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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
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A scuola dai tedeschi? Spunti per un governo “tecnico…”

di Giancarlo Cerini

 

Italia-Germania: 4 a 3?

Il meeting italo-tedesco organizzato il 10-11 novembre 2011 a Berlino dall’ANDIS (Associazione Nazionale Dirigenti Scolastici) è stato breve ma intenso. Le relazioni ascoltate nella prestigiosa sede (Rathaus) del Senato dello Stato berlinese e le visite a 5 strutture scolastiche e formative del territorio della città-stato hanno consentito di mettere a fuoco un quadro significativo dell’istruzione pubblica tedesca e di trovare spunti utili anche per l’evoluzione del sistema educativo italiano.

E’ prevedibile, infatti, che il nuovo “governo” tecnico italiano guardi maggiormente alle virtuose capitali del nord-Europa piuttosto che a quelle, alquanto in affanno, dei paesi che si affacciano sul Mediterraneo. Dunque, è utile avvicinarsi al sistema tedesco con attenzione, andando oltre i nostri scontati stereotipi.

Intanto, quali sono le certezze (teutoniche…) del sistema tedesco?

a)      La scuola viene considerata una struttura funzionale all’inserimento delle nuove generazioni nella società (ogni persona al posto giusto!), attraverso una pluralità di “filiere” formative che conducono verso sbocchi predefiniti, molto legati ai fabbisogni del mercato del lavoro. Di qui il mito del sistema duale (metà scuola, metà lavoro), ma anche la gerarchizzazione evidente dei percorsi, con il ginnasio che resta il traguardo ambito dalle (per le) classi dirigenti, anche se l’istruzione professionalizzante gode di un prestigio maggiore che da noi. Pure il panettiere avrà la sua qualificazione e questo comunque innalza i livelli di cittadinanza.

b)      La canalizzazione verso i diversi percorsi è assai precoce, avviene infatti al termine di una scuola elementare di soli 4 anni  (non a caso, però, a Berlino la primaria si prolunga fino al sesto anno). La scelta successiva si gioca fortemente sul rendimento scolastico, rilevato dagli insegnanti. L’ammissione alle diverse scuole secondarie assume dunque un carattere meritocratico e questo rende più selettivo l’intero sistema. La valutazione degli allievi anche nella scuola di base è frequente e si basa su una scala a sei livelli.

c)      Dopo gli esiti deludenti delle rilevazioni Pisa del decennio scorso, il sistema ha reagito. E’ stato stimolato il miglioramento dei risultati attraverso la definizione di standard nazionali di apprendimento, l’intensificazione delle valutazioni (anche esterne), l’attenzione a ciò che succede (o non succede) in classe, la formazione continua dei docenti.

d)     La gestione della scuola è assai de-burocratizzata, il personale amministrativo è ridotto all’osso e lo stesso dirigente dedica una parte del suo tempo (almeno un terzo) all’insegnamento diretto in classe. Ciò fa presupporre che la sua leadership sia fortemente orientata agli aspetti educativi e didattici, piuttosto che alla gestione in senso stretto (che comunque gli compete). Il ruolo dell’amministrazione scolastica locale (tutto avviene a livello dei 20 stati-Lander) sembra più autorevole e occhiuta qui che in Italia.

 

Un sistema fortemente canalizzato

Naturalmente, queste virtù hanno un costo, non tanto in termini finanziari (un allievo berlinese “costa” circa 6.200 euro, rispetto ai 6.000 euro di uno studente italiano), ma con scelte valoriali, ad esempio in termini di inclusione. I ragazzi con handicap frequentano strutture speciali ed anche gli alunni con lievi ritardi nell’apprendimento sono dirottati verso gruppi e classi differenziate.

La padronanza della lingua tedesca è un passaggio obbligato per l’integrazione scolastica ed il successo formativo. La notevole presenza di allievi immigrati (i turchi al primo posto, gli italiani al secondo, ma solo al settimo per “successo” nel ginnasio) pone sfide ardite al sistema educativo tedesco, con una domanda più forte di integrazione e di attenzione alle diversità. Si guarda con attenzione al modello italiano di integrazione dei disabili.

Ci ha colpito, nella visita ad una scuola primaria con forte presenza di non tedeschi (anche italiani, tanto da meritare una sezione bilingue), la scelta di comporre classi eterogenee per livelli di età (in prima, dunque, ci saranno bambini di 6-7-8 anni, che poi scivolano in classi quarte omogenee per età). Pluriclassi nel centro di Berlino! Ovviamente no, ma la scelta di classi pluri-livello obbliga il docente a diversificare la didattica, a favorire il lavoro a piccoli gruppi, a promuovere l’autonomia e l’apprendimento cooperativo. Non nascondiamoci il fatto che le nostre mono-classi, solo  apparentemente omogenee, finiscono con il diventare destinatarie di un insegnamento frontale e monocorde.

 

Efficienza e uso delle risorse

Posto che nel sistema scolastico tedesco non sono previste supplenze brevi (se non per assenze superiori a 3 mesi), né personale ausiliario (ma solo un custode tuttofare), dove vengono re-impiegati i risparmi così ottenuti? Certamente, in una retribuzione più alta dei docenti (anche se le 28 ore settimanali di insegnamento - di 45 minuti - appaiono comunque impegnative), oltre che in alcune figure da noi inesistenti, come quella dell’educatore professionale. L’educatore, presente nella scuola elementare fino alla classe quarta, svolge importanti compiti di supporto educativo: dall’assistenza alla mensa, al gioco, alle attività integrative pomeridiane, ma anche 10 ore di compresenza settimanale in classe con il docente titolare.

Lo stato degli edifici appare più adeguato, le tecnologie sono più diffuse, la formazione in servizio maggiormente apprezzata e ricercata dai docenti. Il fatto è che per diventare insegnanti stabili bisogna farsi apprezzare per la preparazione e la qualità del lavoro che si farà in classe.

Analogamente, la scelta dei dirigenti è più curata che da noi ed è previsto un lungo periodo di prova/osservazione/professionalizzazione.

 

A.A.A. qualità cercasi…

Anche il sistema tedesco si interroga sulla sua qualità ed il sistema di valutazione appare fortemente strutturato ed imperniato su un corpo ispettivo “tonico” ed attrezzato. Le scuole sanno che ogni 5 anni (o anche più di frequente, se qualcosa non funziona) saranno visitate per 3 giorni da una equipe capitanata dall’ispettore (aspettatevelo sul portone della scuola fin dalle 7,00 del mattino e salutatelo non prima delle 21,00!). Del gruppo fanno parte anche un docente accreditato, oltre che un capo d’istituto.

La visita prende spunto dall’autovalutazione interna, raccoglie testimonianze, documenti, evidenze sugli indicatori più significativi. Lo schema ricorda quello del CAF, il Common Assessment Framework europeo, ma poi l’osservazione esterna si dirige senza esitazioni all’interno delle classi, ove si vorrebbe verificare la produttività ed efficienza nell’uso del tempo e dei materiali, il rispetto dei curricoli, ma anche la qualità della mediazione didattica messa in atto dal docente e del ruolo attivo che si richiede agli allievi. Forse si è capito che il punteggio PISA si incrementa non tanto perché si intensifica l’insegnamento frontale, ma perché si costruisce un ambiente di apprendimento articolato e motivato, in grado di stimolare l’iniziativa attiva dei ragazzi.

 

I problemi sono comuni

Insomma, il sistema scolastico tedesco appare assai ben congegnato (e questo ce l’aspettavamo…), ma anch’esso è alle prese con i problemi di tutti i sistemi scolastici europei e quindi anche del nostro. Si tratta infatti di:

a)      migliorare la qualità della scuola e dei risultati, anche attraverso un sistema di valutazione esterna che regoli lo sviluppo del sistema (senza interventi espulsivi, pare), basato su un efficiente servizio ispettivo;

b)      prendersi cura della professionalità dei docenti, con una più mirata selezione del personale e la sua stabilità all’interno di un istituto scolastico che li apprezza e li sa accogliere;

c)      favorire l’inclusione di ceti, culture, etnie, nel rispetto dell’identità linguistica del paese, ma in un’ottica sicuramente democratica;

d)     rendere più efficace il sistema di governance, nella riconferma dell’approccio federale al governo (le politiche scolastiche dei 16 Lander sono uno stimolo per le nostre 20 regioni), ma riconoscendo che ci sono livelli nazionali da presidiare (standard) e livelli locali di responsabilità da incentivare (sussidiarietà);

e)      ridurre all’essenziale la dimensione burocratico-gestionale, anche con un accorto utilizzo delle tecnologie e spostando il focus della dirigenza verso i fattori che possono produrre migliori risultati negli apprendimenti.

 

Si tratta di una agenda chiara, che offre qualche speranza credibile per uscire dalla marginalità in cui è stata cacciata (si è cacciata) la scuola italiana.

 

Riferimenti bibliografici

F.Frabboni, G.Wallnofer, N.Belardi, W.Wiater, Le parole della pedagogica. Teorie italiane e tedesche a confronto, Bollati Boringhieri, Torino, 2007.

R.Prott e C.Preissing (a cura di), Integrare le diversità. Un curriculum per l’educazione dell’infanzia. Programma educativo di Berlino, Edizioni Junior, Bergamo, 2006.

Eurydice, Il dirigente scolastico in Europa in “Bollettino di informazione internazionale”, novembre 2009.

 


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