FUNZIONI-OBIETTIVO: novità per la formazione

di GIANCARLO CERINI (*)

La formazione dei docenti che svolgono funzioni di supporto all’organizzazione didattica (le cosiddette "funzioni-obiettivo") rappresenta una delle condizioni richieste dal Contratto Nazionale di Lavoro (1998-2001) per poter esercitare tale funzione o per aspirare ad esercitarla in futuro. Nel corso del primo anno di sperimentazione delle nuove figure (il 1999/2000) le attività di formazione hanno interessato tutti i 58.000 docenti che erano stati incaricati di "funzioni-obiettivo" (f.o.) a seguito della designazione del rispettivo Collegio dei docenti.

Molte sono state le "critiche" rivolte alle attività di formazione, sia per i tempi ristretti (ed il ritardo) in cui sono state spesso condotte, sia per le modalità di svolgimento, soprattutto per i contenuti e le metodologie non sempre all’altezza delle aspettative dei partecipanti. Tenteremo, in questa nota, di compiere qualche analisi retrospettiva su quanto è avvenuto, anche al fine di delineare i possibili sviluppi futuri. Infatti, anche per il corrente anno scolastico i docenti incaricati –per la prima volta- di funzioni obiettivo saranno impegnati in attività di formazione obbligatorie (per 30 ore annue), mentre i docenti riconfermati "f.o." potranno –volontariamente- usufruire di servizi di supporto formativo. Resta invece incerta (per motivi finanziari) la possibilità di "aprire" i corsi anche ai docenti attualmente non coinvolti, ma interessati comunque ad acquisire un "credito formativo" da spendere nel futuro.

 

Tempo di bilanci

Un bilancio "onesto" sulle iniziative di formazione delle funzioni obiettivo svolta nei mesi scorsi deve partire da alcuni dati preliminari che non si possono sottovalutare:

a) lo scarso tempo a disposizione, per la novità della nuova figura (formalizzata nel contratto integrativo del 31 agosto 1999) e per le incertezze nella successiva assegnazione e attivazione dei "posti" nelle singole scuole (in alcuni casi dopo molti mesi);

b) la necessità della concertazione sindacale (nazionale e provinciale) che ha portato ad un primo documento di orientamento sulla formazione solo il 29 dicembre 1999 ed a successive lungaggini nell’avvio dei corsi territoriali;

c) l’esiguità dei fondi a disposizione (circa 140.000 lire pro-capite), molto al di sotto degli standard di costo previsti nei settori non scolastici ed ora, anche nel campo dell’aggiornamento dei docenti. Esiste, in proposito, un protocollo siglato nel gennaio 2000, ma non è ancora operativo;

d) l’ampiezza della platea dei docenti da coinvolgere contemporaneamente, ciascuno portatore di bisogni, storie, aspettative. Siamo infatti in presenza di un "personaggio" (la "funzione-obiettivo") che non è un docente generico o alle prime armi, ma che ha spesso alle spalle un curriculum ricco e articolato.

Queste annotazioni non vogliono certamente giustificare l’Amministrazione centrale e periferica (cui spettava la regia dell’intera operazione, in verità con qualche eccesso di cogestione sindacale), ma segnalare le difficoltà che si presentano quando si vogliono innovare i modelli di formazione, avendo a disposizione poche risorse, tempi ristretti, una macchina (l’amministrazione scolastica) ormai in affanno, una cultura della "nuova" formazione in servizio ancora debole.

Dobbiamo poi aggiungere l’incertezza circa il ruolo del docente "funzione-obiettivo", tutto da interpretare e da costruire, con una oscillazione tra le precedenti esperienze "forti" di figure di sistema (come gli operatori psicopedagogici o tecnologici) o quelle "deboli" di docente referente di progetto (1). E’ vero che il Contratto nazionale del 1999 indica quattro profili di massima di funzioni obiettivo, con una declaratoria analitica dei possibili compiti, ma poi –correttamente - lascia ogni scuola libera di comporre e adattare i profili preventivati agli obiettivi specifici definiti dal Piano dell’Offerta Formativa. Di qui l’infelice neologismo di "funzione-obiettivo": non una "figura" con una definita e solida competenza, da mettere (permanentemente ?) a disposizione della scuola, ma una più temporanea attività "strumentale" alla vita organizzativa della scuola –mutevole e cangiante- a seconda delle scelte operate dal collegio dei docenti in fase di elaborazione del Piano dell’offerta formativa.

Tab. 1- I profili delle funzioni-obiettivo stabilite nel contratto

 
  1. gestione del piano dell’offerta formativa (coordinamento della progettazione didattica);
  2. sostegno al lavoro dei docenti (coordinamento della formazione in servizio);
  3. interventi e servizi per studenti (coordinamento dell’accoglienza e dell’orientamento);
  4. realizzazione di progetti esterni alle scuole (coordinamento dell’integrazione con il territorio).

A seconda della interpretazione, cambia anche il modello formativo adottabile: nel primo caso (la figura "forte") si dovranno irrobustire competenze di settore, legate all’area funzionale prescelta, con una più esplicita differenziazione dei corsi (ad esempio, costituendo gruppi di docenti omogenei per funzione); nel secondo caso (la figura "jolly") si opterà per attività largamente trasversali, orientate verso competenze relazionali e progettuali (con gruppi di formazione comuni a più funzioni, centrati sul territorio). Non sempre, nei corsi svolti, è stato possibile coniugare queste diverse esigenze, determinando così frustrazione e delusione tra i partecipanti.

D’altra parte, anche l’obbligo di formazione previsto per questi docenti, mentre per tutti gli altri il Contratto di Lavoro ne ha stabilito la facoltatività, introduce un fattore di insidia, perchè tende a trasformarlo in adempimento, in routine, come spesso capita nelle iniziative imposte (pensiamo, ad esempio, all’anno di formazione per i docenti neo-assunti).

Una regola d’oro per la "nuova" formazione è senza dubbio rappresentata dalla decisione (potremmo addirittura dire, dal piacere) di ogni docente di impegnarsi autonomamente in un processo di autoformazione (apprendimento indipendente), di curare la propria crescita personale nel corso della carriera (sviluppo professionale), di dedicarsi ad attività di studio e ricerca con colleghi esperti (comunità di pratiche). Queste erano, d’altra parte, le indicazioni contenute nel documento di orientamento stilato dall’apposito Osservatorio Nazionale per la Formazione, un organismo bilaterale voluto dal Contratto nazionale, per vigilare sul nuovo sistema dell’aggiornamento.

Come mai, allora, promettenti indicazioni di principio non sono riuscite a diventare pratica diffusa nelle diverse province ? Cos’è che non ha funzionato ? Quali sono le modifiche da apportare al modello ?

Possiamo avvalerci di alcune prime osservazioni compiute dalla stessa amministrazione centrale (la regia dell’operazione è stata affidata al CFI-Coordinamento Formazione Insegnanti, la struttura che ha il compito di "pilotare" le nuove strategie della formazione), che ha mantenuto frequenti contatti con i responsabili provinciali dei progetti di formazione (una figura ad hoc, creata per l’occasione). Sono state compiute rilevazioni in progress circa l’andamento delle attività formative, mentre le azioni di monitoraggio e valutazione dei corsi sono state affidate a soggetti esterni (Irrsae e Università).

 

Caratteristiche della formazione

Ma come si è svolta concretamente la formazione rivolta alle funzioni-obiettivo ?

Tenuto conto del ridotto monte-ore e dei finanziamenti disponibili il percorso formativo è stato articolato in una parte "virtuale", da svolgersi con tecnologie di carattere telematico (circa 10 ore, affidate in gestione alla BDP) ed una parte "in presenza", con iniziative territoriali (almeno 20 ore di seminari e stages brevi).

In molte province è stata effettuata una preliminare ricognizione delle esigenze formative dei docenti (in genere con questionari), ma non sempre si è riusciti a dare corso a progetti coerenti con quanto auspicato dai partecipanti, soprattutto in merito alle metodologie formative. Prima dell’avvio "ufficiale" delle attività formative, i contatti con i soggetti interessati si sono limitati spesso a momenti formali di presentazione dei corsi (2). Non era difficile immaginare che ci si sarebbe trovati di fronte ad un target di insegnanti assai motivati ed attenti, quasi una "nervatura" organizzativa della nuova scuola dell’autonomia: spesso insegnanti generosamente impegnati sul campo, desiderosi di contribuire allo sviluppo della loro scuola, anche se alle prese con i quotidiani compiti didattici (non dimentichiamo che –al momento- non è prevista alcuna forma di esonero per l’espletamento dell’incarico di funzione-obiettivo). Sarebbe stato necessario, al di là dei corsi, promuovere durante tutto l’anno incontri di coordinamento territoriale, sviluppare forme di assistenza e consulenza, garantire costanti flussi di informazione. Qualcosa si è fatto, a volte con il prezioso apporto delle stesse funzioni obiettivo e dei responsabili provinciali dei progetti (3), ma lo sconcerto è stato grande, quando –in qualche caso- il primo incontro di formazione (magari un’affollata assemblea plenaria) è avvenuto solo al termine dell’anno scolastico.

Il fatto è che siamo ancora largamente impreparati ad intraprendere percorsi di formazione realmente innovativi: l’Amministrazione scolastica deve imparare "gestire" meno i dettagli e a "governare" con più incisività i processi; i Sindacati devono far lievitare le contrattazioni locali in termini di qualità; le agenzie formative e gli stessi formatori-esperti sono spesso affezionati a modelli "accademici" di trasmissione di conoscenze.

Non basta un questionario (sia pure ben fatto) per compiere una analisi delle esperienze e delle risorse disponibili tra il personale assegnato alle funzioni-obiettivo; non basta un generico incontro, per avviare un percorso sistematico che porti ad un bilancio di competenze; non basta destrutturare le attività formative per costruire progetti di formazione personalizzati; non basta mettere insieme le persone per incentivare la capacità di coordinarsi in rete e realizzare "prodotti" significativi attraverso gruppi di lavoro e di autoapprendimento.

Per cambiare il modo di fare formazione servono professionalità, ruoli tecnici, sensibilità pedagogiche, risorse didattiche, tempi adeguati, che non sempre si è potuto (o voluto) allestire nei diversi contesti.

 

Punti di forza e punti di debolezza

Gli orientamenti dell’Osservatorio prevedevano che le iniziative di formazione dovessero essere affidate in gestione ad organismi pubblici e privati qualificati e/o accreditati, in grado di offrire le necessarie garanzie di competenza e qualità (Università, IRRSAE, agenzie formative, associazioni, enti, scuole, ecc.). Solo un terzo dei Provveditori (4) si è attenuto strettamente a questa indicazione, molti hanno preferito adottare formule miste, nelle quali il rapporto con i soggetti esterni si è limitato alla segnalazione di esperti o a forme più generiche di collaborazione. Un altro terzo ha gestito direttamente la formazione, affidandola agli operatori del proprio ufficio studi-aggiornamento o ai dirigenti scolastici disponibili. Questa difformità di comportamenti è dovuta senz’altro alle incertezze del quadro normativo (infatti non sono ancora operanti le disposizioni circa l’accreditamento di associazioni e agenzie formative: il relativo decreto è uscito solo nel mese di luglio 2000), alla diffidenza nei confronti dei soggetti esterni (visti gli esiti deludenti dell’operazione "formazione capi di istituto"), alla volontà di non delegare a soggetti esterni un delicato rapporto con figure strategiche per lo sviluppo dell’autonomia.

Più che giustificate le motivazioni, gli esiti sono però sembrati assai disparati, sia nel caso di gestione esterna che interna. L’affidamento "esterno" (oltre ad ingenerare ritardi per l’incertezza delle procedure da adottare: gara d’appalto, chiamata diretta, trattativa sindacale, ecc.) non sempre ha consentito di verificare l’affidabilità dei progetti, allestiti in tempi troppo stringati e con esiguità di risorse (circa 2-3 milioni per un corso medio rivolto a 25-30 insegnanti); la gestione interna ha in qualche caso ripercorso le vecchie strade della nomina dei direttori dei corsi, della calendarizzazione di incontri con esperti, con un limitato ricorso al "lavoro" autonomo dei corsisti.

Non sono mancati i casi positivi (e su queste "buone pratiche" occorre lavorare in futuro). Una breve rassegna, che comincia ad apparire sull’apposito sito di servizio (http://www.cfifunzobiettivo.it/), comprende esperienze qualificate di:

In alcuni casi ai finanziamenti nazionali sono stati aggiunti specifici finanziamenti provinciali (prelevati in genere dalla quota-parte per il sostegno dell’autonomia o dal piano provinciale aggiornamento), anche se la eccessività frettolosità delle operazioni non ha consentito un più ampio ricorso ad "alleanze" esterne. La natura delle attività delle funzioni-obiettivo, che spesso si proiettano verso il territorio, bene si presterebbero all’attivazione di accordi, intese, sinergie utilizzando nuovi strumenti giuridici (ad es. il D.lvo 112/98) e finanziari (come le leggi regionali per il diritto allo studio, ecc.).

Un punto positivo è stato rappresentato dalla azione svolta dai responsabili provinciali di progetto, che nei casi migliori sono stati aiutati da un comitato tecnico-scientifico, in cui erano rappresentati il servizio ispettivo, l’IRRSAE, il Nucleo provinciale per l’autonomia. In qualche realtà è stata criticata l’eccessiva ingessatura provinciale dei corsi: alcuni avrebbero preferito modalità più libere di incontro tra domande (anche soggettive) dei docenti e risposte delle istituzioni (provveditorati, agenzie, servizi territoriali). L’istanza è in sé ragionevole, ma di non agevole soluzione, soprattutto nelle realtà ove i docenti da coinvolgere sono diverse migliaia. I maggiori disagi si sono manifestati proprio nelle aree metropolitane e delle grandi città, mentre la qualità dei corsi ha avuto modo di emergere nelle situazioni intermedie e quindi meglio governabili con una accorta regia provinciale.

 

La formazione in rete (il sito della BDP-Biblioteca Documentazione Pedagogica)

La vera novità del progetto di formazione ha riguardato l’attivazione di un apposito sito Internet (www.bdp.it/funzioniobiettivo), organizzato come una vera e propria area di studio a distanza, cui i docenti impegnati nella formazione potevano accedere registrandosi con una propria password. L’operazione, inizialmente macchinosa, si è poi via via sviluppata a macchia d’olio, fino a coinvolgere oltre 60.000 visitatori in rete, assumendo quindi una vera e propria caratterizzazione di massa (5). La BDP ha registrato picchi di oltre 10.000 accessi giornalieri, pari ad oltre il 50 % dell’intero traffico della agenzia nazionale di documentazione. E’ curioso che le punte di maggior contatto si riferiscano alle fasce orarie 10-11 e 22-23, il che dimostra un uso assai "personale" (e domestico) della rete.

Nel sito gli insegnanti potevano liberamente orientarsi verso:

a) l’aula di studio (una sorta di libro virtuale da sfogliare in rete, organizzato per saggi brevi su compiti, metodi, caratteristiche dell’impegno delle diverse funzioni-obiettivo, con molti rimandi, link, passaggi ad altri percorsi di studio connessi;

b) il laboratorio delle esperienze, in cui descrivere (in abstract) o riversare direttamente proprie esperienze, esempi, materiali didattici, ed in cui sono depositati oltre 6.000 progetti attingibili con sistemi di indicizzazione;

c) i forum provinciali, in cui scambiare messaggi, opinioni, proposte, documenti. Ogni provincia ha attivato 7 forum distinti (2 di carattere informale, 1 rivolto ai temi dell’autonomia, 4 dedicati alle quattro tipologie principali di funzioni-obiettivo), ai quali i docenti registrati potevano partecipare liberamente, anche sbirciando nelle province diverse dalla propria. Questo significa che sono stati aperti circa 700 forum di discussione e che l’esperienza si è trasformata in una grande occasione di comunicazione e riflessione "pubblica". Ovviamente il fenomeno è da approfondire (una ricerca a campione sul contenuto dei messaggi è in corso), ma già segnala nuove tendenze della comunicazione inter-professionale da considerare attentamente nei progetti futuri di formazione.

Anche in questo caso il successo dell’operazione si deve, oltre che all’impegno (umano e tecnologico) della BDP (l’esperienza era una novità anche per l’istituto) all’azione sul territorio dei cosiddetti "tutor di rete", una nuova figura professionale (in genere un insegnante con competenze nel campo della telematica) incaricata di stimolare l’accesso alla rete, di regolare il traffico, di superare gli inevitabili intoppi tecnici (a partire dalle competenze necessarie dei docenti). Si possono giudicare gli esiti di questa iniziativa in termini discordanti; un dato però è appariscente: il consistente incremento delle competenze tecnologiche e di lavoro cooperativo "virtuale" tra docenti, con l’incentivazione del lavoro in rete e lo scambio di esperienze.

 

Uno sguardo al futuro

E’ dal bilancio, con luci ed ombre, dell’esperienza appena trascorsa che si possono trarre alcune ipotesi sullo sviluppo futuro delle attività formative. Le iniziative dovranno sempre più caratterizzarsi per elementi qualitativi (rispondenza ad effettivi bisogni, valorizzazione delle competenze e delle esperienze pregresse dei partecipanti, interattività metodologica) ed orientarsi verso la creazione di sistemi permanenti di sostegno e di consulenza (accompagnamento di tutor, partecipazione a reti di apprendimento, disponibilità di centri risorse). Non va esclusa l’organizzazione di tradizionali corsi di aggiornamento, ma l’esperienza insegna che la formula più efficace è rappresentata da forme intensive (es. semiresidenziali) di stages, con carattere modulare (cioè con unità di lavoro, anche ridotte, ma compiute), verso le quali si eserciti l’opzione dei docenti. L’organizzazione di tali moduli potrebbe essere affidata a quei soggetti (preferibilmente pubblici o associativi) che offrano le necessarie garanzie di qualità) con procedure semplificate di individuazione.

Di fatto, ogni docente con nuovo incarico di "funzione-obiettivo" si troverà di fronte ad una offerta di circa 30 ore di formazione, che potrebbe articolarsi in tre momenti distinti, equivalenti a circa 10 ore di impegno ciascuno:

a) incontri di territorio, gruppi autogestiti, consulenze presso la propria scuola, ecc.;

b) stages di breve durata, su temi di specifico interesse, di carattere prevalentemente operativo (es.: come documentare un progetto, come costruire pagine web, come attivare una partnership, ecc.);

c) navigazione su Internet, nell’apposito sito BDP dedicato, con possibilità di acquisire prime competenze di accesso e di lettura o di fruire in maniera più approfondita dei servizi interattivi (forum, scambi di documenti e prodotti, ecc.).

Le attività informali di incontro/consulenza e l’accesso alla rete potrebbero essere disponibili anche per i docenti riconfermati nell’incarico, per i quali ulteriori e più consistenti iniziative richiederanno finanziamenti locali, ad esempio quelli erogati nell’ambito della diffusione della cultura dell’autonomia (CM 194/2000).

Se la nuova tornata delle iniziative formative riuscirà ad ispirarsi a questi principi innovativi saremo sulla buona strada del rinnovamento del sistema della formazione in servizio, secondo gli auspici più volte formulati dal Coordinamento della Formazione degli Insegnanti (6).


(*) Intervento in fase di pubblicazione sulla rivista L’Educatore, F.Fabbri, Milano, ottobre 2000.


(1) Una descrizione dei profili dell’operatore tecnologico, dell’operatore psicopedagogico e dell’operatore territoriali per il successo formativo è contenuto nel volume: IRRSAE Lombardia, Quali figure di sistema per l’autonomia, Irrsae, Milano, 1997.

(2) Tra le iniziative più interessanti ricordiamo il convegno organizzato dal Provveditorato agli Studi di Forlì-Cesena in collaborazione con Cidi e Aimc, a Cesenatico (FO) nei giorni 12-13-14 novembre 1999 su: "Le nuove professionalità nella scuola dell’autonomia".

(3) Ad esempio si può visitare il sito "Scuole in rete" allestito da un gruppo di docenti "funzioni-obiettivo" della provincia di Forlì-Cesena (http://members.xoom.it/scuoleinrete).

(4) Abbiamo desunto questi dati da un dossier sulla formazione delle funzioni-obiettivo, predisposto dal Coordinamento della Formazione Insegnanti (MPI) a seguito di una rilevazione compiuta presso i Provveditorati agli Studi (nota 494 del 24-5-2000).

(5) In base ad alcuni dati elaborati dal tutor di rete di Forlì le province in cui il traffico di messaggi in rete è stato più intenso sono state, nell’ordine: Genova, Caserta, Varese, Frosinone, Cagliari, Verona, Venezia, Napoli, La Spezia, Foggia, Forlì. I forum, invece, non risultano attivati nelle province di Avellino, Benevento, Vibo Valentia, Salerno.

(6) Si veda il fascicolo: Ministero P.I.-CFI, Sviluppiamo la formazione continua degli insegnanti, Roma, 2000.