svolta.2 I 5000 nuovi dirigenti immessi in ruolo nei prossimi tre anni ( quasi il 50%) sono chiamati a dare un segno di profonda innovazione. La cultura richiesta è quella della responsabilità, della competenza, della cooperazione e della competizione. Il rilancio della credibilità della scuola passerà soprattutto attraverso la capacità di indicare la rotta, di risolvere problemi di comunicazione, di interpretazione della realtà e di progettazione. Recuperare la motivazione di studenti e docenti, ricreare fiducia e stima sociale verso l’istituzione scolastica: questa è la forte responsabilità sociale dei dirigenti. Una formazione continua degli stessi potrà creare le condizioni per una governance all’altezza delle sfide attuali.

A tal fine non basta il decisionismo del dirigente- manager spostando l’attenzione dalla democraticità all’efficienza. La scuola non è infatti un’impresa . Bisogna tornare alla metafora della scuola come comunità di Dewey e Mounier. Questo significa far propri alcuni elementi della cultura d’impresa per rendere più efficienti i processi mentre si tende essenzialmente a valorizzare le persone-docenti-studenti-genitori-collaboratori tecnici nella comunità educante .Questa rappresenta un modello di ordine sociale caratterizzato dal principio della solidarietà spontanea , in collaborazione variabile con il mercato e con lo Stato ( F . Fistetti). Al suo interno vive un io multiplo inteso come cittadino, soggetto di diritti, persona in formazione, capace di dissenso critico e di autonomia individuale nella responsabilità. La condivisione ed il dono sono i due paradigmi della comunità. Si determina così una esposizione comune degli uni agli altri, un’esistenza condivisa, costitutivamente aperta alla comprensione dell’altro.3 Come superare l’aporia impresa/comunità, utilità/dono, efficienza/idealità? Solo attraverso una mediazione continua tra queste antinomie si uscirà dal dilemma. Una fede continua nella democrazia, intimamente unita a quella nell’esperienza e nell’educazione, consentirà di agire governando e creando, secondo l’insegnamento di Mounier. Essendo la persona comunicazione, s’impone il primato dei valori della cultura e del vitale sulla semplice utilità materiale immediata. Sarà allora la pedagogia dell’impegno intimamente connesso con l’apprendistato della libertà a costruire la persona secondo la sua natura complessa.

Siamo chiamati a realizzare vere comunità di insegnamento-apprendimento, comunità professionali di dirigenti, docenti ed impiegati, comunità partecipate di genitori, studenti, enti ed associazioni del territorio.

In questo contesto la scuola dovrà presentare un suo bilancio sociale, una rendicontazione sociale, economico-finanziaria. In altri termini dovrà rendere conto alla società nel suo complesso dei risultati della sua attività, attraverso un processo informativo continuo, interrogabile, ripetuto. L’accountability consiste infatti, in un processo di scambio continuo di comunicazione e informazione.4

E’ evidente che serve un ripensamento degli attuali organi collegiali ed un pluralismo progettuale e metodologico all’interno della comunità scolastica.

Essendo il management pura gestione della complessità e la leadership invece, capacità di indicare la direzione del cambiamento, si staglia all’orizzonte l’esigenza di una leadership democratica ed efficace, orientata a costruire comunità, curvando allo scopo le funzioni ed i ruoli, mediante un intelligente uso delle risorse e dei vincoli.

Per unire una comunità con un legame intimo non è dunque sufficiente che il suo ideale sia puro o vero ma deve ancora permettere l’adesione consenziente e progressiva. Altrimenti una cappa di conformismo peserà sulla comunità unitamente ad un rigore legale, a un’ipocrisia legale, ad un’atmosfera irrespirabile e mortale per l’uomo.” ( Mounier)

E’ chiaramente insufficiente il paradigma dell’utilità nelle società vitali, come è sotto gli occhi di tutti, nel mondo della scuola in particolare. La crisi della scuola non si supera scimmiottando il management delle imprese. Serve un valore aggiunto: la leadership democratica ed efficace capace di ridefinire la direzione, la visione del futuro, secondo l’ideale puro di Mounier. Non basta una perfetta pianificazione, buco nero che assorbe tutte le energie, serve piuttosto una leadership che sviluppa e realizza l’orientamento delle persone. E’ questa l’adesione consenziente e progressiva. Il Dirigente scolastico nuovo costruisce una visione comune, valorizzando le competenze individuali, sollecitando motivazioni profonde, coinvolgendo le persone nel processo decisionale, sostenendole nella crescita professionale, modificando la mentalità attraverso la cura della ricerca educativa, della progettazione nella condivisione. Leader di leader ( T . Sergiovanni), egli è capace di mettere i suoi collaboratori in condizione di diventare leader di se stessi. E’ questo l’empowerment in una comunità delle competenze distribuite. In conclusione, accanto ad una decisionalità diffusa serve una leadership comunitaria.

Quale democrazia dopo l’introduzione dell’autonomia a partire dal 1997, vera riforma della scuola negli ultimi anni? Innanzitutto il curricolo deve partire dalle esigenze formative degli alunni concretamente rilevate, in un quadro generale di continuità didattica e di orientamento. Spetta al Collegio dei docenti uscire dal formalismo per strutturarsi in maniera flessibile e tale da suscitare il protagonismo creativo delle molteplici risorse culturali in esso presenti. La gestione democratica impone però un sforzo enorme per non disperdere in mille rivoli tali energie.

Stranamente in piena epoca di globalizzazione e di società liquida ( Baumann), cresce la voglia di legami sociali autentici e di comunità. Ma, per navigare in questo mare di incertezza, bisogna ricordare l’insegnamento

di E. Morin:” Si dovrebbero insegnare i principi di strategia che permettano di affrontare i rischi, l’inatteso, l’incerto e di modificarne l’evoluzione…” 5 Il primo rischio è quello dell’omologazione culturale. Come conciliare, allora, l’unità e le diversità, la libertà degli interessi, il peso delle offerte formative tra esplosione delle domande individuali e voglia di comunità come bisogno di costruire una identità collettiva? Come resistere alla visione del mondo di banchieri, manager e mercanti? Possiamo immaginare una diversa globalizzazione di unità nelle diversità in modo da salvaguardare fantasia, molteplicità, pluralismo, identità diverse che si donano reciprocamente per una ricchezza complessiva nella fraternità universale.

Il secondo rischio è quello di considerare la crisi della scuola risolvibile esclusivamente con l’introduzione dei metodi della Qualità totale. Senza creatività e tensione educativa sarà difficile infatti, avvicinare la realtà al disegno di un futuro desiderato. Una leadership visionaria e stile- coach è più appropriata rispetto a quella del battistrada fornito solo di strumenti manageriali. E’ l’intelligenza emotiva di Goleman il vero fattore di qualità dentro una istituzione-comunità educante.6

Dalla vision alla mission:senza visione non c’è tensione creativa, non c’è motivazione intrinseca al cambiamento. La capacità di offrire prestazioni pienamente corrispondenti ai bisogni ed alle attese degli utenti del territorio sarà la risposta di una scuola ricca di professionisti preparati e valorizzati.

Compito specifico della dirigenza sarà allora quello di ridefinire la direzione, la visione del futuro assegnando ruoli precisi, funzioni e responsabilità. In questa ricerca di una adesione consenziente e progressiva ad una visione comune consiste essenzialmente la nuova leadership. Motivazioni profonde e modelli mentali su questioni determinanti servono per andare oltre una grigia e stanca quotidianità. Si configurano in tal modo leader intesi come progettisti, educatori e coach, capaci di mettere gli altri in condizione di diventare leader di se stessi, oltre una dimensione puramente gerarchica. La decisionalità diffusa si trasforma allora in leadership comunitaria.

Ritornando a Mounier , quattro sono le dimensioni dell’agire: il fare come espressione dell’efficacia, l’agire come segno di autenticità, l’azione contemplativa come ricerca di perfezione e di universalità, l’azione comunitaria come attività più complessa, che si incarna in una comunità di lavoro .Oggi ci troviamo in questo bivio: soddisfare le esigenze immediate di un astratto cliente attraverso un’azione puramente efficiente o progettare, governare, educare, organizzare e pianificare nell’ottica di una pedagogia per la persona proiettata verso un futuro di bene comune.

Su che cosa si basa questa nuova democrazia scolastica?

Innanzitutto sulla capacità del dirigente scolastico di essere un leader con una visione condivisa, animato dalla forza dell’utopia che gli consente di pre-vedere e di migliorare la comunità di apprendimento attraverso un’azione collettiva. In secondo luogo è importante la costruzione comunitaria del sogno-progetto attraverso uno stile dialogico e rispettoso di tutti i passaggi istituzionali( consigli di classe, dipartimenti, collegio dei docenti, commissioni, consiglio d’istituto). La leadership comunitaria si radica se vive di una decisionalità diffusa e della valorizzazione di tutte le persone. Il Piano dell’offerta formativa, sentiti i genitori, gli studenti e le realtà del territorio, insieme al Piano annuale delle attività predisposto dal dirigente, sentito Dsga e personale Ata, devono trovare nel collegio dei docenti, vero cuore pedagogico della scuola, una larga condivisione.

Una società veramente autonoma può esistere soltanto nella forma del proprio progetto, cioè come società che riconosce quale suo unico scopo e raison d’etre non un modello precostituito di felicità, ma una libertà sempre più ampia di autoesame, di critica e di riforma.” ( Baumann)

Nella definizione di questo progetto, tutti i soggetti devono avere lo stesso peso decisionale, rispettando rigorosamente le procedure nella trasparenza, attraverso modalità efficaci e di buon senso. Una reale democrazia parte da situazioni di disagio e dai bisogni formativi del territorio, offre una elevata considerazione a tutti gli stakeholder, definisce il problema attraverso il dialogo, decide una strategia, realizza e pone a rendicontazione sociale la sua attività. La democraticità della decisione garantisce poi funzionalità del lavoro e dell’organizzazione.

Un cambiamento di tale portata implica una vera rivoluzione culturale nella scuola italiana, alla ricerca di significati condivisi ( Bruner).La cultura di una scuola si vede già dall’accoglienza dei collaboratori scolastici, oltre che dal POF. Prendere coscienza delle cattive abitudini accumulate nel tempo ed eliminarle sostituendole con buone prassi : questa è la nuova governance. Attraverso il pensiero narrativo, mediante la ricerca-azione, autentico strumento di governance democratica, è necessario sottoporre l’istituzione ad un processo di investigazione, critica, decostruzione, ri-orientamento.I docenti, professionisti riflessivi della scuola, prendono in esame le loro pratiche di insegnamento-apprendimento ed individuano metodologie effettivamente inefficaci, mode superficiali ed inutili, resistenze al cambiamento, innovazioni produttive di guadagni cognitivi. E’ nei dipartimenti disciplinari e nei laboratori didattici che le pratiche vengono lette non superficialmente alla luce delle esperienze monitorate e delle teorie accreditate. E’ ora di tornare a prestare maggiore attenzione all’essenziale di una scuola: l’insegnamento- apprendimento. Bene l’organizzazione e le competenze relazionali ma forte deve essere il profilo culturale e professionale medio dell’allievo in uscita. Per questo è opportuno creare a livello di rete di scuole , in collaborazione con la Scuola di specializzazione all’insegnamento secondario , un laboratorio territoriale provinciale che funga da osservatorio permanente delle metodologie e tecniche d’insegnamento, che diffonda nel sito le buone pratiche didattiche con dati rilevati per conoscere concretamente la coerenza tra finalità, obiettivi generali, specifici, trasversali e risultati. L’autonomia implica questa capacità di riflessione e di scelta strategica in relazione agli stili cognitivi rilevati ad ai bisogni formativi della comunità locale. Deve aprirsi la fase dell’autonomia di ricerca educativa con ricerche-azioni e pubblicazioni. Acquisire una comune cultura dell’autovalutazione, concordare i criteri di valutazione e le strategie nel lavoro in classe saranno i frutti maturi di una difficile collegialità a tutti i livelli.

Diventa pertanto centrale la formazione iniziale, in ingresso ed in servizio dei docenti. Non sarà facile superare la disaffezione verso pratiche di aggiornamento sbagliate e calate dall’alto ma, partendo dai bisogni concreti di formazione, in ottica laboratoriale, in collegamento con i contesti operativi curricolari, offrendo adeguata valorizzazione in termini di carriera docente, sarà possibile disporre di insegnanti motivati e preparati, presupposto fondamentale del miglioramento. Ovviamente sono da abbandonare le lezioni accademiche per sostituirle con attività di piccoli gruppi orientati a mettere in pratica approcci didattici programmati in senso operativo, con la guida sicura di autentici esperti e testimoni di vita scolastica innovativa.

Fare formazione continua e ricerca educativa diventa l’imperativo del momento. Tessere una rete, collegare soggetti diversi attraverso molteplici iniziative in una sorta di laboratorio didattico territoriale in collegamento con l’Università ( Ssis) saranno gli effetti di un approccio sistemico in una logica globale e non più autoreferenziale delle singole scuole.

Un passaggio difficile ma ormai improcrastinabile è quello dell’autovalutazione d’istituto. Il microsistema si deve analizzare con indicatori di qualità costruiti in una rete di scuole, come Proform, rete coordinata in provincia di Macerata dal prof. Mario Castoldi, per verificare l’adeguatezza dell’offerta formativa rispetto al macrosistema ( Invalsi e comparazioni internazionali OCSE-PISA). Interrogarsi sull’adeguatezza dell’offerta formativa, integrare valutazione interna ed esterna, superare l’impasse dell’autoreferenzialità della prima applicazione dell’autonomia diventano una necessità per azioni concrete di miglioramento. Il sistema di indicatori concordati segnalerà le zone di malfunzionamento, le aree di eccellenza per avere una visione realistica delle divergenze tra l’atteso, il dichiarato, l’agito ed il percepito nel POF. L’analisi sistemica della qualità dell’organizzazione pone al centro il processo decisionale nel contesto, date le risorse, alla luce dei risultati conseguiti. E’ come leggere gli eventi con gli occhiali plurali della qualità per una regolazione continua. Si tratta di uno strumento straordinario di valutazione per la crescita culturale della scuola, di difficile realizzazione ma capace di segnalare le priorità dell’azione progettuale e di cambiamento nelle prassi quotidiane della scuola. Il prodotto della scuola, che è dato dall’insieme di progetti, azioni didattiche e decisioni, viene sottoposto alla riflessione degli operatori e degli utenti per costruire dal basso una nuova cultura della scuola democratica e per esprimere un giudizio globale sulla qualità dell’offerta formativa.

E’ capace la scuola di leggere ed affrontare i bisogni formativi degli alunni di quel territorio? Le decisioni sono state assunte democraticamente? E’ stata curata l’individualizzazione dell’insegnamento per portare tutti ad un livello minimo accettabile? E’ stata curata la personalizzazione per raggiungere l’eccellenza e sviluppare al massimo le potenzialità individuali? Le risorse umane, finanziarie e tecnologiche sono state usate in modo razionale ? E’ cresciuta la cultura pedagogica e didattica della scuola in direzione di un nuovo umanesimo capace di affrontare la complessità del post-moderno7? Si ha una corretta visione d’insieme dei processi attivati nella scuola attraverso una organizzazione efficiente ed efficace?

Si tratta di realizzare un progetto ed un governo a forte baricentro democratico con una collegialità effettiva, capace di individuare la rotta e di attraversare le inevitabili tempeste. Attraverso la metodologia della ricerca-azione bisognerà individuare il problema, gli interlocutori, attivare il dialogo, fare una ricognizione dell’esistente rispetto al tema (norme, letteratura, buone prassi), analizzare il problema, decidere la strategia risolutiva, progettare azioni condivise, concretizzare le decisioni, verificare gli esiti in dialogo con gli interlocutori. E’ questo il modello di una progettualità collegiale effettiva per un governo democratico della scuola.

Decisiva sarà la visione della scuola dalla parte del dirigente in questo processo democratico. Egli si pone in una posizione gerarchico -funzionale nei confronti dei singoli docenti, del Dsga, che ha autonomia decisionale nell’ambito di una direttiva, e del personale Ata, in una posizione di equiordinazione con i due organi collegiali della scuola ( collegio dei docenti e consiglio d’istituto). “L’unità scolastica appare al dirigente come un sistema organico, formato da molti elementi interrelati tra loro. La sua interezza non è costituita dalla somma degli elementi, ma dalla loro unitarietà, dalle interrelazioni e dalle connessioni funzionali. Pertanto, la capacità di analisi in ottica sistemica è sicuramente necessaria per permettere al dirigente di non isolare i vari punti di vista, ma vedere l’unità scolastica come un vero laboratorio di progettazione continua integrata e di erogazione di servizio in continuo miglioramento.”8

Si tratta di un compito molto difficile, di un esercizio sinergico di tutte le competenze. Il coordinamento delle risorse umane, finanziarie e tecnologiche della scuola consente un adempimento che è il prodotto di una collaborazione essenziale per il raggiungimento del risultato. “ 1. Gli organi collegiali della scuola garantiscono l’efficacia dell’autonomia nel quadro delle norme che ne definiscono competenze e composizione. 2. Il dirigente scolastico esercita le funzioni di cui al decreto legislativo 6 marzo 1998, n. 59, nel rispetto delle competenze degli organi collegiali. 3. I docenti hanno il compito e la responsabilità della progettazione e dell’attuazione del processo di insegnamento e di apprendimento. 4. Il responsabile amministrativo assume funzioni di direzione dei servizi di segreteria nel quadro dell’unità di conduzione affidata al dirigente scolastico. 5 . Il personale della scuola, i genitori e gli studenti partecipano al processo di attuazione e sviluppo dell’autonomia assumendo le rispettive responsabilità.”9

L’attuazione nell’autonomia delle nuove Indicazioni per il curricolo nel primo ciclo e l’innalzamento dell’obbligo di istruzione dagli otto ai dieci anni in tutti i bienni del secondo ciclo metteranno a dura prova la capacità progettuale ed il governo democratico della scuola. Bisognerà partire dalla scuola che c’è, dagli insegnanti, sostenendo le loro legittime aspirazioni ad uno stipendio dignitoso, come affermato da Citati, in cambio di una elevata professionalità. Si tratta di decidere sul quantum e sul quale dei saperi necessari per affrontare oggi le sfide della società della conoscenza, per consentire la crescita del Paese, della sua economia e della sua democrazia. Non devono aumentare soltanto i titoli di studio ma anche le effettive conoscenze e competenze della nostra popolazione e la qualità dell’offerta formativa.

Alle scuole competono molti spazi e scelte operative, essendo i documenti ministeriali non prescrittivi. “ E’ il terreno su cui-a mio vedere- si saggeranno, forse per la prima volta, tutte le possibilità offerte dall’autonomia. E’ un appuntamento difficile che dovrebbe segnare una profonda svolta ma che, se non intelligentemente sostenuto, potrebbe anche costituire un flop! L’ultima spiaggia del nostro sistema educativo nazionale di istruzione? Da inguaribile ottimista dico di no! Ma dobbiamo mettercela tutta.”10

 

1 Alfonso Rubinacci, Il Maestro n. 3/2007, p. 21

2 C. Carboni, Elite e classi dirigenti in Italia, Editori Laterza, Roma -Bari 2007

3 Maria Chiara Michelini, Progettare e governare la scuola, Franco Angeli, Milano 2006

4 Franco De Anna, Autonomia scolastica e rendicontazione sociale. Dal POF al bilancio sociale, Franco Angeli, Milano 2005

5 Edgar Morin, I sette saperi necessari all’educazione del futuro, RaffaelloCortinaEditore, Milano 2001

6 D. Goleman, R. E. Boyatzis, A. McKee, Essere leader, Rizzoli, Milano 2002

7 S. Chistolini ( a cura di) Neoumanesimo e post-moderno. Saggi in onore di Mario Ferracuti, Cleup, Padova 2007

8 Armone Anna, Il Dirigente scolastico: la natura della relazione con gli organi della scuola e i poteri di gestione, in Scuola e formazione, anno VI, n. 15 , 1-15 aprile 2007, p. III Dossier

9 ibidem, p. VI

10 Maurizio Tiriticco, in www.edscuola.it , 31 luglio 2007

 


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