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IO, FIGLIO UNICO

Brevi cenni sulla personalità del figlio unico

di Giusy Rao

 

 

Ricordo ancora il suo volto solcato dalle lacrime, ricordo il suo modo sprezzante di scalciare e di contorcersi intorno ai fianchi della madre, ricordo gli infantili schiaffi sulla schiena del papà e ricordo anche i suoi occhi iniettati di sangue che mi fissavano. Non era accaduto nulla di significativamente rilevante a Maria (il nome è di fantasia) per potersi comportare in modo talmente esagerato, eppure il problema sussiste ed è un dato di fatto che trova spazio nel contesto dell’unicità che investe il bambino. Per unicità non intendo le caratteristiche genetiche che mutano da essere in essere, bensì lo status di “figlio unico”, ormai rivestito da una considerevole fetta di italiani. La società dei figli unici crea nuovi problemi e insicurezze: la paura di viziarli troppo, di renderli troppo egocentrici o intransigenti, il bisogno di farli sentire meno soli.

Ormai è statisticamente accertato: la maggior parte delle coppie italiane mette al mondo un figlio solo. Il lavoro a tempo pieno, il carovita, il timore di accollarsi responsabilità enormi; spingono la coppia a generare un figlio solo promettendosi di viziarlo, amarlo, riverirlo e potersi così garantire una senescenza sicura all’insegna del “servimento”. Maria, è una adolescente, alta, bionda  e piena di aspettative: la madre ha riversato su di lei tutta l’attenzione possibile ed immaginabile. Un concertino animato da qualche cantante locale scatenò in lei esagerate manifestazioni egocentriche, voleva a tutti i costi andare a casa. Invano il tentativi dei genitori nel dissuaderla: “Se restiamo ti compro Barbie”…Maria era irremovibile nelle sue decisioni….aveva deciso così e i genitori pur di non farla piangere la accontentarono. Un tizio presente al concertino disse “Fosse stata mia figlia le avrei legato l’orecchio alla cassa con dello scotch”. Il tizio però aveva ben tre figli e non poteva assolutamente immaginare quale costernazione invadeva l’animo dei due consorti, da un lato ansimanti nell’assistere alla manifestazione; all’altro preoccupati di non deludere la loro piccola bambina. Allora Maria aveva soli otto anni. Ora di anni ne ha il doppio e la situazione non sembra essere sostanzialmente mutata: Maria non ha ancora imparato a vivere con la diversità, il fumo passivo da sigaretta porta con sé effetti devastanti ed è un dato di fatto. “Chi fuma mi fa schifo”, Maria non poteva permettersi di gridare apertamente il suo disprezzo verso i fumatori o verso gli anziani, i quali venivano da lei tacciati come “pedofili”, se ingenuamente le si accostavano dicendole che sarebbe diventata una bella ragazza.

.Essere figli unici, vuol dire, avere solo la “dimensione verticale” dei rapporti familiari, cioè soltanto quella che regola le relazioni tra figli e genitori. Tra loro si instaurano differenze di ruoli e generazionali.

Gli adulti assumono un ruolo di guida, che i figli per un certo periodo devono riconoscere e accettare. Ma inevitabilmente hanno idee e interessi molto diversi.

La presenza di fratelli o sorelle, invece, diventa un fattore molto importante nello sviluppo psicologico dei ragazzi, proprio perché consente di far esperienza della “dimensione orizzontale” dei rapporti familiari. Avere un fratello o una sorella darebbe l’opportunità di confrontarsi e competere, oltre che l’opportunità di giocare e svolgere attività insieme. Comporterebbe inoltre la possibilità di stringere alleanze e misurarsi con la generazione dei genitori. Dunque, la presenza di fratelli e sorelle crea ampi spazi di libertà e moltiplica la rete di rapporti familiari, proprio per tal motivo la famiglia con più figli diventa una “palestra sociale”.

Grazie alla presenza dei fratelli, il bambino impara a prendere in considerazione il punto di vista degli altri, a superare il proprio egocentrismo, a portare aiuto ad altri quando sono in difficoltà. Parimenti importanti sono tutte le attività che riguardano la competizione. Vivere con gli altri vuol dire anche saper affrontare le diversità e saper gestire i contrasti, senza così scandalizzarsi o attaccare apertamente chi fuma una sigaretta o chi azzarda un ingenuo complimento.

Il genitore del figlio unico deve fare attenzione a non avere un attaccamento eccessivo nei suoi confronti, abbandonando l’idea di realizzarsi e proiettando tutte le aspettative sul figlio, (“Maria farà la modella….d’altra parte ha il fisico”)  perché così agendo, il bambino crescerebbe più preoccupato di soddisfare i desideri dei suoi genitori che le sue potenzialità. Maria è senza dubbio alcuno una ragazza davvero carina, somiglia molto alla madre, ma non perché le somigli deve divenirne il clone. Il genitore dev’essere vigile a non faresi ingoiare dalla convinzione che il proprio figlio non necessiti di una figura fraterna, poiché egli saprebbe agire da genitore, da amico, da confidente e da fratello. Il genitore dovrebbe invece aiutare il bambino a creare dei rapporti profondi e duraturi con i suoi coetanei, perché il problema dei figli unici è quello di non lasciare spazio agli altri, di non farli entrare nel proprio mondo: “Se mamma aspetta un bambino…mi ammazzo”. Non bisogna permettere al figlio di intromettersi nella vita intima della coppia…magari si sa, il figlio unico è solitamente un egocentrico, particolarmente geloso dei propri genitori i quali se si recano da una puerpera devono star attenti nel controllare le proprie emozioni di fronte ad un bimbo appena nato.

 Ovviamente non tutti i genitori mettono al mondo un solo figlio per scelta; esistono coppie che sognano le cd. “squadre da calcio”, e tuttavia per motivi di salute sono costretti a metter a tacere il loro desiderio produttivo. Qualora ci si trovasse in una situazione in cui si è impossibilitati nel generare più figli, i genitori, dovrebbero aiutare il bambino a relazionarsi con le figura prossime quali amici o cugini in modo tale da creare una palestra emotiva in grado di allenarlo ai sentimenti, al senso del gruppo, alla cooperazione, alla condivisione e alla competizione.

Solitamente, la maggioranza dei piccoli imparano a socializzare già dai due anni: molti infatti vanno al nido e tutti frequentano la scuola materna, una precoce scuola di vita, dove si impara prestissimo a incontrarsi e scontrarsi con le esigenze degli altri. Il professore Gail Wasserman del Child Psychiatry “Babies & Children’s Hospital” di New York , in occasione di un’intervista ha affermato: “Il figlio unico è simile in tutto e per tutto ad ogni altro bambino. In effetti per loro essere figli unici si tramuta in un vantaggio. Sono maggiormente motivati ad andare bene a scuola, hanno una educazione esemplare e sono fortemente motivati al raggiungimento del successo. Di norma hanno una buona salute fisica”.

 

 

Tratti salienti del figlio unico (sulla base “Maria”)

 

Analizzando Maria, ci accorgiamo del violento emergere dei seguenti tratti. Maria odia essere contraddetta, non appena il papà le fa notare di aver risposto in maniera sprezzante nei confronti del nonno; Maria comincia a piangere e accusare il papà di insensibilità. Maria è abile nel condizionare gli umori dei genitori: se la ragazza accusa qualche dolore da nulla comincia a contorcersi sul letto preoccupando la madre che comincia a piangere chiedendo aiuto. A Maria piace porsi al centro dell’attenzione collettiva, se non le si facesse un complimento sul suo nuovo paio di scarpe, comincerebbe a muovere il piede fino a rimproverare apertamente il suo interlocutore. Maria non ama avere amicizie troppo intime, preferisce agire formalmente per regolare i suoi pochi rapporti relazionali. Odia far brutte figure: una volta per errore le cadde un bicchiere di limonata sulla tovaglia da tavolo, si alzò innervosita e si chiuse in camera….impossibili i tentativi della madre nel convincerla che non era accaduto nulla di particolarmente grave. Maria è una ragazza parecchio possessiva, una volta un’amica le chiese in prestito uno zaino, la ragazza le disse di no in modo del tutto irritante. Maria tende spesso a manipolare le relazioni, quelle rare volte che si annoia in compagnia dei genitori, comincia ad essere insistente: “Papà telefona a Valentina, con voi mi annoio….anche se è noiosa almeno faccio qualcosa”.

 

 

 

Tratti salienti del genitore di un figlio unico (Sulla base dei genitori di Maria)

 

I genitori di Maria, tendono ad assumere un atteggiamento ipervigile nei confronti della figlia: non tollerano che ella si allontani dal portone di casa poiché potrebbe incontrare qualche maniaco sessuale o qualche ubriaco. La mamma di Maria, ripone nella figlia diverse aspettative: spera che una volta giunta la vecchiaia, Maria sia capace di fornirle sostentamento. La mamma di Maria non riveste il ruolo materno, desidererebbe diventare l’amica della figlia anteponendo la felicità di quest’ultima alla sua. I genitori di Maria cercano di evitarle tutti gli ostacoli e risolverle contemporaneamente i problemi. La mamma confida a Maria anche i particolari più intimi della sua vita, considerando la figlia il riferimento più importante della sua esistenza. Quell’unica volta che Maria andò in gita coi compagni di classe, la madre cominciò ad andare su e giù per le scale maledicendo il momento in cui le permise di andare. Indubbiamente la mamma preferisce la compagnia della figlia a quella del partner il quale è costantemente pervaso da sentimenti contrastanti che lo spingono ad interrogarsi: “Accontento la piccola o mi impongo?. Se la accontentassi continuerebbe ad abusare della mia pazienza, ma se mi dimostrassi autorevole rischierei di allontanarla irreparabilmente dal mio mondo e quando avrò bisogno di lei, lei non ci sarà.”

 

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Ovviamente, delineare la figura del figlio unico viziato, ci farebbe cadere in un errore di generalizzazione: ogni essere è differente per modi di agire, pensare e comportarsi, ma è anche vero che se un bambino fosse completamente rivestito di attenzioni iperprotettive, un domani sarebbe del tutto non idoneo nell’affrontare la vita. I genitori non sono esseri eterni, per quanto forte sia il legame coi loro figli, dovrebbero imparare ad incanalare i piccoli verso uno stadio di autonomia che consenta loro di sapersela cavare anche nelle situazioni di maggiore disagio.

 


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