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La valutazione nel progetto Bertagna

 

"Berlingueriani" vs. "morattiani"?

Nell’acceso dibattito attorno al progetto Bertagna-Moratti non ho sentito levarsi voci contro il sistema valutativo che emerge dal documento del gruppo di lavoro. Questo silenzio probabilmente deriva dal fatto che chi vuole contrapporre i meriti "democratici" del disegno-Berlinguer al carattere elitario, aziendalistico, privatistico del disegno-Moratti non se la sente di criticare un’ideologia valutativa che era già presente, seppure in forme diverse, nella riforma avviata dal governo dell’Ulivo. Per quel che mi riguarda, ritengo che il progetto sfornato dall’attuale governo abbia molti aspetti di continuità con quello precedente, e che ci siano una serie di questioni (dai cedimenti sulla laicità della scuola al sostegno alle scuole private, alla netta divaricazione tra istruzione scolastica e formazione professionale), rispetto alle quali Letizia Moratti si è limitata a spalancare una porta che le era stata generosamente aperta dal suo predecessore.

In questo quadro le proposte relative alla valutazione possono essere particolarmente rivelatrici, perché esercitando un’influenza determinante sulla qualità delle relazioni tra docenti e discenti e sui modi di svolgimento del mestiere dell’insegnante, contengono in sé una ben precisa idea della scuola, del sapere e dell’educazione.

L’ossessione della certificazione

Uno degli aspetti più criticabili della riforma Berlinguer era l’ansia della certificazione, legata alla contabilità dei crediti e dei debiti, alla loro presunta "spendibilità" in differenti ambiti scolastici e nel mondo del lavoro, e all’andamento accelerato e sincopato impresso ai processi di insegnamento/apprendimento dalle ricorrenti "misurazioni oggettive" di conoscenze/competenze/capacità. Nel progetto Bertagna l’ansia certificativa si tramuta in un’autentica ossessione.

La divisione del percorso scolastico in tre itinerari (obbligatorio, facoltativo, «di responsabilità della famiglia e delle altre istituzioni sociali») riduce il tempo che la scuola dedica all’educazione e all’istruzione (delegate all’iniziativa di «genitori, mass-media, attori sociali, imprese, enti locali, centri culturali, imprenditori del tempo libero ecc. ») per dilatarne a dismisura la funzione burocratico-sanzionatoria; spetterà infatti ad essa certificare i "crediti" acquisiti attraverso la frequentazione della miriade di luoghi e di ambienti sopra elencati. In pratica potrà avvenire che un insegnante di inglese, di educazione artistica o di educazione musicale, impegnato da una "rete" di scuole per l’insegnamento "facoltativo" della sua materia, sia tenuto a certificare, oltre alle competenze degli studenti frequentanti il suo corso (provenienti da scuole diverse, e quindi presumibilmente assai numerosi), anche quelle di coloro che dichiareranno di aver raggiunto i traguardi previsti in forma privata. Secondo il progetto Bertagna tale certificazione dovrà essere minuziosamente circostanziata, in modo da «permettere a chiunque (allievo, genitore, comunità locale) di capire: a) le capacità che (…) ogni alunno mostra di possedere; b) il grado di conoscenze (sapere) e delle abilità (saper fare) acquisito dall’allievo; c) le competenze finali maturate dall’allievo; d) i crediti formativi maturati e come sono stati certificati». (Si noti come il lessico e le categorie del didattichese non cambino nel passaggio dall’era Berlinguer all’era Moratti).

La valutazione onnivora

Si aggiunga che ogni alunno, «dai 3 ai 18 anni», dovrà essere «accompagnato» da un «apposito portfolio delle competenze», che dovrà comprendere, oltre alla «scheda di valutazione», relativa ai crediti formativi, una «scheda di orientamento» contenente «prove scolastiche significative», «osservazioni dei docenti sui metodi di apprendimento del ragazzo», «commenti su lavori personali ed elaborati significativi», «indicazioni che emergono da un questionario attitudinale compilato da ciascun (sic!) studente», «qualità e attitudini del ragazzo, individuate negli incontri insegnanti-genitori, anche grazie all’aiuto di appositi questionari», «indicazioni che emergono da un progetto personale di vita, elaborato dallo studente e consegnato al docente». Insomma la traduzione pratica del progetto Bertagna nella concreta vita scolastica comporterebbe, per gli insegnanti, una mole di lavoro burocratico senza precedenti nella storia della nostra scuola, che andrebbe inevitabilmente a scapito dell’impegno didattico; e per gli studenti il peso di una valutazione onnivora e addirittura persecutoria, dominata dagli esiti nefasti dell’"effetto Pigmalione". La presunzione che la scuola possa e debba misurare e certificare "tutto" - dalle attività svolte al suo esterno alle caratteristiche intellettuali e morali dei suoi alunni - si configura inevitabilmente come un’arma puntata contro la privacy, la responsabilizzazione e l’autostima dei ragazzi e delle ragazze che la frequentano.

Un aspetto particolarmente grave di questa idea onnivora della valutazione è la disinvolta equiparazione di giudizi tecnici e giudizi morali. Il progetto Bertagna infatti istituisce il concetto di "debito formativo" relativo al "comportamento", considerato di «pari peso» rispetto a quelli di profitto, «in nome del principio dell’inseparabilità tra logica ed etica». Bastano due debiti, di cui uno può riguardare, appunto, il comportamento, perché al termine di ogni biennio (dalla seconda elementare in su!) un bambino o una bambina ripetano l’anno. A parte il fatto che non si vede come l’introduzione della ripetenza fin dai primi anni delle elementari possa favorire quella scuola «lunga, non concitata, senza la nevrosi dei risultati intermedi», di cui favoleggia il documento, bisogna domandarsi quale significato possa assumere questo provvedimento nelle menti di chi valuta e di chi è valutato. La ripetizione di un anno scolastico può, in certi casi, essere utile, se vissuta dallo studente come una possibilità di recuperare esperienze e conoscenze non pienamente metabolizzate. Ma acquista un significato diverso, e decisamente controproducente, se la valutazione morale si sovrappone a quella cognitiva, e la ripetenza si configura come una punizione: non sai la matematica, e in più sei un bambino cattivo; quindi meriti di essere bocciato!

L’invasione dei test

Lo sfondamento dei confini tra diversi tipi di valutazione – che richiederebbero forme diverse e non standardizzate di giudizio e di approccio relazionale – è aggravato dalla presunzione che lo strumento del test sia in grado di misurare le più svariate caratteristiche cognitive, affettive, etiche, di un essere umano. Nel Rapporto finale del Gruppo Ristretto di Lavoro, Giuseppe Bertagna si compiace del fatto che una scuola media da lui visitata disponga dei dati relativi alle prove di ingresso di ciascun alunno, riguardanti non solo «le abilità di base (numeriche, di studio, di ragionamento e di lettura)», ma anche «le dimensioni etiche, motorie, relazionali, creative, decisionali e della personalità». A me pare che la presunzione di poter misurare le dimensioni etiche della personalità di una ragazza o di un ragazzo tramite una "prova di ingresso", che poi resterà agli atti come documento-base sul quale fondare l’azione didattica e le successive operazioni valutative, sia quantomeno pericolosa, e che una simile prassi non andrebbe indicata come modello per le altre scuole.

Ma il provvedimento che più di ogni altro promette di incidere sul lavoro didattico quotidiano è l’approntamento, da parte del Servizio Nazionale per la Qualità del Sistema Educativo di istruzione e di Formazione, di «verifiche sistematiche sulle conoscenze e abilità degli studenti», che andranno somministrate alle classi all'inizio di ogni biennio. Trattandosi di prove su larga scala, che dovranno essere corrette nazionalmente, non potranno essere che test a risposta chiusa. Le verifiche, «aggregate
comparativamente per classe, per istituto, per provincia, per regione e per l'intero territorio nazionale», dovranno essere restituite «ad ogni istituzione scolastica, per gli opportuni processi di autovalutazione», e rese pubbliche, «per la libertà di scelta educativa delle famiglie e per una discussione sullo stato generale dell'istruzione nel Paese». Nulla in contrario, naturalmente, sulla realizzazione di screening nazionali volti a rilevare, su larga scala, e con l’approssimazione e la semplificazione tipica di simili strumenti, il possesso di nozioni e abilità elementari da parte degli studenti italiani, a scopo statistico, e per trarne conseguenze di politica scolastica. Ciò che inquieta è la frequenza delle verifiche, e specialmente l’uso che si intende farne: in sostanza la divulgazione dei risultati dei test si tradurrà in una graduatoria di scuole, e all’interno di ogni scuola, di classi, che sarà messa a disposizione dei dirigenti scolastici e delle famiglie. Non è difficile prevedere che, in una simile situazione, gli insegnanti, preoccupati per il loro buon nome se non per la loro carriera, e le scuole, timorose di perdere iscritti, saranno indotti ad orientare tutte le loro strategie didattiche al buon esito dei test nazionali. Il risultato rischia di essere simile a quello denunciato dagli studi sulle scuole inglesi e americane, sottoposte ad analoghe forme valutative e classificatorie: la diffusione di una didattica aproblematica e semplificatoria, adatta a formare studenti abilissimi nel riconoscere la risposta giusta in un gruppo di opzioni fornite da altri, ma incapaci di inventarne e sostenerne una propria.

Guido Armellini


 

Caro Guido,

come sai, apprezzo molto le tue note sul progetto Bertagna, su molte delle quali concordo. E mi piace anche discuterle con te soprattutto per quanto riguarda la questione valutazione.

Alcune "contronote" alla tua ultima lettera prenatalizia.

1. Non condivido quella che tu chiami l’ansia berlingueriana della certificazione; il fatto che con Berlinguer si sia posta per la prima volta e con forza l’urgenza di un sistema valutativo sia degli apprendimenti sia del sistema di istruzione è stato estremamente positivo; che tale urgenza sia stata posta e proposta a volte forse con tempi eccessivamente veloci e con soluzioni sommarie (e, quindi, recepita con ansia da molti operatori) non lo escludo affatto.

2. So che il passaggio dal principio sacrosanto per il quale la scuola si deve assumere la responsabilità di valutare in modo nuovo (lo predichiamo da anni proprio per evitare quegli effetti Pigmalione – e tantissimi altri – che anche tu ricordi) gli apprendimenti nonché i crediti conseguiti sia nell’ambito dell’istruzione da essa erogata sia in ambiti non scolastici (è una caratteristica delle società avanzate erogare formazione anche per vie assolutamente nuove, diverse, informali rispetto ad una consolidata tradizione) alla sua traduzione in termini formali istituzionali è stato molto difficile e impasticciato (ma quando mai l’amministrativo sa "leggere" ed "amministrare" ciò che avviene in un settore così complesso del sociale come il fatto educativo?). Ma non per questo dobbiamo gettare via l’acqua sporca e il bambino! Occorre rimettere mano normativa a tutta la questione dei crediti! Non è cosa da poco e non so se il nuovo amministrativo sarà in grado di farlo!

3. Bertagna ha cercato di andare avanti con la questione della valutazione (di apprendimenti e di sistema) perché sa bene come questa sia un nodo centrale delle riforma. Resta il fatto, però, che Bertagna di queste questioni ne sa poco e non sembra che Elias sia in grado di andare oltre. Io non so che cosa quest’ultimo stia combinando né so se tra i due vi è stato un comune intendere per quanto riguarda la stesura del paragrafo "valutazione"! Ciò che dici a conclusione del tuo secondo paragrafo mi trova d’accordo! Bertagna fa un gran pasticcio mescolando insieme ciò che può e deve essere "oggettivamente" valutato e ciò che invece ne è fuori! Quelle virgolette stanno ad indicare con quanta cautela anche da parte di un convinto... "valutatore oggettivo" quale io sono – se si può dir così! – debbano essere considerati avverbi e aggettivi del genere! Nessun..."valutatore oggettivo" si è mai sognato che si possa valutare "tutto" in assoluto di una persona, ma solo ciò che è afferibile a CONTESTI DATI. Non è un caso che gli amici dell’ISFOL siano molto cauti di fronte alle categorie di conoscenza e di capacità (che offrono margini non indifferenti alla soggettività) ma privilegino quella di competenza.(è un comportamento concreto, sia quello di progettare/realizzare un motore ad idrogeno che quello di progettare/realizzare una versione dal greco antico!). Ti faccio tre esempi: una buona dattilografa è sempre stata colei che batteva un certo testo in un dato tempo e con un certo margine di errori! E nessuno si è mai scandalizzato per questo; così il nostro Tyson è un buon pugile perché ha superato un tot numero di incontri con tot punteggi! Per non dire del buon Stakanov il quale...ecc. ecc. E della moralità o della privacy dei tre nulla ci importa! I CONTESTI sono relativi a DATI tempi, performance, prodotti, e a tutto ciò che è oggettivabile. Nella fattispecie, tutte le valutazioni internazionali su apprendimenti DATI sono sempre afferibili a competenze linguistiche e logico-matematiche né mai una IEA od una OCSE si sono occupate di aree emotivo/affettive, etico/morali, estetiche, relazionali o che so io..., tampoco dei gradienti di divergenza! Dante è un grande per noi, ma era un fumoso e scorretto verseggiatore per i critici del Seicento! Se il nostro Bertagna fa pasticci, la colpa non è di Berlinguer, ma di una politica scolastica che di scuola capisce ben poco!

3. Sul portfolio delle competenze valgono le stesse considerazioni: sì al principio, no alla strumentazione impasticciata proposta!

4. D’accordissimo con quanto paventi circa la valutazione onnivora! Ho contato i passaggi valutativi che dovrebbero essere otto, sei all’avvio di ogni biennio, due alla conclusione della media e della secondaria superiore! Tutto ciò non solo non era previsto da Berlinguer, ma va oltre i limiti posti dall’art. 21 della legge 59/97 quando afferma che gli istituti "hanno autonomia organizzativa e didattica, nel rispetto degli obiettivi del sistema nazionale di istruzione e degli standard di livello nazionale". Del resto, già i provvedimenti del ’95 istitutivi della Carta dei servizi scolastici si muovevano in una tale ottica e tali linee sono state recepite dal Regolamento dell’autonomia. Si evince che la valutazione compete agli istituti e che il compito della autorità centrale è quello di indicare obiettivi e standard, di incrementare una cultura della valutazione, di sostenere le scuole a questo riguardo; e il SNQI, l’ADAS e l’ONES si erano mossi in tal senso. Ciò non significa che non siano necessarie verifiche nazionali in uscita su campioni significativi a livello di obbligo e di diploma per rilevare lo stato dell’istruzione e per fornire al decisore politico e all’operatore educativo i dati utili per eventuali correttivi. Sono cose che del resto già si fanno altrove ed a livelli internazionali (l’IEA, ad esempio). E l’INValSI si dovrebbe muovere in questa direzione.

5. Tutto il paragrafo Bertagna sulla valutazione è semplicemente assurdo! Per non dire poi che la macchina onnivora che si dovrebbe mettere in piedi avrebbe costi elevatissimi, in termini di risorse umane e finanziarie, di tempi, considerando anche quelli da utilizzare per i pretest! Insomma, una volta c’erano i testi di Stato, domani avremmo i test di Stato!

6. Ed ancora: Bertagna indica che le verifiche sistematiche debbano vertere sulle "conoscenze e sulla abilità linguistiche, scientifico-matematiche e storico sociali degli allievi". Passi per le prime due! Bisognerebbe sapere se la terza tipologia investe l’area che potremmo chiamare genericamente dell’educazione civile e costituzionale o intende "orientare" verso quello che potremmo chiamare il potere costituito! Il docimologo vede sempre con preoccupazione le aree i cui CONTESTI e DATI di riferimento non siano certi!

Maurizio Tiriticco

 


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