AUTONOMIA SCOLASTICA: UN DECRETO PRET-A-PORTER (?!)

di Giancarlo Cerini

Autonomia nella scuola, perché ?

Riuscirà il pachiderma-scuola (sia detto in senso più affettuoso che ironico) a trarre profitto dalle opportunità offerte dalla autonomia scolastica, nella versione ormai sanzionata dalla Legge 15-3-1997, n. 59 ? In altri termini, la nostra scuola sarà capace di acquisire quei caratteri di agibilità, flessibilità, leggerezza, velocità, che le sono richiesti a gran voce, fin dai commi dell'art. 21 della sopracitata legge? E poi, queste ultime sono qualità, per così dire, "confindustriali" o non piuttosto categorie calviniane (ricordate le mirabili Lezioni americane!), necessarie per vincere le sfide della contemporaneità e ringiovanire con esse? Sono le domande che si affollano nella fronte corrugata di docenti e dirigenti, sollecitati a gran voce ad abbandonare i riti "monoteistici" della "cattedra" e del "libro", per inoltrarsi con più coraggio nei nuovi ambienti educativi "politeistici" e multimediali (come insiste da ultimo Roberto Maragliano dalle pagine - anzi dai files - di questa rivista).

L'autonomia organizzativa e didattica (ma anche di ricerca e sviluppo) sembra essere il contesto professionale più adatto per questa modernizzazione della cultura scolastica, perché rompe schemi consolidati (le ore "disciplinari", la classe, l'aula, il metodo) e propone una combinazione creativa e flessibile (alias modulare) di tutti gli ingredienti che configurano un ambiente di apprendimento intenzionale (come intende essere ancora la scuola).

Tuttavia, di fronte a tanto clamore innovativo (si tratti di autonomia, di riordino di cicli, di tecnologie, di nuovi curricoli), si ha spesso l'impressione di una ventata di eccessivo giovanilismo. Insomma, che si proponga il cambiamento avendo come fine il cambiamento stesso. Vien spontaneo ai "conservatori" (ci consideriamo momentaneamente tali) chiedersi: è forse compito della scuola inseguire tutti i saperi che quotidianamente ormai si affacciano su una scena culturale sempre più "globale" (e quindi non più contenibile)? O meglio, non spetta ad essa quasi il diritto ad una "splendida obsolescenza" (la definizione è di Franco Cassano, l'autore di "Pensiero meridiano"), nel proporre conoscenze "disinteressate", poche ma persistenti, essenziali ma durature?

Domande forti, ma necessarie nel momento in cui con la scuola dell'autonomia sembrano venir meno molte delle certezze con le quali fino ad oggi abbiamo operato (in fatto di programmi, orari, metodi, ecc.).

Dare un "senso" all'autonomia

Se non sorretta da una approfondita riflessione culturale l'autonomia rischia infatti di tradursi in piccole variazioni di dettaglio su aspetti marginali dell'organizzazione scolastica. Ecco perché ha destato qualche preoccupazione (nei sindacati e nelle associazioni) la scelta del Ministro di anticipare con decreto e circolare la sperimentazione dell'autonomia scolastica (CM 766 e DM 765, entrambi con la data del 27-11-1997). Il rischio è infatti quello di legittimare un "fai da te" di basso profilo (una settimana corta là, un accorpamento di ore qua, una sforbiciatina al curricolo qui, e così via) senza affrontare nel merito le questioni di fondo del nostro sistema scolastico. La realizzazione dell'autonomia non può essere considerata di per sé una finalità della scuola, ma uno strumento (sia pure nobile e disinteressato), per realizzare il massimo di opportunità formative per tutti i ragazzi.

Questo approccio procedurale ha contribuito a creare l'impressione che l'autonomia sia un marchingegno amministrativo che interessa tutt'al più i capi di istituto (che, non a caso, diventano "dirigenti"), gli enti locali, l'amministrazione, e quasi per nulla i docenti. E' invece necessario far vivere l'autonomia dentro le classi, nella didattica; vederla "dalla parte" degli insegnanti, come una occasione importante di liberazione di energie, di recupero di professionalità, di autonomia progettuale ed organizzativa. In fondo, con la Legge 59/97 il principio dell'autonomia che la nostra Costituzione riservava solo alle Università ed agli Istituti di alta cultura viene esteso a tutte le istituzioni scolastiche, e questo evento non può essere senza significato.

Ma analizziamo con più precisione il contenuto del decreto e le nuove possibilità operative che si aprono nella scuola, quella elementare in particolare.

I tempi della sperimentazione

Intanto occorre prestare attenzione ai tempi delle possibili operazioni sperimentali. Siamo ormai a metà dell'anno scolastico e dunque sarà buona norma non "scardinare" improvvisamente la nostra organizzazione didattica. Consideriamo invece il decreto come un invito a sviluppare una forte azione di studio (seguendo la metodologia dell'autoanalisi di istituto), a compiere un approfondito "check-up" sull'organizzazione della nostra scuola (dagli aspetti generali e "sociali" a quelli didattici e "interni"), per apportare poi eventuali innovazioni a partire dal prossimo settembre.

E' evidente che ogni cambiamento nell'organizzazione (ad esempio, l'introduzione di una attività facoltativa aggiuntiva, l'allestimento di un laboratorio utilizzabile anche in orario extrascolastico, la fornitura di un servizio di pre-scuola, la stessa adozione della settimana corta) comporta un complesso processo decisionale. Dopo aver verificato la congruità pedagogica dei cambiamenti, andranno coinvolti gli utenti del servizio, gli enti locali di riferimento, il personale interessato, ecc. Sarà necessario adottare strumenti amministrativi forse nuovi (ad esempio, un contratto per prestazione d'opera, una convenzione, un protocollo di intesa, ecc.) e reperire le eventuali risorse aggiuntive. Tutti atti che non si possono improvvisare in qualche settimana.

Il suggerimento è quello di attivare un piccolo gruppo di miglioramento (secondo le strategie tipiche dei progetti-qualità) composto da persone altamente motivate (espressione di professionalità diverse e con una certa "libertà" di pensare soluzioni alternative, attraverso un frequente ricorso al brainstorming). Il gruppo, avvalendosi anche di consulenze esterne dovrebbe produrre, nel giro di alcuni mesi, un rapporto conoscitivo corredato di alcune proposte operative, da sottoporre prima della fine dell'anno scolastico agli organismi decisionali (collegio dei docenti, consiglio di circolo, dirigente scolastico). Prima di prendere decisioni occorre infatti valutare le diverse ipotesi, disporre delle informazioni utili, conoscere dettagliatamente la situazione. Se nel nostro Circolo già funzionasse un "nucleo di valutazione interna" (ma anche questa è un'idea sperimentabile) potremmo avvalerci dei suoi documenti per procedere più speditamente nella progettazione. Comunque, al di là delle formule che si potranno adottare, ciò che conta è far scaturire le innovazioni attraverso un processo condiviso di ricerca/azione.

Ma, che cosa si sperimenta ?

Molte delle riserve con cui è stato accolto il decreto 765/97 si riferiscono alla genericità delle indicazioni offerte sui possibili "oggetti" della sperimentazione, che sembrano incidere soprattutto sulla sfera organizzativa (il calendario scolastico o i tempi di insegnamento, con tutte le ambiguità connesse a fenomeni tipicamente italiani come le ore di 50 minuti), piuttosto che su quella curricolare. E' difficile, dalle scarne voci del decreto, ricavare lumi circa i margini di manovra di cui le scuole potranno disporre nel variare l'impianto curricolare vigente. Sembra di scorrere un elenco di possibilità già previste dal nostro ordinamento (iniziative di continuità, attività di orientamento, iniziative di integrazione con il territorio, iniziative di recupero e di sostegno) o di nuove opportunità da meglio decifrare (in merito all'adattamento del calendario scolastico, degli orari delle lezioni e degli insegnanti, all'articolazione flessibile del gruppo classe). Troppo poco e troppo vago - si è detto.

E' dunque urgente trovare risposte convincenti alle domande che le scuole si stanno facendo:

In effetti, se si pone mente ai contenuti ipotizzati nel decreto ministeriale, ne risulta un quadro abbastanza prevedibile, che dimentica alcune questioni decisive dell'autonomia (nulla si dice sulle figure di sistema; su strumenti e procedure di valutazione della produttività scolastica; sulle possibilità di attivare ricerche, consulenze, convenzioni; sulla gestione di forme "integrate" ed in alternanza di istruzione/formazione). Infine, è assente la connessione tra sperimentazioni già in atto, a vario titolo, nei diversi ordini scolastici ed il nuovo piano nazionale preannunciato dal DM 765/97 (ma dov'è il piano ? E' forse in arrivo un "allegato" tecnico esplicativo?). La nuova sperimentazione annulla, integra, sostituisce quelle esistenti oppure, come pensiamo, si aggiunge alle precedenti? A quali di esse l'Amministrazione fornirà maggior sostegno, in termini di personale, finanziamenti, visibilità?

E per le elementari, ci sono novità?

Chi opera nella scuola elementare è ormai abituato da un decennio ad uno stile largamente improntato all'autonomia organizzativa e didattica. Basti pensare agli ampi spazi di discrezionalità previsti dalla riforma del 1990 (Legge 148), in merito alla durata del tempo settimanale (tra le 27 e le 40 ore, anche per far posto ad insegnamenti integrativi); nel numero delle giornate nella settimana (5 o 6) e dei relativi rientri pomeridiani; nelle diverse possibilità di aggregazione delle classi (attraverso la poco "sfruttata" e "mal vissuta" combinazione modulare); nella estrema flessibilità degli orari delle discipline (per le quali non esistono standard prefissati, ma solo soglie minime) e, addirittura, nella costruzione "variabile" di aggregati pluridisciplinari (gli ambiti).

Come si nota, si tratta di buona parte dei punti previsti dal Decreto 765/97, che quindi rischia di avere effetti nulli nella scuola primaria. Forse l'estensore del Decreto, una mano certamente più adusa a trattare i problemi della scuola secondaria che non quelli della primaria (ma la marginalità della scuola elementare nelle sedi di elaborazione "forte" di Viale Trastevere è ormai lampante) non conosce neppure la più recente CM 116 del 22-3-1996, con la quale furono suggerite ulteriori misure di flessibilità e di autonomia progettuale (con interessanti spunti circa la distensione "annuale" e "settimanale" dei tempi del curricolo, una più plastica configurazione dei team docenti, la gradualità delle differenziazioni tra le discipline).

Al di là del contenuto, va segnalato come tali indicazioni (sia quelle del 1990, sia quelle, più liberiste, del 1996) non siano state di per sé sufficienti a limitare la presenza di modelli organizzativi rigidi e schematici. Questi ultimi sembrano rassicurare maggiormente i docenti che (giustamente) reclamano certezza di condizioni operative e professionali. Questo atteggiamento lo ritroviamo anche nella scuola media, ove le innovazioni "modulari" previste fin dalla Legge 517/77 non hanno mai attecchito, o nella più recente esperienza degli Istituti Comprensivi, ove le ampie possibilità di "verticalizzare" curricoli e interventi dei docenti sono guardate con molto sospetto, nonostante gli incentivi forniti con la CM 454/97.

Il fenomeno ci rammenta che lo sviluppo dell'autonomia nella scuola sarà un processo "culturale" lungo e complesso, che dovrà essere sostenuto con intensi e qualificati momenti di formazione.

Per una scuola elementare già sensibile e preparata ai ritmi dell'autonomia progettuale paventiamo invece un rischio più alto, quello della sovraesposizione contemporanea a troppi stimoli di provenienza diversa. Mettiamoci nei panni di un Collegio dei docenti: in questi ultimi due anni ha cercato di "tenere insieme" con coerenza messaggi tra di loro sovrapposti, come le indicazioni emergenti dalla Verifica della riforma (nella duplice versione parlamentare e ministeriale), gli effetti dell'incipiente organico funzionale di circolo (in fase di ulteriore implementazione), l'autonomia organizzativa e didattica "imbastita" con la CM 116/97 (mai seriamente "monitorata"), il dibattito "sfuggente" sul riordino dei cicli e sui saperi fondamentali (con una elementare senza "diritto di parola").

Insomma, la scuola elementare del dopo-riforma rischia di trovarsi nel nuovo scenario dell'autonomia con troppe opzioni, troppi stimoli, troppi documenti, ma con una vaga idea della strada da intraprendere.

Le risorse per la sperimentazione

Ha destato non poche perplessità la previsione che le proposte di sperimentazione debbano attuarsi nell'ambito delle risorse esistenti, praticamente a "costo zero". Già i bilanci delle scuole, specie dell'obbligo, sono ridotti all'osso e non si vede come si possano sviluppare innovazioni senza un adeguato sostegno finanziario. Se volessimo, ad esempio, promuovere un progetto per "il piacere della lettura", o una stazione multimediale, o un "laboratorio ambiente", o un "atelier della creatività", dovremmo sperabilmente disporre di qualche risorsa aggiuntiva. O almeno di qualche incentivo, o quanto meno di indicazioni più certe su come reperire nuove risorse. Anche solo per studiare le innovazioni si richiedono consulenti, formatori, progetti di fattibilità, documentazione, sopralluoghi, ecc.

Non è sufficiente concedere, come fa il decreto, la possibilità di apportare variazioni tra i rigidissimi capitoli degli attuali (magrissimi) bilanci. E poi, le occhiute ragionerie dei Provveditorati agli Studi quali spazi operativi saranno disponibili a concedere alle singole scuole? Qui dovremmo introdurre il doloroso capitolo del possibile ruolo di sostegno all'autonomia che l'Amministrazione scolastica è chiamata a svolgere, cambiando radicalmente il proprio modo di amministrare: ne avrà la forza, la capacità, la voglia ? La costituzione dei Nuclei di assistenza tecnica all'autonomia, previsti dal decreto, rappresenta un concreto banco di prova per questo nuovo "stile" richiesto all'Amministrazione. Se si andasse verso una nuova "burocrazia" dell'autonomia (per non parlare di clientele) molti dei discorsi che abbiamo fin qui fatto risulterebbero del tutto vani.

Per dare credibilità all'operazione sperimentale, sarebbero comunque indispensabili alcuni precisi segnali in controtendenza:

Verso una autoriforma "gentile"

Come abbiamo visto in questa breve rassegna, di fronte alla prossima autonomia ventura si manifesta una pluralità di attese, di speranze, di timori, di critiche.

Ma al di là delle nostre opinioni, ci compete l'onere di misurarci con le opportunità offerte dal decreto 765 e dalla circolare 766 del novembre 1997; soprattutto chi ha criticato, e noi tra questi, un eccesso di dirigismo e di progetti innovativi calati dall'alto su una scuola spesso passiva, non può lasciarsi sfuggire la possibilità di partecipare ad un processo "costituente" (dal basso) di una scuola diversa, più ricca e attenta agli aspetti di qualità, di umanità, di valori educativi. Insomma, perché non cominciare a praticare quella autoriforma "gentile", con la "g" minuscola, da più parti invocata, e che oggi sembra essere un po' di più alla nostra portata ?



in corso di stampa su La vita scolastica