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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
- ISSN 1973-252X
Direttore responsabile: Dario Cillo


 

Una riflessione, dopo lo sciopero

 

Una riflessione, dopo lo sciopero del 30 ottobre.

Riuscito?

Non riuscito?

Se i numeri qualcosa dicono, sicuramente riuscito.

Ma, riuscito a fare cosa? Ad ottenere cosa?

Credo molto poco. Forse niente. Come quasi tutti gli scioperi della Scuola.

Perché?

Perché professori e presidi non sanno e non hanno mai saputo scioperare. Non hanno mai saputo e non sanno scioperare perché, nel profondo della loro anima-cultura, considerano lo sciopero qualcosa che non gli appartiene.

Un corpo estraneo.

Roba da operai.

Al massimo da impiegati.

Non da professori o presidi.

I professori sanno scioperare come devono scioperare i professori: blocco degli scrutini. Sciopero Bianco (che sarà? E se ci fosse anche lo sciopero blu, poi quello giallo; quello rosso, no: colore troppo impegnativo per allusioni troppo gravi … storicamente, s’intende). Sciopero della prima ora. Sciopero dell’ultima ora.

Al massimo, ma proprio al massimo: sciopero di una giornata e, se questa è vicina ad un ponte, meglio ancora: ne sopportano con minor fastidio il costo economico.

Certo, perché, quando un professore o un preside scoprono che una giornata di sciopero costa fior di quattrini, allora … allora bisogna pensarci su due, tre , quattro volte. Con i tempi che corrono!

Forse l’ironia è esagerata e non rende ragione a quei tanti professori e presidi che hanno scioperato ieri e sciopereranno ancora. Ma rende l’idea del perché gli scioperi della Scuola valgono poco, pochissimo, quasi niente. Perché, alla fine, la Scuola è un mondo separato nella società dei consumi e della produzione.

A pochi è chiara la funzione capitale della Scuola per una società della conoscenza e del progresso: culturale, scientifico, tecnologico, economico, civile, politico. Un crescendo non casuale in cui al primo posto ci sta l’istruzione.

Ma chi dice (oggi come ieri) che è la Scuola a fornire istruzione? Tante volte si ha la sensazione che la Scuola assomigli di più alla “nuttata che ha da passà” di eduardiana memoria.

Quale sarebbe stato, a mio avviso, il primo e il più importante risultato dello sciopero?

La dichiarazione di uno sciopero generale da parte di tutti i lavoratori: dagli edili ai chimici, dai tessili ai metalmeccanici per finire nel pubblico impiego (cui anche la Scuola appartiene, ma  non sempre sembra accorgersene).

Solo allora, solo di fronte ad uno sciopero generale per la Scuola e della Scuola, si potrebbe finalmente dire che il nostro Bel paese ha capito e recepito l’importanza capitale della Scuola.

Ma non è così. Oggi. Non lo è da tanto, troppo tempo.

In particolare da quando docenti e presidi, come si diceva, si sono inventati quelle bizzarrie strampalate dei blocchi che hanno avuto come risultato qualche lirina in più, ma in compenso hanno provocato  la separazione sempre più forte del mondo del Lavoro da quello della Scuola. Scrivo in maiuscolo apposta i due mondi.

C’è stato un momento in cui questa separazione era meno forte e netta come lo è oggi? Credo di sì: l’autunno caldo vide tanti docenti e studenti scioperare insieme con i lavoratori (erano i papà e le mamme a scioperare con figli e figlie che, per la prima volta, salivano – secondo la Costituzione - le scale dell’innalzamento sociale grazie alla Scuola) e il caldo di quell’autunno (prolungatosi ben oltre il 1969) ebbe un frutto decisivo per la storia della Scuola Italiana: la legge quadro  30 luglio 1973 n. 477 e  i Decreti Delegati.

Per  dire in due parole cosa rappresentarono allora, in quei caldi anni 1974 – 1976, ricordo che il mio preside di allora se ne andò in pensione anzi tempo per non subire l’umiliazione di vedere un genitore presiedere nel consiglio di istituto la “sua” scuola.

Ce ne siamo dimenticati?

Ce ne siamo dimenticati tanto presto e tanto in fretta, perché i Decreti Delegati furono maldigeriti da tantissimi docenti e tantissimi presidi.

Eppure, erano e sonol’unica vera tappa di civiltà della nostra Scuola, l’inizio di un cammino interrotto e disperso nei boschi dalla paura e dell’indifferenza.

Certo: non siamo nel ’68. Il Sessantotto è finito, grazie a Dio, oggi siamo nel terzo Millennio: più maturi, più ricchi (?), più liberi (son caduti tanti muri!).

Finisco ricordando che il mio primo stipendio (a proposito di soldi) nell’anno scolastico 1965/66 era di 127.000 lire: mi sentivo un ricco: pagavo 10.000  lire d’affitto e con un paio di milioni si comperava un appartamento decente in qualsiasi città d’Italia.

Anche da questo punto di vista, mi sembra proprio che gli scioperi ci abbiano dato una grande mano a star meglio!

Che fare, allora?

A me sembra questo:  quando è necessario per il bene comune del nostro Bel Paese, imparare a non aver paura di scioperare insieme.

Tutti i lavoratori: dal muratore (che è un terzomondiale) ai primari degli ospedali, dal senatore (come fa a scioperare un senatore?) ai magistrati. Gli avvocati sono come i professori, con questa differenza: possono scioperare anche settimane senza perdere  un euro dei loro introiti.

Francesco Butturini

 


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