TRA IL DIRE E IL FARE…
ASPETTANDO LA (NUOVA) GRANDE RIFORMA

di Giancarlo CERINI

 

Focus group per Letizia M.

- Ma è la mia politica scolastica ! – sembra che abbia esclamato il Sen. Luigi Berlinguer (tra il sornione e il divertito) al termine delle audizioni parlamentari, il 18 e 19 luglio 2001, del neo-ministro all’Istruzione Letizia Moratti.

- Siamo in presenza di un progetto che ci riporta indietro agli anni ’50, di dubbia validità costituzionale ! – ha replicato, invece, un noto editorialista di "cose di scuola" assai vicino al ministro uscente Tullio De Mauro.

- Finalmente un po’ di attenzione per gli insegnanti ! Dopo tanta demagogia, ci sarà un contratto "separato" per i soli docenti, i veri responsabili del buon funzionamento delle scuole ! – ha sottolineato l’ala professional (quella a-confederale) dei sindacati di categoria.

- Sembra un editoriale del "Sole 24 ore" ! – ha infierito qualche critico, sfavorevolmente impressionato dal curriculum imprenditoriale del ministro L.M.Brichetto.

- Sì, belle frasi, ma senza impegni precisi, e senza nessun accenno alle risorse finanziarie necessarie per tante ambizioni ! – hanno scosso la testa i più delusi, quelli che avevano già eccepito su dimensionamenti, razionalizzazioni, contratti "a perdere" imputati al predecessore Berlinguer.

Se un obiettivo l’intervento programmatico del Ministro lo ha raggiunto è stato quello di scatenare la sovrapposizione delle interpretazioni, il gioco delle attribuzioni (quel passaggio è di destra, l’altro è certamente di sinistra), la ricerca degli elementi di continuità e discontinuità con le scelte precedenti dell’Ulivo.

Paradossalmente, tutti gli interlocutori del nostro immaginario "focus group" potrebbero aver ragione, perché le 10 cartelle consegnate agli atti parlamentari (altre 10 sono dedicate ai problemi dell’Università e della Ricerca) contengono un progetto di politica scolastica ancora molto aperto, con il ricorso ad accattivanti concetti "politically correct", con dichiarazioni di intenti universalmente accettabili, ma con una predisposizione a glissare sulle questioni più controverse, due tra tutte: il futuro modello di riordino dei cicli e le concrete modalità di valorizzazione (differenziata?) delle professionalità nella scuola.

Occorre allora seguire le pieghe più minute delle argomentazioni, per cogliere qualche indizio più consistente sulle future linee della politica scolastica della "Casa delle libertà".

- Operazione ingenua ! – esclama la collega, oggi deputata dell’opposizione alla Commissione Istruzione della Camera dei Deputati – piuttosto bisogna mettere in relazione le dichiarazioni di principio con i primi provvedimenti concreti assunti dall’esecutivo, senza troppe concertazioni….

Ad esempio, il decreto legge n. 255 del 3-7-2001 per l’avvio "regolare" dell’anno scolastico, oltre a "rafforzare" in modo emblematico i poteri del dirigente scolastico, introduce un principio di equiparazione tra scuole pubbliche e scuole private (leggasi: paritarie) che va ben al di là di un problema contingente sul personale precario; il ritiro del regolamento per l’avvio della riforma dei cicli rimanda un preciso segnale alternativo al modello proposto dall’Ulivo; la sospensione dei regolamenti per la sperimentazione nella scuola dell’infanzia (espansione e nuovi standard di funzionamento) e nella scuola superiore (generalizzazione dell’orario a 32 ore settimanali) suggeriscono che sia in atto un ripensamento complessivo anche delle linee per l’attuazione dell’autonomia scolastica.

Questi passi, si fa notare dalla medesima fonte, sono assai più significativi delle evasive dichiarazioni parlamentari e lasciano intravedere ulteriori passaggi (legislativi e amministrativi) nella medesima direzione.

E poi, si aggiunge, un quadro esauriente delle fonti alla base del nuovo indirizzo di politica scolastica dovrebbero comprendere almeno il documento di Nova Spes (anche se il gruppo trasversale promotore non coincide esattamente con il nuovo staff del Ministro), il manifesto di "Scuola Libera !" (che appare, però, fortemente sbilanciato su un versante "liberista" allo stato puro, difficilmente sostenibile in una compagine governativa che contempera -al suo interno- diverse anime) e, soprattutto, le prime indicazioni operative contenute nel documento di programmazione economico-finanziaria (DPEF) che delinea le prospettive di governo a medio-periodo, ove l’incremento dei finanziamenti per la qualità della scuola è collegato a non meglio precisate economie o modifiche di spesa.

 

Alla ricerca di un metodo

Proviamo allora a raccogliere le tessere di questo nuovo "mosaico" (sarà un caso, ma i ministri all'istruzione sembrano fortemente attratti da questa tecnica "musiva") e di delineare un primo profilo di insieme.

Intanto la diagnosi sullo stato di salute "formativa" del nostro paese è assai severa:

Come si può notare i dati non sono molto diversi da quelli più volte presentati negli scorsi anni, se non per una più accentuata attenzione alle dinamiche e alle esigenze del mondo produttivo, anche se poi si fa notare che il tandem Berlinguer-De Mauro avrebbe spinto troppo sul "saper fare" a scapito del "sapere" disinteressato e, soprattutto, del "saper essere". Si coglie nel documento anche una certa sottovalutazione della formazione di base (sia nei suoi punti di forza, che in quelli di debolezza).

Più decisa appare la denuncia di una certa improduttività della spesa pubblica destinata alla scuola, a cui si attribuisce un livello pro-capite superiore del 15 % a quello dei nostri partner europei (quasi fosse un disonore!). Ricordiamo, a referto, che anche molte scelte "uliviste" in merito al "contenimento" della spesa per l'istruzione sono apparse malthusiane, fino a prefigurare una riforma dei cicli a costo zero: quasi a segnalare la persistente difficoltà per ogni Governo ad incrementare la spesa pubblica verso l'istruzione ed a motivarle nei confronti di un’opinione pubblica (in questo caso della platea dei contribuenti) assai diffidente.

Dalla diagnosi discendono alcune indicazioni molto generali assai simili a quelle rintracciabili nei diversi documenti europei, a partire da La scuola nella società della conoscenza (1996) della Commissione Europea (M.me Cresson) (*):

E’ evidente come siano compresenti, in questo ventaglio di ipotesi, diverse strategie: alcune riconducibili alla tecnica delle riforme "pesanti" (cioè sostenute da provvedimenti di legge e da modifiche di ordinamento), altri più coerenti con processi "bottom up", cioè di innovazioni promosse dal basso, mediante il protagonismo e l’impegno quotidiano dei docenti e delle scuole. Due strategie entrambe indispensabili, ma che possono essere giocate con diverse accentuazioni. La critica mossa a Berlinguer è stata proprio quella di aver accelerato troppo il quadro dei cambiamenti dall’alto (avvalendosi delle prestigiose firme dei partner sociali - Confindustria e sindacati - apposte sotto l’Accordo per il lavoro del settembre 1996), ma senza curarsi del necessario coinvolgimento e consenso della base degli insegnanti.

Nelle sue dichiarazioni il neo-Ministro sembra tenersi aperte entrambe le linee di intervento, sia nei confronti del macro-sistema, sia verso il micro-sistema.

Da un lato viene riconfermata l’esigenza di una riforma di quadro, senza accantonare l’idea di un riordino complessivo dei cicli, ma con la previsione di un diverso piano di attuazione e di eventuali modifiche legislative all’impianto della legge 30/2000.

Dall’altro si accentua lo spostamento di poteri e di responsabilità verso le singole scuole autonome, con l’impegno a ridefinire un più incisivo ruolo dei genitori, degli insegnanti e dei dirigenti scolastici.

Vediamo di entrare più nel dettaglio di tali strategie.

 

Il nuovo design del sistema

Sul versante delle riforme strutturali sembra ormai acquisito il mantenimento del principio dell’obbligo formativo a 18 anni, con il probabile allineamento ai 18 anni dell’età di uscita dal sistema scolastico (anche se non lo si dice esplicitamente), mentre appaiono in forse altri due capisaldi della legge 30/2000: la scuola di base e l’elevamento dell’obbligo scolastico.

L’unificazione della scuola elementare e media in un unico ciclo di base settennale sembra messa in mora dall’insistente richiamo alle specificità delle diverse età evolutive (sottolineata anche nella composizione della mini-commissione di esperti nominata per preparare le nuove ipotesi di discussione), mentre l’estensione dell’obbligo scolastico viene curiosamente dirottata verso l’infanzia (curiosamente, perché la frequenza di tre anni di scuola dell’infanzia vale come credito per 1 solo anno di obbligo), con una clamorosa dimenticanza sul fronte dell’elevamento ai 15-16 anni.

Su questo aspetto la proposta si dissocia fortemente dalla precedente impostazione e sposa esplicitamente la tesi del sistema "duale", con una netta divaricazione dei percorsi formativi a 14 anni. Al posto del sistema integrato tra istruzione scolastica e formazione professionale, sponsorizzata dagli esperti dell’Ulivo (con il corredo di passerelle, certificazioni, crediti, alternanza), viene delineato un percorso parallelo dai 14 ai 21 anni, esclusivamente destinato alla formazione tecnico-professionale, con l’intenzione di offrire un’ alternativa praticabile all’attuale dispersione scolastica. Saranno stati preventivati i costi "sociali" di questa operazione, in termini di gerarchizzazione precoce dei destini scolastici e sociali dei nostri ragazzi ?

Più evasivo resta il riferimento al nuovo assetto della scuola superiore, ma, se abbiamo fatto bene i conti, si dovrebbe procedere alla sua riduzione di un anno (quadriennio 14-18 anni), anche se restano sul tappeto posizioni diverse, ivi compresa la conferma del settennio di base, ma con una diversa articolazione interna (4+3?), ottenuta con l’accorciamento a 4 anni della scuola elementare (compensata dal consolidamento obbligatorio dell’ultimo anno della "materna"), come suggeriscono gli esponenti del gruppo trasversale "Nova Spes".

Si tratta di modifiche di non poco conto che richiedono un diverso assetto legislativo, dovendosi mettere mano sia ad una profonda revisione della legge 30/2000 (che imponeva due anni di obbligo scolastico nella scuola secondaria), ma anche della legge 9/99 (che comunque elevava l’obbligo scolastico da 8 a 10 anni).

 

I tempi della scuola e quelli della politica

Poiché gli interventi dovranno essere "rapidi e precisi" ed anzi dovranno trovare una prima applicazione già al 1° settembre 2002, si presenteranno tutti i dilemmi della passata gestione: in particolare, come si potranno coniugare i tempi rapidi delle innovazioni con l’impegno a promuovere le più ampie forme di consultazione tra i docenti, i genitori, gli studenti? Come sarà possibile una capillare azione di auditing (focus group, seminari, ecc.) da fare poi confluire in una sorta di conferenza nazionale (i cosiddetti Stati Generali della scuola)? Si tratta di un’idea dal forte impatto emotivo, quasi per imprimere quel suggello "popolare" alla riforma che è mancato nel palmares dell’Ulivo, tuttavia difficile da governare senza esporsi ai contrapposti rischi della Babele delle proposte o delle sintesi preconfezionate dai "sintetizzatori" autorizzati (in questo caso i 6 membri della neo-nominata Commissione di studio).

Le pregresse vicende delle molteplici consultazioni promosse dal centro-sinistra (su cicli, autonomia, saperi, scuola materna, scuola elementare, curricolo di base, ecc.) hanno lasciato a molti l’amaro in bocca, per i tempi generalmente ristretti, le modalità anguste, gli esiti vaghi, la debole restituzione alle scuole, la scarsa incidenza delle opinioni espresse). Da qualsiasi parte si affronti la questione, restano aperti molti dubbi sull’efficacia di questa metodologia (o di altre simili). Che dire, ad esempio, dell’auspicato coinvolgimento di qualche milione di genitori, categoria che è sempre apparsa come la più tiepida nei confronti delle precedenti consultazioni? E poi, chi ha titolo ad esprimersi su un problema che riguarda il futuro di intere generazioni? non potranno essere solo i genitori immediatamente e direttamente interessati al destino scolastico dei loro figli! E la Politica, quella con la P maiuscola, non dovrebbe proprio servire a cercare e trovare queste sintesi generali?

Ma, posto che - questa volta - si riesca ad organizzare la migliore delle consultazioni possibili, come si metteranno in relazione i tempi della consultazione con i tempi dell’Esecutivo (per il nuovo piano di attuazione della riforma) e del Parlamento (per le eventuali modifiche legislative)?

Se pensiamo che le iscrizioni all’anno scolastico 2002/03 sono ormai alle porte (il tutto deve chiudersi entro il 30 gennaio 2002) le scuole saranno di fronte alle ennesime domande senza risposta: cosa "promettere" nel POF di istituto? quali indirizzi presentare ai genitori? a quali curricoli fare riferimento? quali le risorse su cui contare?

A meno di non pensare ad una totale liberalizzazione delle scelte delle scuole (ma questa decisione non sembra compatibile con il modello della legge 59 del 15-3-1997), si dovrà recuperare molto di quanto già elaborato negli anni passati (soprattutto in materia di curricoli) e definire con più precisione il tipo di risorse disponibili (organici funzionali, budget finanziario, regole per la flessibilità, ecc.).

Siamo sempre più convinti che, al di là delle consultazioni d’opinione, sarebbe più opportuno consentire alle scuole di misurarsi concretamente con le innovazioni, offrendo spazi graduali di autonomia curricolare, mezzi finanziari, incentivi alle persone, consulenze qualificate.

Questo diverso approccio ci introduce alla seconda strategia (il bottom-up) e quindi alla necessità di chiarire in tempi rapidi quali sono gli strumenti di cui le scuole possono avvalersi per inoltrarsi, da subito, sulle strade della piena autonomia.

Occorre, ad esempio, riflettere sulle conseguenze pratiche del ritiro dei tre regolamenti per la sperimentazione dell’autonomia curricolare ed organizzativa (rispettivamente, per la scuola materna, per la "nuova" scuola di base, per la scuola secondaria).

In mancanza di nuove indicazioni il quadro di riferimento per la scuola è unicamente il DM 234 del 26-6-2000, che regolamenta la fase transitoria dell’autonomia, concedendo alcuni limitati margini di flessibilità alle scuole, ad esempio con l’attivazione della quota locale di gestione del curricolo, pari al 15 % del tempo scuola obbligatorio.

Ma già gli esiti del monitoraggio sull’autonomia (MPI-BDP, 2001) segnalano che, in assenza di precise garanzie in ordine all’avvio degli organici funzionali, alla definizione delle discipline fondamentali e dei relativi orari, alla certezza di risorse finanziarie ed umane, al chiarimento circa le modalità delle certificazioni e della validità dei nuovi percorsi, le scuole si muovono con estrema cautela limitandosi ad apportare ritocchi marginali (per lo più di carattere aggiuntivo) o miglioramenti alle metodologie, senza però mettere mano alla riorganizzazione degli assetti curricolari, possibilità che rappresenta la novità più incisiva dell’autonomia scolastica.

Questo "minimalismo" stride, dunque, con la preannunciata maggiore enfasi sulla responsabilità delle singole scuole che richiede, al di là delle dichiarazioni di principio, concreti strumenti culturali, giuridici ed operativi, che non possono limitarsi alla sola gestione del personale precario affidata ai dirigenti scolastici.

E vorremmo proprio chiudere questo commento con qualche riferimento alla questione docente.

 

Valorizzare i migliori, cioè…

In effetti, ci si aspettava qualche indicazione più concreta sui meccanismi di valorizzazione della professionalità docente, al di là dell’accenno ad una specifica area contrattuale per la docenza e ad una prima indicazione sulla necessità di considerare "quantità" e "qualità" delle prestazioni nel trattamento giuridico ed economico del personale.

Si tratta di auspici tante volte sottolineati in documenti, piattaforme, proposte, fino a giungere a prime formulazioni contrattuali (il famoso art. 29 del Contratto Nazionale di Lavoro 1998-2001), poi clamorosamente bocciate dagli insegnanti.

Le burrascose vicende del "concorsone" costituiscono una preziosa lezione dell’esperienza dalle quali ripartire, con alcune precise avvertenze di metodo:

Non è facile trovare una simile quadrature del cerchio; ci limitiamo - per ora- a rimandare a nostre precedenti ipotesi che riteniamo ancora un’utile base di discussione.

Si tratta di "pesare" la professione secondo quattro indicatori: l’anzianità/esperienza; il tempo/responsabilità; le condizioni/disagio; la qualità/progettualità, rispetto ai quali ogni singolo insegnante possa, quasi da sé, decidere in quale fascia contrattuale collocarsi o chiedere di collocarsi.

In questo sistema dei 4/4 (quattro/quarti), il primo quarto di carriera procede per anzianità (in termini automatici o con un eventuale sbarramento junior/senior), con il contestuale recupero del profilo unico docente; il secondo quarto potrebbe dar vita ad una diversa tipologia dei contratti di lavoro (con forme di prestazione orarie ridotte, a tempo ordinario o a tempo potenziato), mettendo ordine alla mai risolta questione della libera professione; il terzo quarto andrebbe a soppesare le effettive condizioni di lavoro (numero delle classi, alunni, aree geografiche, continuità, ecc.); l’ultimo quarto potrebbe "sondare" prime forme di apprezzamento qualitativo del lavoro da legare sia ad imprese collegiali (che implicano una progettualità di gruppo, di consiglio di classe, di dipartimento disciplinare), sia ad una valutazione individuale (sulla base della considerazione del curriculum professionale e della documentazione didattica del proprio lavoro). In quest’ultimo caso il riconoscimento di una qualifica "master" potrebbe essere la chiave di accesso a funzioni e responsabilità professionali intermedie nella propria scuola (coordinamento didattico, assistenza ai neo-insegnanti, comitati di valutazione).

Il ventaglio delle opportunità di differenziazione, da mettere progressivamente a fuoco, dovrebbe essere oggetto di aperta discussione tra i docenti in occasione delle prossime tornate contrattuali: non c’è miglior soluzione alla valorizzazione della professione (anzi, non ci sarà alcuna soluzione) se non quella proposta e accettata dalla professione medesima.

Siamo partiti dalle dichiarazioni programmatiche del nuovo ministro Letizia Moratti per arrivare agli interrogativi ed alle domande quotidiane della scuola e dei suoi operatori: un viaggio accidentato e difficoltoso, ma del tutto necessario per intraprendere qualsiasi azione di miglioramento del nostro sistema formativo.

Con i più sinceri auguri a tutti i viaggiatori (e ai conducenti) di buona volontà.


(*) Note: