PAROLA DI MINISTRO...
(libero adattamento a cura di Giancarlo Cerini)

Sarà per la sede (la prestigiosa Sala del Refettorio del Palazzo di San Macuto-Camera dei Deputati); sarà per i promotori (i gruppi parlamentari della Sinistra Democratica-Ulivo, quasi a rivendicare la "voglia" di iniziativa politica rispetto al governo); sarà per il target dei partecipanti (quasi lo stato maggiore dei quadri politici, sindacali e associativi della sinistra "scolastica"); sarà per le novità degli ultimi giorni (la legge finanziaria, i regolamenti per l’autonomia, le prove di federalismo scolastico); sarà un po’ per tutti questi motivi, ma l’intervento del Ministro Luigi Berlinguer al convegno "Le riforme alla prova", svoltosi a Roma il 16-1-1998, non è stato di quelli di routine.

Vale dunque la pena tentare di scorrere gli aspetti essenziali della relazione, che veniva al termine di una mattina densa di interrogativi. Questo il succo del discorso (mi assumo evidentemente la responsabilità di qualche inevitabile forzatura nell’interpretazione):

"C’è oggi una maggiore attenzione, nell’opinione pubblica, nei mass-media, nel governo, da parte del Presidente Prodi, sui temi della formazione e della ricerca, anche perché siamo in presenza di proposte, di progetti, di atti concreti di riforma. E’ vero, la scuola sembra incerta, timorosa; tra gli operatori prevale il malessere, ma questo è quasi inevitabile di fronte ad un cambiamento in cui (volutamente) non tutto è definito e va quindi costruito senza più attendersi i dettagli dall’alto. E’ comunque indispensabile portare i problemi della scuola fuori dalla solita cerchia degli addetti ai lavori, altrimenti (come è successo in tutti questi anni) non si realizza nessun risultato...le risorse non arrivano...l’attenzione della società si allontana...

A sinistra siamo ancora all’invocazione dei diritti; non riusciamo a passare alla costruzione del cambiamento, alla cultura del riformismo (e dire che il nostro riformismo viene da lontano, ben prima di Blair e Clinton). Abbiamo sottovalutato la scelta dell’Ulivo, cioè dell’incontro con culture diverse, in particolare con il mondo cattolico, che porta con sé l’esigenza di affrontare importanti questioni senza pregiudizi ideologici, con vero spirito laico. Ad esempio, la parità scolastica non è solo questione di regole comuni tra scuola pubblica e scuola privata (su cui anche Bertinotti è ormai d’accordo), ma è soprattutto impegno a favorire l’apporto di tutte le risorse, sedi, strutture ad una migliore offerta formativa. E forse non abbiamo ancora fatto i conti con l’etica del buon governo (che è anche dolorosa, che è incisione di privilegi, che è fine delle strizzatine d’occhio, dei ritardi, del disinteresse). Dentro la scuola bisogna spostare (anche con l’azione di governo) risorse a favore della qualità, verso le strutture, la didattica (ed anche per l’incentivazione del personale). Non possiamo sopportare di avere il costo-medio per alunno più alto d’Europa.

E non possiamo sopportare di avere una scuola che non riesce a rompere i condizionamenti sociali delle disuguaglianze. Questo deve diventare il tema centrale della riforma; questa è la ragione dell’impegno per l’estensione dell’obbligo, per il riordino dei cicli e non basta certo una legge. Ci vogliono delle solide alleanze, come quelle che abbiamo cominciato a costruire nel settembre 1996 (Accordo per il lavoro) e riconfermato nel dicembre 1997 (Accordo dei "1000 miliardi" per la scuola a partire del 1999). Voi della scuola li sottovalutate, ma questi atti rappresentano una inversione di tendenza rispetto agli ultimi anni. In quegli accordi ci stanno gli impegni per le riforme della scuola (e sono firmati da Prodi). Anche il Parlamento -a questo punto- non potrà fare operazioni al ribasso, leggine sul personale (da prima repubblica), un comma dopo l’altro, ma dovrà esprimersi sui grandi scenari, sui quadri culturali ed istituzionali di riferimento.

Così è per l’autonomia scolastica. L’autonomia comporta una scuola più "aperta", più responsabile, più libera, in competizione (pardon, in "emulazione"), che però mette al centro un nuovo modo di essere nell’insegnamento/apprendimento, nell’organizzazione didattica, negli atteggiamenti professionali e mentali. La scuola dell’autonomia è dunque una scuola più creativa, più intraprendente, che fa "audience" nella società (allora sì che avremo più risorse). Ma si diventa autonomi non per obbligo di legge (a parte che ritengo la Legge 59/97 già applicabile), ma perché conviene, perché c’è un tornaconto personale e sociale.

A questo tendono i regolamenti ed i decreti in fase di elaborazione. Abbiamo presentato gli schemi di provvedimenti per la dirigenza scolastica e per il dimensionamento degli istituti autonomi ed è in fase avanzata quello sull’autonomia organizzativa e didattica. Ci stiamo mettendo più tempo del previsto perché abbiamo paura di sbagliare. Poi dovranno essere molto snelli e si dovrà anche cambiare lo stile di redazione di leggi e provvedimenti.

Ma il problema vero è un altro e ha a che fare con la questione del "welfare state": si tratta di passare dall’idea di un corpo sociale "assistito" ad un corpo sociale "responsabilizzato", di avviare un processo virtuoso di tipo liberale, ma da sinistra. Su questa prospettiva culturale si dovranno misurare la riforma dello Stato, il federalismo, il ruolo di Regioni ed Enti locali, la modernizzazione della Pubblica Amministrazione. Certo, abbiamo avuto burocrazie sabaudo-borboniche, fasciste, e più recentemente di supporto all’assistenzialismo. Vien la voglia di cancellarle, ma una struttura di garanzia, di impulso, di controllo, deve pur esistere. Ma di che tipo e come ? Qui il discorso è aperto e c’è qualche contrasto anche in casa nostra; ad esempio Bassanini (o almeno i suoi "saggi") spinge di più per una regionalizzazione delle sedi decisionali e per un consistente affidamento a province e comuni di consistenti compiti amministrativi. Nella Legge 59/97 non c’è solo l’art. 21 (che fonda una sostanziale autonomia della scuola), ma anche gli artt. 1 e 4 che mettono in gioco un diverso rapporto tra Stato, Regioni, Eni locali, anche nel campo della pubblica istruzione (e tra pochi giorni se ne parlerà pure in bicamerale).

Intanto voglio una Amministrazione scolastica più efficiente ed incisiva; non è possibile che ogni Direzione Generale sia un piccolo Ministero a se stante: per smontare le resistenze cominceremo -tra poche settimane- a lavorare per progetti trasversali (giovani, formazione, nuove tecnologie, gestione finanziaria). Al centro dei processi devono però stare i soggetti che la scuola la costruiscono tutti i giorni, i docenti innanzitutto (per i quali vogliamo uno speciale riconoscimento di specifica professionalità in sede di contratto - lo diremo all’Aran con apposite direttive), e gli studenti (per i quali lo statuto dei diritti e dei doveri riconosce una piena titolarità di azione nel processo formativo, con più responsabilità e partecipazione personale).

Insomma, con l’autonomia si alza la soglia della responsabilità per tutti. Non è solo un problema di dirigenti. Il prossimo contratto dovrà imboccare la strada del riconoscimento della qualità del lavoro ben fatto; bisogna rimettere in movimento le carriere, la formazione, senza paura delle inevitabili differenziazioni. La libertà d’insegnamento va tutelata, ma deve entrare in un gioco di squadra più convincente.

Ma tutto questo si fa perché, a monte, ci sono un disegno strategico, un progetto culturale, dei valori (una formazione più estesa, più ricca, più forte). Vogliamo portare un’intera generazione a 18 anni con una formazione più solida, con un diploma o comunque competenze vere; non ci basta un obbligo qualsiasi per decreto.

Questo è il riordino dei cicli: al di là del disegno operativo o del ritaglio concreto dei vari cicli, con ipotesi che possono piacere di più o di meno (e che si possono discutere, se animati da spirito costruttivo) dobbiamo essere coerenti con i principi irrinunciabili che ho via via esposto. A questi ispiriamo le azioni di governo quotidiano. La riforma è in corso (e l’autonomia ne è un esempio) e nessuno ha diritto di insabbiarla. Se ci sono opinioni diverse (come ci sono) bisogna convergere però su una linea di riforma, senza mediazioni al ribasso. Con la riforma bisogna misurarsi positivamente. L’attesa o la rinuncia non aiutano a pensare."

Questo l’intervento del Ministro. Ognuno tragga le sue interpretazioni. Io l’ho considerato un intervento duro (voglio stanare le nicchie torbide di pensiero che si celano a sinistra), determinato (non potremo tornare di fronte agli elettori senza aver realizzato la riforma della scuola), e ho visto un ministro orgoglioso del progetto che si sta delineando (sull’autonomia si va assolutamente avanti), ma consapevole della fragilità del consenso che fino ad oggi si è determinato (i conservatori esistono ancora...e troppi remano contro).

Nei 14 minuti che ho avuto a disposizione durante il Convegno ho avuto la possibilità di presentare, in sintesi, le mie valutazioni (alcune preoccupate), come già le conoscete per i contributi apparsi via via su "Educazione & Scuola" (nella sezione "Diritto"). Uno studio più analitico sul tema specifico del riordino dei cicli è disponibile nella rubrica ''Riforme On Line'' sulla medesima rivista.