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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
Direttore responsabile: Dario Cillo


 

Formazione in servizio: è tempo di un rilancio

di Giancarlo Cerini

 

Uno scenario in movimento

   Fa piacere scoprire che tra i crediti formativi di cui parla, in maniera innovativa, il recente documento siglato tra Ministero dell’Istruzione, Aran e Organizzazioni Sindacali[1], venga riconosciuta la partecipazione ad iniziative di aggiornamento e di formazione. Si tratta di un segnale in contro-tendenza (positiva) perché negli ultimi anni la formazione in servizio del personale della scuola era stata confinata nel limbo del “diritto-dovere”, anzi del semplice “diritto”, determinando un certo lassismo nei comportamenti di molti docenti. E’ pur sempre alta la percentuale dei docenti che curano il proprio perfezionamento professionale (anzi, per qualcuno si dovrebbe coniare il termine di docente “onnivoro” dell’aggiornamento), ma si manifesta uno “zoccolo duro” di personale “impermeabile” alle sollecitazioni della formazione, anche per l’assenza di incentivi (positivi o negativi), in grado di premiare o sanzionare i diversi comportamenti.

Certo, non si può ridurre la questione della professionalità docente alla frequentazione di qualche corso di aggiornamento (magari di dubbia qualità). Si dovrebbe ormai parlare di un vero e proprio progetto di sviluppo professionale, come elemento costitutivo degli standard professionali minimi caratteristici di ogni docente, per far parte a pieno titolo di un auspicabile curriculum professionale.  E’ di questo che si è cominciato a discutere nei tavoli sindacali, ma anche in Parlamento, ove sono state depositate alcune proposte di nuovo “stato giuridicio” o “statuto professionale” dei docenti[2].

Il tema è assai delicato perché molti temono che percorrere la via legislativa per il riconoscimento di uno statuto di piena professionalità per i docenti possa rappresentare uno smacco per la rappresentatività dei sindacati e quindi indebolire la tutela contrattuale e la necessaria concertazione delle decisioni. Naturalmente, sul fronte opposto, si denuncia l’eccessiva presa sindacale sulle questioni professionali. C’è del vero in entrambe le posizioni, comunque accomunate dalla preoccupazione che il Parlamento conceda una delega troppo ampia all’esecutivo in materia di professione, di reclutamento, di carriera docente.

Tuttavia la legge 53 del 28-3-2003 (art. 5) è già intervenuta in materia di formazione del personale della scuola, riconfermando un impegnativo percorso di formazione iniziale, con l’obbligo di una laurea specialistica (pari a 3+2 anni di corso) per i docenti di tutti gli ordini scolastici, che prevede –come novità- un più esplicito rapporto tra formazione accademica e formazione sul campo (laboratori, tirocini, praticantato) che potrebbe anche sfociare in un diverso modello di reclutamento dei docenti. Non sono, infatti, da escludere passerelle agevolate verso il mondo del lavoro per coloro che si sono cimentati con un così impegnativo curricolo formativo: infatti, sarebbe improponibile far balenare ai neo-laureati la prospettiva di aleatori concorsi o la casualità del precariato[3].

 

Dalla formazione iniziale alla formazione in servizio

Qui ci interessano i riflessi che i nuovi modelli di formazione iniziale dei docenti avranno sulla costruzione di un diverso profilo professionale degli insegnanti, tanto più se la “nuova” formazione accademica manterrà la promessa di uno stretto legame con le pratiche didattiche, con i contesti operativi, con la riflessione sull’esperienza, delineando la figura di un docente professionista che alimenta la sua competenza attraverso un continuo rimando tra esperienza e sua ricostruzione cognitivo-riflessiva. Su questa diversa “epistemologia” della professione docente si fonda necessariamente anche la chiamata in causa delle sedi universitarie nella formazione permanente dei docenti, perché altrimenti si dovrebbe leggere quanto previsto dalla legge 53/2003 solo come l’ennesima spartizione di compiti e di “uffici”.

Riprendiamo alcuni passaggi dell’art. 5 della legge 53/2003:

e) coloro che hanno conseguito la laurea specialistica […], ai fini dell'accesso nei ruoli organici del personale docente delle istituzioni scolastiche, svolgono, previa stipula di appositi contratti di formazione lavoro, specifiche attività di tirocinio. A tale fine e per la gestione dei corsi […di laurea…], le università, sentita la direzione scolastica regionale, definiscono nei regolamenti didattici di ateneo l'istituzione e l'organizzazione di apposite strutture di ateneo o d'interateneo per la formazione degli insegnanti, cui sono affidati, sulla base di convenzioni, anche i rapporti con le istituzioni scolastiche;

Si recupera l’idea di una fase di “induzione” alla professione docente, mediante un periodo di tirocinio guidato (con un contratto formativo, ovviamente retribuito). Emerge, come conseguenza, l’esigenza di un rapporto più intenso tra l’Università e la scuola, che sarà curato da una struttura d’ateneo o interateneo (una sorta di Dipartimento trasversale alle Facoltà). Tutto da definire resta però l’apporto delle scuole e degli insegnanti già in servizio ai processi di formazione dei neo-docenti, a partire dalle esperienze degli attuali Corsi di laurea e delle Scuole di Specializzazione, ove le attività di tirocinio e di laboratorio non sempre sono riuscite ad acquisire pari dignità con gli insegnamenti accademici.

f) le strutture didattiche di ateneo o d'interateneo […] promuovono e governano i centri di eccellenza per la formazione permanente degli insegnanti, definiti con apposito decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca;

Il comma individua nell’Università la struttura deputata alla formazione in servizio degli insegnanti. La dicitura della legge sembra assai perentoria nell’affidare il “governo” e la “promozione” dei centri di eccellenza alle sole strutture universitarie. Il rischio è che si crei una ennesima frattura tra mondo della scuola ed Università, attribuendo alla cultura scolastica un ruolo marginale e subordinato alla cultura accademica. L’affinamento delle competenze professionali dei docenti è certamente il frutto di un rigoroso itinerario scientifico e culturale, ma non può prescindere dalla capacità di riflettere sulla pratica didattica, riconoscendo un valore fondante all’epistemologia del lavoro sul campo.

g) le strutture […d’ateneo e d’interateneo…] curano anche la formazione in servizio degli insegnanti interessati ad assumere funzioni di supporto, di tutorato e di coordinamento dell'attività educativa, didattica e gestionale delle istituzioni scolastiche e formative

Il ruolo delle Università viene chiamato in causa anche in relazione allo sviluppo di nuove funzioni o figure professionali. Si tratta di un terreno assai promettente, perché strettamente connesso con l’autonomia della scuola, che richiede l’emergere e il consolidamento di una “leadership collaborativa” all’interno di ogni istituzione scolastica, non solo con l’individuazione di uno staff di collaboratori del dirigente scolastico, ma con l’affidamento a docenti qualificati di nuove responsabilità e funzioni. Si tratta di presidiare funzioni (progettare, formare, documentare, valutare, fare ricerca, ecc.) sempre più necessarie allo sviluppo di modelli organizzativi e curricolari complessi.

Anche in questo caso si può osservare che la preparazione di nuove figure professionali, come arricchimento ed articolazione della funzione docente, non può essere affidata esclusivamente a percorsi formativi di natura accademica, valutati e certificati in una sede esterna alla scuola. Si finirebbe con il dare un giudizio negativo sulla capacità della scuola di esprimere e produrre cultura, conoscenza, sapere professionale.

 

Cultura dell’aggiornamento e qualità della formazione

Rifondare il sistema dell’aggiornamento professionale degli insegnanti richiede non solo un “ricambio” delle sedi e delle strutture (non basterà, ad esempio, sostituire agli IRRE le Università), ma un prfondo ripensamento dello stesso concetto di formazione permanente. Non è più tempo di “aggiornamento”, semmai di “formazione in servizio” o, ancora meglio, di “sviluppo professionale” dei docenti. Si modifica il senso della “formazione continua” per gli insegnanti: non più un “dovere” da assolvere in vista di un avanzamento di carriera, ma un diritto ad un personale progetto di crescita professionale, da “pretendere” dal proprio datore di lavoro.

Dovranno cambiare anche le modalità e gli effetti della partecipazione ai corsi: non più il semplice “pezzo di carta” (l’attestato finale) ma la “certificazione” delle competenze realmente acquisite. I corsi non potranno essere generiche conferenze tenute da relatori più o meno qualificati, ma programmi di formazione “garantiti” nella loro qualità.

Preliminare a questa prospettiva dovrà essere la costruzione di alcuni standard di qualità che possono “marcare” il valore di determinate attività di formazione. Questo obiettivo elementare, che era stato posto con chiarezza all’interno della direttiva 202/2000 sulla formazione in servizio del personale, è rimasta largamente disattesa. Oggi non abbiamo un sistema di certificazione di “crediti formativi” per gli insegnanti che possa essere paragonato a quanto, invece, accade del sistema sanitario o per gli studenti che frequentano le Università[4].

Esiste qualche tentativo generoso, di carattere sperimentale, ma la strada da percorrere è assai impervia. Ci piace citare, in questa impresa, il passaggio che è stato compiuto nel contratto regionale per la formazione del personale della scuola e ATA stipulato il 24 giugno 2004 tra l’Ufficio Scolastico Regionale dell’Emilia-Romagna e le Organizzazioni Sindacali del settore, perché si definiscono alcune coordinate per la certificazione delle attività.

Art. 11 (Certificazione delle attività e crediti formativi)

Le iniziative formative che si caratterizzano per particolari standard di qualità e durata (almeno 100 ore), realizzati nell’ambito di protocolli d’intesa con le Università della regione, che si concludono con una prova di accertamento delle competenze acquisite dai partecipanti, saranno certificate in via sperimentale come “crediti formativi” dall’Amministrazione scolastica ai fini della loro possibile spendibilità nel sistema scolastico.

Analogamente le Università firmatarie di protocolli di intesa con l’Ufficio Scolastico Regionale si impegnano a riconoscere alle medesime attività formative il valore di “credito formativo” esigibile nell’ambito del sistema universitario (master, perfezionamenti, lauree, ecc.).

    La realtà ci dice che siamo ancora lontani da standard ottimali: lezioni troppo cattedratiche, scarsa ricaduta sul miglioramento delle pratiche didattiche, metodologie spesso antiquate e noiose, formatori non sempre all’altezza. C’è una forte domanda di informazioni e conoscenze sulle nuove tecnologie (è l’argomento più gettonato dalle scuole), tale da sopravanzare anche le richieste relative all’autonomia ed ai saperi disciplinari[5]. Ma l’analisi dei temi prevalenti dei corsi non è sufficiente ad esprimere un giudizio sulla loro possibile qualità. Per questa valutazione ci aiuta di più la descrizione delle metodologie utilizzate.

   Dagli esiti dei monitoraggi compiuti in questi anni[6], risultano ancora prevalenti le forme tradizionali del corso-conferenza, anche se si fa strada il ricorso al laboratorio (simulazioni, esercitazioni, ecc.) o alla ricerca didattica assistita da tutor; decisamente più limitata è la presenza di esperienze di autoanalisi, gruppi di miglioramento, stage, mentre quasi inesistente è il ricorso alle nuove tecnologie (apprendimento on-line, pacchetti multimediali, ecc.).

Tab. 2 – Metodologie prevalenti nei corsi di formazione delle scuole

Metodologie prevalenti

Circoli didattici

Istituti comprensivi

Scuole medie

Scuole secondarie

Tutti gli ordini scolastici

Pacchetti multimediali

2,1  %

1,5  %

3,1  %

3,9  %

2,8 %

Apprendimento indipendente

0,3  %

1,0  %

0,8  %

0,8  %

0,6  %

Formazione a distanza

0,5  %

0,6  %

0,5  %

4,2  %

1,5  %

Lezioni frontali, dibattiti

29,9  %

31,6  %

36,5  %

39,9  %

34,6  %

Laboratorio (simulazioni, esercitazioni…)

38,4  %

41,4  %

35,8  %

26,5  %

34,7  %

Gruppi di miglioramento, autoanalisi…

10,5  %

9,7  %

8,9  %

5,5  %

8,6  %

Didattica assistita (tutor…)

6,1  %

4,2  %

4,0  %

3,9  %

4,8  %

Stages esterni, tirocini…

0,2  %

0,4  %

0,3  %

2,1  %

0,8  %

Seminari, gruppi di lavoro

9,2  %

8,2  %

8,7  %

11,6  %

9,7  %

Dinamiche di gruppo (T-group, role play)

2,7  %

1,4  %

1,3  %

1,6  %

1,9  %

Fonte: : Rielaborazione dati da BDP-MPI, Monitoraggio sperimentazione autonomia 1999-2000, Firenze, 2001.

Balza agli occhi la scarsa presenza di esperienze basate sull’e-learning (la generazione “avanzata” della formazione a distanza), anche se dal 2001 ad oggi lo sforzo dell’Amministrazione è stato imponente, con l’allestimento di vere e proprie campagne di formazione a distanza, con il supporto di sistemi on line messi a disposizione prevalentemente dall’INDIRE: dalla formazione delle funzioni obiettivo[7] all’anno di formazione, dallo specifico programma FORTIC al supporto alla sperimentazione e all’innovazione degli ordinamenti. Si può stimare che oltre 300.000 docenti italiani abbiano ricevuto il loro battesimo del fuoco sulle piattaforme on line, anche se i giudizi sul modello adottato (“blended”, cioè integrando momenti in presenza e momenti a distanza) non appaiono sempre univoci. I corsi si fanno, gli accessi alla rete ci sono (anche in orario notturno), i percorsi vengono “tracciati”, ma al termine resta l’amaro in bocca per le potenzialità promesse che non si sono avverate. Non scatta, cioè, quella fase avanzata dell’e-learning che dovrebbe vedere i corsisti trasformarsi in membri di una comunità professionale permanentemente in interazione tra di loro. Questione di tempo, si dirà, ma anche di abitudini, di convinzioni, di contesti professionali che non possono essere surrogati dalla sola “web community”.

Gli insegnanti sanno che la professionalità richiede una “manutenzione” continua, perché i ragazzi cambiano e bisogna affinare gli strumenti per osservarli, conoscerli, capirli, per partire dai loro “stili” di apprendimento e dalle loro motivazioni, che spesso vanno ri-costruite; cambiano anche i saperi da proporre agli allievi, perché c’è una evoluzione incessante della ricerca e aumentano le attese della società nei confronti della scuola; cambiano, infine, le tecniche della comunicazione e della mediazione didattica: non basta spiegare ed interrogare, occorre attivare funzioni di sostegno personalizzato, di tutoring, di orientamento, non solo per i ragazzi in difficoltà, ma per trasformare la scuola in un “ambiente” di produzione culturale, per dare a tutti il gusto della ricerca, delle domande intelligenti, delle risposte coinvolgenti, in fondo, per alimentare l’emozione del conoscere (negli adulti e nei ragazzi). Questi sono i dati che emergono dalla viva voce dei docenti, interpellati recentemente sulla loro condizione professionale, anche in Emilia-Romagna.[8]

Non ci si forma solo per “adeguarsi” alle nuove richieste, né solo per “preparare” i cambiamenti, ma piuttosto impegnandosi in prima persona in un percorso evolutivo della professione. Non basta più il classico modello imperniato su corsi di aggiornamento e gli esperti. Serve piuttosto una guida (un tutor che mi accompagna in un processo di autoformazione): il “tutor” ideale potrà essere il docente “esperto” della porta accanto, oppure un gruppo di colleghi con i quali costruire una “comunità di (buone) pratiche”.

La scuola dell’autonomia è un “contesto culturale ed operativo” che richiede nuove competenze agli insegnanti, ma che offre nuove opportunità di formazione ed autoformazione. Assumere nuovi compiti gestionali, partecipare a programmi di ricerca/azione, impegnarsi in ricerche didattiche di carattere innovativo, rimettere mano (con gradualità) al curricolo della scuola in cui si opera rappresentano altrettante occasioni significative per prendersi cura della propria professione. Le scuole possono diventare sempre più protagoniste e responsabili della qualità professionale degli operatori scolastici (le scuole come laboratori per lo sviluppo professionale).

Rinnovare la formazione in servizio è, dunque, un’operazione culturale ed organizzativa complessa, che non ammette scorciatoie anche se queste fossero rappresentate dalle rassicuranti autostrade dell’e-learning, magari in mano ad un unico, affidabile, gestore.

In questo delicato momento di attuazione di una nuova legge di ordinamento sembra mancare un punto forte di elaborazione di strategie per la formazione in servizio, da presentare ai decisori politici. E’ emblematico che sia stato deciso di azzerare anche l’unica struttura ministeriale (la Direzione Generale per la Formazione) che si doveva occupare di aggiornamento, decidendo di assorbirla nella più ampia struttura di gestione del personale.

Se la gestione della formazione in servizio si sposta a livello locale (nelle singole unità scolastiche, nel territorio provinciale, sulla dimensione regionale), non è giustificabile mantenere a livello centrale una struttura gestionale “pesante” (come potrebbe essere una Direzione Generale), ma questo principio di “Stato leggero” non fa venire meno l’esigenza di uno “Stato pensante”, cioè di una capacità di studio, di analisi, di orientamento e controllo di processi (anche in materia di formazione del personale). Le grandi agenzie (o Istituti) nazionali possono rispondere a siffatte esigenze: questa è infatti la mission dell’INDIRE (a proposito di documentazione dell’innovazione) e dell’INVALSI (a proposito di valutazione di sistema), mentre mancano strutture analoghe in materia di ricerca educativa (un’istituzione simile esiste in Francia) e di formazione. In quest’ultimo caso le strutture di riferimento potevano essere gli IRRE (Istituti Regionale di Ricerca Educativa), ma gli Istituti non  rappresentano ancora una sede “nazionale” di coordinamento e di orientamento delle politiche formative, oltre ad aver perso dall’acronimo il termine “aggiornamento”.

Questo ruolo, sul finire degli anni novanta (1997-2001) era stato svolto dal Coordinamento della Formazione degli Insegnanti (CFI), una struttura temporanea istituita presso il Ministero dell’Istruzione proprio con il compito di ripensare (piuttosto che di gestire) nuove strategie per la formazione dei docenti.[9]

 

Un ambiente diversificato di apprendimento per i docenti

Si deve al CFI la messa a fuoco di alcune «tipologie formative» da sottoporre all’attenzione dei docenti, dirigenti, responsabili della formazione, non solo per rinnovare le metodologie formative, ma per realizzare un vero e proprio ambiente di apprendimento per gli insegnanti. Desumiamo la descrizione di tali tipologie da due “quaderni” editi dall’Istituto Poligrafico dello Stato[10]:

-          Corsi brevi

Si tratta di corsi caratterizzati da modalità organizzative ed espositive tradizionali. A certe condizioni, cicli di incontri interessanti o anche semplici lezioni frontali possono ancora rappresentare delle opportunità per i docenti, se rispondono ad una loro precisa domanda e se sono di buona qualità.

-       Laboratori didattici

Il laboratorio costituisce una delle più efficaci modalità di ricerca didattica. Rappresenta la condizione migliore per fare dell’esperienza in classe uno strumento privilegiato di apprendimento professionale. Esso può avere diverse tipologie quanto a sistematicità, modalità organizzative, utenza, elementi di supporto a disposizione.

-       Reti di insegnanti

La costituzione di reti locali favorisce gli scambi di materiali, gli accessi alle informazioni, l’avvio di dibattiti, la costruzione condivisa di progetti e percorsi didattici; rappresenta un aiuto notevole per lo sviluppo di comunità di pratiche e per il sostegno all’autoapprendimento.

In questo ambito un ruolo decisivo può essere svolto dalle associazioni (professionali e disciplinari) dei docenti.

-       Collaborazione con l’università

Sono numerose le modalità di interazione tra scuola e università: dalla frequenza a corsi qualificati, all’interazione collaborativa in rete, dai rapporti individuali o per gruppi di docenti intorno a progetti di ricerca comune alla collaborazione per la formazione dei nuovi insegnanti.

-       Borse di ricerca e borse di studio

La padronanza degli strumenti di ricerca educativa può essere stimolata dall’assegnazione di borse di ricerca, da destinare a docenti che svolgono prevalentemente attività in classe e desiderano accrescere la qualità della pratica didattica e dell’apprendimento degli studenti, mediante rapporti qualificati con l’università e con istituti di ricerca.

-          Master

L’approfondimento di tematiche di interesse culturale e professionale può trovare una risposta qualificata nella fruizione di corsi master e/o di specializzazione presso sedi universitarie o istituto di formazione di alto livello.

-          Stages formativi

Rispondono all’esigenza di una formazione intensiva e mirata in contesti stimolanti di carattere extrascolastico. Possono collegare il mondo della scuola con quello del lavoro (nel caso in cui si chiamano in causa esperienze e risorse di tipo aziendale ed imprenditoriale), dei servizi sociali, della ricerca, dei beni culturali

-          Programmi tematici sulla TV satellitare

Le esperienze effettuate negli ultimi anni (come i programmi sugli esami di stato, sull’intercultura, sull’autonomia, ecc.) stanno mostrando le potenzialità di sviluppo dei nuovi media. Le modalità di fruizione diretta delle trasmissioni andranno accompagnate da forme interattive di comunicazione attraverso «siti dedicati» e supporto di tutor.

-       Formazione on line

La formazione a distanza di ultima generazione è destinata ad occupare un posto di rilievo nel prossimo futuro. Essa risponde al bisogno di superare le contingenze ed i limiti delle singole realtà territoriali e di trovare risposte adeguate alla molteplicità e diversità dei bisogni formativi dei docenti.

-          Consulenza e assistenza consulenziale

Disporre nelle scuole di una consulenza qualificata a sostegno della progettazione è un’esperienza coerente con le prospettive dell’autonomia. Esperti, team di esperti, agenzie accreditate, istituzioni, enti, associazioni possono offrire sevizi di consulenza e le scuole possono stipulare con essi apposite convenzioni.

Non sempre queste diverse tipologie potranno essere realizzate all’interno delle singole scuole o su scale territoriali troppo ridotte. Pensiamo che la dimensione regionale possa rappresentare un ambito adeguato permettere alla prova l’apporto delle tipologie cui abbiamo fatto riferimento per la realizzazione di un sistema integrato di opportunità formative per tutti gli operatori.

E’ a queste linee regionali che si è ispirata l’azione della Direzione Generale dell’USR ER nel tratteggiare le proprie politiche formative.[11]

 

Il “baricentro” regionale

Una politica regionale per la formazione dovrebbe contare su alcuni sistemi di garanzia per la qualità, cioè di alcune condizioni che sostengano il diritto degli insegnanti e degli altri operatori ad una formazione di qualità.

Le situazioni attivate in Emilia-Romagna sono:

-       Sistema di informazione sulla formazione (SISIFO). Si tratta di un portale realizzato dall’Ufficio Regionale per offrire a tutti gli operatori scolastici la possibilità di accedere in tempo reale ad informazioni sull’universo delle opportunità formative (corsi, agenzie, formatori) e ai soggetti produttori di formazione (Amministrazioni, scuole, associazioni, enti) la possibilità di mettere a disposizione tempestivamente le proprie offerte. L’Amministrazione ha così la possibilità di svolgere un ruolo di monitoraggio dell’interazione domanda-offerta. Tale portale è in via di sperimentazione e potenziamento (www.sisifo.org).

-         Osservatorio regionale di orientamento e monitoraggio. Organismo bilaterale costituito dalle rappresentanze dei sindacati firmatari dell’ultimo contratto e dell’amministrazione, per supportare il sistema regionale e territoriale nell’individuazione dei bisogni formativi e delle strategie di intervento, oltre che per verificare l’applicazione degli istituti contrattuali nel campo della formazione. Tra gli obiettivi prioritari dell’Osservatorio sono le azioni di monitoraggio permanenti sulle attività di formazione, sui servizi professionali territoriali, sulla qualità  e funzionalità dei progetti formativi, sui rapporti domanda-offerta, finalizzate ad aiutare il sistema formativo a riorientare le scelte. Un primo esempio si è avuto con la vicenda delle funzioni obiettivo e delle funzioni strumentali, per le quali è stato creato un apposito servizio di monitoraggio “on line” (il servizio è accessibile dall’area Punto.doc del portale dell’USR ER: www.istruzioneer.it).

-       Rapporto con il sistema universitario, le associazioni, le agenzie accreditate. L’orientamento è quello di abbandonare la gestione diretta delle attività formative, per coinvolgere – oltre alle unità scolastiche - i diversi soggetti pubblici e privati operanti nel settore. Compito dell’Amministrazione diventa quello di stimolare comportamenti, adeguare standard, orientare processi, anche attraverso un sistema di accordi e convenzioni con partner diversi. In questa ottica vanno letti gli accordi dell’Ufficio Scolastico Regionale con le associazioni professionali (28-2-2002), con l’Università di Bologna (settembre 2003) ed altre sedi universitarie emiliano-romagnole, con l’IRRE Emilia-Romagna, con numerosi altri soggetti istituzionali.

-       Livelli contrattuali e standard organizzativi. Con le più recenti Direttive nazionali sull’aggiornamento è stato ulteriormente spostato verso la sede regionale il baricentro delle scelte in materia di formazione, in una logica di concertazione sindacale. Si tratta di caratterizzare questo spazio di discrezionalità evitando il duplice rischio di una semplice presa d’atto degli automatismi di una distribuzione a pioggia delle (poche) risorse disponibili o di fungere da cassa di risonanza dei grandi progetti di formazione nazionale (sulle riforme, sull’e-learning, ecc.), per mettere in risalto il “valore aggiunto” di una progettualità regionale che sappia raccogliere le tradizioni di qualità che la reginoe esprime.

Uno sguardo in prospettiva

L’avvio di una nuova stagione che affermi la centralità della formazione per la qualità degli insegnanti non può limitarsi ad un burocratico adempimento di quanto contenuto nella legge 53/2003, in merito alla titolarità “universitaria” delle azioni di aggiornamento e di formazione in servizio, ma dovrà sviluppare alcuni concetti chiave che in questi anni sono stati solo “sussurrati” in qualche illuminato “paper”:

-         la scuola deve costituire un laboratorio permanente per gli insegnanti;

-         l’amministrazione e le scuole devono sostenere i progetti personali di formazione e la varietà dei percorsi di crescita professionale;

-         alle norme amministrative vanno sostituiti standard predefiniti e certificazioni delle competenze.

-         vanno assicurate a tutte le domande formative pari opportunità di fruizione.

-         le associazioni professionali rappresentano un’opportunità per la crescita di competenze, per la motivazione all’insegnamento.

-         ci devono essere tempi garantiti dedicati alla formazione;

-         gli insegnanti esperti sono una risorsa importante in quanto dispongono di capitali di conoscenze e di competenze da investire nella formazione.

In conclusione, ci permettiamo di sottolineare che la formazione permanente sarà una condizione per l’affermazione di una professionalità docente sempre più qualificata solo se saprà rispondere ad alcune precise condizioni. Si tratta di concetti che sono stati appena toccati dal recente dibattito sulla funzione docente e che richiedono un diverso approccio culturale:

-       la padronanza della propria biografia professionale come indicatore per misurare il livello di discrezionalità professionale di ogni docente;

-       la consapevolezza che lo sviluppo della professionalità avviene per cicli di apprendimento (fasi più meno intensive) piuttosto che per percorsi lineari, uniformi e generici.

-       la riflessione sulla pratica come una delle dimensioni ineliminabile di ogni azione formativa nel campo delle professioni dell’insegnare. La riscoperta, quindi, del sapere professionale come un insieme di conoscenze pratiche, di teorie di riferimento, di competenze operative, di capacità ed atteggiamenti che costituiscono un unicum professionale e tecnico.

-       il concetto di ricerca degli insegnanti collegato con quello di autonomia di ricerca delle scuole.

-       il benessere dei docenti come condizione di sviluppo professionale.

-       il rapporto tra qualità della formazione  e qualità dell’esperienza formativa degli studenti.

-       la collegialità professionale come strumento di scelta dei docenti e di garanzia formativa per gli studenti.

 


 

[1] Il documento MIUR-ARAN-Organizzazioni sindacali è stato siglato il 24 maggio 2004 ed è riportato nel fascicolo monografico “Tutor, funzioni tutoriali, comunità tutorante”, di “Notizie della scuola”, n. 20, 16-30 giugno 2004, Tecondid, Napoli.

[2] Due proposte di legge in materia di stato giuridico del personale della scuola sono state presentate all’attenzione del Parlamento:

-          PdL n. 4091 (presentata alla Camera dei Deputati il 19-6-2003 dall’On. Santulli e al.) su “Statuto dei diritti degli insegnanti”;

-          PdL n. 4095 (presentata alla Camera dei Deputati il 23-6-2003 dall’On. Napoli) su “Disposizioni in materia di stato giuridico degli insegnanti e di rappresentanza sidacale”.

[3] Questo tema dovrà essere oggetto di uno specifico decreto legislativo che dovrà dare attuazione a quanto previsto dall’art. 5 della legge 28-3-2003, n. 53 (che è appunto una legge di delega). Il decreto, come tutti quelli previsti dalla legge, devono essere approvati entro 24 mesi dall’entra in vigore della legge 53/2003.

[4] Cfr. G.Antonelli, Crediti formativi, in G.Cerini-M.Spinosi (a cura di), Voci della scuola duemilacinque, Tecnodid, Napoli, 2004.

[5] Questa appariva la distribuzione dei contenuti delle attività di aggiornamento nel 1999/2000 (l’ultimo anno per cui si dispone di dati completi): nuove tecnologie, multimedialità (26,8 %); aspetti generali dell’autonomia (15,7 %); approfondimento di insegnamenti disciplinari (9,9 %); progettazione dell’offerta formativa (POF) (5,4 %); aspetti relazionali (accoglienza, comunicazione) (5,1 %); integrazione allievi (handicap, multiculturalità) (4,6 %); seguono, con percentuali inferiori: flessibilità e modularita didattica,  cultura dell’organizzazione, gestione risorse umane, innovazioni di carattere metodologico, continuità, orientamento, curricolo verticale, progettazione attività facoltative, integrazione sistemi formativi, psicologia dello sviluppo, autovalutazione, elevamento obbligo scolastico, gestione collegiale, servizi scolastici, documentazione educativa, ruoli professionali, esame di stato.

Fonte: Rielaborazione dati da BDP-MPI, Monitoraggio sperimentazione autonomia 1999-2000, Firenze, 2001.

[6] Ministero Istruzione e IRRE, Moniform. Dall’aggiornamento allo sviluppo professionale, Le Monnier, Firenze, 2001.

[7] R.Barbero-P.Nervo (IRRE Piemonte), Funzioni obiettivo e nuove professionalità, CFI, Tecnodid, Napoli, 2001.

[8] Ci riferiamo all’indagine sulla professionalità docente condotta in Emilia-Romagna negli anni 2002 e 2003 da un gruppo di nove associazioni professionali e dall’IRRE, su commissione dell’Ufficio Scolastico Regionale per l’Emilia-Romagna. La ricerca è presentata nel testo IRRE-USR ER, Il portfolio degli insegnanti, USR, Bologna, 2004.

[9] Il Coordinamento della Formazione degli Insegnanti (CFI) è stato diretto, fin dalla sua istituzione, dal dott. Mario G.Dutto, attuale Direttore Generale dell’USR della Lombardia. Il CFI è stato soppresso a seguito della approvazione dei nuovi Regolamenti per la riforma del Ministero dell’Istruzione: il DPr 347/2000 (che istituiva la Direzione Generale per la Formazione) e il Dpr 319/2003 (che assorbe la Direzione della Formazione nell’ambito della Direzione del Personale).

[10]    MPI-CFI, Reinventiamo la formazione continua degli insegnanti”, Istituto poligrafico, Roma, 1999.

MPI-CFI, Sviluppiamo la formazione continua degli insegnanti”, Istituto poligrafico, Roma, 2000.

[11] Una prima documentazione delle azioni intraprese a livello regionale in materia di formazione in servizio è contenuta nel quaderno di G.Cerini (a cura di), La formazione in servizio del personale. Verso un sistema regionale di opportunità, USR ER, Bologna, 2001.


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